Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 40

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traduzione, e così «la sfacciataggine» fu detta «imprudentia»: ma
l'essere «divenuto più huomo da bene» si elevò a «sanctior evasus»; e
in tutti i conti il Campanella aggiunse con asseveranza, «nè questa
è esperienza de sciocco nè di bugiardo, che dell'uno et dell'altro
sempre mi guardai più che del diavolo stesso», ciò che fu tradotto
«nec experientiam narro imperiti, timidi, vel mendacis hominis,
utrumque enim vitavi semper sicut pestem diram». Intanto nell'ultimo
libro dell'opera si trova notata un'altra circostanza, ma in modo
assai oscuro: «Porfirio e Plotino aggiungono che vi siano gli Angeli
buoni et perversi, come ogni dì si vede esperienza et io ne ho
visto manifesta prova, non quando la cercai, ma quando pensava ad
altro (_lat._ non quando investigatione avida id tentavi sed quando
aliud intendebam); però non è meraviglia se al curioso Nerone non
sono comparsi»: ignoriamo a quale momento il Campanella alluda, ma
parlandosi della curiosità di Nerone non soddisfatta, e sapendosi che
Nerone volle vedere i diavoli senza potervi riuscire, è certo che
finqui il Campanella, ripetendo quanto cantava nelle Poesie, non aveva
ancora progredito al punto da essergli comparsi angeli, come poi gli
comparvero più tardi, essendosi sempre più ingolfato nelle dottrine de'
Santi. Da ciò rimane anche chiarita la data di questa ricomposizione in
italiano dell'opera _Del Senso delle cose_[447].
In gennaio 1605 abbiamo ragione di credere che il Campanella siasi
occupato de' due opuscoli intitolati _Del Governo del Regno_ e
_Consultazione per aumentare le entrate del Regno_. Lo argomentiamo
dal fatto che in questo tempo appunto, dopo di avere aspettato
invano qualche provvedimento intorno alla sua persona, dovè uscire
dal raccoglimento, non far più un mistero delle sue buone facoltà
intellettuali, e sotto gli auspicii di fra Serafino di Nocera
trasmettere proposte e promesse mirabili al Vicerè, naturalmente per
conquistarne la grazia ed essere chiamato innanzi a lui. Certamente le
proposte doverono essere analoghe a quelle espresse negli opuscoli, e
naturalmente questi non si potevano ancora presentare, senza svelare
e compromettere la comodità di scrivere di cui il prigioniero godeva;
mentre poi era pure necessario che fra Serafino, il quale dovea
presentare tali proposte, ne avesse avuto un cenno scritto, vale a dire
avesse avuto gli opuscoli, i quali ne trattavano. D'altronde sappiamo
che almeno la _Consultazione_ fu poi data allo Scioppio separatamente
dalle altre opere, ma nello stesso periodo di tempo, un poco prima o un
poco dopo della data in cui le opere furono inviate, come apparisce da
una delle lettere del Campanella pubblicate da noi[448]; sicchè laddove
sia corso un qualche intervallo tra l'aver ventilate le proposte e
l'averle scritte, esso sicuramente non fu molto lungo. L'opuscolo _Del
Governo del Regno_ non è pervenuto sino a noi; la _Consultazione_ col
titolo di _Arbitrio o Discorso primo sopra l'aumento dell'entrate del
Regno di Napoli_, fu scoperta dal Dragonetti nella Casanatense e poi
con accurato lavoro pubblicata dal D'Ancona. Quantunque relativa ad un
tema niente affatto biblico, il Campanella, pur facendo proposte non
indegne di considerazione, vi fa campeggiare la Bibbia largamente e
vi si mostra un fervido religioso: e dev'essere notato che malamente
