Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 45
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durante la prigionia. Il Campanella era non solo giuridicamente
colpevole ma anche condannato dalla Chiesa, nè giunse ad ispirare
fiducia per l'avvenire, e Roma si comportò con lui non diversamente da
quanto doveva attendersi da essa. Così lo Stato e la Chiesa vennero a
trovarsi tacitamente d'accordo nel far soffrire al disgraziato filosofo
un martirio efferato.
In conclusione ci si permetta ancora di dire, che non solamente due
tribunali in regola, entrambi istituiti da Roma, aveano verificata e
punita la congiura e l'eresia ne' pochi ecclesiastici più indiziati e
non isfuggiti al Fisco, onde rimaneva del pari giustificata l'opera del
tribunale pe' laici, ma tutti veramente in quel tempo ammisero esservi
state pratiche dirette dal Campanella per fondare, aiutandolo anche
il Turco, un nuovo ordine di cose in Calabria, con nuove istituzioni
politiche e religiose. Nè solo pel tempo degli avvenimenti, ma anche
per più anni consecutivi questa fu l'opinione generale, partecipandovi
del pari senza riserva Agenti di altri Stati perfino in momenti di
forte irritazione verso Spagna, come si può rilevare da' Carteggi
de' Residenti Veneti che si successero nel Regno: se qualche volta
si disse, come il Campanella medesimo affermò, che la Calabria era
stata macchiata di falsa ribellione e straziata per questo, si volle
intendere che tutta quella regione era stata tenuta responsabile di
un fatto concepito e preparato da un gruppo d'individui, e con tale
falso giudizio se n'era abusato scelleratamente. Ma, oltrechè negli
avversi a Spagna, negli indifferenti medesimi non del tutto inetti,
venne mano mano a destarsi la più profonda pietà verso un uomo tanto
straordinario, che si vedeva indefinitamente prigione di Stato
senza alcuna condanna, mentre, dopo i primi supplizii e le estese
carcerazioni, già tutti i complici e in ispecie i frati si trovavano
in libertà. Vennero quindi le voci de' pietosi e degli ammiratori ad
unirsi alle franche denegazioni ed agli amari lamenti del prigioniero,
massime dopo che, mediante l'insegnamento, gli fu permesso un più largo
contatto co' migliori, e le corrispondenze, le visite, e sopratutto le
opere che si diffondevano manoscritte o si citavano con meraviglia,
diedero motivo a far parlare di lui diversamente dalla maniera in cui
se n'era parlato prima. Talora in buona fede, più sovente con lo scopo
di giovare al prigioniero, lo si disse candido ed ingenuo, vittima
del suo spirito d'innovazione scientifica, avversato dagl'invidiosi;
si accreditarono le sue discolpe, e fu agevole dimostrarle giuste
nominando certe opere da lui scritte; si diffuse che Spagna gli negava
la libertà per errore e per tirannia, che Roma l'avrebbe voluto e
l'avea voluto, che il Papa era tutto per lui. Cominciò quindi a
ritenersi, press'a poco come fino ad oggi i più gravi biografi del
Campanella hanno mostrato di ritenere, che egli avea solamente fatto
presagi e raccolto profezie per dimostrare la imminente fine del mondo
e il secolo d'oro da doversi godere prima di essa, che della congiura
era affatto innocente, che il Papa con la sua condanna in materia di
S.^{to} Officio aveva inteso trarlo a Roma per toglierlo dalle mani
di Spagna, che Spagna lo teneva violentemente prigione in Napoli non
avendo potuto trovare tanto che bastasse a farlo condannare, che era
infine stato disperso, celato o bruciato il processo, per impedire che
l'innocenza fosse riconosciuta e l'analoga sentenza fosse pronunziata.
Le denegazioni del Campanella sempre più spinte nel conoscere che il
processo non si trovava più, l'interesse spiegato per lui dal Massimi
Nunzio del Papa a Madrid, quindi la sua fuga a Roma non appena uscito
dalle mani del Governo Vicereale, la sua prigionia nel carcere del
S.{to} Officio in Roma per soli tre anni e non perpetuamente giusta
le consuetudini non a tutti note, di poi la benevolenza mostratagli
da Urbano VIII senza essersene capiti i veri motivi, tutti questi
fatti suggellarono l'opinione che egli era stato davvero innocente,
oppresso da Spagna, protetto da Roma; e vi furono allora, come vi sono
stati di poi e vi sono ancor oggi, ammiratori del filosofo credutisi
in obbligo di purgarlo dalle calunnie sofferte e di cantare le glorie
del Papato che spiegò tanto favore verso di lui[492]. Sappiamo che
perfino un cronista calabrese contemporaneo, Gio. Angelo Spagnolio la
cui conoscenza si deve al Capialbi, mentre avea dapprima, nel 1599,
affermata la congiura di Calabria e la parte presavi dal Campanella, si
fece poi a revocare almeno quanto concerneva il filosofo nel 1642[493].
Già in Napoli Antonino Marzio fin dal 1626 aveva scritta un'Elegia e
un Discorso a proposito della liberazione del Campanella facendone la
dedica a Urbano VIII e forse in buona fede, ma alcuni anni più tardi
in Roma Gabriele Naudeo scrisse uno sfolgorante Panegirico ad Urbano
VIII a proposito de' favori accordati al Campanella, e senza dubbio
artificiosamente; poichè in un'altra opera posteriore, destinata a
rimaner segreta, egli ingenuamente narrò che a breve intervallo il
Postel in Francia e il Campanella in Calabria aveano tentato di fondare
un nuovo stato di cose, ma non erano riusciti per non avere avuto
forze, «condizione necessaria a tutti coloro i quali vogliono stabilire
qualche nuova religione»; ed aggiunse, che «quando il Campanella ebbe
il disegno di farsi Re dell'alta Calabria, scelse molto a proposito per
compagno della sua impresa un fra Dionisio Ponzio che si era acquistata
riputazione del più eloquente e del più persuasivo uomo del suo
tempo»[494]. Questa testimonianza di un disegno del Campanella di voler
fondare una nuova religione e farsi Re in Calabria, con l'indicazione
del modo prescelto e del motivo per lo quale non riuscì, da parte
del Naudeo stato in intime relazioni col Campanella nell'anno 1631 e
seguenti, poi anche le lettere del Campanella pubblicate in piccola
parte dal Baldacchini e in più gran parte dal Berti, avrebbero dovuto
richiamare le menti a più esatti giudizii, far ricercare con diligenza
i documenti dell'accusa e non soltanto quelli della difesa, far
guardare un po' più addentro sulla condotta vera del Papato in genere e
di Urbano VIII in ispecie verso il Campanella.
