Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 20

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Pietro di Stilo non era amico di fra Dionisio, ed invece lo era del
Polistina; (così fra Paolo si mostrava ben diverso da quello di prima,
ma perciò appunto non poteva conciliarsi molta fede).--Successivamente
fu interrogato fra Pietro di Stilo, che abbondò moltissimo ne'
particolari, profittando della circostanza per far entrare nelle
difese in un modo anche più largo la persona del Campanella, sicchè
la sua deposizione riesce di una importanza straordinaria. Dichiarò
aver saputo direttamente dal Lauriana, in Squillace e in Monteleone,
che avea deposto «tutto buggie ad instantia di frà Cornelio, è di frà
Gio. Battista de Pizzoni», ed espose l'occasione a questo modo: «io
dissi à fra Silvestro, come è possibile che tu che sei inimico di frà
Dionisio perche ti persequitò per conto di frà fabio in Nicastro....
et tù sempre sei stato lontano da frà Thomaso, che essi ti habbiano
communicato queste cose à te, et à me che ero amico di fra Thomaso, e
paesano, non habbia ditto niente, Et fra Silvestro alhora mi disse, non
per Dio, io mai seppi queste cose, mà me l'ha fatto dire il maledetto
frà Gio. Battista da Pizzoni, in servitio del quale hò posto l'onore,
è molte volte in pericolo la vita, Et io dissi come è possibile che si
hai deposto contra frà Dionisio, et il Campanella ad instantia di frà
Gio. Battista, che tu poi habbi accusato fra Gio. Battista, esso mi
rispose che quelli doi ciò è il Campanella, è frà Dionisio li dovesse
nominare come in effetto li nominai, et io da me aggionsi fra Gio.
Battista per terzo, massime che frà Gio. Battista mi havea ditto di
haver udito heresie dal Campanella, è da frà Dionisio» (rivelazioni
molto sottili). Attestò che pure alla presenza di molti di Catanzaro
il Lauriana disse di aver deposte falsità, ed esso fra Pietro glie ne
fece rimprovero. Attestò di aver saputo dal Dottore Monaco il consiglio
dimandatogli dal Lauriana; disse che uguale consiglio fu dimandato al
Giustiniano e poi ad esso fra Pietro medesimo, onde ebbe a rispondere,
«che si havea detto la verità stasse saldo, et moressero li tristi,
è si havea detto la falsità mirasse a sè, è che li testimonii falsi
condennorno il figliolo di Dio alla morte». Confermò che il Lauriana
era falsario, anche perchè avea deposto di avere udito eresie da fra
Dionisio, dal Campanella e dal Pizzoni, «e non dimeno, egli disse,
frà Dionisio non è stato mai in Pizzoni con frà Thomaso Campanella,
perche io era in Pizzoni in questo tempo, et l'haveria saputo si ci
fusse stato», indicando testimoni, per sapere la verità, fra Paolo
e il Pizzoni medesimo. Confermò aver fatto un appunto al Lauriana
durante le litanie, quando si giunse alle parole _a falsis testibus_,
poichè «parve che à fra Silvestro s'ingroppasse, è non potesse dire».
Attestò che un giorno fra Dionisio e il Lauriana vennero a briga
tra loro per le falsità, e poi la sera li vide discorrere insieme,
come il Lauriana medesimo gli disse l'indomani. Attestò aver veduto
più volte il Soldaniero parlare con fra Dionisio; quanto a Valerio
Bruno, aver saputo lo stesso da carcerati. Dichiarò aver saputo da
Giulio Contestabile che il Soldaniero gli avea detto essere stato da
fra Cornelio forzato a deporre, ma attestò averlo poi saputo anche
direttamente ed ecco in quale occasione: «al Soldaniero dissi che frà
Gio. Battista di Pizzone se li raccomandava per amore di Dio, et Giulio
rispose che non li volea perdonare, mà roinarlo, perche esso fù il
primo che accusò il Soldaniero che con trenta persone voleva uscire
in campagna per la ribellione, et che li rencresceva bene di haver
detto contra frà Dionisio, perche la sospittione che havea contra frà
Dionisio che se la tenesse con Eusepio suo inimico non era stata vera,
è disse di haver fatto il debito suo verso frà Dionisio in camera di
frà Dionisio, ma che al Pizzone lo voleva convincere col detto di
valerio bruno suo servitore _de loco, et tempore_, perche da quello
servitore faceva dire quel che lui voleva, è questo sarà il servitio
che voglio fare à fra Gio. Battista, Et dopò questo biastemò San Gio.