nel _Syntagma_ fu scritto essere stata diretta «al Conte di Lemos»,
ciò che rimanderebbe la cosa al 1610. Fin dalle prime parole
dell'opuscolo si vede che l'autore si dirige ad un Vicerè tenerissimo
dell'annona, e sappiamo che il Conte di Benavente se ne occupò davvero
con un'attività e severità straordinarie: nell'ultima pagina poi,
evidentemente aggiunta con alcune altre dopo che si riuscì a far
accogliere l'opuscolo dal Vicerè, è detto che il Torres Segretario di
S. E. lesse l'opuscolo; e sappiamo dal Capaccio, come dal Parrino, che
D. Baldassare Torres fu Segretario del Conte di Benavente con autorità
eccessiva, tanto che le popolazioni assai se ne dolsero, ma assai più
si dolsero poi di averlo perduto.--Lo stesso dobbiamo dire di due altri
_Discorsi_, qualificati _secondo e terzo_, che abbiamo trovato nella
Casanatense al sèguito del precedente e che diamo oggi alla luce,
essendo parte integrante della _Consultazione_, siccome mostra anche
il cenno fattone dallo Scioppio in una delle sue lettere pubblicate
non ha guari dal Berti[449]. Mentre il _primo_ tratta propriamente
dell'annona, il _secondo_ tratta della moneta scadente o falsa, e il
_terzo_ della pena di morte. Da ognuno di questi articoli il Campanella
intende trarre un utile di 100 mila ducati pel Governo, 300 mila in
tutto, mercè provvedimenti benefici in pari tempo alle popolazioni;
ma l'_aumento dell'entrate_ è il suo scopo principale, sicchè le sue
proposte riescono vere proposte di occasione, fatte per rendersi
propizii i potenti, come già abbiamo annunziato fin da principio
verificarsi ampiamente nelle opere del periodo attuale. Il Dragonetti
non pose mente a questo fatto nel giudicare il Discorso primo relativo
all'annona, e però tanto più crediamo necessario farlo rilevare.
In sèguito, dal febbraio al luglio 1605, rivolgendo i suoi sguardi
al Papa, dopo di averli inutilmente rivolti al Vicerè, il Campanella
dovè porre mano alla _Monarchia del Messia_ coll'annesso capitolo _De'
dritti del Re di Spagna sul nuovo mondo_, ed ancora alla _Ricognizione
della Religione secondo tutte le scienze contra l'anticristianesimo
machiavellistico_, cui lo Scioppio volle poi dare invece il titolo di
_Atheismus triumphatus_. Lo argomentiamo dal fatto che appunto nel
luglio 1605 o qualche mese più tardi secondo i nostri còmputi che più
sotto esporremo, il Campanella si procurò la visita del Nunzio e del
Vescovo di Caserta dicendo di volersi accusare, e manifestò in essa i
principii che andava svolgendo nelle dette opere, essere sicuramente
venuto il tempo di «far una greggia et un Pastore», avere «esaminato
la fede con la filosofia Pitagorica, Stoica, Peripatetica, Platonica,
Telesiana e di tutte sette antiche e moderne» etc. etc., ed avere «con
tutte le scienze finalmente humane e divine assicurato se stesso et gli
altri che la pura legge della natura è quella di Christo a cui solo
li Sacramenti son aggiunti» etc.; con singolari affermazioni di aver
ottenuto da Dio rivelazioni e potestà di difendere il Cristianesimo
dopo di essere stato con altri ingannato dal diavolo, potestà perfino
di far miracoli etc. _La Monarchia del Messia_ fu scritta in italiano,
messa da parte una volta e ripigliata tra mano più tardi; molto più
tardi poi fu tradotta in latino. Ne esistono ancora in italiano una
copia in Lucca, nel codice 2618 più volte citato, due in Parigi, nella
Bibl. nazionale n.^o 985, e nella Bibl. di S.^{ta} Genoveffa n.^o 3,