Su quest'ultimo punto, ed anzi su tutte le tribolazioni patite dal
Campanella dopochè uscì dalle mani degli spagnuoli, nemmeno ci pare che
siasi profittato davvero de' documenti del tempo, studiandoli da tutti
i lati e con la necessaria equanimità. Si è riconosciuto oramai che il
Campanella non finì col godere un tranquillo ed agiato riposo, come del
tutto erroneamente era stato ammesso; ma si è posta anche troppo in
mostra la sua irrequietezza, la sua imprudenza, la sua testardaggine,
senza porre in altrettanta mostra la condotta di coloro che dapprima
lo trattarono con benevolenza pel gusto de' dispetti politici e pel
desiderio di trarne vantaggiosi consigli, e poi lo abbandonarono,
lo sprezzarono, lo lasciarono perseguitare fino alla morte da due
ribaldi invidiosi, il P.^e Generale dell'Ordine e il Maestro del
Sacro Palazzo, d'accordo con un altro ribaldo, il Card.^l Nipote, i
quali tutti avrebbero voluto vederlo assolutamente annullato. È certo
che Papa Urbano, quando gli parve giunto il momento di scovrirsi
partigiano di Francia, mostrò benevolenza ed accordò uno stipendio al
Campanella, per far dispetto a Spagna ed anche per averne conforti
nelle vive apprensioni circa la propria salute, essendo rimasto scosso
dalle varie predizioni astrologiche venute fuori contro di lui, e
poi dalle sciocche malie che Giacinto Centini con l'assistenza di un
frate e di un eremita eseguì per affrettarne la morte: allora egli
sentì il bisogno delle conversazioni del Campanella ed anche delle sue
contro-predizioni astrologiche, benchè avesse solennemente condannata
l'astrologia, onde molto si mormorò in Roma per questo, e il Card.^l
Nipote vide necessario allontanare un poco il Campanella dal Palazzo
Apostolico. È certo inoltre che quando i Card.^{li} di casa Barberini
crederono conveniente di non tirarla troppo con la Spagna, la quale
anche venne a rilevarsi di molto con la vittoria di Nordlinga, e
d'altro lato Papa Urbano giunse a rinfrancarsi intorno alla sua salute
mediante gli esorcismi del rinomato frate della Trinità de' monti, e
le predizioni astrologiche di un ebreo Abramo che gli assicuravano
24 anni di regno avendo il Sole nella 9.^a casa, il Campanella fu
abbandonato all'avarizia e alla perfidia del Card.^l Nipote, che
desiderava risparmiare lo stipendio accordatogli ed era collegato
col Generale de' Domenicani, il cui fratello Ludovico già trattava
segretamente col Vicerè di Napoli per conto de' Barberini: così, alla
richiesta del Vicerè che voleva riavere il Campanella nelle mani, si
facilitò l'andata di lui in Francia donde non sarebbe più tornato,
invece dell'andata a Venezia dove egli avrebbe voluto recarsi, e mentre
il povero esule era ancora in viaggio, il Card.^l Nipote commetteva
al Mazarini, Nunzio straordinario in Francia, di «screditarlo»[495].
È certo ancora che il Re di Francia lo accolse con benevolenza e gli
accordò una pensione per far dispetto a Spagna, ed anche per averne
consigli politici, come lo affermò un testimone irrecusabile, il
Foerstner, che vide più volte il filosofo in colloquio col Re e col
Card.^l di Richelieu su materie di Stato; ma poi la pensione non fu
più pagata, e rimasero i dileggi del Richelieu ed anche del Mazarini,
atti solo a provare una volta di più che in essi non c'era alcun
senso di onestà e di giustizia. È certo infine che ben presto gli fu
intimato da Roma di non stampare alcuna opera senza il permesso romano,
il quale non veniva mai, altrimenti lo stipendio gli sarebbe stato
tolto, esigendo pure che si fosse «quietato» a vedersi sospeso il
_publicetur_ per le opere già approvate e stampate, come l'_Ateismo_,
la _Monarchia del Messia_, i _Discorsi della libertà e felice
soggezione_ etc., e a vedersi sospeso l'_imprimatur_ per altre opere
da doversi stampare, come il _Reminiscentur_, il _Cento thomisticus de
Praedestinatione_ etc., con la circostanza aggravante del non vedersi
restituiti i manoscritti nè significate le proposizioni censurabili
in essi rinvenute. Insomma egli avrebbe dovuto annullarsi, veder
soppresse le opere sue benchè non condannate, vedersi trattato peggio
del Galilei, il quale assistè all'abbruciamento del suo libro ma dopo
che era stato condannato. E il Campanella non vi si piegò, e dategli
appena 900 lire-tornesi fino al 15 marzo 1636 lo stipendio gli fu
tolto, ed invano il povero vecchio, con una continua serie di lettere,
fece conoscere le sue condizioni infelici esclamando, «mi muoio di
necessità..; egestate premor..; non mi levate la lemosina che S. B. mi
donò perchè la levate a Dio crocifisso..; sono uscito della memoria di
V. B. in manera che mi lascia morir di fame e di necessità..; crepo
di fame..; sto mendicando». Qual meraviglia se in una persecuzione
simile siasi mostrato irrequieto, riottoso, imprudente? Sarebbe tempo
oramai di non guardare taluni portamenti del Campanella senza tener
conto degli strazii che gli furono inflitti, di non accogliere quasi
con compiacenza certi giudizii sul conto di lui emessi perfino da
chi non si fece scrupolo di trattarlo in un modo tanto abominevole,
di riconoscere che tutta la sua vita fu un martirio continuato, e che
ben pochi meritano quanto lui l'ammirazione e la gratitudine dovute a
coloro i quali fortemente vollero e grandemente patirono.
FINE.
NOTE:
[362] Ved. Doc. 395, pag. 457.
[363] Ved. Doc. 425, pag. 531.
[364] Ved. Doc. 395, alla pag. 464.
[365] Ved. Doc. 131, pag. 75.
[366] Ved. Doc. 193, pag. 97.
[367] Ved. Doc. 234 e 236, pag. 122 e 124.
[368] Ved. Doc. 426, pag. 531-32.
[369] Questo documento è rappresentato da un foglietto di pergamena,
su cui a grossi caratteri si trovano segnati i nomi di tutti coloro le
cui cause doveano spedirsi, frati ed anche secolari; ed è notevole che
solamente a lato del nome di fra Dionisio si legge «aufugit», mentre a
lato del nome del Bitonto non si legge nulla di simile. Tale foglietto
stava insieme con le bozze e copie de' Riassunti degl'indizii presso il
Vescovo di Caserta, e lo si dovè scrivere subito dopo la notizia della
fuga di fra Dionisio, contemporaneamente all'ordine di cui si parla nel
testo, forse nel determinarsi a rompere ogni altro indugio, fare le
copie de' Riassunti ed inviarle sollecitamente a Roma; sicchè fino ad
un certo punto esso confermerebbe il ritardo avvenuto nell'invio delle
copie de' Riassunti oltre il 16 ottobre, e la non avvenuta copia del
Riassunto contro fra Dionisio.
[370] Ved. Doc. 134, pag. 75.
[371] Giustifichiamo le proposizioni emesse nel testo. 1.^o «Se
l'heretico pendente la sua causa diverra pazzo o furioso... bisognerà
tenerlo ben custodito nè condannarlo fino à tanto che egli ò risani ò
muoia nel furore: perchè risanandosi potria per avventura rihaversi,
e convertito, ritornare al grembo di S.^{ta} Chiesa»; Masini, Sacro
Arsenale, Roma 1639, pag. 381. art. 99.--2.^o «Il rilasso legitimamente
convinto dee, ò confessando, ò nò, rilasciarsi al braccio secolare»;
Id. pag. 331. art. 93.--«Quantumcumque poeniteat, nihilominus relapsus
est tradendus Curiae saeculari, ultimo supplicio feriendus»; Eymerici
Directorium Inquisitorum, Romae 1578. p. 331.--3.^o e 4.^o «... à gli
heretici pentiti, oltre alla publica abiuratione s'impone anco la pena
di carcere perpetuo, perchè altrimenti, non potendo i Sacri Canoni con
pena di morte castigar alcuno, non ci sarebbe pena alla gravità del
delitto confacevole»; Masini, pag. 325. art. 76.--«Carcer perpetuus
est poena haeretici reversi»; Locatus, Opus Judiciale Inquisitorum,
Romae 1570. pag. 269.--Prescrizione del Concilio Tolosano: «Haeretici
autem qui timore mortis vel alia quacumque causa, dummodo non sponte
redierint ad catholicam unitatem, ad agendam poenitentiam per Episcopum
loci in muro cum tali includantur cautela, quod facultatem non habeant
alios corrumpendi»; Pegna, Scholia in Eymerici Directorio, Schol.
