Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 21

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e fra Dionisio in Pizzoni quando si parlò di eresia, e così pure circa
la lettura del libro stampato dal Campanella. Esser vero che il Pizzoni
leggeva la dottrina di S. Tommaso, che era stato Teologo del Vescovo
di Nicotera, che era andato presso il Campanella per le ragioni da lui
addotte. Avere scritto realmente la lettera al Generale, con cui il
Pizzoni rivelava le cose del Campanella e di fra Dionisio, ed averla
lui medesimo portata alla posta. Nel suo primo esame non esservi stati
altri esaminatori che il Visitatore e fra Cornelio, senza intervento
di persone laiche. Esser vero che il Pizzoni si lamentava sempre del
Provinciale e del Polistina i quali l'avevano mandato nel convento
di Pizzoni, e che in questo convento erano stati sempre ricoverati
banditi, da' quali una volta il Vicario predecessore del Pizzoni aveva
avuto minaccia di essere buttato dalla finestra.
Il 15 novembre si venne agli esami di tutti gli altri testimoni. E
dapprima fu esaminato fra Pietro di Stilo, il quale, come sempre, ebbe
di mira principalmente la difesa del Campanella, sicchè il Pizzoni
non potè punto giovarsene. Egli disse aver conosciuto il Pizzoni da
otto anni, averlo avuto a lettore in Briatico, essergli amico, essere
rimasto con lui una volta che gli altri scolari gli si ribellarono;
sapere che era buon lettore e buon predicatore, ma di vita scandalosa.
Confermò di avere udito da alcuni preti in Gerace che a fra Cornelio
erano stati dati danari da Misuraca, perchè aggravasse la condizione
de' frati e così egli guadagnasse la taglia; si diffuse sull'argomento
de' premii e quindi della falsità del processo, dicendo, «chi
pretendeva per questa causa di voler essere vescovo, chi cardinale, chi
conte, chi una cosa, et chi un'altra, et comunemente fra Cornelio et
il visitatore si tenevano vescovi, et quelli preti dissero con pietà,
la causa di questi monaci non può andare bene perchè li istessi monaci
li cacciano, et altro non mi racordo per ora, Et poi si il processo
sia falso, dico che frà Gio. Battista da Pizzone et frà Silvestro de
Lauriana separatamente l'uno dall'altro mi hanno detto che hanno detto
la falsità, et per questo bisogna che il processo sia falso, quanto
poi alli Giudici ciò e, Visitatore, et compagno, facevano, è dicevano
tante cose, come saria pigliavano me, è mi conducevano avanti li
giudici secolari, et dicevano, ve lo consegno per tre hore, facciati
quel che vi piace, è se partivano..., di più dicevano si tu confessi
non morirai, è sarai libero, et haverai premio, et altre parole simili,
et l'istesso anco mi è stato fatto da don Carlo Ruffo è da quello di
casa guagliardo (_intend._ Ottavio Gagliardo) à Monteleone...; fra
Cornelio si monstrava non amico, mà servitore deli giudici secolari,
et l'istesso visitatore pareva che dependesse da frà Cornelio, et
per tutte queste cose, et altre, hò anco sospetto che per mali modi
tenuti dal visitatore, è compagno che il processo sia falso». Disse
poi non sapere che si leggessero prima a' testimoni gli esami raccolti
contro di loro, ma saper bene che i giudici «fingevano et dicevano
parecchie cose contra il Campanella, frà Dionisio, et il Mauritio, che
erano tristi, et scelerati, et heretici, è che fra thomaso Campanella
havea predicato publicamente le heresie, Et io facendo instantia di
vedere le cose che mi dicevano non me le volevano monstrare, è poi
mi dicevano hor su tu vuoi morire...». Ed inoltre: «fra Cornelio con
belle parole, è lusinghe mi voleva persuadere à dire quel che lui
voleva, ciò e, che io accettasse l'esamina deli altri, dicendomi
tu solo non puoi portare il carro et si tu solo sarai pertinace,
tu solo morirai, monstrando certe pietà, è forfanterie con me, et
ultimamente sempre mi lassava con bravarie... Facevano gran cose per
