Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 07

Medicina legale intitolato _Il Medico fiscale_ di Orazio Greco fisico
della Gran Corte della Vicaria, trattato totalmente ignoto agli Storici
dell'arte, essendo stato annesso ad un'opera legale[82]. Il concetto
del polledro apparisce preso da quel chiuso fatto con barre di legno
che adoperavasi per fermare i polledri indomiti, attaccandone gli arti
alle barre mediante funicelle. Non era un tormento comune: usavasi in
casi d'importanza, ed il Greco, che scriveva oltre un secolo dopo il
tempo di cui trattiamo, accertò che «sin dalle popolari revolutioni
(_int_. quelle di Masaniello) non si era più pratticato». Il paziente
veniva situato come in una cornice di legno a modo di scala piramidale,
munita di traverse tagliate ad angolo acuto per cruciare tutta la parte
posteriore del corpo, dalla nuca a' talloni: il capo era incassato
come in una cuffia di legno nella quale la scala terminava; un foro si
trovava nella parte posterior-superiore della cuffia, e fori analoghi
si trovavano lungo gli assi della scala, per far passare gli estremi
di tante funicelle che doveano stringere il capo e gli arti in più
punti. Oltre due funicelle fortemente applicate a' polsi per tenerli
uniti insieme, un'altra ne era applicata alla fronte, due alle braccia,
otto alle cosce e gambe; in tutto 13 funicelle, i cui estremi passati
pe' fori suddetti erano ritorti mediante bastoncelli di legno, così
che le carni venivano strette sulle ossa; e perchè gli arti inferiori
non si allontanassero tra loro, una funicella supplementare era
passata intorno agli alluci. Del resto il Greco ebbe cura di darcene
un disegno, e noi abbiamo creduto che valesse la pena di riprodurlo,
per avere una nozione più chiara di tale tormento, e così intendere
ciò che il disgraziato filosofo ne disse nella sua Narrazione[83].
Il Campanella dovè essere tratto dalla fossa del miglio per avere
questa tortura, e però può contarsi che venne a dimorare nella fossa
sette giorni. Un primo fatto da essere notato nella sua tortura fu
questo, che mentre veniva spogliato gli cadde una carta contenente la
relazione dell'esame del Lauriana, che costui gli avea scritta, e D.
Giovanni Sances la lesse, e il Campanella gli disse che quella carta
volea presentarla; D. Giovanni affermò che l'avrebbe presentata egli
medesimo, ed allora il Campanella gli consegnò pure una o due cartoline
scrittegli dal Pizzoni, dicendo che le presentasse egualmente. Queste
cose furono poi da fra Dionisio riferite al Vescovo di Termoli, Giudice
nel tribunale dell'eresia, il quale volle da lui una relazione su'
documenti attestanti la corrispondenza passata tra il Pizzoni e il
Campanella; ed il Vescovo, avutane notizia, fece richiesta de' detti
documenti al tribunale della congiura, ed in tal guisa se ne trova una
copia nel processo di eresia. Ma notiamo che si ebbe la copia di una
sola delle cartoline che sarebbero state scritte dal Pizzoni, oltre la
carta che sarebbe stata scritta dal Lauriana: e la cartolina reca la
semplice assicurazione che egli non avea detto nè direbbe mai essere
que' tali Signori (certamente i Del Tufo, Orsini, Sangro etc.) fautori
del preteso delitto, ma amici della persona e delle opere di lui; la
carta poi reca veramente l'esame del Lauriana innanzi al Visitatore e
a fra Cornelio, scritto abbastanza fedelmente, e con ogni probabilità
secondo la vera maniera d'interrogare tenuta dagl'Inquisitori[84].
