Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 34

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quali ultime circostanze abbiamo detto che la 2^a edizione del libro
dovè essere preparata dopo il 1629; giacchè dal _Syntagma_ sappiamo
con certezza che il libro _De fato siderali_ etc. fu scritto nel S.
Ufficio di Roma dopo la liberazione dal lunghissimo carcere di Napoli,
vale a dire tra il 1626 e il 1629. Non è arrischiato l'ammettere che le
modificazioni successive introdotte dall'autore nel modo di esprimere
le sue opinioni circa Gesù, e circa i premii e le pene e l'eternità di
esse, rappresentino pure e semplici attenuazioni _pro bono pacis_: e
merita di essere considerata la sua persistenza in altrettali opinioni
fino agli ultimi anni della sua vita, benchè abbia contemporaneamente
abbondato nella composizione di libri di assolute credenze Cristiane
Cattoliche.
[361] Ved. Poesie, ed. D'Ancona, p. 95.


CAP. VI.
ESITI DE' DUE PROCESSI, FINE DELLA PAZZIA E CONCHIUSIONE.
(dal settembre 1602 al novembre 1604 e seg.^{ti})

I. Nel settembre 1602, ritornando a Napoli, il Vescovo di Caserta
giusta gli ordini avuti dovè riunirsi col Nunzio e col Vicario Palumbo,
procedere con loro a' voti su ciascuno de' frati, e poi partecipare
questi voti a Roma. Egli avea fatto redigere un completo «Sommario del
processo», sulla base di quello formato in Roma dal Monterenzio con
l'aggiunta delle cose raccolte posteriormente, ed anche un «Riassunto
degl'indizii» per ciascuno degl'inquisiti, in fine del quale si
registrò di poi il voto di ciascun Giudice. Queste scritture, composte
quasi tutte dal Segretario del Vescovo D. Manno Brundusio, insieme con
le bozze e con le copie de' Riassunti fornite di numerose postille di
carattere del Vescovo, sono pervenute in mano nostra: esse non fanno
parte del processo propriamente detto, ma ne compiono molto bene la
conoscenza[362]. Il Vescovo medesimo scrisse di suo pugno un elenco de'
giudicabili in testa delle Copie de' Riassunti, e segnò queste con un
numero progressivo in corrispondenza dell'elenco suddetto: naturalmente
dobbiamo credere che nell'ordine medesimo si procedè alle votazioni; e
siccome troviamo in primo luogo fra Pietro Ponzio, sul quale certamente
nella 2^a metà di agosto non si era votato ancora (ved. pag. 282),
possiamo desumere che le votazioni cominciarono al più presto in
settembre, verosimilmente nella 2^a metà di settembre.
Si votò dunque dapprima su fra Pietro Ponzio. Il Riassunto contro
costui recava: non essere stato nominato nel processo di Calabria ma
carcerato d'ordine del Visitatore e per detto di D. Carlo Ruffo come
germano di fra Dionisio: essere stato più volte accusato dal Pizzoni
di minacce fatte nelle carceri da parte del Campanella, perchè esso
Pizzoni si ritrattasse, ma avere ciò negato fra Paolo citato per
conteste; essere stato sorpreso in colloquio notturno col Campanella
che fingevasi pazzo, dal quale colloquio risultava «non lieve sospetto
di familiarità lasciva e disonestissima tra di loro, sebbene fra
Pietro fosse innanzi negli anni, rilevandosi dalla sua deposizione,
e dall'aspetto, di maggiore età, di anni trenta»; infine non essere
stato nè reputato nè esaminato come reo dal Vescovo di Termoli e da'
colleghi (si sarebbe dunque potuto e dovuto lasciarlo in pace da molto
tempo). Il Nunzio, il Vescovo medesimo ed il Vicario Palumbo, a voti
uniformi giudicarono dover essere rilasciato per ciò che spettava
al S.^{to} Officio, ma con fideiussione, potendo forse risultare
qualche cosa contro di lui nel progresso delle cause del Campanella