LXV. lib. 3. pag. 185.--Rescritto di Urbano IV: «Clericus, qui est
perpetuo immurandus, prius debet a suis ordinibus degradari»; Id.
ibid.--«Cum illis qui vel in perpetuum carcerem vel in perpetuum ad
triremes condemnantur dispensari soleat, ideo non solent condemnandi
ad has poenas actualiter degradari sed solum verbaliter»; Id.
ibid.--5.^o «Poena perpetui carceris post lapsum triennii remitti
solet»; Simancae Jacob. Enchiridion Judicum violatae religionis,
Venet. 1578.--«Quaesitum scio, post quantum tempus solent in carcere
perpetuo dispensari..; post lapsum triennii remitti solere scripsit
Simancas. Quod si poena carceris irremissibilis fuerit imposita, elapso
octavo anno solet relaxari»; Pegna, op. cit. p. 224.--Aggiungiamo a
chiarimento dell'immurazione: «Eadem prorsus poena immurationis et
carceris perpetui»; Pegna, op. cit. Schol. LXV. lib. 3. pag. 184.--«In
aliquibus partibus.... Inquisitores habent in suis domibus carceres,
quos vocant muros, quia domunculae illae adhaerent muro loci, qui est
Episcopo et Inquisitori communis»; Locatus, op. cit. p. 39.
[372] Ved. Doc. 137, pag. 77.
[373] Ved. Doc. 427, pag. 532.
[374] Ved. la nostra Copia ms. de' proces. eccles. tom. 2^o, fol. 124.
[375] Ved. Doc. 428 e 429, pag. 533 e 535.
[376] Ved. Doc. 430, pag. 537.
[377] Ved. Doc. 431, pag. 540.
[378] Ved. Doc. 432, pag. 543.
[379] Ved. Doc. 433, pag. 544.
[380] Ved. Doc. 434, pag. 546.
[381] Ved. Doc. 420, pag. 526.
[382] Ved. la così detta _Collectio Salernitana_, vol. 171, fasc. 1.^o
fol.^o 166 t.^o: «Ego Scipio Marullus Stilensis» etc.
[383] Ved. Doc. 219, 220 e 221, pag. 116 e 117. Vi sarebbe anche
un altro Documento, per brevità omesso, una lettera Vicereale che
prescrive l'invio della persona stessa del Baldaia nelle carceri della
Vicaria in Napoli, sempre per l'omicidio suddetto, senza alcun ricordo
de' fatti della congiura. Ved. Reg. _Curiae_, vol. 55, an. 1603-1604,
fol. 163 t.^o.
[384] Ved. Doc. 222 e 223, pag. 117.
[385] Ved. Doc. 224, pag. 118.
[386] Ved. Doc. 225 e 226, pag. 118 e 119.
[387] Intorno a' Grassi sarà bene conoscere ancora i documenti di
data anteriore che abbiamo trovati nel Grande Archivio: 1.^o Registri
_Curiae_ vol. 46, an. 1599-1601, fol. 40, t.^o «All'Audientia di
Calabria ultra... Semo informati come Paulo, Pompeo et Scipione Grassi
del Casale de Gionadi destritto di Melito hanno commesso molti delitti,
per il che fu mandato Commissario dal nostro predecessore, et se le
verificorno molti homicidii et furno reputati contumaci per la Vicaria,
et dall'hora in poi sempre hanno (_sic_) armati in cometiva di dodici
et più banniti commettendo delitti, et particolarmente li dì passati
introrno in lo casale de S.^{to} Constantino et scassorno la casa de
una vidua nomine Gratia, et pigliatole due sue figlie l'una zita, et
l'altra vidua, et, violentemente conosciutole et stupratole, al che
volendo noi provedere come conviene...» (segue l'ordine di catturarli,
prendere l'informazione sul fatto e darne avviso) 27 giugno 1600.--2.^o
Id. vol. 55, an. 1603-1604, fol. 195. «All'Aud. di Calabria ultra...
Con questa v'inviamo l'alligate copie d'informationi contro Paulo
Pompeo et Scipione grasso sopra il particolare della causa delle
scoppettate tirate a francesco aquaro et sua cometiva, et vi dicimo et
ordinamo che nella causa predetta debbiate procedere à quanto sarà de
justitia che tal'è nostra voluntà. Dat. neap. die x^o 7bris 1604».--Al
1606 parrebbe che Pompeo fosse stato già ucciso.==Relativamente a'
Baroni di Reggio, essi erano parecchi e si distinguevano da' Baroni
di Tropea e da' Baroni di Annoya, egualmente fuorusciti ed anche più
numerosi; intorno a loro abbiamo i seguenti documenti, contemporanei
e successivi alla data de' processi: 1.^o Reg. _Curiae_ vol. 46, an.
1599-1601, fol. 30. «All'Aud. di Calabria ultra... Dal Capitaneo
della città de riggio ci viene scritto che havendo havuto notitia,
che alcune persone di quella si erano disfidati et che la città stava
in... (_sic_) andò in persequtione di quelli et carcerò li capi de
le due partite che si erano disfidati nomine francesco pesello et
domitio barone, per la quale carceratione se quietò il rumore, et forno
excarcerati. dopoi li sopraditti francesco et domitio giontamente con
innocentio candeloro della medesima città, per causa che il caporale
di detta Corte li havea carcerati, in presentia di detto Capitaneo
assaltorno detto caporale et con scoppette et spade l'ammaczorno, et
fattesi per esso alcune diligentie non ha possuto averli nelle mani
stando in paliczi..» (segue il fatto di un altro caporale ammazzato
per la stessa ragione, avendo carcerato Paolo Melissari «contumace et
uno delli predetti che si disfidorno», e quindi l'ordine di catturare
i delinquenti). Ultimo di 10bre 1599.--2.^o Id. vol. 54, an. 1603,
fol. 15. «A D. Garzía de Toledo (governatore di Calabria ultra)...
Per la vostra delli 7 del presente havemo visto quel' che vi veneva
havisato da riggio, che Paulo et Gio. Domenico barone fratelli haveano
ammazzato Pietro Gueria per causa di una lite civile che tenevano fra
loro, quali si sono andati à salvare dentro una Ecclesia di detta
città, et havendoli posto le guardie attorno, il Rev.^{do} in Christo
P.^e Arcivescovo non li ha voluto permettere se non per quaranta passi
attorno detta Ecclesia dentro la quale si stanno detti delinquenti
senza nessuno timore, supplicandoci ve si ordinasse quel' che doverete
exequire. Al' che respondendo ve dicimo et ordinamo, che si l'homicidio
predetto è stato commesso appensatamente, poi che non deve godere
dell'immunità dell'Ecclesia debbiati procurare d'haverli nelle mani
in ogni meglior modo avvisandoci di quel' che exequireti acciò ne si
possi ordinare quel' che convenerà per castigo di detti delinquenti.
Dat. neapoli die ultima mens. februar. 1603.»==Da ultimo relativamente
a Carlo Bravo, costui scorreva la campagna già prima del 1599 con
un suo fratello Fabrizio, e poi, rimasto solo, fu preso nel 1603,
ma per delitti comuni, secondochè risulta dai seguenti documenti:
1.^o Reg. _Curiae_ vol. 45, an. 1596-1601, fol. 47 t.^o «Commissione
in persona del magnif.^o u. j. d. Julio Cesare malatesta quale si
conferisce nella terra di filogasi a pigliare informatione... A noi
è stato presentato memoriale del tenor sequente videlicet: Ill.^{mo}
et excell.^{mo} Sig.^{re} la povera gratia teti d'anni undici della
terra de filogasi della prov. di Calabria ultra fa intendere a V. E.
come li mesi passati da fabritio et carlo bravi et ferrante pisano di
monte santo fu proditoriamente ammazzato Vincenzo teti patre d'essa
supplicante ad instantia di Minico di tini della terra di filogasi
per antiquo odio che detto Minico portava ad esso Vincenzo suo patre
mediante una certa quantità di denari data a' detti tre assassini,
quali fatto detto assassinio perchè poco distante veddero una certa
donna nominata antonia quale haveria possuto vedere commettere detto
assassinio l'ammazzorno, et dubitando detto minico di tini mandante che
tale sceleragine non si scopresse fè dare subito tutore dal Capitaneo
d'essa terra, come potente in quella et essendo persona facultosa,
ad essa supplicante Masiello di nofrio con il quale proprio haveva
trattato di farsi fare subito la remissione per potersi transigere con
la corte baronale...» (segue la Commissione ad istanza del R.^o fisco
e con la proeminenza della Vicaria). Ult.^o di ottobre 1597.--2.^o Id.
vol. 55, an. 1603-1604, fol. 80. «Al Marchese de layno... Per la vostra
delli 15 del passato havemo inteso come havete incominciato a procedere
nella causa contra Carlo bravo conforme l'ordine nostro non obstante
la remessione che dimandava il Prencipe de melito et Duca di Nocera,
et como che tal remessione l'ha dimandata quessa città di Catanzaro,
et per non farsene mentione nel predetto nostro ordine ci supplicate
di posser procedervi non obstante detta remessione si dimanda per
questa città con lo de piu che in cio andate significando. Alla
quale respondendo ve dicimo che cossì si intende lo predetto nostro
precalendato ordine ancorche non ci sia particulare expressione...»