Battista, S. Giovanni evangelista, è Santo Cornelio, Et soggionse se
venessero persone che havessero questi nomi io non li crederia mai, ne
tan poco voglio credere à questi Santi per tali nomi, perche questi,
ciò è frà Cornelio del Monte, e Maestro Gio. Battista Polistina, sono
stati causa, che hò perso l'anima, la robba, e dubbito che perderò la
vita, Et poi cacciò una carta reale, è disse questa mi costa un'anima,
è tre mila docati, et confortandolo io che saria remesso, mi rispose
questo è l'indulto, et maledicì quando mai fu indultato, et che era
meglio per esso che fosse stato alli passi» (rivelazioni sempre
più sottili ed anche abbastanza teatrali, un pochino inverosimili
trattandosi non di un uomo semplice ma di un capo di fuorusciti qual
era il Soldaniero). Dichiarò inoltre avergli lo stesso Soldaniero
affermato, che i fatti esecrabili commessi contro l'ostia consacrata
erano stati narrati da fra Dionisio nella predica di Soriano a pio fine
(unico testimone fra Pietro su questo articolo tanto scabroso); avergli
dippiù Valerio Bruno lodato grandemente quella predica. Accettò di aver
fatto molto opportunamente fuggire il Polistina quando era perseguitato
da fra Dionisio (con che si accreditava come testimone a favore di
costui), e confermò ad una ad una le accuse di furto, malattie e «cose
di donne» addebitate al Pizzoni, mostrandosi personalmente informato di
tutto. Riconobbe che il Campanella avea trattato molto col Pizzoni,
ma disse di non poter entrare a giudicare se dovesse ritenersi più
probabile che il Pizzoni avesse manifestate a fra Dionisio opinioni del
Campanella, o invece il contrario. Affermò di avere tanto lui quanto
il Petrolo saputo dal Pizzoni che fra Dionisio avea parlato di eresie
disputativamente, e soggiunse essergli stato detto dal Pizzoni, nelle
carceri di Monteleone, che volea ritrattarsi di quanto avea deposto
contro fra Dionisio e il Campanella, allegando «molte raggioni per
le quali esso havea confessato la prima volta, è fra l'altre... il
timore della morte, e la speranza di libertà, l'odio che havea con frà
Dionisio, et l'occasione dela soversione delle cose, che alhora pareva
che il mondo tutto andasse sotto sopra» (non si poteva dir meglio); al
quale proposito ritornò sulle minacce fatte da D. Carlo Ruffo, da fra
Cornelio, dal Visitatore, da Ottavio Gagliardo, e ricordò quello che
costoro aveano fatto contro lui medesimo. Ma la lunghezza di questo
esame obbligò i Giudici a rimandarne il sèguito ad altra seduta.
L'indomani 10 novembre fu ripigliato l'esame di fra Pietro di Stilo.
