Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 19

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negando dapprima l'esame di Calabria, il Pizzoni aveva espressamente
affermato di aver detto anche in materia di eresia molti mendacii,
amplificati ed accresciuti da fra Cornelio e dal Visitatore, e nella
fossa in cui fu posto avea pure scritto sul muro di esservi stato
posto perchè si volea che dicesse bugie, come tuttora potea vedersi,
ma poi persuaso dal Lauriana confermò di nuovo il primo esame. Che
aveva scritto al Campanella, entro il suo breviario, essere state da
lui deposte le eresie per eccitare gelosie di giurisdizione tra il
Papa e il Re, ma essere risoluto di ritrattarle, e due cartoline di
questo genere furono prese dal Sances sul Campanella, quando costui fu
tormentato. Che veramente il Pizzoni avea praticato col Campanella
più lungamente di esso fra Dionisio, ed avrebbe potuto piuttosto il
Pizzoni dire a lui, che lui al Pizzoni, le cose del Campanella; e poi
a molti avea dichiarato essergli state da fra Dionisio dette le eresie
non assertive ma _recitative tantum_; e poi nel vespro di quel giorno
di luglio in cui parlarono tra loro in Pizzoni, esso fra Dionisio fu
visto parlargli sdegnato e bravarlo, poichè gli dimandava conto del
furto degli scritti (lato questo il più debole della difesa per essere
stato troppo spinto). Che il Lauriana gli era nemico perchè creatura
del Pizzoni, perseguitato fin dal P.^e Pietro Ponzio pe' suoi vizii
e disonestà, complice del furto degli scritti che cercò di vendere
al P.^e Perugino, scacciato da esso fra Dionisio dal convento di
Nicastro per le turpi relazioni con fra Fabio nipote del Pizzoni; che
avea scritto due lettere ad esso fra Dionisio chiedendogli perdono,
come l'avea pure chiesto a voce a traverso un foro esistente tra le
carceri rispettive, ed inoltre l'avea chiesto anche a Ferrante Ponzio
per lettere delle quali esibiva una in data 10 ottobre 99. Che nelle
carceri aveva tenuta corrispondenza col Pizzoni ed animatolo a star
saldo sulle cose deposte, perchè si trovassero uniformi nelle falsità,
come fu provato durante il processo, rimanendo anche convinto di averlo
falsamente negato; che avea fatto sapere a molti essere stato costretto
a deporre il falso da fra Cornelio e dal Visitatore; che sopratutto
avea falsamente deposto essersi trovati in Pizzoni al tempo medesimo
esso fra Dionisio e il Campanella, mentre esso fra Dionisio vi era
stato molti giorni prima; che avea detto a molti volersi ritrattare,
cercando anche perdono a fra Pietro Ponzio, e poi consigliato da un
Domenico Monaco non l'avea fatto ed aveva indotto il Pizzoni a non
farlo; che n'era stato rimproverato da molti, ed era ritenuto falso
testimone e deriso nel dir le litanie; che avea chiesto anche negli
ultimi giorni perdono ad esso fra Dionisio infermo (come negli altri
articoli già dati precedentemente). Che il Visitatore gli era stato
sempre nemico, perchè esso fra Dionisio avea dovuto presentare al Papa
memoriali contro di lui nelle quistioni de' Riformati e poi nel tempo
de' torbidi di S. Domenico di Napoli; che aveva in Calabria forzato i
testimoni a deporre contro esso fra Dionisio, e l'aveva condannato a
gravi penitenze negandosi sempre a perdonarlo. Che fra Cornelio gli
era nemico per fatti personali occorsi tra loro (già narrati altrove);
che si era perciò unito a' Polistina, insieme co' quali avea sedotto
e forzato il Soldaniero a deporre come avea deposto, procurandogli
l'indulto. Che il Petrolo gli era nemico, perchè riteneva derivati
da esso fra Dionisio tutti i suoi travagli, e perciò, come si era
espresso con molti, l'aveva conciato a dovere ne' suoi costituti[202];
oltracciò nell'altro tribunale si era dapprima disdetto, dichiarando
che il Campanella l'aveva indotto ad imitare il Pizzoni nell'esporre
eresie per sottrarsi alla furia secolare; che poi, al pari del Pizzoni,
non era rimasto saldo in tali assertive, ed entrambi rimproverati
per questo da molti carcerati aveano detto esservisi determinati pe'
maltrattamenti del fisco e le visibili propensioni de' Giudici. Che
fra Pietro di Stilo gli era egualmente nemico, perchè creatura del
Polistina, che si diè premura di far fuggire quando esso fra Dionisio
cercava di farlo carcerare; nè avea voluto andare al convento di
Nicastro dove era stato assegnato quando esso fra Dionisio vi si
trovava Priore. Che infine per tutto il tempo, in cui esso fra Dionisio
era stato carcerato, ognuno avea dovuto persuadersi esser lui vittima
di falsità fatte deporre dal Visitatore, da fra Cornelio e dallo
Sciarava, ed essere cosa impossibile in lui la colpa specialmente di
eresia.