inoltre una in Londra, nel Brith. Mus. n.^o 2255. Il non trovarsene
alcuna nelle Bibl.^e di Napoli ci ha tolto di poter vedere se e quali
differenze vi siano tra il manoscritto in italiano e il libro che fu
poi stampato in latino a Jesi nel 1633; ma crediamo bene che non vi
siano differenze contemplabili, sapendo per prova che il Campanella
nelle traduzioni è stato sempre fedele alle composizioni originarie
(salvo il caso in cui qualche brano fosse riuscito troppo spinto in
un senso o in un altro), forse perchè le composizioni originarie si
trovavano sempre già diffuse nel pubblico ed egli non volea mostrare
di aversi a correggere. Naturalmente nella _Monarchia del Messia_
la Bibbia campeggia in modo quasi esclusivo. Allorchè la diede alle
stampe, disse in una prefazione che il libro si connetteva agli
altri anteriori della Monarchia del Messia; e così dicendo ci pare
che abbia alluso alla «Monarchia de' Cristiani» e al «Governo della
Chiesa», mentre quando cita la prima di queste due opere nell'elenco
mandato il 1606 al Card.^l S. Giorgio, dice che essa offre i soli
primi fondamenti, poichè egli «anchora non haveva proceduto nelle
leggi e profezie, ma solo per historia politica e natura», e quando la
cita nella lettera latina al Papa, la chiama addirittura «Monarchia
del Messia». Ma la _Monarchia del Messia_ di cui qui parliamo non si
trova registrata negli elenchi mandati il 1606-1607 a' Cardinali e al
Re di Spagna, e si trova poi nell'elenco mandato in giugno o luglio
1606 allo Scioppio: ciò vuol dire che essa fu condotta a termine
solamente verso quest'ultima data, nè deve sorprendere che non si trovi
nell'elenco mandato al Re, che è quasi contemporaneo, poichè conveniva
poco nominarla al Re, al quale si vede anche la «Monarchia universale
de' Cristiani» annunziata col titolo di «Monarchia universale alli
Principi Christiani».--Quanto all'_Ateismo debellato_ (lo chiamiamo
fin d'ora così pel vantaggio della brevità), esso dovè essere scritto
fin dall'origine in latino, ovvero, se fu cominciato in italiano, dovè
essere presto tradotto e poi compiuto in latino acciò potesse meglio
servire allo Scioppio, per cui fu compiuto ed a cui fu dedicato; e
può dirsi che precisamente al tempo nel quale fu menato a termine,
il Campanella abbia abbandonato il costume di comporre dapprima in
italiano per poi tradurre in latino. Sicuramente fu menato a termine
del pari verso la metà del 1607, essendo rimasto interrotto per qualche
tempo: difatti esso si trova già chiaramente indicato nelle lettere
del 1606 a' Cardinali, ma quasi in un poscritto, non figurando negli
elenchi delle opere ad essi mandati, ed invece figura nell'elenco del
1607 mandato al Re, col titolo «La esamina di tutte le sette del mondo
a paragon del Vangelio con la ragion comune e di tutte scole» etc.;
la qual cosa contribuisce a dimostrare quanto abbiamo sostenuto nella
nostra precedente pubblicazione sul Campanella circa la data della
lettera al Re, assegnandole probabilmente quella del giugno 1607,
mentre appunto verso tale data l'_Ateismo_ fu certamente compiuto e
mandato allo Scioppio con tutte le altre opere disponibili. Dovrebbe
anzi dirsi che il Campanella vi abbia lavorato fino all'ultima ora, se
si trovasse realmente esatto quanto affermò lo Struvio, che cioè nella
copia mandata allo Scioppio tutta la materia dal cap. 7^o all'11^o fu
scritta di mano dell'autore. Senza pretendere menomamente di dare un