Questa prima tortura data al Campanella non durò molto. Egli non
resse allo strazio, dichiarò di voler confessare e fece una lunga
confessione, tanto lunga da occupare due sedute in due giorni diversi:
dovè quindi esser posto due volte nel tormento del polledro con la
solita formola «continuando et non iterando» per mantenere gli effetti
legali di una confessione «in tormentis»; così possiamo spiegarci
il trovarsi in una Lettera del Campanella al Papa il 1607, da noi
pubblicata, la menzione di «dui polledri», e in uno de' brani della
sua confessione pervenuti fino a noi la circostanza espressa con le
parole «come disse l'altro dì»[85]. In fondo nella sua confessione il
Campanella ammise che aveva avuto il progetto di fare la repubblica
e che doveva con altri suoi compagni predicarla, ma solo nel caso in
cui fossero accadute le mutazioni da lui previste, al quale proposito
espose quanto avea raccolto ne' suoi profetali; inoltre sostenne che
avea consigliato di ricorrere alle armi ma per difendersi, e rigettò
poi sempre su Maurizio le trattative fatte col Turco. Ma un momento di
tanta importanza merita bene di essere esposto con tutta la possibile
larghezza. Vediamo dapprima ciò che ne disse egli medesimo nella sua
Narrazione, avvertendo che egli pone in molto rilievo l'infermità
contratta nella fossa del miglio e qualche altro suo incomodo,
certamente perchè dovea sentirsi umiliato dal fatto dell'avere lui
solo confessato, mentre tutti gli altri ecclesiastici, che vennero
dopo di lui egualmente tormentati, non confessarono nulla, o non
aggiunsero nulla a quanto aveano già detto. «E così infermo lo posero
nel tormento del polledro senza lasciar che andasse prima del corpo...
Il Campanella antevidendo, che era forzato morire, tanto più che il
Sances disse al boja che lo tormentasse a morte e fù stretto con le
funi al polledro con tanta strittura, che si rompevano tutte, e subito
le raddoppiava: et il dolor cresceva tanto horrendamente che lo fecero
spasmare, et uscir di cervello: per questo, secondo havea previsto,
conoscendo che di certo moria se non diceva; però per dar tempo disse,
che volea confessare. E perchè il Sances e li giudici non sapeano di
Theologia et Astrologia li levò dalla legge a queste altre scienze
con arte; dicendo ch'era vero, che lui predicò che si dovea mutar il
mondo, el regno, et che s'havea a far una repubblica nova universale
secondo molte revelationi di Santi e d'Astrologi, e che quando questo
fosse succeduto, lui voleva predicarla e farla, e che sendo dimandato
da molti disse a quelli, che attendessero all'armi, perchè occorrendo
mutatione fatale da qualsivoglia banda si difendessero, e facessero la
repubblica antevista nell'Apocalissi di S. Giovanni e nominò molti che
consentiano a questo parere. Ma però non confessò heresia alcuna nè
ribellione nè voluntà di ribellare. Anzi dice nella sua confessione,
ch'interrogato da Mauritio come potea far questo, li rispose, che essi
non havean d'assaltar il regno; ma con questa conditionale _se venia
mutatione_, volean far la repubblica nelle montagne difendendosi come
li Spagnoli nelle montagne quando entraro li Mori. E parlava in tal
modo che li giudici si credeano che confessava, e che solo negava la
prattica con Turchi, la quale nega espressamente, e dice haver ripreso
Mauritio perche era andato su le galere d'Amurat. E perche essi giudici
non sanno quel che dice Arquàto Astrologo, et Scaligero, et Cardàno, e
Ticòne e Gemma Frisio et altri Astrologi della mutatione instante al
secol nostro: nè quel che dicon li Santi Caterina, Brigida, Vincenzo,
Dionisio Cartusiano... pensare che queste profezie fossero finte dal
Campanella per tirar la gente a ribellare, e ch'erano false; e si
contentare di tal confessione, sperando anche che poi nel tribunal del
S. Officio confessasse che quella republica che dicea voler fare havea
d'esser heretica: e così saria stato brugiato». In verità i Giudici
della tentata ribellione non aveano alcun motivo di preoccuparsi della
qualità eretica della repubblica voluta dal Campanella, qualità che
si sarebbe dimostrata più tardi in un altro tribunale. Bastava loro
che venisse da lui confessato il _trattato di far repubblica_, per
ritenerlo un reo confesso con tutte le terribili conseguenze legali;
e non importava neanche troppo se per tale repubblica avessero dovuto
aversi o no certe condizioni, se avessero dovuto usarsi le armi in
difesa ovvero in offesa, se avessero dovuto esservi gli aiuti de'
potentati esterni e segnatamente del Turco, da qualunque de' complici
invocato. Le conseguenze legali non variavano punto per tutto ciò, e
tale fu infatti l'opinione che ne portarono i Giudici; lo rileviamo
benissimo da una lettera del Nunzio, in data 11 febbraio. «Nella
causa della ribellione finalmente con poco tormento, per vigor della
facoltà venuta et per la sua (_int_. la lettera del Card.^l S. Giorgio)
de' 24 del passato, che comunicai subito con S. E., si cavò da quel