In prova di così numerose affermazioni, fra Dionisio diè testimoni non
meno numerosi, oltre 60 individui, secolari ed ecclesiastici[203].
Alcuni tra loro erano individui liberi dimoranti in Napoli, ed altri
già carcerati e rimasti in Napoli, come p. es. Tommaso d'Assaro,
Pietrantonio Tirotta, Cesare Forte[204]; altri già carcerati e tornati
in Calabria, come D. Marco Petrolo, D. Minico Pulerà, Gio. Francesco
Paterno e Geronimo Marra, su' quali ultimi abbiamo così la data precisa
della liberazione; altri tuttora carcerati, sia per le cause presenti,
sia per cause diverse come vedremo più sotto. Vi erano poi egualmente
tra' testimoni frati disseminati in tutti i conventi di Napoli, come
pure dimoranti in Calabria e in altre provincie, perfino in Siena e in
Venezia. Ognuno de' testimoni era indicato per la prova di determinati
articoli; ed oltracciò erano prodotti diversi documenti, e date le
indicazioni per averne altri de' quali gli articoli facevano menzione.
Così troviamo inserte nel processo, al sèguito delle difese di fra
Dionisio: la procura originale in pergamena fattagli dalla città di
Nicastro per trattare anche presso il Papa la faccenda dell'interdetto;
la lettera del 10 ottobre 99 scritta dal Lauriana a Ferrante Ponzio,
per iscusarsi delle falsità deposte insieme col Pizzoni contro fra
Dionisio, e pregarlo che trovasse modo di farlo venire a nuovo esame
per ritrattarsi; e poi una fede dell'Università di Fiumefreddo sulle
eccellenti predicazioni ed opere di carità fatte da fra Dionisio in
quella terra; inoltre le fedi di Gio. Luca de Crescenzio de' P.^i
Ministri degl'infermi e di D. Eligio Marti Cappellano della galera
S.^{ta} Maria, già confortatori di Gio. Battista Vitale e Gio. Tommaso
Caccia sul punto di essere giustiziati, attestanti che da costoro
si era dichiarato aver deposto il falso per forza de' tormenti dati
dallo Sciarava[205]. A questi documenti si aggiunsero poi quelli che
il Vescovo di Termoli, sulle indicazioni date da fra Dionisio, venne
procurando sopratutto dall'altro tribunale; ma allora si era già agli
esami difensivi, e di essi conviene oramai occuparci.