cenno qualunque di tale opera, meravigliosa per essere stata scritta
in una fossa e lungi dal corredo opportuno di libri che ad ogni altro
sarebbero stati indispensabili, ci limiteremo a far avvertire che
essa era destinata a mostrare come l'autore oramai, perfino co' soli
lumi della filosofia e della critica, fosse giunto a convincersi
profondamente della verità della fede di Cristo, e si sentisse tutto
fuoco e fiamme contro gli Atei, contro gli Anticristiani, contro
i Machiavellisti e il Machiavelli; che al tempo medesimo essa era
destinata a rappresentare la confutazione e la condanna delle tante
accuse mosse all'autore col processo di eresia, la sua professione
di fede ardente, in modo da farlo stimare capacissimo d'imprendere
e conseguire cose grandi, qualora, s'intende, fosse stato posto in
libertà. Dedicata poi allo Scioppio, che appariva l'unico aiuto
possibile e che era noto per la rabbia fanatica ed insolente contro i
suoi antichi correligionarii, l'opera riuscì forse anche per questo
assai piccante, e però venne a procurare giudizii molto ostili
all'autore da parte degli Acattolici, senza nemmeno conciliargli la
benevolenza del Capo del Cattolicismo. Per noi riescono notevoli
sopratutto alcune parti di essa, che offrono la confutazione di cose
particolarmente addotte nel processo di eresia e contemplate con
molta puntualità: così accade p. es. a proposito dell'Eucaristia, ove
si parla della «contumelia vermium, muscarum et murium», e si muove
la quistione «cur irrisa Eucharistia miracula non facit semper»;
egualmente a proposito della «religio colendi imagines», del «colere
Crucem in qua repraesentatur crucifixus», del «peccatum Adae», del
«transitus maris rubri», etc. etc. Notevoli riescono inoltre le
narrazioni circostanziate, ma pur sempre oscure, di quel tale astrologo
che istruì un giovane incolto ad invocare gli angeli de' pianeti,
d'onde si ebbe la comparsa di diavoli e una quantità di rivelazioni,
con la conclusione che essi separarono poi il giovane dall'astrologo
e lo trassero a morte violenta: non può qui non colpire che il
Campanella parli di un astrologo, e taccia delle posteriori comparse
di angeli con le rivelazioni e facoltà ottenute, mentre, al tempo in
cui il libro fu compiuto, già con le sue lettere del 1606 al Papa e
a' due Cardinali aveva affermato essere stato quel giovane istrutto
da lui medesimo, ed avere poi lui medesimo visto altri diavoli e da
ultimo angeli; si direbbe che nell'opera egli avesse avuto ritegno di
esprimere apertamente quanto si era permesso di esprimere nelle lettere
confidenziali[450]. E si sa che lo Scioppio non tradusse in tedesco
l'opera nè la pubblicò, come l'autore desiderava, e dovè l'autore
medesimo pensare a pubblicarla quando divenne affatto libero, nel
1630, ma fu obbligato ad aggiungervi in alcuni punti le autorità de'
S.^{ti} Padri, mutando lo stile filosofico in teologico; che più tardi,
perfino dopochè l'opera era stata ampiamente approvata e pubblicata,
vi si trovarono altri appicchi nè si consentì che fosse ripubblicata,
e in somma Roma finì per non rimanerne contenta. Si sa d'altro lato
che presso gli Acattolici l'avere spiattellato tutti gli argomenti
degl'increduli, come pure l'averla tirata troppo contro il Machiavelli,
diè motivo di far dubitare della sincerità dell'autore. Ma basta aver
chiarita l'occasione nella quale l'opera fu scritta, meritando senza
dubbio tale occasione di essere molto bene considerata.