Ed egli continuò sull'articolo delle minacce fatte in Calabria a
ciascuno de' frati inquisiti, esponendo anche a lungo gli eccitamenti
avuti da fra Gio. Battista di Polistina unito con fra Cornelio, poco
prima di montare sulle galere in partenza per Napoli, perchè deponesse
contro fra Dionisio, onde giudicò che in questa faccenda si trattasse
di una vendetta particolare del Polistina. Confermò l'inimicizia del
Lauriana con fra Dionisio, avendolo costui perseguitato per le pessime
relazioni tra lui e fra Fabio Pizzoni: attestò di aver veduto la
lettera scritta dal Lauriana a Ferrante Ponzio, di avere udito più di
quaranta volte dal Lauriana che era stato sedotto dal Pizzoni e da fra
Cornelio, esponendo tutti i particolari del modo di procedere tenuto
per gli esami in Calabria, la lettura dell'esame del Pizzoni agli
altri che dovevano esaminarsi, la presenza de' laici che interrogavano
anche in materia di eresia perfino in Gerace, facendosi gli esami
innanzi al Vescovo. Così mano mano confermò ciascuno articolo su cui
venne interrogato, sempre di scienza propria: e nel parlare del mulo
rubato dal Pizzoni ad un uomo di Stilo, dichiarò che egli, insieme
col Campanella e col Sig.^r Francesco Petrillo, s'interpose per
accomodare la faccenda; nel parlare degli eccitamenti del Visitatore
perchè si deponesse contro fra Dionisio, aggiunse di essere stato
eccitato a deporre anche contro il Campanella. Così pure, nel parlare
della conferma dell'esame di Calabria fatta in Napoli dal Pizzoni a
consiglio del Lauriana, aggiunse che egualmente il Petrolo (accusatore
del Campanella) confermò l'esame a consiglio del Lauriana datogli
allo stesso modo; nel parlare poi dell'inimicizia tra Dionisio e il
Petrolo, dichiarò che non ne sapeva nulla, ma che sapeva bene esservi
inimicizia tra il Petrolo e il Campanella, «perche si disse che una
sorella di frà Dominico era innamorata di frà Thomaso, et che havevano
peccato insiemi, et per questo si disse che frà Dominico cercò di
fare ammazzare il Campanella dal Mauritio, mà Mauritio non lo volse
fare; quando poi si suscitorno questi rumori di ribellione il Mauritio
cercò di ammazzare il Campanella, è fra Dominico, mà non potè si ben
li sequitò per alcune miglia»! Finalmente, nel parlare del motivo
per cui il Pizzoni e il Petrolo dicevano aver dovuto confermare i
rispettivi esami, cioè l'insistenza minacciosa del fisco, non solo
dichiarò averlo udito da que' frati mentre discorrevano tra loro di
notte, ma soggiunse averlo udito particolarmente dal Petrolo mentre
lo diceva al Campanella per iscusarsi (e ben si vede che il povero
fra Pietro si spingeva quanto più poteva, certamente un po' troppo,
per giovare al suo disgraziato amico).--Dopo di lui fu esaminato il
Petrolo, ma sopra un numero di articoli assai limitato. Egli attestò
aver saputo direttamente dal Lauriana che avea deposto contro il
Campanella, fra Dionisio e il Pizzoni, che vi era stato colto da fra
Cornelio e dal Visitatore mentre non sapeva nulla di quanto depose, che
voleva ritrattarsi almeno relativamente al Pizzoni suo maestro, ma non
già che avesse deposto il falso ad istigazione del Pizzoni; e spiegò
le confidenze fattegli, dicendo essere stato assistito dal Lauriana
dopochè ebbe due ore di corda (naturalmente per la congiura). Attestò
essere il Lauriana ritenuto pubblicamente falsario, persistente nel
falso a consiglio di un dottore «furbo e mariolo», riluttante a dire
le parole a falsis testibus nelle litanie per quanto avea saputo da
fra Pietro di Stilo. Attestò aver veduto il Lauriana e fra Dionisio