Naturalmente non tutti i testimoni dati da fra Dionisio furono chiamati
all'esame, ma soltanto i frati inquisiti (all'infuori del Pizzoni e
del Lauriana), parecchi carcerati per la causa della ribellione, tra'
quali il Contestabile, il Di Francesco, Geronimo padre del Campanella e
il Barone di Cropani, dippiù quattro carcerati per altre cause, e con
tutti costoro il carceriere. Su' quattro carcerati per altre cause ci
crediamo in dovere di dare qualche notizia speciale; troveremo due di
loro celebrati dal Campanella nelle sue poesie, da doversi considerare
come suoi amici ed anche benefattori, e per parte nostra non avverrà
mai che un amico e benefattore del povero filosofo rimanga in alcun
modo trascurato; d'altronde importa pure conoscere un po' addentro le
qualità de' testimoni, per essere in grado di valutare la fede che le
loro testimonianze possono meritare. Essi furono: Cesare Spinola, D.
Francesco Castiglia, fra Antonio Capece cav. Gerosolimitano, Domenico
Giustiniano marinaro. Cesare Spinola nel suo esame si dichiarò
genovese, dell'età di 30 anni in circa, celibe, benestante tale da
potere spendere 100 scudi al mese: senza dubbio egli era uno di que'
numerosi Spinola, che al pari di moltissimi altri Liguri ammassavano
ricchezze con le loro speculazioni e facevano continui acquisti di
rendite in Napoli. Di altrettali Spinola l'Archivio di Stato fornisce
una serie infinita al cadere del secolo 16.^o, anche con frequenti
omonimi; ma per fortuna col nome di Cesare se ne trova solamente uno
detto «q.^m Stephani q.^m Bartholomaei», e varii documenti lo mostrano
abitante dapprima in Genova, dove stava anche una sua sorella a nome
Antonia, monaca in S. Silvestro de Pisis, possidente del pari di varie
rendite acquistate dal padre, massime sulla gabella della seta ma anche
sopra altri cespiti. Da uno de' documenti raccolti Cesare apparisce
inoltre parente, forse cugino, del Marchese Ambrogio Spinola, essendo
insieme col Marchese erede di una parte delle facoltà di Lorenzo
Spinola; da altri documenti apparisce sotto la tutela di alcuni suoi
parenti nel 1588, ed abitante già in Napoli nel 1602, circostanze
tutte che rispondono a quelle notate nel processo[206]. Ci rimane
tuttora ignoto il motivo della sua prigionia: ma sappiamo che nel
1599 un Cesare Spinola trovavasi affittatore del feudo di S. Nicola,
e con ogni probabilità era appunto il Cesare del quale si è discorso,
avendo sempre avuto i genovesi di ogni ceto il lodevole costume di
lanciarsi nelle speculazioni[207]; nè è difficile intendere che per
quistioni insorte, col metodo spiccio di quel tempo, egli fosse stato
imprigionato. Vedremo che di poi il Campanella in un suo Sonetto, fra
mille lodi, lo ringraziò anche della difesa che di lui avea fatta.
Quanto a D. Francesco di Castiglia, era costui uno de' tanti spagnuoli
che facevano la loro carriera nelle provincie napolitane, ma era nato a
Verona, ed avea già i suoi 40 anni: ne' Registri _Officiorum Viceregum_
lo troviamo nominato Capitano di Rossano pel 1594, poi Capitano di
Ostuni pel 1598[208]; e mentre era al governo di Ostuni fu carcerato
in Lecce e tradotto nel Castel nuovo di Napoli; il Campanella lo lodò
non solo come un alto personaggio, ciò che era quasi di obbligo con uno
spagnuolo, ma perfino come poeta, cantore delle Donne sante e de' suoi
cocenti amori, della vinta Antiochia e dell'abominio che si meritavano
le Corti false e bugiarde (dopo di averne persa la protezione).