Diremo ora in breve delle altre opere appartenenti a questo stesso
periodo, scritte fra le interruzioni delle precedenti, secondochè
le circostanze le facevano apparire all'autore più o meno atte a
procurargli la libertà. Dopo l'agosto 1605 egli ebbe verosimilmente ad
occuparsi de' due trattati, de' quali si trova fatta menzione negli
elenchi delle opere mandati a' Cardinali Farnese e S. Giorgio, col
titolo «_Cur sapientes et prophetae Nationum omnium in magnis temporum
articulis fere omnes rebellionis et heresis tamquam proprio simul
crimine notentur ac morti violentae subjaceant, et postmodum cultu et
religione reviviscant_»: l'esito del suo colloquio col Nunzio e col
Vescovo di Caserta spiega ad un tempo l'interruzione dell'_Ateismo_ e
la convenienza de' detti trattati; pertanto è notevole che essi non si
trovino registrati nell'elenco mandato in sèguito al Re. Forse l'autore
stimò più conveniente metterli da parte dirigendosi all'Autorità
civile, mentre vi si parlava della «morte violenta de' filosofi» come
di un affare ordinario e consueto; forse anche egli li fece presentare
appunto al Nunzio e al Vescovo di Caserta non appena li compose, e
così potrebbe pure spiegarsi che siano andati perduti; infatti non li
troviamo nemmeno nell'elenco delle opere mandate allo Scioppio.--Il
titolo medesimo de' detti trattati ci mena a ritenere che subito dopo
egli abbia posto mano alla ricomposizione degli _Articoli profetali_
con una maggiore ampiezza, quali son pervenuti, tuttora manoscritti,
fino a noi: essi figurano negli elenchi mandati così a' Cardinali
come al Re con la nuova intestazione, _De eventibus praesentis saeculi
Articuli prophetales 18_. La nuova intestazione e il numero degli
Articoli mostrano bene che non si tratta qui degli Articoli primitivi;
il numero medesimo mostra che al tempo in cui l'autore redigeva i detti
elenchi, gli Articoli non erano compiuti ancora, poichè egli credeva
che dovessero raggiungere il n.^o di 18, ed invece non oltrepassarono
il n.^o di 16, come si trovano in più Biblioteche[451]. D'altronde
sappiamo che nel giugno o luglio 1607 il Campanella non potè o non
volle ancora mandarli allo Scioppio, il quale vivamente li desiderava
trovandosi impegnato in una quistione circa l'Anticristo, provocata
da una sua opera su tale argomento; e una lettera posteriore del
Campanella, da noi pubblicata, mostra che in novembre 1608 erano già
pronti, sicchè per essi bisogna contare un anno iniziale 1605-1606
e un anno finale 1608.--Ma ecco ancora un'altra opera, per la cui
composizione dovè rimanere interrotta egualmente quella degli Articoli,
vogliamo dire i tre libri intitolati _Antiveneti_, a' quali è del
tutto naturale assegnare la data della fine di agosto e mesi seguenti
1606, non appena l'autore ebbe notizia dell'interdetto lanciato dal
Papa Paolo V contro Venezia, come si desume dalla 1^a e 2^a lettera al
detto Papa pubblicate dal Centofanti: a questa data il Campanella diè
fuori febbrilmente le rivelazioni del diavolo e quelle dell'angelo,
alle quali i fatti di Venezia si prestavano in un modo magnifico; gli
_Antiveneti_ doverono essere composti con ottima vena in un tempo
relativamente breve, e si trovano registrati nell'elenco delle opere
mandate allo Scioppio.--Inoltre, un po' più tardi, egli dovè senza
dubbio ricomporre ed ampliare i _Discorsi a' Principi d'Italia_, che
dapprima verosimilmente erano in una forma più ristretta; lo si può
argomentare anche vedendo che gli elenchi inviati a' Cardinali recano
«Un discorso a' Principi» etc., mentre le copie manoscritte che tuttora
ci rimangono in gran numero sono abbastanza voluminose recando 11 o 12