fare confessare, e massime frà Cornelio, il quale mi minacciava la
morte, et io risposi pacientia, più presto la morte che offendere
Dio». Dichiarò non conoscere che il Caccia avesse fatta una carta di
ritrattazione, ma conoscere che fu tormentato mentre avea la febbre
senza essere informato se v'intervenisse o no il Visitatore ovvero fra
Cornelio; poter poi attestare, avendolo udito dal Caccia medesimo, che
si lamentava di fra Cornelio perchè l'avea sedotto a dire la falsità
con l'assicurazione che avrebbe così evitata la corda, onde diceva
aver deposto la falsità per la corda (evidente ripiego per profittare
in qualche modo di un articolo scioccamente redatto). Disse di sapere
che il Soldaniero si era lamentato di fra Dionisio (anche di fra
Dionisio), del Pizzoni e del Lauriana, perchè ospitavano Eusebio
fuoruscito suo nemico; sapere per detto di fra Paolo che il Soldaniero
si era concertato col Polistina in questa faccenda, e che a lui parea
vero, mentre il Polistina avea tentato di sedurre lui medesimo perchè
deponesse contro fra Dionisio (ma non si pronunziò sulla inimicizia
sorta tra il Pizzoni e i Polistina). Dichiarò non potere esser vero che
fra Dionisio avesse dette eresie al Pizzoni, mentre nel principio di
luglio, essendo in Stilo e sapendo che vi era venuto il Pizzoni, corse
a prendere un candeliere dall'altar maggiore per ucciderlo, a motivo
di certi scritti rubatigli da lui; ed esso testimone col Campanella
doverono quietarli, promettendo il Pizzoni che avrebbe restituiti gli
scritti e mandatili ad Arena (mezzo di difesa venuto in campo negli
ultimi tempi). Dichiarò non sapere che il Pizzoni avesse accusato fra
Dionisio a' superiori; potere invece attestare, che il Pizzoni voleva
persuadere esso testimone a dire che avea veduta una lettera da lui
scritta allo Sciarava e che costui glie l'avea mostrata, la qual cosa
era «bugia tremendissima»; potere attestare ancora che il Lauriana avea
detto ad esso testimone non esser vero che avesse portato alla posta
una lettera del Pizzoni al P.^e Generale (troppe confidenze ricevute).
Quanto a fra Domenico Petrolo, dichiarò non sapere che costui avesse
avuto terrori da fra Cornelio perchè deponesse contro il Pizzoni, ma
avere udito dal Petrolo medesimo che aveva avuto terrori per deporre
contro il Campanella e fra Dionisio (sempre confidenze da tutti
costoro, che pure lo conoscevano amico intimo del Campanella). Quanto
al non avere più il Pizzoni trattato col Campanella dopo di averlo
cacciato dal suo convento, dichiarò constargli il contrario, mentre
essendo il Campanella in Pizzoni verso la fine di luglio, fu pregato di
volervi rimanere ulteriormente, e vi rimase tre giorni più di quanto
si era proposto; aver sempre il Pizzoni pregato il Campanella che si
recasse al convento di Pizzoni, averlo anche in Arena pregato in tal
senso, sicchè per queste falsità non avrebbe dovuto farlo esaminare
come testimone! Esser vero che quando il Pizzoni venne a Stilo portò
certi danari a M.^o Marcello Basile, come «ne portò anche al speciale
che li curò il mal francese»! Sapere che fra Gio. Battista di Polistina
l'avea processato per i suoi delitti; sapere che in Pizzoni vi erano
banditi, ma non sapere che vi fossero prima che ci andasse per Vicario
il Pizzoni (altro che difesa; il Pizzoni amico infedele, doveva essere
trattato come un deciso nemico, oltrechè dimostrato testimonio falso
per le seduzioni e il terrore incussogli da fra Cornelio).--Venne di
poi il Bitonto, il quale disse aver conosciuto il Pizzoni da dodici
anni, averlo saputo di mala vita, essere stato tenuto per scandaloso e
maligno. Avere udito da Fabio Pisano la faccenda de' danari e regali
dati a fra Cornelio per far liberare il figlio dalla morte, e da'
carcerati la faccenda de' danari pagati allo stesso fra Cornelio dal
Mesuraca, per far processare mortalmente il Petrolo e il Campanella.