Quanto a fra Antonio Capece, la sua storia è molto brutta: il suo
esame ne dice poco o nulla, ma ce l'insegnano ampiamente moltissime
Lettere esistenti nel Carteggio del Nunzio, ed anche qualche documento
de' Registri Curiae dell'Archivio napoletano. Era uno de' tanti
Cavalieri di Malta, che profittando delle guarentigie giurisdizionali
cominciavano per fare i prepotenti, e poi ben presto finivano per
fare gli assassini di strada insieme co' compagni a' quali erano
costretti ad appoggiarsi. Di nobile famiglia napoletana, dimorante
nel vicino paesello di Melito, aveva appena 26 anni e già fin dal 9
marzo 1595 trovavasi carcerato in Castel nuovo perchè le carceri del
Nunzio erano malsicure per lui, essendosi distinto per molti e gravi
delitti, omicidii, scarcerazione violenta di detenuti, svaligiamento
del procaccio di Puglia, ricatti, furti ed assassinii al passo tra
Melito ed Aversa, furto e ricatto di notte nella stessa città di Napoli
in casa di Ascanio Palmieri fuori la porta del pertuso (quella che fu
poi detta porta Medina e non ha guari è stata diroccata): fuggito una
volta dalle galere mentre lo traducevano a Malta per esservi giudicato,
nel 1598 era riuscito a fuggire anche dal Castel nuovo con un altro
carcerato del Nunzio, Cesare d'Assero clerico, ma semplicemente «perchè
il carceriere havea lassata la porta aperta et egli voleva buttarsi
alli piedi di S. S.^{tà}», siccome scrisse a Roma quando fu ripreso
in Gaeta e ricondotto in Castel nuovo; e poichè tutti i suoi compagni
nelle scelleraggini, i quali aveano testificato contro di lui, erano
stati prontamente appiccati dalla Corte Regia e non potevano più farsi
gli esami ripetitivi per convincerlo, il Nunzio lo teneva così in
carcere senza sapere cosa dovesse farne[209]. Ci affrettiamo a dire
che la Musa del Campanella non si mosse per lui. Finalmente quanto a
Domenico Giustiniano, sappiamo dal processo che era un povero marinaro
di Scio, preso da' turchi all'età di 7 od 8 anni e divenuto così
maomettano, poi tornato in grembo alla madre Chiesa, ed in espiazione
della colpa di rinnegato già da 10 anni in carcere, con otto grani al
giorno pel vitto: il suo contegno ce lo mostra un uomo semplice ed
ingenuo, senza ombra di fiele, e sì che egli poteva ben raccontare
quanto fosse dura la via del paradiso; dimenticato nel carcere, quivi
morì il 28 marzo 1607, come si legge ne' libri parrocchiali del
Castello.
Il 6 novembre si tenne la prima seduta, ed ecco le deposizioni che si
raccolsero[210]. D. Francesco di Castiglia disse correr voce tra i
carcerati in generale che i frati si accusavano l'un l'altro; avere
udito che Valerio Bruno teneva pratica col Soldaniero ma non averlo
visto; aver saputo direttamente dal Soldaniero che era stato assediato
nel convento di Soriano e forzato a dire ciò che gli era stato
domandato.--Di poi fu interrogato Giulio Contestabile, che riuscì un
testimone di grande importanza. Egli disse avere udito da molti, e li
nominò, che il Lauriana avea lasciato intendere di essersi esaminato
contro il Campanella e fra Dionisio per istigazione del Pizzoni e per
timore di D. Carlo Ruffo, Carlo Spinelli, Sciarava, fra Cornelio; aver
lui medesimo veduto in Calabria, mentre fra Cornelio esaminava, que'
secolari assistere con molta distinzione alle sedute e interrogare;
avere più tardi saputo che il Lauriana volea ritrattarsi in Napoli, e
non l'avea fatto per consiglio di un dottore; esser vero che tutti lo
ritenevano testimonio falso e che arrossiva quando nelle litanie si
diceva _a falsis testibus_; aver veduto lui stesso il Lauriana entrare