discorsi, e, ciò che più monta, citano tutte assai spesso non solo la
_Monarchia di Spagna_, ma anche la _Monarchia del Messia_, il _Discorso
de' dritti del Re Cattolico sul nuovo mondo_, gli _Articoli profetali_;
nè vi manca (alla fine del disc. 7^o od 8^o secondo le diverse copie)
una menzione dell' «empio Machiavello» che ricorda troppo l'_Ateismo
debellato_ appena compiuto e forse non ancora compiuto[452]. La
data di siffatto lavoro può dirsi quella de' primi mesi del 1607,
quando Cristoforo Pflugh fece acquistare al Campanella la conoscenza
dello Scioppio, che appunto allora fu nominato Consigliere Austriaco
e designato dal Papa ad andare invece del Nunzio al Congresso di
Ratisbona. Tutte queste circostanze di tempo di luogo e di persone,
che si vedranno giustificate più in là, fanno intendere le opinioni
manifestate dal Campanella ne' _Discorsi_, i quali doveano servire
a rendergli propizii il Re di Spagna, l'Imperatore e gli Arciduchi
di Austria. Aggiungiamo che specialmente dopo di avere acquistata la
conoscenza di Gaspare Scioppio, ed anche del medico Gio. Fabre di
Bamberga residente in Roma, nel corso del 1607 e in parte nel 1608, il
Campanella ebbe a scrivere diversi opuscoli epistolari, come quello
_Sul modo di evitare il freddo_, quello _Sulla sordità e l'ernia_, e
gli altri tutti da noi pubblicati, cioè _Sulla peste di Colonia_, _Sul
modo di evitare il calore estivo_, _Sul Peripateticismo_, _Sul tempo
successivo alla morte dell'Anticristo_, _Sul Pieno e sul Vacuo_; avremo
occasione di parlarne nel corso della nostra narrazione[453].
Possiamo oramai venire al racconto de' particolari di ciò che il
Campanella imprese per uscire dalla fossa di Castel S. Elmo e
riacquistare la libertà: egli medesimo ne parlò segnatamente nelle
lettere che scrisse più tardi, in agosto 1606, al Papa Paolo V e al
Card.^l Farnese; e da questi fonti possiamo attingere le principali
notizie ed anche argomentare le date approssimative degli avvenimenti,
alle quali siamo sempre usi di annettere molta importanza[454]. «Dopo
5 mesi di stento» (così egli si espresse) propose al Vicerè di fare in
servizio del Re cose mirabili, che importavano più che tre regni con
aver parole del cielo, ma il Principe non volle ascoltarlo nè cavarlo
da quella fossa orrenda, nè dargli agio di scrivere quelle cose nè di
difendersi; «dopo 6 mesi» ottenne con arte di parlare al Nunzio e al
Vescovo di Caserta, dicendo che si voleva accusare (vedremo tra poco
in qual maniera si accusò e quali risposte ne ebbe), ed erano scorsi
già «10 mesi» senza che potesse trovar credito (tale è il significato
della espressione volgare da lui adoperata, «aver udienza»). Fermandoci
dapprima alle date, ammesso il trasporto del Campanella a S. Elmo
nel luglio 1604, abbiamo che egli si sarebbe rivolto al Vicerè nel
gennaio 1605, e poi avrebbe ottenuto di poter parlare al Nunzio e al
Vescovo di Caserta nel luglio dello stesso anno; così il 13 agosto 1606
erano scorsi all'incirca dieci mesi, e diciamo «all'incirca» perchè
vi sarebbe una differenza di poco oltre due mesi, i quali del resto
avrebbero potuto essere scorsi dalla data dell'assentimento ad una
visita alla data della visita fatta; tenuto conto della stagione la
cosa riuscirebbe naturalissima, ed allora il colloquio dovrebbe dirsi
avvenuto in settembre od ottobre 1605. D'altronde non deve sfuggire
che se si ammettesse il trasporto a S. Elmo avanti il luglio 1604, il
conto non potrebbe tornare in alcun modo, e però le date anzidette sono
le approssimative unicamente possibili. In qual modo il Campanella
abbia fatte le sue proposte al Vicerè, emerge precipuamente da ciò