Avere fra Cornelio detto a lui medesimo che il Pizzoni gli si era
esaminato contro, eccitandolo così a deporre contro il Pizzoni; e
dicendo lui che non sapeva nulla, avere avuto da fra Cornelio minaccia
di consegna a' Giudici secolari. Sui cattivi modi di esame, e sulle
speranze de' premii da parte de' Giudici e persecutori, disse: «usorno
milli stracie verso di noi il fra Cornelio, et l'Avocato fiscale, et
Carlo Spinello, acciò per le stracie dicessimo quello che volevano
loro..., quello che pigliò à me pretendeva di acquistare una baronia,
è don Carlo Ruffo, pretendeva essere Prencipe de Stilo, è frà Cornelio
per quanto disse l'Avocato fiscale se li saria procurato un vescovato,
et io udì quando che il fiscale disse questo in risposta che diceva non
haveria mancato di fare tutto quello che havesse possuto in servitio
del Re Catholico al quale era devoto». Intorno al Caccìa disse sapere
che gli fu data la corda mentre aveva la febbre e che in particolare
gli fu dimandato del Pizzoni, ma non sapere chi ci fosse presente e se
vi fosse intervenuto il Commissario e compagno. Intorno alle relazioni
tra il Pizzoni e il Polistina, disse sapere che il Pizzoni era andato
a Roma per mostrare che l'elezione del Polistina al Provincialato non
era valida. Confermò che il libro del Campanella era scritto contro
un certo Marta napoletano (egli solo tra' testi si trovò in possesso
di tale notizia). Confermò che il Petrolo era stato eccitato da fra
Cornelio a deporre il falso contro il Pizzoni, dicendo averlo saputo
dallo stesso Petrolo ed aggiungendo essere stato lui medesimo presente
alle bravate di fra Cornelio verso il Petrolo. Su molti altri articoli,
sulla condotta del Soldaniero messosi di accordo co' Polistina, su'
fatti del convento di Soriano, sulle relazioni del Pizzoni con fra
Dionisio e il Campanella disse non saper nulla; sulla presenza di
banditi nel convento di Pizzoni disse aver saputo dal Lauriana che
c'erano già prima che il Pizzoni ci andasse per Vicario (e ben si vede
che le testimonianze del Bitonto furono pel Pizzoni assai migliori di
quanto si poteva attendere).