nella camera di fra Dionisio, e così pure il Soldaniero più volte,
avendogli costui inviato anche regali e fatto fare il pranzo da Valerio
Bruno che lo serviva sempre, come ben sapeva perchè era compagno di
stanza del Soldaniero. Aggiunse essere stato presente, quando Cesare
Spinola disse al Soldaniero non dover procurare tanta rovina a que'
frati, e il Soldaniero si scusò raccontando come era stato costretto di
deporre contro fra Dionisio dopochè fu circondato il convento in cui
stava per opera de' Polistina e del Priore; avere lui stesso udito il
Soldaniero lamentarsi, perchè i frati l'aveano ridotto nelle mani del
diavolo e non poteva ritrattarsi senza essere appiccato; aver veduto
l'indulto concesso al Soldaniero da Carlo Spinelli coll'intercessione
di fra Cornelio, e sapere che trovavasi depositato alla banca di
Barrese. Aggiunse aver saputo in Napoli direttamente tanto dal Pizzoni
quanto dal Petrolo, che in Calabria fra Cornelio diceva loro doversi
dare soddisfazione a' Giudici laici, che essi aveano dovuto deporre
eresie per isfuggire da' secolari e tentare di esser chiamati a Roma,
e che «per verità tutto era stato inventione»; aver saputo anche dal
Di Francesco suo cognato, carcerato insieme col Pizzoni in Gerace, che
fra Cornelio «con bravate, e con bone parole lo suggerì ad esaminarsi
contra non so chi frati». Conchiuse aver dovuto giudicare, dietro le
cose sapute dal Soldaniero, dal Pizzoni e dal Petrolo, che erano state
dette molte falsità (e vede ognuno di qual peso riusciva una simile
testimonianza da parte del Contestabile, convertito oramai in deciso
difensore de' frati).
Il 7 novembre s'iniziò la seconda seduta col cavaliere fra Antonio
Capece[211], il quale disse aver veduto una volta un frate rossetto,
compagno del Visitatore di Calabria, venire a visitare il Lauriana
nel carcere, e costui ricordargli che avea deposto quanto egli avea
voluto, e dimandargli qualche somma de' danari che erano stati
contribuiti da' conventi di Calabria, ricevendone buone parole e nove
carlini; aver poi saputo dallo stesso Lauriana che era sicuro di aver
la corda, ma non se ne curava per amore del Pizzoni suo maestro, che
lui veramente non conosceva nulla di quanto avea deposto, ma l'avea
deposto per liberarsi dalla Corte temporale e non essere «inforcato et
fatto in pezzi», e si voleva veramente ritrattare; essersi ritenuto
pubblicamente che si sarebbe ritrattato, ma non lo avea fatto dietro
consiglio dato dal dot.^r Monaco, presente Domenico Giustiniano;
essere state una sera omesse da lui nella litania le parole _a falsis
testibus_, ed avergli fra Pietro di Stilo detto «che non si vergognasse
ma che le dicesse» (vigile ed accorto sempre quel fra Pietro); essere
corsa pubblicamente la voce che avea chiesto perdono a fra Dionisio
per le deposizioni fatte contro di lui. Aggiunse aver veduto il
Soldaniero visitare e servire fra Dionisio ammalato, presenti anche
il Contestabile, fra Pietro Ponzio e il carceriere. Inoltre aver
veduto una lettera che fra Pietro Ponzio diceva scritta al Pizzoni dal
Lauriana; avere udito lui stesso il Pizzoni da una fossa parlare al
Lauriana in latino e perciò non averlo capito; aver saputo dal Pizzoni
medesimo, che andava in quella fossa per non aver voluto confermare
l'esame di Calabria fatto per uscire dalle mani de' laici e tutto
falso; aver saputo dal Pizzoni e dal Lauriana che il Visitatore e
fra Cornelio li avevano esortati a confessare per dar soddisfazione
a' Giudici secolari, «che poi passata quella furia sarebbero andati
in Roma per il S.^{to} officio è llà si saria accomodato ogni cosa»