che sappiamo intorno a' suoi opuscoli _Del Governo del Regno_, e
_Consultazione sopra l'aumento delle entrate_. Dovè presentarsi fra
Serafino di Nocera, esporre principalmente i rimedii escogitati intorno
all'annona, che tanto teneva occupato il Conte di Benavente, poi anche
quelli intorno alla moneta scadente e alla pena di morte nel senso di
far guadagnare altri 200 mila ducati, ed indicare la provenienza di
ciò che aveva esposto mettendo fuori il nome del Campanella, capace
di queste e di molte altre cose mirabili; ma non dovè trovare buona
accoglienza, e così il Campanella potè poi dire che il Principe non
volle ascoltarlo. Parrebbe che fra Serafino avesse anche sollecitato
pel Campanella, ed inutilmente, il permesso di porre in iscritto le sue
idee; ma se così passarono realmente le cose, non potrebbe trarsene la
conseguenza che il Campanella non avesse già scritti questi rimedii
intorno alle entrate, ed anche altri libri, poichè conveniva tenere
tale fatto nascosto. Le sue «cose mirabili» furono ricordate egualmente
nelle lettere del 1606 ai Cardinali, nella lettera del 1607 al Re, e
tanto più tardi ancora nel Memoriale del 1611 al Papa che pubblicò
il Baldacchini, non senza un qualche miglioramento ed accrescimento
ulteriore: a capo di esse nel 1606-1607 troviamo sempre, e sotto pena
della mutilazione di una mano nel caso di menzogna, il far aumentare
le rendite nel Regno di 100 mila scudi oltre l'ordinario, appunto ciò
che si legge ne' primi versi della _Consultazione_; poi vengono altre
promesse, far guadagnare per una volta 500 mila scudi per una impresa
importantissima a tutti i negozii d'Europa, fare un libro ove si
mostri venuto il tempo di riunire tutte le genti sotto una sola legge
ed un principato felicissimo etc., fare un altro libro segreto al Re
ove si mostri il modo di arrivare a questa monarchia, e così tante
altre cose atte ad eccitare l'estro del soprannaturale e l'ingordigia
terrena[455]. Molte di queste cose erano evidentemente «parole di
cielo», e del resto la _Consultazione_ medesima si vede saper tanto di
cielo che è un piacere. Malgrado ciò, non fu possibile piegare l'animo
del Vicerè, come non fu possibile nemmeno di piegar l'animo del Papa in
sèguito. Intanto il Campanella mostrava che la sua pazzia era finita;
e siamo in grado di esporre l'esito finale delle dette pratiche,
poichè dagli ultimi brani di ciascun Discorso della _Consultazione_,
aggiunti come poscritti più tardi, se ne può rilevare qualche notizia.
Solamente dopo alcuni anni l'opuscolo venne accolto in Palazzo, ove fu
portato dal P.^e Pegna (un P.^e Gaspare Pegna forse Domenicano, del
quale non ci è riuscito finora saper altro), e il Segretario Torres,
che lo lesse, approvò taluni mezzi in esso suggeriti, contro altri
fece varie obiezioni alle quali il Campanella rispose. In particolare
circa l'annona il Torres comandò che l'autore scrivesse sopra un
altro punto: ma il Campanella fece sapere che ne avea scritto nella
_Monarchia_ già mandata al Re, appellandosi al Vescovo di Monopoli il
quale l'avea letta, e si rifiutò di scriverne ancora volendo essere
«inteso a bocca» da S. E., costante desiderio che non fu mai esaudito.
L'appello al Vescovo di Monopoli ci mostra che tutto ciò dovè accadere
non prima del 1608, quando già al Campanella erano state procurate
molte commendatizie presso il Vicerè, come sappiamo da altri fonti, e
il Vescovo di Monopoli P.^e Gio. Lopez Domenicano, rinunziata la sua
Chiesa per grave età, e giunto in Napoli, vi era trattenuto dal Vicerè
qual suo Consigliere intimo, sino a che gli fu concesso di ritirarsi a
Valladolid sua patria[456].