parlare insieme, sibbene fuori la carcere; aver udito il Soldaniero
bestemmiare santo diavolo[217] e borbottare minacce contro i Polistina,
ciò che il Bitonto gli spiegò col dire che i Polistina lo avevano
costretto a deporre ciò che depose; inoltre aver veduto il Soldaniero
visitare fra Dionisio dentro la carcere e prestargli danaro, come pure
aver veduto nella carcere di fra Dionisio Valerio Bruno servitore del
Soldaniero. Dichiarò di avere non solo udito il Soldaniero lamentarsi
dei Polistina, ma ricevute lui stesso in Bivona raccomandazioni dirette
da fra Gio. Battista di Polistina perchè non risparmiasse fra Dionisio,
e nella medesima occasione veduto anche il Polistina riscaldarsi con
fra Pietro di Stilo. Dichiarò di aver udito il Soldaniero dire che in
Calabria avea dovuto fare il birro per salvarsi la vita; di sapere
che il Pizzoni era stato in relazioni molto strette col Campanella;
di avere udito dal Pizzoni che le cose dettegli da fra Dionisio
erano state dette _recitative_ e poi egli l'aveva accomodate nella
sua deposizione a modo di disputa; di avere avuto preghiera dal
Pizzoni, perchè raccomandasse al Lauriana di persistere nella discolpa
conoscendo che l'aveva discolpato; di sapere che il Campanella non
era stato a Pizzoni quando vi fu fra Dionisio, perchè il Pizzoni e il
Lauriana glie l'aveano detto, ed anzi il Lauriana, preoccupato di
aver detto il contrario, lo pregò di raccomandare a fra Paolo che non
lo scovrisse su questo punto. Infine dichiarò di sapere che il Pizzoni
e il Lauriana erano stati più mesi insieme nelle carceri civili, e di
credere che si fossero là messi d'accordo a voce dopochè aveano cercato
di farlo in iscritto; (così oramai il Petrolo, col contatto de' frati,
si era modificato di molto, ed avea capito che la causa di ognuno
rifletteva quella di tutti; ma si era troppo spinto innanzi per tornare
francamente indietro).--Fu interrogato da ultimo il Bitonto, e costui
dichiarò di aver saputo dal Lauriana in Gerace, che si era esaminato
contro fra Dionisio e il Campanella a persuasione del Pizzoni, che
non si era ritrattato per timore di Carlo Spinelli, ma che si sarebbe
ritrattato in Napoli, dimandando ad esso Bitonto se si dovesse o no
ritrattare. Attestò di aver veduto un giorno fra Dionisio e il Lauriana
quistionare insieme ed aver poi saputo dallo stesso Lauriana che la
sera era andato a cercare perdono a fra Dionisio per le falsità deposte
contro di lui; aver veduto il Soldaniero visitare fra Dionisio nella
carcere e portargli cose da mangiare, ed aver veduto egualmente presso
fra Dionisio Valerio Bruno servitore del Soldaniero. Attestò aver udito
dal Soldaniero che non gli si teneva conto del guidatico, e che i
Polistina e fra Cornelio lo avevano consigliato e costretto a deporre
le cose di eresie. Attestò che il Pizzoni avea fatto fuggire fra Gio.
Battista di Polistina quando fra Dionisio cercava farlo carcerare, che
in Calabria era reputato un cattivo soggetto, avea rubati scritti a fra
Dionisio e commessi altri furti, aveva avuto il mal francese e fatto
udire molte cose in materia di donne. Attestò egualmente di propria
scienza la pessima condotta del Lauriana in materia di costumi, e per
detto altrui le lettere che avea scritte a Ferrante Ponzio revocando
le cose affermate contro fra Dionisio e il Campanella. Infine attestò
l'amicizia di fra Pietro di Stilo per fra Gio. Battista di Polistina
nemico di fra Dionisio (come si vede, nulla di nuovo, e d'altronde il
testimone era troppo ligato a fra Dionisio per potergli accordare molta
fede).