(testimonianze per certo troppo esplicite, e troppe volte poggiate
su notizie raccolte direttamente).--Di poi Cesare Forte di Nicastro,
conciatore di pelli, carcerato per la congiura[212], confermò avere
udito tra i carcerati che il Lauriana si voleva ritrattare ma un
Domenico Monaco lo sconsigliò; essere ritenuto testimonio falso,
rifiutandosi a dire le parole _a falsis testibus_, onde i carcerati
ne mormoravano; su tutto il resto disse non saper nulla.--In sèguito
Cesare Spinola[213] attestò aver veduto un giorno fra Dionisio e il
Lauriana in alterco, aver domandato allora al Lauriana come mai nel
Castello «non c'era cane nè gatto che lo potesse vedere, et alhora
fra Silvestro rispose Dio perdoni à chi n'è causa», e dietro le
sue insistenze gli palesò esserne stato causa il Pizzoni che gli
avea fatto deporre quanto avea deposto. Aggiunse di sapere che il
Soldaniero aveva parlato a fra Dionisio quando costui era ammalato,
e che aveva a' suoi servigi Valerio Bruno; di avere una volta veduto
il Soldaniero tornare dall'esame col viso infuocato, ed avergli detto
«non più contra questi poveri frati, che tante cose? et esso rispose,
che voi che io faccia? per Dio che non posso far di manco per trovarmi
haver detto contra di essi monaci», e raccontò il fatto dell'essere
stato circondato in un convento ed obbligato da un monaco a deporre
contro fra Dionisio per non essere consegnato alla Corte; ond'egli,
lo Spinola, volgendosi al Contestabile che era presente, ebbe a
dirgli in disparte «mira che anima negra». Aggiunse di conoscere
che il Soldaniero aveva avuto l'indulto da Carlo Spinelli, ma non
conoscere ad istanza di chi (testimonianze tutte gravi anche per la
loro provenienza da un uomo non volgare).--Venne quindi la volta di
Domenico Giustiniano, il quale dichiarò avergli un giorno il Lauriana
dimandato consiglio, dicendo «che non havea faccia di comparere avanti
di fra Thomaso Campanella perche si havea esaminato falsamente contra
di lui, e detto milli falsità»; avergli lui risposto essere in obbligo
di dire la verità, ma temendo il Lauriana che avrebbe la corda, essersi
deciso consultare qualche letterato; «e così chiamassemo un giovane
nominato Gio. Vincenzo mezzo monaco il quale non si volse impacciare,
chiamassemo poi Domenico Monaco Dottore, et fra Silvestro li proposse
il caso, et il dottore li disse, Io te hò ditto più volte che tu
debbi star saldo alla prima esamina che altramente sarrebbe andato in
una galera». Confermò avergli il Lauriana detto che i suoi superiori
l'aveano forzato a deporre in quel modo, essere da tutti ritenuto falso
testimone, avere una volta nelle litanie omesse le parole _a falsis
testibus_, onde fra Pietro di Stilo lo rimproverò e tutti ne risero.
Aggiunse di sapere che il Pizzoni e il Lauriana erano stati più mesi
insieme nella carcere civile, ma non sapere che si fossero concertati o
no fra loro (testimonianze rese ancora più gravi dall'ingenuità della
persona).--Infine Giuseppe Grillo, che già conosciamo, dichiarò essere
stato presente allorchè nelle carceri di Gerace il Lauriana si scusò
con fra Pietro Ponzio perchè non si era ritrattato, dicendo che «esso
era andato con animo di disdirsi pensando di trovare solo la Corte
spirituale, mà che ci era anco presente Carlo Spinello et l'Avvocato
fiscale Regio, è che lo spaventavano solamente à guardarlo». Confermò
tutto il resto intorno allo stesso Lauriana, ma solamente per detto di
altri. Confermò che il Lauriana e così pure il Soldaniero e Valerio
Bruno aveano parlato con fra Dionisio, ciò che avea visto egli medesimo.