Fermandoci alle mosse del Campanella nel 1605, riuscita inutile quella
fatta in gennaio presso il Vicerè, dicevamo che in luglio ne fece
un'altra presso il Nunzio e il Vescovo di Caserta: e qui innanzi tutto
dobbiamo avvertire che Nunzio era ancora l'Aldobrandini, ma Vescovo
di Caserta era fra Diodato Gentile, successo già al Tragagliolo nel
Commissariato generale del S.^{to} Officio in Roma, e poi successo
al Mandina defunto nel Vescovato di Caserta, con _exequatur_ del 24
luglio 1604, occupando del pari la carica di Ministro della S.^{ta}
Inquisizione nel Regno. Senza dubbio per far uscire il Nunzio dalla
sua apatia verso di lui, il Campanella disse di volersi accusare,
onde il Vescovo di Caserta fu chiamato ad intervenire egli pure; e
così il Campanella potè anche dire di averli chiamati «con arte».
Naturalmente, più o meno presto, essi doverono recarsi a S. Elmo, ed
ivi in qualche sala ascoltare il Campanella, ma non videro la sua
prigione: questo leggesi in un altro brano della lettera a Paolo V, ove
il Campanella racconta che Mons.^r Nunzio vide il carcere di fuori, e
per non avere a contradire al Vicerè non entrò nè mandò a vederlo, e
disse che era buono, «nel modo ch'ogni sepoltura par buona di fuori».
Ecco ora il discorso del Campanella e le osservazioni de' due Vescovi;
sarà meglio far parlare il Campanella medesimo: «M'accusai come, per
mancanza dello spirito, che trovai tra' Cristiani molto difformi
dell'antichità e profession nostra, mi risolsi ad esaminar la fede con
la filosofia Pitagorica, Stoica, Epicurea, Peripatetica, Platonica,
Telesiana e di tutte sètte antiche e moderne, et con la legge delle
genti antiche e d'Ebrei, Turchi, Persiani, Mori, Chinesi, Cataini,
Giaponesi, Bracmani, Peruani, Messicani, Abissini, Tartari, et com'ho
con tutte le scienze finalmente humane e divine assicurato me stesso
et gli altri che la pura legge della natura è quella di Christo, a cui
solo li Sacramenti son aggiunti per aiutar la natura a ben operare
con la gratia di chi l'ha dati; et che son pur simboli naturali et
credibili: et vidi come Dio lasciò tante sètte caminare, e la mancanza
dello spirito in noi, e lo scompiglio della natura e suo fine. Onde
son fatto possente a difensar con tutto il mondo il Christianesmo;
che fui sentinella fin mò dell'opere di Dio. E come la divina Maestà
disegna in questo tempo far una greggia et un Pastore, e 'l giudicio
dell'errore di tante nationi, e quel che soprastà al Christianesmo: e
li sintomi celesti et terrestri del mondo morituro per fuoco, contra
li filosofi con S. Pietro et Heraclito. La difficoltà del mondo
nuovo, e dell'incarnatione et altri articuli difficultosi, l'esamina
delle profetie e miracoli veri e falsi d'ogni setta. Et com'io et
altri fummo ingannati dal diavolo aspettando scienza e libertà da
lui, credendoci che fosse Angelo, e poi Dio, secondo si fingeva; e
come, dopo lunga dieta, Dio benigno condescese al mio desiderio, che
mai non fu maligno, se fu erroneo: e presentai memoriale di questa,
e molti capi di cose faciende ad utile del Christianesmo. Nondimeno
Monsignore Nuntio rispose ch'io era poco humile. Non so se l'ha fatto
per provarmi: perchè ben so ch'è scritto nella Sapienza: _Qui intuetur
illam permanebit confidens_: et che l'humiltà è magnanima et non
vile, et io certo so che mai non ho bramato dignità nè honori, et a
tutti vilissimi servitii ho posto mani. _Sed neque me ipsum judico_.
Monsignor di Caserta fece conseguenza, ch'havendo io vagato per tante
sètte, e cercato li miracoli veri e falsi, e le profetie e la novità
del secolo, com'egli lesse nel mio processo in Roma, non havevo
cattivato _me ad ossequium Christi_: e che mò voglio far miracoli falsi
per scampare o allungar la vita. Ben fanno a non creder subbito; ma
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