Campanella tutto il fatto come era passato, se bene non hà mai voluto
chiamarlo ribellione ma detto che voleva far Repubblica la provincia di
Calabria per mezo delle Armi e delle Prediche, quando però seguissino
i garbugli in Italia, che lui si era presupposto, et intanto andava
disponendo gli animi et procurando seguito; il trattar col Turco dice
che fù concetto di quel Mauritio di Rinaldo, che poi hanno fatto
appiccare, non di meno _il negotio resta di maniera scoperto che non
par che possa haver difesa_, alla qual cosa se gli è di già dato il
termine, e la commodità, et intanto si seguirà contra complici ch'egli
hà nominato, con i quali si terrà il medesimo modo che si è tenuto con
seco, poichè _è riuscito bene_». Vedesi qui manifestamente che neppure
il Nunzio diede alcuna importanza a' Profetali esposti dal Campanella
in rapporto al disegno della repubblica da lui concepito e promosso,
e ritenne puramente e semplicemente essersi avuta la confessione di
una congiura o trattato di ribellione, per lo quale il Campanella era
andato disponendo gli animi e procurando sèguito, nè deve sfuggire che
egli mostrò chiaro qual fosse l'animo suo, ed anche l'animo della Curia
alla quale scriveva e doveva ingegnarsi di dar buone notizie, dicendo
che il modo tenuto era _riuscito bene_, mentre il povero filosofo si
era avviato all'estrema rovina. Da un lato solo l'esposizione de'
Profetali dovè colpirlo ed incutergli anche un certo timore, dal lato
della profonda erudizione e dottrina che il Campanella palesava;
poichè nella stessa data egli si diè subito a chiedere al Card.^l S.
Giorgio ed anche al Card.^l di S.^{ta} Severina, per la prossima causa
dell'eresia, l'intervento di «persone pratiche e buoni Theologhi per
disputare con quel Campanella, che _per haver abiurato altra volta_,
_com'egli stesso dice_, vorrà forse in questo dar che fare dinuovo»,
notando che aveva «umore in difendere le sue opinioni»[86]. Da
queste parole del Nunzio rimangono appieno giustificate quelle della
Narrazione riferibili più direttamente a lui, che cioè «li giudici
non sapeano di Theologia et Astrologia»: e ci sembra conveniente
aggiungere, che da quanto sappiamo dell'andamento della confessione
potrebbero risultare giustificate anche certe parole del Giannone
intorno alla medesima. Il Campanella ci lasciò scritto, e non stentiamo
a crederlo, che gli orrendi spasimi lo fecero «uscir di cervello»; da
parte sua, almeno nel 1^o giorno, chi sa in qual modo il Mastrodatti
potè seguirlo nelle considerazioni apocalittiche dettate con una
inevitabile confusione; non può quindi sorprendere l'impressione avuta
dal Giannone quando ebbe a leggere nella copia del processo «la sua
lunga deposizione fatta nel mese di febbraio... nella quale (egli
dice) a guisa di fanatico e di forsennato, sia per malizia, sia per lo
terrore, ora affermando, ora negando, tutto s'intriga e s'inviluppa».
C'incombe pertanto l'obbligo di vedere più da vicino ed anche
commentare sobriamente la confessione del Campanella, adunando i brani
a noi pervenuti con gli Atti esistenti in Firenze, e riportandoli
secondo il testo del sunto fattone dal Mastrodatti[87]. Non si avrà
l'intera confessione e tanto meno la precisa fisonomia di essa,
ma se ne avranno i punti di maggior rilievo, pe' quali risulterà
sempre più chiara la posizione derivatane a lui medesimo ed a'
compagni suoi propriamente ecclesiastici. Notiamo innanzi tutto che
ci mancano i brani relativi alle Profezie ed a' pronostici, i quali
doveano verosimilmente occupare i fol. 28 e 29 del processo, ed
abbiamo solamente alcuni di quelli compresi tra il fol. 30 e 34; essi
cominciano dalla esposizione del partito che il Campanella intendeva
trarre dagli avvenimenti previsti, e furono riferiti dal suo Avvocato
nella Difesa. «Che soccedendono detti romori, et revolutioni, che lui
per Profetie et altri segni prevedea, con detta occasione si volea
forzare fare detta Provincia di Calabria Republica, che con pigliare
li monti si hariano mantenuti, et con questo il Papa et Rè di Spagna
li hariano lasciati vivere in Repubblica, Che dicendoli Mauritio che
detta Republica non si possea fare senza aiuto di Potentati esterni,
Lui rispose che non havevano d'assaltare il Regno, et per questo non
haveano bisogno di potenza esterna; mà che con la mutatione del Regno,
che havea da soccedere secondo havea trovato per Profetie, loro soli
bastavano con l'eloquenza et con gl'amici. Che l'Imperio Torchesco
s'havea da dividere in due parti, Et una saria stata da parte de
Christiani, Et un'altra dalla parte Maumettana, et che di quella parte
di Christiani se n'haveriano visto dove per fato inclinavano. Che
havendoli ditto Mauritio, che lui era andato sopra le Galere Torchesche
à parlare con Morat Rais, che l'havesse voluto dare aiuto in fare detta
Republica, esso fra Thomaso lo riprese di questo, che non havea fatto
bene, per che li turchi sempre sogliono essere infedeli et inimici.