Il 16 novembre si tenne l'ultima seduta, e furono interrogati il
Barone di Cropani e Geronimo di Francesco, fatti venire dal Castello
dell'ovo. Il Barone di Cropani, Antonino Sersale[218], narrò come egli
si fosse adoperato per far perdonare dal Provinciale fra Dionisio
quando costui ebbe grave punizione per aver bastonato un frate, come
inutilmente avesse in tale circostanza procurato i buoni ufficii del
Vescovo di Catanzaro e dell'Auditore De Lega presso il Visitatore,
con la conseguenza rincrescevole per lui di essere ritenuto a motivo
di queste trattative con fra Dionisio, «sospetto come li altri
calabresi carcerati». Attestò per scienza propria le ottime qualità
di fra Dionisio, e per detto altrui l'ostilità del Visitatore verso
questo frate dietro antichi dissensi circa le controversie de' frati
Riformati, come pure l'amicizia del Visitatore per fra Gio. Battista
di Polistina nemicissimo di fra Dionisio. Attestò aver saputo da due
Padri Gesuiti, mentre si trovava nelle carceri di Monteleone, che il
Mileri e il Crispo, quando vennero giustiziati, dicevano con alte grida
aver tutto deposto in materia di ribellione per forza di tormenti avuti
dallo Sciarava; e la cosa medesima essersi detta di altri tre che
vennero giustiziati sulla galera in cui egli si trovava, sebbene non
l'avesse udito di persona poichè soffriva il mal di mare, specialmente
di Gio. Battista di Nicastro (il Bonazza), che per questo motivo non
voleva nemmeno riconciliarsi con Dio ma poi si piegò. Aggiunse essere
anche in materia di fede fra Dionisio «da tutti tenuto per bonissimo
Catholico».--Geronimo di Francesco disse di avere appena conosciuto
fra Dionisio, e di poter attestare che tutte le accuse fatte a questi
frati erano falsità, come aveva in parte udito e in parte saputo dal
Pizzoni, aggiungendo che i due giustiziati in Catanzaro (Mileri e
Crispo) avevano confessato di aver tutto deposto per forza di tormenti
e persuasione dello Sciarava; (e così entrambi i testimoni confondevano
troppo la materia della ribellione e quella dell'eresia).
Abbiamo già avuta occasione di dire che in questo stesso periodo di
tempo, oltre gli esami difensivi per fra Dionisio, si fecero anche
quelli pel Pizzoni. Costui presentò in sua difesa 34 articoli, e poi
ne diede in supplemento pure qualche altro nell'ultima ora scrivendolo
di suo pugno (sicchè a quel tempo dovè la lesione della spalla dargli
un po' di tregua), ma i Giudici non vi badarono nemmeno[219]. Secondo
il solito volle provare che fin dal suo ingresso nella vita monastica
avea vissuto religiosamente, e poi predicato ed insegnato ne' conventi
principali, aggiungendo di avere strettamente digiunato ogni sabato
e di non essere stato mai inquisito nè processato. Che il processo
fatto da fra Marco e fra Cornelio era falso, avendo ricevuto danari e
donativi da diverse persone per fare un processo tale da guadagnarsi
un premio. Che que' frati eccitavano gl'inquisiti l'uno contro l'altro
dicendo che l'uno avea deposto contro l'altro, leggevano in precedenza
all'uno l'esame raccolto dall'altro, facevano co' tormenti dire quanto
loro piaceva. Che senza precedente denunzia, inquisizione o querela,
aveano fatto carcerare esso Pizzoni, dicendolo pubblicamente nemico
di Cristo e del Re. Che il fisco e gli ufficiali Regii promettevano
premii e diedero indulti per far deporre contro la propria coscienza.