(segue la raccomandazione che si spedisca con sollecitudine, vedendo
che «in questo negotio se ci procede con molta flemma») 19 decembr.
1603.--3.^o Id. ibid. fol. 175. «All'Audientia di Calabria ultra...
Havemo visto la relacione che di ordine nostro ci havete fatta delli
delitti che si ritrova inquisito Carlo bravo, per lo che considerato
la gravità et moltiplicità delli delitti che hà commessi ve rispondemo
et ordinamo che ci debbiate procedere all'espedicione della sua causa
conforme à giustitia senza perdere un momento di tempo, et prima
de publicare la sententia ci debbiate donare particolare aviso del
voto che seranno quessi magn.^{ci} Auditori in tal causa et cossì
l'essequirete che tale è nostra voluntà. Dat. neap. die 28 mens. julii
1604».--4.^o Id. vol. 64, an. 1605-1608, fol. 21. «All'Aud. di Calabria
ultra... Per una nostra de li 18 del passato havemo visto per che voto
è quessa Reg.^a Audientia di condennare à Carlo bravo carcerato in
quesse carceri per l'inquisitione di suoi delitti, mà non haveti voluto
publicare la sententia per exequtione del ordine che da noi teneti, et
ci supplicati siamo serviti darvi ordine di quel tanto in ciò haveti da
exequire, alla quale rispondendo vi dicimo et ordinamo che nella causa
di detto Carlo bravo debbiate procedere à quanto vi parirà che convenga
de justitia che tale è nostra voluntà. Dat. neap. die ult.^a mensis
martii 1605».
[388] 1.^o Reg.^i _Curiae_ vol. 64, an. 1605-1608, fol. 138. «All'Aud.
di Calabria ultra... Dal Capitanio della Baronia di precacore et
S.^{ta} Agata di quessa provintia di Calabria ultra ci è stato scritto
come alli 14 de luglio prossimo passato ritrovandosi in compagnia de
Alexandro tranfo Barone di detta Baronia venne passando per avante
di esso Barone Aquilio marrapodi suo vassallo armato di scoppetta a
focile delle lunghe, et essendo passato con arroganza senza levarsi
la barretta, et in contento dela Corte mentre era contumace per
cause criminale, detto Barone havendoli detto per che causa passava
cossi mal creatamente ordinò fosse carcerato, et detto Aquilio con
la detta scoppetta che portava calò il cane drizzò la bocca di essa
verso detto Barone dicendo adietro non passati avanti che vi ammazzo
fando resistenza non lasciandosi pigliar carcerato, per lo che ni
ha preso informatione et l'ha inviata a noi per che si proveda a lo
che conviene..» (segue l'ordine che procuri aver nelle mani il detto
Aquilio e lo mandi in Vicaria) Dat. Neap. 27 septembr. 1606.--Inoltre
a fol. 178 t.^o trovasi pure una lettera sullo stesso tema al Cap. di
Precacore.--2.^o Id. Ibid. fol. 142. «Al Gov.^{re} di Calabria ultra
che faccia relatione di quanto per la vedova portia sotira della terra
di precacore è stato scritto intorno all'eccessi et homicidii commessi
per Gio. Angelo Marrapodi et Aquilio suo figlio in persona de molte
persone di d.^{ta} terra et precise del suo marito à finem providendi».
Lett. dell'ult.^o di ottobre 1606.
[389] 1.^o Reg.^i _Curiae_ vol. 64, an. 1605-1608, fol. 60. «A D. luise
de moncada gov.^e di Calabria ultra... A nostra notitia è pervenuto
come francesco strivieri, Gioseppe Serra, Gio. thomase di franza,
Gioseppe di Paula et aurelio biase di quessa città di Catanzaro non
lassano ogni dì fare assassinii, robare chiese, svergognare monasterii
de donne monache, stuprare vergine, uccider hor questo et hor quel
altro, tagliar facci ad homini et donne honorate, mantener latri et far
altri delitti, et che nel mese di 8bre prox.^o pass.^o non contenti
delle cose predette habbiano svergognato a una casa nobile di quessa
città in haver appostatamente struppiato un povero homo delli più
honorati di quessa città in havendoli tagliato il naso, cavato un
occhio et tagliatoli le labra et datoli una ferita in testa, delitti
veramente molto imperiosi...» (segue l'ordine che coll'intervento
dell'Aud.^{re} Barbuto s'informi) 18 9bre 1605.--2.^o Ibid. fol.
71. «A D. luise de moncada... Dall'Auditor fabritio auletta, et
Marc'Antonio rossino advocato fiscale di questa reg.^a Audientia, et
anco dal Capitaneo di quessa città di Catanzaro semo stati avisati
como essendono stati occisi Gio. francesco, et vitaliano bonelli patre
et figlio da Geronimo et Gio. Paulo di Cordua di d.^{ta} città di
Catanzaro, che nel pigliare dett'informatione sia stato maltrattato
il detto Capitaneo dalli Commissionati et soldati di quessa Regia
Audientia..» (segue l'ordine che prenda subito informazione) 15 10bre
1605.--3.^o Ibid. fol. 81 t.^o «Risposta à don loise di moncada per
conto delli forasciti di Catanzaro... Havemo recevuta la vostra
relatione de nostro ordine fattaci intorno li delitti se pretendono
essere stati commessi per francesco strivieri, Gioseppe Serra, Gio.
thomase di franza, gioseppe di paula et aurelio biasi di quessa città
di catanzaro, et come per voi sono stati inviati in certi lochi
destinati, et de poi usate tutte le deligentie possibile per scoprir li
detti delitti non haveti possuto in sin adesso havere tracza alcuna de
essi, solo havete inquisito à Gio. thomaso del stroppio fatto in facci
de gio. domenico marcello per la causa contenta in detta relatione, et
como non l'haveti possuto havere alle mani, narrandoci come li predetti
insieme a gio. paulo di cordova ammazzorno gio. francesco et vitaliano
bonelli padre e figlio et anco insultorno al dottor fabio Conte...» (lo
loda e ordina che continui) 30 gen.^o 1606.--Questo per la sola città
di Catanzaro, dove è manifesto che il Franza, il Cordova e lo Striveri
con gli altri, aveano intimidato tutti; e senza uscire dallo stesso
sud.^{to} vol. _Curiae_ si può vedere cosa accadeva a Stilo, dove (fol.
59) trovandosi il Capitano in Guardavalle, «alla casa del giudice di
Stilo absente fu fatta petriata due notte» etc. etc.
[390] Ved. Doc. 228, pag. 120.
[391] Ved. Doc. 263, pag. 175.
[392] Ved. Doc. 132, pag. 75.
[393] Ved. Doc. 133, pag. 75.
[394] Ved. Doc. 135 e 136, pag. 76 e 77.