Che lui dicea che succedendono detti romori, et mutationi nel Regno,
si seriano fatti grandi, ò della parte del papa, ò della parte del Rè.
Che in detto anno del 600 havea da essere unum ovile et unus Pastor,
et che lui con li compagni suoi Monaci con detta occasione haveriano
predicato in favore di detta Republica profetizata in benefitio del
Papa». Ma dovè nominare quelli co' quali egli avea fatti tali discorsi,
in ispecie poi i frati compagni suoi che avrebbero predicato con lui,
giacchè il tribunale doveva occuparsi appunto degli ecclesiastici;
ed ecco nominati parecchi, e s'intende che a noi sono propriamente
pervenuti i nomi degli ecclesiastici già carcerati. Forse si era al
secondo giorno, ed egli avea dovuto riflettere a' casi suoi; ad ogni
modo troviamo qui pure l'animo suo, come sempre, soggetto all'impeto
de' risentimenti, malgrado la confusione suscitata dall'atrocità de'
dolori. Scorgesi infatti senza riguardi verso il Pizzoni, il Lauriana,
il Petrolo, che si erano da poco tempo confrontati con lui a suo
danno, abbastanza riguardoso verso fra Dionisio e naturalmente anche
più verso fra Pietro di Stilo, abbastanza riguardoso perfino verso
Giulio Contestabile, al quale già prima in Calabria, per lo stesso
motivo de' risentimenti, aveva usato tutt'altro che riguardi. «In
interrogatione chi sono questi altri religiosi, che volevano agiutare
col predicare et eloquentia in detta Republica et Novità? dice che era
esso deposante, Fra Gio. Battista de Pizzoni, frà Dominico Petrolo,
frà Silvestro de Lauriana, frà Dionisio Pontio, et frà Pietro de Stilo
lo seppe all'ultimo quando stavamo per fugire, et non seppe manco
tutto lo negotio, et non ci confidiamo comunicarli questo, per che era
un pazzo»! Con questo titolo di pazzo, dato al più giudizioso della
compagnia, evidentemente egli quasi venne a porre fra Pietro di Stilo
fuori causa. Rispetto a fra Dionisio non potea fare altrettanto, e
si limitò a dire che «era consapevole di quanto si trattava, et esso
fra Dionisio havea trattato, et parlato di questo negotio di fare
republica la provintia in genere con fra Gioseppo Yatrinoli et fra
Gioseppo Bitonti, et con Cesare Pisano, li quali vennero una sera à
Stilo, et la matina per tempo si partero et non li parlò». Rispetto
al Pizzoni fu più largo ed anche molto ostile, a differenza di quanto
avea fatto nella Dichiarazione scritta in Calabria. «La prima volta
che esso frà Thomaso ne parlò con detto frà Gio. Battista fù l'anno
passato del mese di Settembre 98 in Stilo, conferendo certe conclusioni
che esso frà Gio. Battista havea da tenere nel capitolo». In dette
conclusioni «trattò... de statu optimae Reipublicae, et dicendoci Io
le legge di quella, Lui disse, volesse Dio, che si trovasse, ma è
quella di Platone, che non si trovò mai, et Io le risposi che s'haverà
da trovare questa republica innanzi la fine del mondo per compire li
desiderij humani del secolo d'oro, et che così era profetato, et non
se ne parlò più, et dopò à Giugnetto 99. venne fra Gio. Battista à
Stilo, et per strada ragionammo, et li disse io tengo per fermo che
l'anno 600 facendosi mutationi, ne haveriamo fatti grandi ò da la parte
del Papa, ò da la parte del Rè, et lo frà Gio. Battista cominciò à
dire venesse presto questa mutatione, finalmente disse che io volesse
andare à Pizzoni à parlare con Claudio Crispo et animarlo con questa
novità, che non pigliasse moglie. Et in conformità di questo quando
frà Gio. Battista me disse che volea portare Claudio Crispo in Arena