Che un testimone del fisco, il Caccia, aveva in punto di morte
dichiarato di aver deposto il falso e se n'era fatta fede che esso
Pizzoni riproduceva; inoltre questo Caccia era stato sottoposto alla
tortura mentre aveva la febbre e in tale condizione era stato sedotto
da que' frati a nominare esso Pizzoni! Che i due Polistina erano suoi
nemici, essendo lui stato a Roma contro di loro quando concorrevano
al Provincialato. Che Giulio Soldaniero gli era nemico capitale e
l'avea più volte minacciato, pretendendo che avesse nascosto Eusebio
Soldaniero; e poi era stato eccitato da' Polistina a deporre contro di
lui. Che Valerio Bruno era compagno di delitti e servo stipendiato del
Soldaniero, e quindi non meritava fede; e poi egli medesimo confuso per
le sue falsità avea detto a' Giudici, «misericordia signore, che sono
ignorante». Che esso Pizzoni non era stato mai cacciato dal convento
di Soriano, ma sempre accoltovi con affetto, e vi avea pure cantata la
messa in presenza del Visitatore nel giorno di S.^{to} Agostino (vale
a dire il 28 agosto). Che il Campanella e fra Dionisio non aveano
mai parlato di quelle cose che esso Pizzoni avea deposte, se non
separatamente e fuori la presenza di alcuno; e il libro del Campanella
stampato in Napoli non era scritto contro S. Tommaso ma contro Antonio
Marta napoletano, e S. Tommaso vi si trovava nominato sempre colla
massima riverenza (in questo contradiceva al Lauriana, col quale oramai
il disaccordo era completo). Che avea sempre letto e predicato dottrine
approvate dalla Chiesa. Che fra Dionisio gli era divenuto nemico
mortalissimo da che esso Pizzoni avea deposto contro di lui molte cose
intorno alla congiura e alla fede; fra Domenico Petrolo era stato
eccitato a deporre contro esso Pizzoni da fra Cornelio, il quale glie
ne lesse pure l'esame, oltrechè non avea potuto vederlo ammalato in
Pizzoni due anni prima, perchè allora esso Pizzoni si trovava in altri
posti. Che mai vi era stata tra lui e il Campanella corrispondenza in
cifra, che non era mai il Campanella venuto altre volte a Pizzoni,
che quando ci venne fu perchè volea vedere i Vescovi di Mileto e di
Nicotera i quali dovevano là venire, che dopo di averlo esso Pizzoni
cacciato dal convento, non gli scrisse mai più. Che se esso Pizzoni
lo vide in Stilo, ciò fu per certo danaro che dovea restituire a un
fra Marcello Basile, e per certo altro danaro che doveva esigere andò
a vederlo presso il Marchese di Arena. Che avvertì il P.^e Generale
facendo scrivere la lettera al Lauriana e mandandola egualmente per
costui alla posta di Monteleone, non appena seppe le cose delittuose
del Campanella e di fra Dionisio. Che tutte le deposizioni de' frati
furono fatte innanzi ad ufficiali Regii, ed anche innanzi a D. Carlo
Ruffo, il quale era speciale nemico di esso Pizzoni per controversie
passate tra loro. Che nel convento di Pizzoni egli non era stato se non
durante tre mesi prima della sua carcerazione, mandatovi a forza da'
Superiori suoi nemici, ed avea supplicato inutilmente di poter lasciare
quel posto, solito ad essere frequentato da fuorusciti protetti dal
Vescovo di Mileto, onde due Vicarii suoi predecessori aveano dovuto
scapparne di soppiatto.
A questi articoli, redatti con un po' di disordine e con diversi errori
di nomi, attestanti la poca cura dell'Avvocato e l'affievolimento del
Pizzoni pur sempre infermo, venne aggiunto un elenco di testimoni
rappresentati da tutti i frati inquisiti all'infuori di fra Dionisio
(oltrechè del Campanella come ben s'intende), da molti frati de'
conventi di Calabria, e da taluni de' conventi di Napoli, dal
Contestabile e dal di Francesco carcerati per la ribellione, dallo
Spinola e dal Castiglia ed anche da un D. Francesco di Genova carcerati
per altre cause, da Fabio Pisano disgraziato padre di Cesare dimorante
in Calabria. E con una fiacchezza di accorgimento sempre più notevole,
vennero tutti i frati inquisiti indicati come testimoni su tutti gli
articoli indifferentemente, sicchè p. es. il Petrolo ed il Lauriana
doveano provare anche le affermazioni contenute negli articoli addotti
contro di loro; e può dirsi senza esitazione, che la difesa del
Pizzoni, già essenzialmente scabrosa, fu mal condotta davvero.--Il
fiscale Sebastiano diede dal canto suo appena 6 interrogatorii,
contenenti le solite ammonizioni e generalità rutinarie, senza brigarsi
menomamente de' fatti affermati negli articoli, tanto dovea sentirsi
sicuro che non ve n'era bisogno. I Giudici poi chiamarono all'esame
soltanto i frati inquisiti, lo Spinola e il Castiglia, il Contestabile
e il Di Francesco, e in due sedute successive, il 14 e 15 novembre,
esaurirono le difese del Pizzoni[220].