Nella stessa seduta furono esaminati i rimanenti testimoni, chiamati a
deporre sopra determinati articoli.--Cesare Spinola disse di conoscere
un frate chiamato fra Gio. Battista di Pizzoni ma non avergli mai
parlato; non sapere che il Soldaniero si fosse messo d'accordo co'
Polistina contro il Pizzoni; sapere bensì che Valerio Bruno passava per
servitore del Soldaniero.--Giulio Contestabile disse aver conosciuto
il Pizzoni nelle carceri; poter attestare che il Caccìa avea deposto
contro esso testimone e al momento dell'estremo supplizio si era
ritrattato, onde egli se ne avea procurata dai confortatori una
fede che aveva presentata in giudizio a sua difesa; non conoscere
i Polistina e non sapere che si fossero concertati col Soldaniero
a danno del Pizzoni, sapere che Valerio Bruno era da tutti tenuto
per servitore del Soldaniero.--D. Francesco di Castiglia disse non
conoscere il Pizzoni personalmente, non saper nulla del concerto del
Soldaniero co' Polistina, sapere che Valerio Bruno era servitore del
Soldaniero.--Infine Geronimo di Francesco disse aver conosciuto il
Pizzoni solamente nelle carceri di Gerace, dove stava con lui in una
medesima camera, ed aggiunse: «essendo priggione con frà Gio. Battista
di Pizzoni, venne un frate rossetto, di bassa statura, e giovane quale
lo chiamavano il compagno del visitatore, e per nome intendo si chiama
frà Cornelio, et parlando con fra Gio. Battista udii che disse: Padre
frà Gio. Battista mio bisogna per sutterfuger lo giudicio temporale
che deponestivo in materia dal Santo Officio, et confermassi l'esamina
fatta, et à questo modo si daria satisfatione à questi Signori, ciò
e, al Advocato fiscale di Calabria, et saressi forzato di andare in
Roma per ordine del Santo officio, Et questo detto si appartorno un
poco da me che io non potesse udire et raggionorno quasi mezza hora
secretamente che non udii, mà dopò frà Gio. Battista mi disse che
il Compagno non havea parlato solamente come da se, mà mandato dal
Padre visitatore à posta per persuaderlo à quanto hò ditto di sopra».
Ed interrogato d'ufficio dichiarò ancora: «frà Gio. Battista disse
così confusamente per che io non volsi sapere quel che havea deposto,
che esso si era esaminato avanti don Carlo Ruffo, et che era molto
attimorato, è mi giurò sopra li ordini che lui tiene, che delle cose
che lui havea deposto, non ne sapeva niente, et che si Dio li faceva
gratia di venire in buona sanità, che alhora havea certi discensi molto
fastidiosi nelle braccia, voleva morire in una corda per mantenere
la verità, essendo che quello che haveva detto non era la verità,
et à questo niuno altro fù presente perche noi doi soli eravamo in
quello carcere» (troppe confidenze). Intorno alle sevizie da parte
del Visitatore e compagno dichiarò, che al Petrolo esaminato da fra
Cornelio, «perche non disse come voleva esso, li levò il ferrarolo,
et il cappello essendo alhora in habito secolare nel quale era stato
preso, et lo fece tornare alla carcere che pareva un pescatore, et
io lo viddi senza cappello, e senza ferrarolo, per il che mi mossi à
dimandarli perche non havea il cappello, et il ferrarolo, et esso mi
racontò quanto hò ditto». Intorno al Caccìa, disse che «fu tormentato
à tempo che havea la febre, et l'Avocato fiscale fece venire un
medico, il quale dubitando di non essere carcerato, disse per quanto
si è inteso che si li poteva dare la corda». Dichiarò per altro
non sapere che il Visitatore e compagno vi fossero intervenuti, ed
aggiunse: «quando questo Gio. Thomaso Caccìa et Gio. Battista Vitale
furono giustitiati io mi trovai presente su le galere, et questi doi
publicamente dissero, havendo anco chiamato prima l'Avocato fiscale, è
li padri dela Crocella, et Maestro Cesare Pergola franciscano che era
passiggiero, che quanto havevano detto contra di loro nelli tormenti,
poiche non voleva credere detto fiscale che fusse mentita, è falsità,
e perciò si contentavano di morire; mà in quello che toccava li altri
dichiaravano che quanto havevano detto tanto in materia di ribellione
come del Santo officio tutto era falsità, è fecero instantia che
ne facesse fare atto publico, mà esso non volse» (dichiarazioni
evidentemente troppo larghe, estese anche alla congiura, della quale lo
stesso Di Francesco era stato almeno persecutore; in quanto al Pizzoni
poi testimonianze di accusa, non di difesa). E così ebbero termine gli
esami difensivi pel Pizzoni.