[395] Let. del 6 aprile 1601; ved. Doc. 119, pag. 71.
colpevole ma anche condannato dalla Chiesa, nè giunse ad ispirare
fiducia per l'avvenire, e Roma si comportò con lui non diversamente da
quanto doveva attendersi da essa. Così lo Stato e la Chiesa vennero a
trovarsi tacitamente d'accordo nel far soffrire al disgraziato filosofo
un martirio efferato.
In conclusione ci si permetta ancora di dire, che non solamente due
tribunali in regola, entrambi istituiti da Roma, aveano verificata e
punita la congiura e l'eresia ne' pochi ecclesiastici più indiziati e
non isfuggiti al Fisco, onde rimaneva del pari giustificata l'opera del
tribunale pe' laici, ma tutti veramente in quel tempo ammisero esservi
state pratiche dirette dal Campanella per fondare, aiutandolo anche
il Turco, un nuovo ordine di cose in Calabria, con nuove istituzioni
politiche e religiose. Nè solo pel tempo degli avvenimenti, ma anche
per più anni consecutivi questa fu l'opinione generale, partecipandovi
del pari senza riserva Agenti di altri Stati perfino in momenti di
forte irritazione verso Spagna, come si può rilevare da' Carteggi
de' Residenti Veneti che si successero nel Regno: se qualche volta
si disse, come il Campanella medesimo affermò, che la Calabria era
stata macchiata di falsa ribellione e straziata per questo, si volle
intendere che tutta quella regione era stata tenuta responsabile di
un fatto concepito e preparato da un gruppo d'individui, e con tale
falso giudizio se n'era abusato scelleratamente. Ma, oltrechè negli
avversi a Spagna, negli indifferenti medesimi non del tutto inetti,
venne mano mano a destarsi la più profonda pietà verso un uomo tanto
straordinario, che si vedeva indefinitamente prigione di Stato
senza alcuna condanna, mentre, dopo i primi supplizii e le estese
carcerazioni, già tutti i complici e in ispecie i frati si trovavano
in libertà. Vennero quindi le voci de' pietosi e degli ammiratori ad
unirsi alle franche denegazioni ed agli amari lamenti del prigioniero,
massime dopo che, mediante l'insegnamento, gli fu permesso un più largo
contatto co' migliori, e le corrispondenze, le visite, e sopratutto le
opere che si diffondevano manoscritte o si citavano con meraviglia,
diedero motivo a far parlare di lui diversamente dalla maniera in cui
se n'era parlato prima. Talora in buona fede, più sovente con lo scopo
di giovare al prigioniero, lo si disse candido ed ingenuo, vittima
del suo spirito d'innovazione scientifica, avversato dagl'invidiosi;
si accreditarono le sue discolpe, e fu agevole dimostrarle giuste
nominando certe opere da lui scritte; si diffuse che Spagna gli negava
la libertà per errore e per tirannia, che Roma l'avrebbe voluto e
l'avea voluto, che il Papa era tutto per lui. Cominciò quindi a
ritenersi, press'a poco come fino ad oggi i più gravi biografi del
Campanella hanno mostrato di ritenere, che egli avea solamente fatto
presagi e raccolto profezie per dimostrare la imminente fine del mondo
e il secolo d'oro da doversi godere prima di essa, che della congiura
era affatto innocente, che il Papa con la sua condanna in materia di
S.^{to} Officio aveva inteso trarlo a Roma per toglierlo dalle mani
di Spagna, che Spagna lo teneva violentemente prigione in Napoli non
avendo potuto trovare tanto che bastasse a farlo condannare, che era
infine stato disperso, celato o bruciato il processo, per impedire che
l'innocenza fosse riconosciuta e l'analoga sentenza fosse pronunziata.
Le denegazioni del Campanella sempre più spinte nel conoscere che il
processo non si trovava più, l'interesse spiegato per lui dal Massimi
Nunzio del Papa a Madrid, quindi la sua fuga a Roma non appena uscito
dalle mani del Governo Vicereale, la sua prigionia nel carcere del
S.{to} Officio in Roma per soli tre anni e non perpetuamente giusta
le consuetudini non a tutti note, di poi la benevolenza mostratagli
da Urbano VIII senza essersene capiti i veri motivi, tutti questi
fatti suggellarono l'opinione che egli era stato davvero innocente,
oppresso da Spagna, protetto da Roma; e vi furono allora, come vi sono
stati di poi e vi sono ancor oggi, ammiratori del filosofo credutisi
in obbligo di purgarlo dalle calunnie sofferte e di cantare le glorie
del Papato che spiegò tanto favore verso di lui[492]. Sappiamo che
perfino un cronista calabrese contemporaneo, Gio. Angelo Spagnolio la
cui conoscenza si deve al Capialbi, mentre avea dapprima, nel 1599,
affermata la congiura di Calabria e la parte presavi dal Campanella, si
fece poi a revocare almeno quanto concerneva il filosofo nel 1642[493].
Già in Napoli Antonino Marzio fin dal 1626 aveva scritta un'Elegia e
un Discorso a proposito della liberazione del Campanella facendone la
dedica a Urbano VIII e forse in buona fede, ma alcuni anni più tardi
in Roma Gabriele Naudeo scrisse uno sfolgorante Panegirico ad Urbano
VIII a proposito de' favori accordati al Campanella, e senza dubbio
artificiosamente; poichè in un'altra opera posteriore, destinata a
rimaner segreta, egli ingenuamente narrò che a breve intervallo il
Postel in Francia e il Campanella in Calabria aveano tentato di fondare
un nuovo stato di cose, ma non erano riusciti per non avere avuto
forze, «condizione necessaria a tutti coloro i quali vogliono stabilire
qualche nuova religione»; ed aggiunse, che «quando il Campanella ebbe
il disegno di farsi Re dell'alta Calabria, scelse molto a proposito per
compagno della sua impresa un fra Dionisio Ponzio che si era acquistata
riputazione del più eloquente e del più persuasivo uomo del suo
tempo»[494]. Questa testimonianza di un disegno del Campanella di voler
fondare una nuova religione e farsi Re in Calabria, con l'indicazione
del modo prescelto e del motivo per lo quale non riuscì, da parte
del Naudeo stato in intime relazioni col Campanella nell'anno 1631 e
seguenti, poi anche le lettere del Campanella pubblicate in piccola
parte dal Baldacchini e in più gran parte dal Berti, avrebbero dovuto
richiamare le menti a più esatti giudizii, far ricercare con diligenza
i documenti dell'accusa e non soltanto quelli della difesa, far
guardare un po' più addentro sulla condotta vera del Papato in genere e
di Urbano VIII in ispecie verso il Campanella.