Il 14 novembre fu interrogato dapprima fra Paolo della Grotteria, il
quale disse di conoscere da poco tempo il Pizzoni e non poter dare
testimonianze sulla vita di lui; avere udito con molti altri carcerati
in Monteleone Cesare Pisano affermare, che da suo padre era stato dato
danaro ed altro al Visitatore e compagno, per passarlo dalla Corte
temporale all'ecclesiastica; esser vero che il Visitatore e compagno,
presenti Spinelli, Sciarava e il Vescovo di Gerace, minacciarono
esso testimone se non avesse deposto contro il Pizzoni intorno al
mangiar carne in tempo proibito; che D. Carlo Ruffo con suoi famigli
era venuto nelle carceri a sedurlo e così pure fra Cornelio; che
avea veduto minacce di pugni e di consegna alla Curia secolare, la
quale procedeva a modo di campagna, fatte al Petrolo e a fra Pietro
di Stilo. Avere udito parlare della fede fatta dal Caccia a tempo
della sua morte, ma non averla veduta; poter attestare che il Caccia
fu tormentato mentre avea la febbre, ma non sapere se il Visitatore
e compagno fossero stati presenti. Avere udito da un birro che i due
Polistina coll'intervento di un secolare, il quale doveva essere
Giulio Soldaniero, avevano fatta una lista di accuse, non sapere se il
Campanella e fra Dionisio avessero parlato o no di eresia, ma poter
attestare che il Pizzoni si era con lui lamentato del Visitatore e
compagno, perchè con buone parole e promesse di liberazione, al pari
di D. Carlo Ruffo, l'aveano indotto a deporre contro que' due frati,
ed egli l'avea fatto tanto più perchè pensava di non avere a nuocere
a fra Dionisio che era fuggito; potere inoltre attestare che nella
Chiesa di Pizzoni fra Dionisio avea parlato al Pizzoni con sdegno.
Su tutto il resto disse non saper nulla (la difesa del Pizzoni già
cominciava a risultare ben altro che difesa, e se venivano a galla
tutte le infamie del Visitatore e di fra Cornelio, non per questo il
Pizzoni se ne giovava).--In sèguito il Petrolo disse del pari aver
conosciuto poco il Pizzoni, avendolo veduto appena una volta in Stilo
e poi nel carcere; sapere che era buon predicatore e letterato ma
assai maledico, e che avea cominciato a digiunare il sabato da sole
tre o quattro settimane! Aver udito in Gerace che il Mesuraca avea
dato 100 scudi a fra Cornelio per far processare mortalmente i frati
inquisiti, a fine di guadagnarsi il taglione sopra il Campanella ed
esso Petrolo; aver udito in Monteleone da Cesare Pisano ed anche dal
padre di costui, presenti altri frati, che erano stati dati 100 scudi
e robe di tela a fra Cornelio, convenendo di far dire cose di eresie
per passare al foro ecclesiastico. Essergli stato da fra Cornelio letto
in gran parte l'esame del Pizzoni, ma non detto che dovesse deporre
contro il Pizzoni. Essergli stato detto dal Pizzoni che fra Cornelio,
presente Geronimo di Francesco, l'istruiva nella carcere su quanto
avrebbe dovuto deporre; poter assicurare che esso testimone medesimo
era stato visitato nella carcere da fra Cornelio, il quale voleva
fargli sottoscrivere un verbale che egli non voleva sottoscrivere, «e
disse con giuramento, dicendo per queste mani, monstrando le mani sue,
che tu non hai da uscire da questo Castello se non in pezzi, et io mi
humiliai, et esso col visitatore mi sputavano in faccia con dire non