li persuadesse che non si maritasse, per che volea che ll'agiutasse
à fare le sue vendette, et finalmente dopò d'essere andato à Pizzoni
rechiesto da frà Gio. Battista, mi parlò Claudio, et ragionammo un
giorno sopra l'astrolabio, acciò che con questa occasione havesse
possuto subintrare a trattare con detto Claudio de la mutatione del
mondo, et persuaderlo à volersi trovare pronto à la novità predetta,
et à fare la Provintia di Calabria Republica, et in quella occasione
havendosi aboccato esso deposante con Claudio Crispo presente fra
Gio. Battista Pizzoni li dissi, che la fine del mondo era presta, et
che innanzi à questo havea da essere una Republica la più mirabile
del mondo, et che li monaci di san Domenico l'haveano da preparare
secondo l'apocalissi, et che havea da cominciare dall'anno 600, et esso
Claudio s'offerse stare in ordine, et se ricorda ancora esso deposante
che in Arena li mostrò una lettra, à Claudio Crispo, et à fra Gio.
Battista Pizzoni di Giulio Condestabile, dove l'avisava che Mauritio
era andato sopra le galere in Costantinopoli (_sic_). Et dice de più
che frà Gio. Battista Pizzoni, et Claudio Crispo mandorno à chiamare
Eusebio Soldaniero da Serrata per frà Silvestro Lauriana, et non ci
volse venire. A frà Silvestro Lauriana esso deposante non hà parlato di
questo negotio, se non genericamente, dicendo, volesse Dio, che fusse
tutto quello, che aspettamo, presupponendo, che lo sapesse per quanto
frà Gio. Battista m'havea referito». Citò pertanto (e questo forse era
un po' troppo) anche il Lauriana tra quelli «che volevano agiutare
col predicare et eloquenza... con li quali da Pasqua di resurrettione
dell'anno passato 99 in quà havea trattato di fare detta Republica,
et mutatione». Rispetto al Petrolo dichiarò avergli «parlato à Stilo
dicendoli che nell'anno 1600 havea da cominciare ad essere Unum ovile,
et Unus Pastor, et che noi haveriamo predicato in favore di questa
republica profetizata in beneficio del Papa, et che il Papa l'haveria
esaltati perchè loro si voleano pigliare alcuna parte della Provintia,
et esso fra Domenico si ne contentava, et di questo ne hà parlato
più volte, et esso fra Domenico era tutto cosa di esso deposante, et
sempre lo hà sequitato, et cossì se offerse sequitarlo in questo». Onde
lo citò egualmente tra' futuri predicatori, ed aggiunse che «con fra
Domenico petruolo et fabritio Campanella andammo a Davoli, et trovò
Mauritio che stava in casa di donno Marco antonio pittella, et per
lettre Mauritio mandò a chiamare da Catanzaro Gio. thomase franza, et
Gioan paulo de Cordoa». Infine rispetto a Giulio Contestabile confermò
che era intervenuto al trattato, «quale si contentava trovarsici et era
uno delli capi», aggiungendo «ch'un giorno del mese di Maggio il detto
Giulio steva in camera d'esso fra Tomaso, et dicea male del Capitano
di Stilo ch'era spagnolo, et in questo il vento fe cascare in terra il
ritratto del Rè nostro Sig.^{re}, et detto Clerico Giulio uscendo la
porta l'incontrò innanti, et lo calpestrò, dicendo, mira à che stamo
soggetti, à uno sbarbato, Re dell'uccelli». Fu dunque il vento che
fece cadere il ritratto del Re, e Giulio l'incontrò innanti e così
ebbe a calpestarlo, non già che lo prese e se lo pose sotto i piedi,
secondochè il Campanella medesimo avea dichiarato in Calabria: non è
dubbio qui che il risentimento con Giulio Contestabile si era calmato,
e il fatto di lui veniva attenuato; invece col Pizzoni, col Lauriana e
col Petrolo, il risentimento era vivissimo, e i fatti occorsi con loro
venivano aspramente asserti.