Ecco ora gli esami informativi sulla pazzia del Campanella, che si
fecero contemporaneamente agli anzidetti, in due sedute, il 6 e il
15 novembre, ad istanza del suo procuratore. Senza dubbio vi erano
state da parte de' Giudici sollecitazioni per procedere alle difese
del Campanella, poichè il Dello Grugno era entrato in funzione non
prima del 31 ottobre, e ben presto fu presentata una comparsa scritta
chiedendo un'informazione sulla pazzia; onde con appena sei giorni
d'intervallo le si diè principio[221]. La comparsa, che trovasi inserta
nel processo, non reca il nome di chi la scrisse, ed è redatta in
latino ne' seguenti termini che diamo tradotti: «Innanzi agl'Ill.^{mi}
e Rev.^{mi} Signori giudici delegati dal Santiss.^{mo} S.^r N.^o nella
causa di fra Tommaso Campanella dell'ordine dei predicatori carcerato
nelle carceri del Castel nuovo, comparisce il procuratore dello stesso
e dice, che il detto frate, da alcuni mesi in quà, è stato ed è in
manifesta demenza, è stato ed è privo totalmente d'intelletto, siccome
è apparso ed evidentemente apparisce dalle sue parole e da' suoi gesti,
poichè a modo dei matti sempre ha detto e continuamente dice parole
risibili, non a proposito, stravaganti; e però che non si possono
fare per lui difese intorno alle cose delle quali trovasi inquisito,
mentre a volerle fare bisognerebbe cavarle dalla bocca sua. Laonde
chiede gli si conceda un termine conveniente per provare la predetta
demenza, e frattanto si sospenda ogni cosa, premessa la protesta di
non decorrenza del termine concesso per le difese...» etc. I Giudici
diedero immediatamente corso alla dimanda, e cominciando dal carceriere
esaminarono dieci testimoni, de' quali poterono aver notizia da' primi
esaminati. Dobbiamo anche dire che nella prima seduta intervennero il
Vescovo di Termoli, il Vicario Arcivescovile di Napoli e l'Auditore
Antonio Peri (il Nunzio era pur sempre occupato in altre faccende), e
nella seconda seduta raccolse gli esami il solo Notaro e Mastrodatti
Prezioso per mandato dei Giudici. Daremo con tutta la larghezza
possibile le cose raccolte, poichè esse non solo addimostrano la vita,
almeno la vita apparente, del povero filosofo, ma anche rivelano le sue
vedute e le sue tendenze in questo periodo molto importante della sua
prigionia.
Il 6 novembre Alonso Martinez, carceriere, esaminato disse avere
più volte parlato al Campanella, che gli avea risposto sempre
«spropositatamente», e narrò come l'avea trovato la prima volta pazzo
nel giorno di Pasqua, col letto bruciato e la prigione piena di
fumo, giacente a terra e poco dopo furioso al punto da esserglisi
avventato contro per morderlo; tutte le circostanze già da noi dette
altrove (ved. pag. 86). Interrogato se credesse che simulava la
pazzia per isfuggire le pene forse dovutegli, rispose, «à giudicio
mio il Campanella è pazzo». Indicò lo Spinola, il Castiglia, il
Contestabile, il Grillo, tra coloro che potevano essere esaminati
sull'incidente.--Giuseppe Grillo disse non avere parlato al Campanella,
ma averlo visto quando il carceriere andava a dargli da mangiare;
narrò che «diceva parole spropositate, è che voleva faro la bibbia,