Su quest'ultimo punto, ed anzi su tutte le tribolazioni patite dal
Campanella dopochè uscì dalle mani degli spagnuoli, nemmeno ci pare che
siasi profittato davvero de' documenti del tempo, studiandoli da tutti
i lati e con la necessaria equanimità. Si è riconosciuto oramai che il
Campanella non finì col godere un tranquillo ed agiato riposo, come del
tutto erroneamente era stato ammesso; ma si è posta anche troppo in
mostra la sua irrequietezza, la sua imprudenza, la sua testardaggine,
senza porre in altrettanta mostra la condotta di coloro che dapprima
lo trattarono con benevolenza pel gusto de' dispetti politici e pel
desiderio di trarne vantaggiosi consigli, e poi lo abbandonarono,
lo sprezzarono, lo lasciarono perseguitare fino alla morte da due
ribaldi invidiosi, il P.^e Generale dell'Ordine e il Maestro del
Sacro Palazzo, d'accordo con un altro ribaldo, il Card.^l Nipote, i
quali tutti avrebbero voluto vederlo assolutamente annullato. È certo
che Papa Urbano, quando gli parve giunto il momento di scovrirsi
partigiano di Francia, mostrò benevolenza ed accordò uno stipendio al
Campanella, per far dispetto a Spagna ed anche per averne conforti
nelle vive apprensioni circa la propria salute, essendo rimasto scosso
dalle varie predizioni astrologiche venute fuori contro di lui, e
poi dalle sciocche malie che Giacinto Centini con l'assistenza di un
frate e di un eremita eseguì per affrettarne la morte: allora egli
sentì il bisogno delle conversazioni del Campanella ed anche delle sue
contro-predizioni astrologiche, benchè avesse solennemente condannata
l'astrologia, onde molto si mormorò in Roma per questo, e il Card.^l
Nipote vide necessario allontanare un poco il Campanella dal Palazzo
Apostolico. È certo inoltre che quando i Card.^{li} di casa Barberini
crederono conveniente di non tirarla troppo con la Spagna, la quale
anche venne a rilevarsi di molto con la vittoria di Nordlinga, e
d'altro lato Papa Urbano giunse a rinfrancarsi intorno alla sua salute
mediante gli esorcismi del rinomato frate della Trinità de' monti, e
le predizioni astrologiche di un ebreo Abramo che gli assicuravano
24 anni di regno avendo il Sole nella 9.^a casa, il Campanella fu
abbandonato all'avarizia e alla perfidia del Card.^l Nipote, che
desiderava risparmiare lo stipendio accordatogli ed era collegato
col Generale de' Domenicani, il cui fratello Ludovico già trattava
segretamente col Vicerè di Napoli per conto de' Barberini: così, alla
richiesta del Vicerè che voleva riavere il Campanella nelle mani, si
facilitò l'andata di lui in Francia donde non sarebbe più tornato,
invece dell'andata a Venezia dove egli avrebbe voluto recarsi, e mentre
il povero esule era ancora in viaggio, il Card.^l Nipote commetteva
al Mazarini, Nunzio straordinario in Francia, di «screditarlo»[495].
È certo ancora che il Re di Francia lo accolse con benevolenza e gli
accordò una pensione per far dispetto a Spagna, ed anche per averne
consigli politici, come lo affermò un testimone irrecusabile, il
Foerstner, che vide più volte il filosofo in colloquio col Re e col
Card.^l di Richelieu su materie di Stato; ma poi la pensione non fu
più pagata, e rimasero i dileggi del Richelieu ed anche del Mazarini,
atti solo a provare una volta di più che in essi non c'era alcun
senso di onestà e di giustizia. È certo infine che ben presto gli fu
intimato da Roma di non stampare alcuna opera senza il permesso romano,
il quale non veniva mai, altrimenti lo stipendio gli sarebbe stato
tolto, esigendo pure che si fosse «quietato» a vedersi sospeso il
_publicetur_ per le opere già approvate e stampate, come l'_Ateismo_,
la _Monarchia del Messia_, i _Discorsi della libertà e felice
soggezione_ etc., e a vedersi sospeso l'_imprimatur_ per altre opere
da doversi stampare, come il _Reminiscentur_, il _Cento thomisticus de
Praedestinatione_ etc., con la circostanza aggravante del non vedersi
restituiti i manoscritti nè significate le proposizioni censurabili
in essi rinvenute. Insomma egli avrebbe dovuto annullarsi, veder
soppresse le opere sue benchè non condannate, vedersi trattato peggio
del Galilei, il quale assistè all'abbruciamento del suo libro ma dopo
che era stato condannato. E il Campanella non vi si piegò, e dategli
appena 900 lire-tornesi fino al 15 marzo 1636 lo stipendio gli fu
tolto, ed invano il povero vecchio, con una continua serie di lettere,
fece conoscere le sue condizioni infelici esclamando, «mi muoio di
necessità..; egestate premor..; non mi levate la lemosina che S. B. mi
donò perchè la levate a Dio crocifisso..; sono uscito della memoria di
V. B. in manera che mi lascia morir di fame e di necessità..; crepo
di fame..; sto mendicando». Qual meraviglia se in una persecuzione
simile siasi mostrato irrequieto, riottoso, imprudente? Sarebbe tempo
oramai di non guardare taluni portamenti del Campanella senza tener
conto degli strazii che gli furono inflitti, di non accogliere quasi
con compiacenza certi giudizii sul conto di lui emessi perfino da
chi non si fece scrupolo di trattarlo in un modo tanto abominevole,
di riconoscere che tutta la sua vita fu un martirio continuato, e che
ben pochi meritano quanto lui l'ammirazione e la gratitudine dovute a
coloro i quali fortemente vollero e grandemente patirono.
FINE.
NOTE:
[362] Ved. Doc. 395, pag. 457.
[363] Ved. Doc. 425, pag. 531.
[364] Ved. Doc. 395, alla pag. 464.
[365] Ved. Doc. 131, pag. 75.
[366] Ved. Doc. 193, pag. 97.
[367] Ved. Doc. 234 e 236, pag. 122 e 124.
[368] Ved. Doc. 426, pag. 531-32.
[369] Questo documento è rappresentato da un foglietto di pergamena,
su cui a grossi caratteri si trovano segnati i nomi di tutti coloro le
cui cause doveano spedirsi, frati ed anche secolari; ed è notevole che
solamente a lato del nome di fra Dionisio si legge «aufugit», mentre a
lato del nome del Bitonto non si legge nulla di simile. Tale foglietto
stava insieme con le bozze e copie de' Riassunti degl'indizii presso il
Vescovo di Caserta, e lo si dovè scrivere subito dopo la notizia della
fuga di fra Dionisio, contemporaneamente all'ordine di cui si parla nel
testo, forse nel determinarsi a rompere ogni altro indugio, fare le
copie de' Riassunti ed inviarle sollecitamente a Roma; sicchè fino ad
un certo punto esso confermerebbe il ritardo avvenuto nell'invio delle
copie de' Riassunti oltre il 16 ottobre, e la non avvenuta copia del
Riassunto contro fra Dionisio.
[370] Ved. Doc. 134, pag. 75.
[371] Giustifichiamo le proposizioni emesse nel testo. 1.^o «Se
l'heretico pendente la sua causa diverra pazzo o furioso... bisognerà
tenerlo ben custodito nè condannarlo fino à tanto che egli ò risani ò
muoia nel furore: perchè risanandosi potria per avventura rihaversi,
e convertito, ritornare al grembo di S.^{ta} Chiesa»; Masini, Sacro
Arsenale, Roma 1639, pag. 381. art. 99.--2.^o «Il rilasso legitimamente
convinto dee, ò confessando, ò nò, rilasciarsi al braccio secolare»;
Id. pag. 331. art. 93.--«Quantumcumque poeniteat, nihilominus relapsus
est tradendus Curiae saeculari, ultimo supplicio feriendus»; Eymerici
Directorium Inquisitorum, Romae 1578. p. 331.--3.^o e 4.^o «... à gli
heretici pentiti, oltre alla publica abiuratione s'impone anco la pena
di carcere perpetuo, perchè altrimenti, non potendo i Sacri Canoni con
pena di morte castigar alcuno, non ci sarebbe pena alla gravità del
delitto confacevole»; Masini, pag. 325. art. 76.--«Carcer perpetuus
est poena haeretici reversi»; Locatus, Opus Judiciale Inquisitorum,
Romae 1570. pag. 269.--Prescrizione del Concilio Tolosano: «Haeretici
autem qui timore mortis vel alia quacumque causa, dummodo non sponte
redierint ad catholicam unitatem, ad agendam poenitentiam per Episcopum
loci in muro cum tali includantur cautela, quod facultatem non habeant
alios corrumpendi»; Pegna, Scholia in Eymerici Directorio, Schol.