Da' suddetti brani, i soli che ne rimangono e così trivialmente
redatti, possiamo rilevare che la confessione orale in tortura non
suggellava soltanto la dichiarazione scritta, ma faceva anche emergere
manifesto il disegno del Campanella di rendere il paese indipendente
da Spagna e costituirlo in repubblica, essendone autore non altri che
lui, ed avendolo ad istanza di lui accettato diversi frati che doveano
d'accordo predicarlo, come pure diversi laici, specialmente fuorusciti,
che doveano con le armi per lo meno sostenerlo. Vero è che tale disegno
presentavasi subordinato alla condizione di future rivolte e mutazioni;
ma questo importava poco, non potendosi ammettere nemmeno con riserva
l'apostolato per una forma di Governo diversa da quella costituita,
e tanto meno il preparativo dell'azione rappresentato dalle ricerche
e concerti di persone che doveano promuovere quella forma di Governo
con la parola e con le armi. D'altronde non appariva decifrabile per
opera di chi sarebbero avvenute le rivolte e le mutazioni antivedute
con le Profezie e co' segni astronomici, nè in qual modo la detta
repubblica dovesse riuscire tollerata dal Papa e dal Re, essendo stata
profetizzata in beneficio del Papa; egualmente non appariva decifrabile
che il Campanella, mentre non voleva l'aiuto de' turchi per la detta
repubblica ed avea rimproverato Maurizio che si era spinto a chiederlo,
ammettesse doversi una parte de' turchi porre dal lato dei Cristiani,
ed avesse continuato a trattare con Maurizio il quale avea concordato
l'aiuto de' turchi, e a confabulare con persone disposte o chiamate a
fare delle armi un uso più spinto e più pronto. Con ciò manifestamente
veniva confermato quanto il Pizzoni, il Lauriana, il Petrolo, oltrechè
molti laici, aveano deposto contro di lui, quanto aveano denunziato
Biblia e Lauro, potendo solo ammettersi che l'avessero denunziato
con la più grande ed iniqua esagerazione. E veniva in pari tempo
giustificato quanto il Governo avea detto e fatto sin allora, potendo
solo ammettersi che avesse tollerato negli ufficiali suoi lo sfogo
della loro ambizione e rapacità sulla povera Calabria, considerandola
già ribellata, e però «macchiandola di falsa ribellione», come ebbe
a scrivere il Campanella, e come si trova anche scritto, con le
medesime parole, dal Residente Veneto, benchè, al pari di altri Agenti
accreditati in Napoli, non avesse mai posto in dubbio la congiura o il
tentativo di ribellione[88].--Al Campanella potè sembrare, come nella
Narrazione ci lasciò scritto, che non avesse confessato «nè ribellione
nè voluntà di ribellare» e che i Giudici «accortisi che la confessione
era erronea, perchè li altri non pigliassero la medesima fuga, non
fecero ch'esso Campanella facesse la confronta a F. Dionisio, et a
gli altri, come la facean fare da tutti l'altri che confessavano». Ma
naturalmente i Giudici, per quanto videro chiara e limpida, e niente
affatto erronea, la confessione di aver voluto ribellare, altrettanto
videro oscura e misteriosa, ed al postutto indifferente, la condizione
alla quale si diceva subordinata: nè ebbero a temere che fra Dionisio
e gli altri, con la confronta avrebbero pigliato «la medesima fuga»,
poichè non accordavano alcun valore a questa fuga, la quale, per
essere stata così denominata dal nostro filosofo, dovrebbe tradursi
sotterfugio, onde le profezie e le vedute astrologiche risulterebbero,
se non finte, certamente evocate «per tirar la gente a ribellare».
E conviene aggiungere che fu una buona fortuna pel Campanella il
non essere stata ordinata dai Giudici la sua confronta con fra
Dionisio e compagni, poichè null'altro poteva seguirne, se non che
costoro sarebbero risultati _convinti per opera sua_; e fra Dionisio
principalmente, che dovè senza dubbio irritarsi per la confessione del
Campanella e ne vedremo una prova più in là, avrebbe ben a ragione
finito con odiarlo a morte dopo una confronta. In conclusione non può
recare maraviglia che i Commissarii Apostolici si fossero trovati
d'accordo nel giudicare il Campanella «confesso»; in tal guisa egli
trovasi qualificato negli Atti due volte, ed è superfluo dirne le
conseguenze[89].