è la Cruciata, et pigliava le scarpe, è quando altra cosa, et faceva
cose da pazzo». Indicò come contesti il Salerno, il Ricciuto, il
Marrapodi, lo Stanganella, il Tirotta: interrogato se credesse che
era finto pazzo, rispose crederlo «pazzo vero, perche la fintione in
tanto tempo saria scoperta».--Cesare Spinola disse: «io hò visto et
parlato col Campanella molte volte, secondo l'occasioni, et sempre
hà parlato spropositatissimamente, et io alle volte ci hò posto
pensiero particolare per vedere si era cosa finta ò reale questa
sua pazzia, et in somma à mio giudicio è pazzo per le cose che l'hò
sentito à dire, è dice che aspetta il Papa, et l'indulgentia per la
cruciata, che bisogna che il Papa sia Monarcha, et à me diceva che mi
voleva fare Confaloniero della Cruciata, mà con patto che io dovesse
digiunare quaranta giorni, et quaranta notti»! (non poteva riuscire
più esplicito).--Giulio Contestabile disse: «dicono che frà Thomaso
Campanella sia pazzo, è così quando il carceriero li porta da mangiare
sono andato à vederlo et sentire li spropositi che lui diceva, non che
io l'habbia parlato in secreto ne di cose particolari»; inoltre, «dalle
cose che lui ha ditto è fatto io lo giudico per pazzo, e potrebbe
essere che lui simulasse, mà però dagli effetti lo giudico pazzo»
(sempre riservato e cinto di cautele; era compatriotta del Campanella e
clerico).--Marcello Salerno disse: «sempre dice parole al sproposito,
et hier sera cercando del pane da noi altri carcerati, et non havendo,
esso Campanella disse, questi diavoli di soldati che hò mandato alla
Cruciata tutto se lo mangiano...; subito cominciato una cosa passa
in un'altra...; io per quello che hò visto lo giudico pazzo».--D.
Francesco di Castiglia disse: «io hò udito frà Thomaso Campanella
parlare dalla porta della priggione, quando si li dava da mangiare,
et anco dala finestra, è li raggionamenti suoi sono stati sempre mai
spropositati, et io hò posto particolar cura per farlo parlare alcuna
cosa à proposito in materia di filosofia, ò in altra cosa curiosa, et
esso sempre risponde, di fare la Cruciata, et che spetta (_intend._
aspetta) sua Santità, è dalla fenestra cominciò à dimandare il populo
che andava à vedere ad impiccar uno, è diceva che li voleva dare il
confalone dela cruciata che faceva, è milli altri spropositi...;
l'animo suo non lo posso giudicare, ma dico bene che le parole sue,
et atti sono da pazzo, ne mai l'hò potuto cavare da bocca cosa al
proposito, et quando ultimamente li fù data la corda si lamentava che
li forausciti l'havevano robbato trenta carlini, et l'havevano battuto
assai in milli modi, senza dir parola che li fosse stata data la corda
per ordine delle Signorie Vostre».
Il 15 novembre furono dal Prezioso esaminati i rimanenti testimoni.
Gio. Angelo Marrapodi disse: «molte volte io hò udito à parlare fra
thomase Campanella dentro le carceri dove stà, et il parlare suo è al
sproposito dicendo delle parole spropositate, et parla pazzescamente,
perche comincia a dire una cosa, et lassa quel parlare, et entra in
altre parole...; lo tengo per pazzo come è tenuto dali altri...»--Gio.