L'8 novembre fu dapprima interrogato, senza il formulario solito, il
carceriere Alonso Martines di Medina del Seco[214], il quale disse:
«frà Dionisio Pontio stette male à morte, et il sig.^r Don Giovanni
Sanges mi ordinò che io li dovesse dare un compagno, et che dovesse
lassar aperta la porta dela priggione nella quale era il detto frà
Dionisio»: e quindi vi entrò più volte il Soldaniero, che con le
proprie mani imboccava fra Dionisio quando mangiava, e diceva di farlo
per carità; vi entrò pure Valerio Bruno, che portò a fra Dionisio
da parte del Soldaniero «qualche regalillo di frutta», ed anche il
Lauriana, che una volta rimase a parlare con fra Dionisio per un'ora.
Egli vide tutto ciò, e quando erano partiti il Soldaniero e il
Lauriana, fra Dionisio gli disse, «guarda costoro, si sono esaminati
contra di me, et adesso mi vengono à dire che non si erano essaminati
contro... niente» (non disse dunque che gli avessero dimandato perdono,
ma d'altro canto perchè il Soldaniero specialmente negava con tanta
ostinazione la visita fatta?).--Nardo Rampano di Catanzaro, sarto,
carcerato per la congiura, disse essere stato sempre compagno del
Lauriana nelle carceri di Squillace e poi anche in quelle di Napoli,
avere udito più volte fra Pietro di Stilo in Squillace dare del
falsario al Lauriana, che «piangeva e diceva che lo lassasse stare
con li guai suoi»; aver veduto ancora in Napoli venire alle mani il
Lauriana ed il Petrolo, il quale anche dava del falsario al Lauriana.
Confermò tutto il resto circa il Lauriana, ed aggiunse inoltre di
avere lui stesso udito il Pizzoni parlare dalla fossa col Lauriana
«per un pertuso che risponde fuori, et parlavano latinamente» e dopo
tre giorni il Pizzoni fu tolto dalla fossa e rimase da basso per più
di due mesi in compagnia del Lauriana che lo governava; (senza mettere
in dubbio l'orribile condotta del Lauriana, bisogna pur dire che tutti
i frati d'ogni colore, eccetto il Pizzoni, seppero organizzare una
vera crociata contro di lui).--Di poi Marcello Salerno di Guardavalle,
sarto, carcerato egualmente per la congiura, confermò di avere udito
tutte le voci che correvano su' fatti del Lauriana, tra le altre «che
un certo dottore chiamato Dominico era stato la salute di frà Silvestro
et la ruina dela causa». Aggiunse di aver udito prima fra Dionisio e
il Lauriana quistionare e gridare tra loro e poi quietamente parlare
insieme; aver veduto anche il Soldaniero visitare fra Dionisio. Non
potè pertanto attestare di aver veduto in Squillace il Lauriana
dimandare perdono a fra Pietro Ponzio per le falsità dette contro fra
Dionisio, perchè allora esso Marcello aveva avuta la corda e stava
male; attestò solamente di averlo udito dire da altri carcerati, come
pure di aver udito che il Lauriana era stato sedotto a deporre in
quel modo da un frate chiamato fra Cornelio. Aggiunse che veramente
il Lauriana e il Pizzoni erano stati in un medesimo carcere più
mesi; (nulla di nuovo, ma una concordanza notevole).--Quindi Cesare
Bianco di Nicastro, domestico, carcerato come sopra, confermò le voci
che correvano intorno al Lauriana, che tutti lo dicevano falsario,
aggiungendo prudentemente, «quanto à me lo tengo per religioso da messa
di S. Domenico». Attestò di aver veduto lui medesimo il Soldaniero ed
anche Valerio Bruno parlare con fra Dionisio; ricordò di avere già
deposto circa la lettera che il Lauriana avea mandata al Pizzoni;
negò di avere udito il Lauriana dire che ci era tempo ad accomodare
la coscienza, avendolo invece saputo per detto di altri carcerati;
conchiuse dicendo, «fra Dionisio publicamente si tiene per homo da bene
come lo tengo io, è per buon religioso, è predicatore, et publicamente
si è ditto, è si dice particolarmente tra li carcerati che le cose che
li sono state apposte sono state falsità»; (una testimonianza simile
da un uomo piuttosto prudente merita di essere considerata).--Venne
poi esaminato Geronimo padre del Campanella[215], che questa volta
si disse di Stilo, calzolaio, costretto a vivere col carlino al
giorno che a lui dava la Corte (come agli altri compagni poveri), e
dichiarò di non saper nulla su quasi tutte le dimande che gli furono
fatte. Attestò che dicevasi il Lauriana essere falsario, aggiungendo
«et esso se lo sape». Attestò che avea veduto il Lauriana visitare
fra Dionisio e parlargli, come pure il Soldaniero, non così Valerio
Bruno, il quale serviva di cucina il Soldaniero; (il povero vecchio
era sempre di molto cattivo umore).--Successivamente venne esaminato
Gio. Battista Ricciuto di Monteleone, orefice, che dichiarò del pari
non saper nulla su quasi tutti i punti e volle barcamenarsi. Disse il
Lauriana ritenuto «appresso di alcuni per buono et appresso di alcuni
altri non»; aver recitato la litania «giusta», ma lui, Gio. Battista,
non saper «lettera»; non sapere se il Lauriana avesse visitato o no
fra Dionisio, ma la camera di costui essere rimasta aperta a tutti.