Secondo la procedura del tempo, in questi giudizii celeri, non
appena esauriti per ciascuno inquisito tutti gli Atti informativi ed
offensivi, fatta anche ratificare la confessione nel giorno seguente a
quello della tortura allorchè essa era stata amministrata, i Giudici
emanavano un decreto che ordinava la consegna di una copia degli Atti
all'inquisito con la conclusione del Fiscale, assegnando un termine
di pochi giorni per la difesa, ed all'occorrenza deputando anche un
Avvocato di ufficio. Il Mastrodatti allora, che avea già preparato ogni
cosa, trasmetteva in via legale la copia degli Atti, l'assegnazione
del termine etc. all'inquisito, ed anche un Riassunto degl'indizii
a' Giudici. L'Avvocato quindi ponevasi in relazione col giudicabile,
scriveva l'Atto di difesa, che comunicava al tribunale nel termine
stabilito, e poi attendeva la notificazione di un altro decreto ad
dicendum per la trattazione della difesa, ciò che del resto importava
solo la dimanda se avesse altro da aggiungere alla Difesa scritta.
Debbono dunque riferirsi al tempo cui siamo giunti, alla 2^a metà del
mese di febbraio 1600 il Riassunto degl'indizii, alle prime settimane
di marzo la Difesa scritta dall'Avvocato pel Campanella, ed anche
la Replica scritta dal Fiscale, i quali Atti, come quelli analoghi
successivamente compilati per gli altri incriminati ecclesiastici,
rimasero nelle mani del Nunzio, e pervennero quindi con altre carte di
lui nell'Archivio di Firenze[90]. Riserbandoci di esporre a suo tempo
gli Atti sopra menzionati, qui dobbiamo notare che al Campanella fu
assegnato per difensore il dott.^r Gio. Battista de Leonardis Regio
Avvocato de' poveri, e da una poesia di fra Tommaso a lui diretta
vedremo che costui ebbe l'incarico di difendere anche gli altri frati
inquisiti. Allorchè il Vescovo di Termoli, uno de' Giudici dell'eresia,
scrisse a Roma la sua opinione su questa causa della congiura, tra le
altre cose fece conoscere che «non si trovò un dottore il quale avesse
voluto scrivere in jure a loro favore»[91]. Ciò deve intendersi nel
senso che si cercò e non si trovò un Avvocato particolare, e con ogni
probabilità il Vescovo intese parlare segnatamente di fra Dionisio,
poichè il Campanella e gli altri non ne avrebbero avuto i mezzi; ad
ogni modo poi l'Avvocato de' poveri non era una persona da nulla. Nato
in Cicciano presso Nola, da umili origini, Gio. Battista de Leonardis
si era dapprima mostrato uomo di lettere tale da venir chiamato ad
insegnarle pubblicamente in Cosenza, dove cominciò anche l'esercizio
dell'avvocatura; ridottosi poi in Napoli e studiato accuratamente il
diritto, era già un dottore ben conosciuto, quando con Privilegio del
30 settembre 1599, visto e promulgato il 26 gennaio 1600, fu chiamato
all'ufficio di Avvocato de' poveri della Vicaria in luogo di Antonio
Catalano[92].--Ma nel medesimo tempo avvenne pure un altro fatto, che
il Campanella ci fece conoscere nella sua Narrazione e che finora non
ci risulta da verun altro fonte; sicchè gioverà tanto più esporlo qui
con le parole medesime della Narrazione. «Però dandoli le difese poi
al Campanella e l'Avvocato de' poveri...[93] il Sances Fiscale finse
che per curiosità desiderava sapere in che profetie fondava questi suoi
detti, e li fece scriver dal suo notario dettando il Campanella molti
articoli profetali: li quali esso Sances portò a' Gesuini, et ad altri,
e molti di quelli dissero, che Campanella havea ragione e che non eran
finte per ribellare. Però li mandò molti Gesuini, e Theologi Spagnoli a
disputare. Li quali si divisero, altri dicendo che diceva bene, altri
che no. El Campanella allegò li predetti Santi, et Astrologi et il
Cardinale anche Bellarmino. E poi disse, che quando pur fosser false le
profezie sue, questa non era confessione di ribellare, ma di falsificar