Battista Ricciuto disse: «da che si è ditto che frà thomaso Campanella
sia pazzo, io con curiosità più volte lhò parlato, et anco inteso
quando altri li hanno parlato, à tempo che il carceriero hà aperto la
porta dela carcere dove stà per darli da mangiare, et ogni volta che
hà parlato con altri hà parlato molto spropositatamente come soleno
parlare li pazzi, et quando io, ò altri lhavemo dimandato qualche
cosa non ha risposto à proposito, uscendo à diversi raggionamenti,
che non ci era proposito, et hò visto che quando parla fà atti di
pazzo, non stà fermo in un loco dela carcere, mà passeggia, è si hà
soluto affacciare alla fenestra dela sua carcere, è chiamare dicendo ò
Jaconi del convento, che si fà, venete quà che ci mancano cavalli, è
dice che vole fare lo confaloniero, et che vole fare la cruciata, et
chi vole fare capitano, è chi alfieri, è sargente maggiore, et che il
Papa lhave scritto che metta in ordine li cavalli, e li soldati, tal
che sempre lhò inteso parlare al sproposito, e fuori di raggione come
soleno parlare li pazzi, et dicontinuo dice di simili cose, et quando
parla fa molti segni con la bocca, è con li occhi, et con le mani, et
alle volte piglia lo terreno dall'astraco dela carcere, è la butta in
faccia di quelli che li parlano, et quando piglia li suoi scarponi
che porta in piedi, è con quelli dà, et sequita quelli che sono ne
la sua carcere...; da tutti quà in castello è tenuto per pazzo... et
à giudicio mio dico che è pazzo, che si non fusse tale qualche volta
parlaria al proposito».--Marco Antonio Stanganella, oltre le solite
cose, disse: «alle volte salta, alle volte gioca di mano ad alcuno, e
con li suoi scarpuni dà à quelli che li parlano, e li tira mò ad uno,
et mò ad un altro, et alle volte hà detto che aspetta il Papa, e che
voleva far confaloniero il Sig.^r Cesare, et alle volte si accosta
ala fenestra dela sua carcere, è gridando, dice ò Jaconi Jaconi del
convento mettetivi in ordine che viene il Papa, e così sempre io lhò
visto fare atti al sproposito, è parlare al sproposito...; è tenuto
da tutti li carcerati per pazzo, ed anco da altri che vengono in
castello che lo sentono parlare, et io lo tengo per pazzo».--Da ultimo
Tommaso Tirotta disse: «sempre vole parlar esso, et hà udito che ha
detto parole al sproposito, et dice che vole fare la Cruciata, et che
aspetta il Papa, et diceva ò là scopati bene, acconciati le stantie per
il Papa, et che have tanta migliara di cavalli, et vole fare soldati,
et che vole fare confaloniero il Sig.^r Cesare Spinola che stà quà
carcerato, et à me disse una volta che mi voleva fare artiglieri, che
havesse cura dell'artegliarie, et chiama li Jaconi del convento, et
per nome sole chiamare frà Giovannello, e fra luca, e fra nicodemo,
e sole chiamare Scannaribecco[222], e così di continuo hà parlato, e
sole menare à quelli che li parlano terreno in faccia, li scarpuni
che porta in piedi, et và saltando per le carceri, e fà altri atti
al sproposito, et parla spropositatamente, giusto come li pazzi, et
quando ebbe la corda quà ultimamente, non si lamentava dela corda, ma
diceva solo che li forasciti lhavevano tirato delle archabusciate,
e dato delle bastonate, e che ne voleva scrivere al Papa, et mai hà
parlato ne risposto à proposito, et hieri per ultimo lo viddi e fece
il medesimo...; a giudicio mio lo tengo per pazzo, et così è tenuto
dalli altri, et in quanto à me non lo posso passare per sapio, mentre
parla al sproposito e risponde al sproposito, e fatti atti (_sic_)
spropositatamente, come ho ditto».--Adunque tutti e dieci i testimoni
affermarono che il Campanella era realmente pazzo; quasi tutti poi
affermarono la sua mira verso il Papa, che doveva essere Monarca
secondo la testimonianza dello Spinola, che doveva fare la Crociata
secondo la testimonianza della massima parte; e si conosce che questo
disegno della Crociata era una delle idee fisse di Clemente VIII, e si
comprende che essa conveniva molto al Campanella accusato di connivenza
col Turco. I carcerati accorrevano presso di lui quando il carceriere
ne apriva la prigione, e così pure coloro i quali solevano venire a
visitare i carcerati, per la curiosità di vedere il pazzo.
Esauriti gli Atti pe' tre inquisiti principali, si sarebbe dovuto
passare a quelli per gli altri frati; ma per essi non si fece nulla.