Quanto al Soldaniero fu più esplicito; l'avea veduto in camera di fra
Dionisio, avea veduto Valerio Bruno servirlo, avea saputo da costui
l'indulto accordatogli.--Finalmente Tommaso Tirotta, già servitore del
povero Maurizio e carcerato e tormentato per questo, dovè rispondere
solo intorno al Soldaniero e a Valerio Bruno: e disse aver conosciuto
l'uno e l'altro fin da quando stavano ritirati nel convento di Soriano,
sapere che il Bruno serviva il Soldaniero anche nel Castello, sapere
che il Soldaniero avea visitato fra Dionisio, non sapere che il Bruno
l'avesse egualmente visitato ed anche servito, poter attestare aver lui
medesimo, Tirotta, cucinato due polli per fra Dionisio nel focolare del
Soldaniero col consenso di costui (testimonianza insignificante per
questa causa).
Il giorno seguente, 9 novembre, si cominciò ad interrogare i
frati[216]. E dapprima fra Paolo confermò che il Lauriana da tutti era
stimato falsario, ricordando specialmente che così l'avea chiamato
pure il Petrolo nel venire alle mani tra loro. Disse aver udito in
Gerace perfino da' birri, ma non dal Lauriana, che costui avea detto
volersi ritrattare e poi non l'avea fatto per timore, aggiungendo, a
dimanda d'ufficio, che lo Spinelli e lo Sciarava erano presenti agli
esami e minacciavano, ed il Capitano di campagna era anche presente
e insolentiva, come avea provato egli stesso e parimente il Petrolo.
Confermò aver udito in Gerace e in Monteleone che il Lauriana non
conosceva nulla di quanto avea deposto, ma l'avea deposto per timore di
fra Marco e del suo compagno, i quali dicevano volerlo consegnare alla
Corte secolare se non confessava. Dichiarò aver veduto nella carcere di
fra Dionisio, in colloquio con costui, il Lauriana, e così pure altra
volta il Soldaniero; d'avervi veduto egualmente Valerio Bruno, che era
servitore del Soldaniero, tanto che pur in que' giorni, essendo il
Soldaniero passato al Castello dell'ovo, gli preparava il pranzo e glie
lo mandava aggiungendo che da Valerio era stato detto di aver udito
quanto avea deposto non da fra Dionisio ma dal Soldaniero. Attestò che
trovandosi in Pizzoni, vide fra Dionisio venuto per ricuperare certi
scritti dal Pizzoni e sdegnato verso costui uscire dalla Chiesa dove
gli avea parlato (testimonianza troppo tardiva e quindi sospetta).
Attestò le cattive qualità del Pizzoni, i furti, il mal francese, le
disonestà che gli erano addebitate. Disse di sapere che in Pizzoni,
quando vi fu fra Dionisio, non c'era il Campanella; confermò che fra
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