basta questo, ma volevano che io dicesse delle cose che non sapeva..,
et il Sciarava mi pigliò una volta per il petto, è mi condusse alla
banca sotto la corda, et voleva che confirmasse lo mio esamine quale io
non voleva confirmare per le falsità che contineva». Dichiarò inoltre
che tutti i frati di S. Domenico erano chiamati ribelli, che ognuno de'
persecutori si aspettava un premio, e di fra Cornelio si diceva che
sarebbe stato fatto Arcivescovo di Toledo! Avere udito che il Caccìa
avea fatto fare una fede per ismentire le falsità deposte, e che era
stato tormentato mentre avea la febbre; aver saputo da lui medesimo,
in Squillace e poi in Monteleone, che era stato esaminato contro il
Pizzoni e avea deposto il falso; ma i Giudici gli fecero osservare
d'officio che dal processo si rilevava essersi le deposizioni del
Caccìa avute senza tormento, e il Petrolo ripetè che in Gerace aveva
avuta la corda (erano state confuse negli articoli le deposizioni
sulla congiura e quelle sull'eresia, e i testimoni continuavano in
tale confusione). Avere udito che il Pizzoni non era nemico ma amico
del Polistina (confusione di due periodi diversi); aver saputo dal
Pizzoni medesimo che fra Dionisio non gli avea dette tante eresie; e
che glie le avea dette recitativamente; nulla poi aver saputo intorno
al Campanella. Poter assicurare che il Pizzoni era stato esaminato
innanzi al Visitatore e compagno, allo Spinelli e allo Sciarava, come
esso medesimo era stato esaminato; che anzi lo Spinelli e lo Sciarava
volevano esaminarlo soli ed egli si rifiutò di rispondere dicendo che
era ecclesiastico, ma Sciarava gli disse che non lo era più, perchè
aveva allora lasciato l'abito, e finirono per interrogarlo (ma questo
era accaduto in Gerace, e il Pizzoni avea già deposte tante cose
propriamente in Monteleone, fuori la presenza dello Spinelli e dello
Sciarava). Sugli articoli che concernevano direttamente la persona sua,
confermò essergli stato da fra Cornelio letto in gran parte l'esame
del Pizzoni ma non fatto eccitamento a deporre contro il Pizzoni;
confermò inoltre aver veduta una lettera in cifra che il Campanella
gli disse essere stata scritta dal Pizzoni. Su tutto il resto dichiarò
non saper nulla.--Venne poi la volta del Lauriana, il quale disse aver
conosciuto il Pizzoni da molto tempo, non essergli amico nè nemico,
sapere che era buon predicatore ma non che digiunasse o no. Aver udito
dal Pisano e dal padre di costui il pagamento e regalo fatto a fra
Cornelio; aver saputo dal Caccia essere stato spinto a deporre contro
il Pizzoni dietro assicurazione che il Pizzoni avea deposto contro di
lui. Avere lui medesimo avuta dal Visitatore e compagno la minaccia
di essere consegnato allo Sciarava, il quale diceva volergli dare la
corda. Avere udito dal Caccia che molte cose erano state da lui deposte
contro il Pizzoni e che venendo in Napoli si sarebbe ritrattato; sapere
che il Caccia era stato sottoposto alla corda mentre aveva la febbre,
ma non sapere se il Visitatore e compagno vi fossero intervenuti. Avere
il Soldaniero scritto a Claudio Crispo lamentandosi che in Pizzoni
si desse ricetto ad Eusebio suo nemico, la qual cosa non era vera.
Riferirsi al suo esame circa la presenza contemporanea del Campanella
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