Probabilmente i Giudici ritennero che le difese di costoro si trovavano
incluse in quelle de' principali; tuttavia non ne abbiamo veramente
alcuno indizio. Abbiamo soltanto una comparsa di fra Pietro di Stilo,
il quale, col suo squisito buon senso, esponeva «che li giorni passati
essendoli stati à bocca dichiarati dal Sig.^r Avvocato Scipione
Stinca alcuni capi sopra li quali li fu da quello, come anco dalle
SS.^{rie} V.^{re} detto che si volesse difendere.... hà risoluto,
conoscendo penitus la sua innocentia sensa niuna culpa, renuntiar dette
sue defese... havendo per rato, fermo, et valido quanto faranno le
ss.^{rie} loro». Ciò in data 17 novembre, vale a dire immediatamente
dopo terminati gli Atti pe' principali.
Nello stesso giorno 17 novembre una copia degli Atti, formata
a misura che essi si compivano, fu inviata con una lettera del
Vescovo di Termoli al S.^{to} Officio di Roma, secondochè rilevasi
da un'annotazione inserta nel processo originale ed anche da una
lettera del Nunzio al S.^{ta} Severina in pari data[223]. Certamente
insieme con la copia degli Atti dovè essere inviata anche una copia
de' documenti che fra Dionisio avea presentati, e così pure de'
documenti che aveva indicati e che il Vescovo di Termoli si era dato
a raccogliere con la più viva premura. Il Vescovo avea raccolto
dall'altro tribunale la copia dell'indulto concesso al Soldaniero e a
Valerio Bruno da Carlo Spinelli per opera di fra Cornelio, le copie
dell'esame del Pizzoni, delle confronte del medesimo Pizzoni col
Campanella e con fra Dionisio, del primo e secondo esame del Petrolo,
delle cartoline trovate sulla persona del Campanella quando ebbe
il tormento del polledro; e così ci sono pervenuti questi preziosi
documenti inserti nel processo dell'eresia[224]. Egli aveva chiesto
pure una copia delle lettere inviate dal Lauriana a fra Dionisio, che
avrebbero dovuto trovarsi egualmente nel processo fatto dall'altro
tribunale; ma, come si rileva da quanto ne scrisse a Roma e fu
rammentato ne' Sommarii de' processi, le lettere non vi si trovavano
ed erano state forse perdute. Aveva inoltre chiesto il Breviario
del Pizzoni, che recava la corrispondenza scritta tra esso Pizzoni
e il Campanella, ed ebbe a sapere che questo Breviario nemmeno si
trovava ed era stato sicuramente perduto. Non potendo rassegnarsi
a questa perdita, il buon Vescovo pensò allora di rivolgersi a fra
Dionisio medesimo, dimandandogli a nome del tribunale una relazione
particolareggiata sulla faccenda del Breviario; e la relazione,
trascritta da fra Pietro Ponzio, venne anch'essa inserta nel processo
tra' documenti a difesa di fra Dionisio[225]. Diciamo qui di passaggio
che molto più tardi a questa massa di documenti fu aggiunta anche una
fede di alcuni frati carcerati, compreso il Lauriana, e di alcuni
laici, attestanti che il Pizzoni più volte, e segnatamente tre giorni
prima della sua morte, avea dichiarato di essere debitore di fra
Dionisio degli scritti dell'Apocalisse da lui presi (confessione del
furto fatto) del valore di D.^i 10, come pure di D.^i 4 avuti in
prestito, commettendo al Lauriana di notificare a fra Dionisio dove si
trovavano le sue robe in Calabria acciò sopra quelle fosse soddisfatto;
inoltre, sempre più tardi, una fede del clero di Fiumefreddo,
attestante le ottime qualità di fra Dionisio dimostrate due volte
in quel paese con la predicazione cattolica, la bontà della vita e
il fervore di carità, e questa fede potè essere inserta solamente
nel 4^o volume del processo. Aggiungiamo pure che il Vescovo di
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