LXV. lib. 3. pag. 185.--Rescritto di Urbano IV: «Clericus, qui est
perpetuo immurandus, prius debet a suis ordinibus degradari»; Id.
ibid.--«Cum illis qui vel in perpetuum carcerem vel in perpetuum ad
triremes condemnantur dispensari soleat, ideo non solent condemnandi
ad has poenas actualiter degradari sed solum verbaliter»; Id.
ibid.--5.^o «Poena perpetui carceris post lapsum triennii remitti
solet»; Simancae Jacob. Enchiridion Judicum violatae religionis,
Venet. 1578.--«Quaesitum scio, post quantum tempus solent in carcere
perpetuo dispensari..; post lapsum triennii remitti solere scripsit
Simancas. Quod si poena carceris irremissibilis fuerit imposita, elapso
octavo anno solet relaxari»; Pegna, op. cit. p. 224.--Aggiungiamo a
chiarimento dell'immurazione: «Eadem prorsus poena immurationis et
carceris perpetui»; Pegna, op. cit. Schol. LXV. lib. 3. pag. 184.--«In
aliquibus partibus.... Inquisitores habent in suis domibus carceres,
quos vocant muros, quia domunculae illae adhaerent muro loci, qui est
Episcopo et Inquisitori communis»; Locatus, op. cit. p. 39.
[372] Ved. Doc. 137, pag. 77.
[373] Ved. Doc. 427, pag. 532.
[374] Ved. la nostra Copia ms. de' proces. eccles. tom. 2^o, fol. 124.
[375] Ved. Doc. 428 e 429, pag. 533 e 535.
[376] Ved. Doc. 430, pag. 537.
[377] Ved. Doc. 431, pag. 540.
[378] Ved. Doc. 432, pag. 543.
[379] Ved. Doc. 433, pag. 544.
[380] Ved. Doc. 434, pag. 546.
[381] Ved. Doc. 420, pag. 526.
[382] Ved. la così detta _Collectio Salernitana_, vol. 171, fasc. 1.^o
fol.^o 166 t.^o: «Ego Scipio Marullus Stilensis» etc.
[383] Ved. Doc. 219, 220 e 221, pag. 116 e 117. Vi sarebbe anche
un altro Documento, per brevità omesso, una lettera Vicereale che
prescrive l'invio della persona stessa del Baldaia nelle carceri della
Vicaria in Napoli, sempre per l'omicidio suddetto, senza alcun ricordo
de' fatti della congiura. Ved. Reg. _Curiae_, vol. 55, an. 1603-1604,
fol. 163 t.^o.
[384] Ved. Doc. 222 e 223, pag. 117.
[385] Ved. Doc. 224, pag. 118.
[386] Ved. Doc. 225 e 226, pag. 118 e 119.
[387] Intorno a' Grassi sarà bene conoscere ancora i documenti di
data anteriore che abbiamo trovati nel Grande Archivio: 1.^o Registri
_Curiae_ vol. 46, an. 1599-1601, fol. 40, t.^o «All'Audientia di
Calabria ultra... Semo informati come Paulo, Pompeo et Scipione Grassi
del Casale de Gionadi destritto di Melito hanno commesso molti delitti,
per il che fu mandato Commissario dal nostro predecessore, et se le
verificorno molti homicidii et furno reputati contumaci per la Vicaria,
et dall'hora in poi sempre hanno (_sic_) armati in cometiva di dodici
et più banniti commettendo delitti, et particolarmente li dì passati
introrno in lo casale de S.^{to} Constantino et scassorno la casa de
una vidua nomine Gratia, et pigliatole due sue figlie l'una zita, et
l'altra vidua, et, violentemente conosciutole et stupratole, al che
volendo noi provedere come conviene...» (segue l'ordine di catturarli,
prendere l'informazione sul fatto e darne avviso) 27 giugno 1600.--2.^o
Id. vol. 55, an. 1603-1604, fol. 195. «All'Aud. di Calabria ultra...
Con questa v'inviamo l'alligate copie d'informationi contro Paulo
Pompeo et Scipione grasso sopra il particolare della causa delle
scoppettate tirate a francesco aquaro et sua cometiva, et vi dicimo et
ordinamo che nella causa predetta debbiate procedere à quanto sarà de
justitia che tal'è nostra voluntà. Dat. neap. die x^o 7bris 1604».--Al
1606 parrebbe che Pompeo fosse stato già ucciso.==Relativamente a'
Baroni di Reggio, essi erano parecchi e si distinguevano da' Baroni
di Tropea e da' Baroni di Annoya, egualmente fuorusciti ed anche più
numerosi; intorno a loro abbiamo i seguenti documenti, contemporanei
e successivi alla data de' processi: 1.^o Reg. _Curiae_ vol. 46, an.
1599-1601, fol. 30. «All'Aud. di Calabria ultra... Dal Capitaneo
della città de riggio ci viene scritto che havendo havuto notitia,
che alcune persone di quella si erano disfidati et che la città stava
in... (_sic_) andò in persequtione di quelli et carcerò li capi de
le due partite che si erano disfidati nomine francesco pesello et
domitio barone, per la quale carceratione se quietò il rumore, et forno
excarcerati. dopoi li sopraditti francesco et domitio giontamente con
innocentio candeloro della medesima città, per causa che il caporale
di detta Corte li havea carcerati, in presentia di detto Capitaneo
assaltorno detto caporale et con scoppette et spade l'ammaczorno, et
fattesi per esso alcune diligentie non ha possuto averli nelle mani
stando in paliczi..» (segue il fatto di un altro caporale ammazzato
per la stessa ragione, avendo carcerato Paolo Melissari «contumace et
uno delli predetti che si disfidorno», e quindi l'ordine di catturare
i delinquenti). Ultimo di 10bre 1599.--2.^o Id. vol. 54, an. 1603,
fol. 15. «A D. Garzía de Toledo (governatore di Calabria ultra)...
Per la vostra delli 7 del presente havemo visto quel' che vi veneva
havisato da riggio, che Paulo et Gio. Domenico barone fratelli haveano
ammazzato Pietro Gueria per causa di una lite civile che tenevano fra
loro, quali si sono andati à salvare dentro una Ecclesia di detta
città, et havendoli posto le guardie attorno, il Rev.^{do} in Christo
P.^e Arcivescovo non li ha voluto permettere se non per quaranta passi
attorno detta Ecclesia dentro la quale si stanno detti delinquenti
senza nessuno timore, supplicandoci ve si ordinasse quel' che doverete
exequire. Al' che respondendo ve dicimo et ordinamo, che si l'homicidio
predetto è stato commesso appensatamente, poi che non deve godere
dell'immunità dell'Ecclesia debbiati procurare d'haverli nelle mani
in ogni meglior modo avvisandoci di quel' che exequireti acciò ne si
possi ordinare quel' che convenerà per castigo di detti delinquenti.
Dat. neapoli die ultima mens. februar. 1603.»==Da ultimo relativamente
a Carlo Bravo, costui scorreva la campagna già prima del 1599 con
un suo fratello Fabrizio, e poi, rimasto solo, fu preso nel 1603,
ma per delitti comuni, secondochè risulta dai seguenti documenti:
1.^o Reg. _Curiae_ vol. 45, an. 1596-1601, fol. 47 t.^o «Commissione
in persona del magnif.^o u. j. d. Julio Cesare malatesta quale si
conferisce nella terra di filogasi a pigliare informatione... A noi
è stato presentato memoriale del tenor sequente videlicet: Ill.^{mo}
et excell.^{mo} Sig.^{re} la povera gratia teti d'anni undici della
terra de filogasi della prov. di Calabria ultra fa intendere a V. E.
come li mesi passati da fabritio et carlo bravi et ferrante pisano di
monte santo fu proditoriamente ammazzato Vincenzo teti patre d'essa
supplicante ad instantia di Minico di tini della terra di filogasi
per antiquo odio che detto Minico portava ad esso Vincenzo suo patre
mediante una certa quantità di denari data a' detti tre assassini,
quali fatto detto assassinio perchè poco distante veddero una certa
donna nominata antonia quale haveria possuto vedere commettere detto
assassinio l'ammazzorno, et dubitando detto minico di tini mandante che
tale sceleragine non si scopresse fè dare subito tutore dal Capitaneo
d'essa terra, come potente in quella et essendo persona facultosa,
ad essa supplicante Masiello di nofrio con il quale proprio haveva
trattato di farsi fare subito la remissione per potersi transigere con
la corte baronale...» (segue la Commissione ad istanza del R.^o fisco
e con la proeminenza della Vicaria). Ult.^o di ottobre 1597.--2.^o Id.
vol. 55, an. 1603-1604, fol. 80. «Al Marchese de layno... Per la vostra
delli 15 del passato havemo inteso come havete incominciato a procedere
nella causa contra Carlo bravo conforme l'ordine nostro non obstante
la remessione che dimandava il Prencipe de melito et Duca di Nocera,
et como che tal remessione l'ha dimandata quessa città di Catanzaro,
et per non farsene mentione nel predetto nostro ordine ci supplicate
di posser procedervi non obstante detta remessione si dimanda per
questa città con lo de piu che in cio andate significando. Alla
quale respondendo ve dicimo che cossì si intende lo predetto nostro
precalendato ordine ancorche non ci sia particulare expressione...»
(segue la raccomandazione che si spedisca con sollecitudine, vedendo
che «in questo negotio se ci procede con molta flemma») 19 decembr.
1603.--3.^o Id. ibid. fol. 175. «All'Audientia di Calabria ultra...
Havemo visto la relacione che di ordine nostro ci havete fatta delli
delitti che si ritrova inquisito Carlo bravo, per lo che considerato
la gravità et moltiplicità delli delitti che hà commessi ve rispondemo
et ordinamo che ci debbiate procedere all'espedicione della sua causa
conforme à giustitia senza perdere un momento di tempo, et prima
de publicare la sententia ci debbiate donare particolare aviso del
voto che seranno quessi magn.^{ci} Auditori in tal causa et cossì
l'essequirete che tale è nostra voluntà. Dat. neap. die 28 mens. julii
1604».--4.^o Id. vol. 64, an. 1605-1608, fol. 21. «All'Aud. di Calabria
ultra... Per una nostra de li 18 del passato havemo visto per che voto
è quessa Reg.^a Audientia di condennare à Carlo bravo carcerato in
quesse carceri per l'inquisitione di suoi delitti, mà non haveti voluto
publicare la sententia per exequtione del ordine che da noi teneti, et
ci supplicati siamo serviti darvi ordine di quel tanto in ciò haveti da
exequire, alla quale rispondendo vi dicimo et ordinamo che nella causa
di detto Carlo bravo debbiate procedere à quanto vi parirà che convenga
de justitia che tale è nostra voluntà. Dat. neap. die ult.^a mensis
martii 1605».
[388] 1.^o Reg.^i _Curiae_ vol. 64, an. 1605-1608, fol. 138. «All'Aud.
di Calabria ultra... Dal Capitanio della Baronia di precacore et
S.^{ta} Agata di quessa provintia di Calabria ultra ci è stato scritto
come alli 14 de luglio prossimo passato ritrovandosi in compagnia de
Alexandro tranfo Barone di detta Baronia venne passando per avante
di esso Barone Aquilio marrapodi suo vassallo armato di scoppetta a
focile delle lunghe, et essendo passato con arroganza senza levarsi
la barretta, et in contento dela Corte mentre era contumace per
cause criminale, detto Barone havendoli detto per che causa passava
cossi mal creatamente ordinò fosse carcerato, et detto Aquilio con
la detta scoppetta che portava calò il cane drizzò la bocca di essa
verso detto Barone dicendo adietro non passati avanti che vi ammazzo
fando resistenza non lasciandosi pigliar carcerato, per lo che ni
ha preso informatione et l'ha inviata a noi per che si proveda a lo
che conviene..» (segue l'ordine che procuri aver nelle mani il detto
Aquilio e lo mandi in Vicaria) Dat. Neap. 27 septembr. 1606.--Inoltre
a fol. 178 t.^o trovasi pure una lettera sullo stesso tema al Cap. di
Precacore.--2.^o Id. Ibid. fol. 142. «Al Gov.^{re} di Calabria ultra
che faccia relatione di quanto per la vedova portia sotira della terra
di precacore è stato scritto intorno all'eccessi et homicidii commessi
per Gio. Angelo Marrapodi et Aquilio suo figlio in persona de molte
persone di d.^{ta} terra et precise del suo marito à finem providendi».
Lett. dell'ult.^o di ottobre 1606.
[389] 1.^o Reg.^i _Curiae_ vol. 64, an. 1605-1608, fol. 60. «A D. luise
de moncada gov.^e di Calabria ultra... A nostra notitia è pervenuto
come francesco strivieri, Gioseppe Serra, Gio. thomase di franza,
Gioseppe di Paula et aurelio biase di quessa città di Catanzaro non
lassano ogni dì fare assassinii, robare chiese, svergognare monasterii
de donne monache, stuprare vergine, uccider hor questo et hor quel
altro, tagliar facci ad homini et donne honorate, mantener latri et far
altri delitti, et che nel mese di 8bre prox.^o pass.^o non contenti
delle cose predette habbiano svergognato a una casa nobile di quessa
città in haver appostatamente struppiato un povero homo delli più
honorati di quessa città in havendoli tagliato il naso, cavato un
occhio et tagliatoli le labra et datoli una ferita in testa, delitti
veramente molto imperiosi...» (segue l'ordine che coll'intervento
dell'Aud.^{re} Barbuto s'informi) 18 9bre 1605.--2.^o Ibid. fol.
71. «A D. luise de moncada... Dall'Auditor fabritio auletta, et
Marc'Antonio rossino advocato fiscale di questa reg.^a Audientia, et
anco dal Capitaneo di quessa città di Catanzaro semo stati avisati
como essendono stati occisi Gio. francesco, et vitaliano bonelli patre
et figlio da Geronimo et Gio. Paulo di Cordua di d.^{ta} città di
Catanzaro, che nel pigliare dett'informatione sia stato maltrattato
il detto Capitaneo dalli Commissionati et soldati di quessa Regia
Audientia..» (segue l'ordine che prenda subito informazione) 15 10bre
1605.--3.^o Ibid. fol. 81 t.^o «Risposta à don loise di moncada per
conto delli forasciti di Catanzaro... Havemo recevuta la vostra
relatione de nostro ordine fattaci intorno li delitti se pretendono
essere stati commessi per francesco strivieri, Gioseppe Serra, Gio.
thomase di franza, gioseppe di paula et aurelio biasi di quessa città
di catanzaro, et come per voi sono stati inviati in certi lochi
destinati, et de poi usate tutte le deligentie possibile per scoprir li
detti delitti non haveti possuto in sin adesso havere tracza alcuna de
essi, solo havete inquisito à Gio. thomaso del stroppio fatto in facci
de gio. domenico marcello per la causa contenta in detta relatione, et
como non l'haveti possuto havere alle mani, narrandoci come li predetti
insieme a gio. paulo di cordova ammazzorno gio. francesco et vitaliano
bonelli padre e figlio et anco insultorno al dottor fabio Conte...» (lo
loda e ordina che continui) 30 gen.^o 1606.--Questo per la sola città
di Catanzaro, dove è manifesto che il Franza, il Cordova e lo Striveri
con gli altri, aveano intimidato tutti; e senza uscire dallo stesso
sud.^{to} vol. _Curiae_ si può vedere cosa accadeva a Stilo, dove (fol.
59) trovandosi il Capitano in Guardavalle, «alla casa del giudice di
Stilo absente fu fatta petriata due notte» etc. etc.
[390] Ved. Doc. 228, pag. 120.
[391] Ved. Doc. 263, pag. 175.
[392] Ved. Doc. 132, pag. 75.
[393] Ved. Doc. 133, pag. 75.
[394] Ved. Doc. 135 e 136, pag. 76 e 77.
[395] Let. del 6 aprile 1601; ved. Doc. 119, pag. 71.
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