e fra Dionisio.--Da questo primo Riassunto può già rilevarsi l'animo
e l'andamento del Vescovo di Caserta; preciso nella esposizione de'
fatti, come del rimanente ci consta per tutti i Giudici di S.^{to}
Officio la cui opera abbiamo potuto studiare, ma feroce e senz'ombra
di carità nella valutazione ed interpetrazione de' fatti esposti,
ad un grado che ben raramente ci è accaduto d'incontrare. I lettori
conoscono il colloquio notturno del Campanella e fra Pietro che il
Vescovo citava (ved. pag. 88); come mai costui potè dargli quella
brutale interpetrazione? È la cosa che più ci offende da parte di
questo Vescovo, e che mostrerebbe veramente in lui un'anima abietta al
maggior segno: si può solo perdonargli, conoscendo come fra tutte le
grandi soddisfazioni, che altrettali soggetti possono godere, è del
tutto negata loro quella di una tenera e sentita amicizia, onde debbono
finire col perderne assolutamente ogni senso.
Si venne poi a fra Paolo della Grotteria. Recavasi contro di lui
essergli stato trovato un libercolo di segreti e sortilegi, scritto non
di sua mano, pel quale avea prodotto scuse varie e non mai accertate;
essere stato nominato tra' complici del Campanella dal Pizzoni, dal
Soldaniero, dal Petrolo, ma da una parte averlo poi fra Dionisio
negato, e d'altra parte avere il Pizzoni chiarito che non dovea dirsi
complice ma familiare, ed anche avere il Petrolo chiarito che lo
conosceva amico del Campanella solo per detto altrui. Considerando che
il libercolo, per relazione del P.^e Cherubino, conteneva semplici
superstizioni soltanto, e per diretta ispezione, appena due volte
mostrava abuso di parole sacre, tutti e tre i Giudici, a voti uniformi,
decisero doversi fra Paolo rilasciare con fideiussione, pel medesimo
motivo detto innanzi, valutando qual pena il carcere sofferto.--Così
verso questo frate de' più fangosi, e già galeotto, il tribunale fu
piuttosto benigno, tanto che vedremo la Sacra Congregazione di Roma
giudicare necessaria per lui qualche pena spirituale.
E si passò al Bitonto. Ricordavasi per costui la sua amicizia
intrinseca col Campanella e fra Dionisio attestata da diversi, la
visita da lui fatta al Campanella, la dichiarazione del Pizzoni di
essere complice del Campanella; inoltre l'essere stato preso in abito
secolare, l'avere conversato con secolari di pessima vita, tra gli
altri con Cesare Pisano; principalmente poi venivano messe in mostra
le ripetute deposizioni del Pisano, il viaggio fatto con lui a Messina
e le molte eresie formali dette in tale occasione, rilevate anche
nell'altro foro innanzi allo Sciarava, senza sapersi con quale autorità
raccolte da costui, confermate poi in punto di morte, ratificate col
tormento, e non invalidate da una deposizione di Giuseppe Grillo.
I Giudici, del pari a voti uniformi, decisero doversi al Bitonto
amministrare la tortura per un'ora, e non risultando altro doversi
rilasciare con fideiussione.--Venne poi notato, dopo la discussione
sul Bitonto, che gl'indizii medesimi constavano tutti anche per fra
Giuseppe di Jatrinoli, contro cui non erasi mai proceduto ad Atto
alcuno, forse perchè non si trovava preso, ignorandosi anche se ne
fosse stata mai ordinata la cattura o la citazione; e però i Giudici
emisero il voto che fosse carcerato e si procedesse contro di lui.
Contro fra Pietro di Stilo rammentavasi la sua familiarità ed amicizia
intrinseca col Campanella fin dalla puerizia; la testimonianza del
Lauriana, che il Campanella ne faceva gran capitale e parlava con
lui delle eresie; la testimonianza del Soldaniero che fra Pietro era
venuto presso di lui a sollecitarlo perchè andasse a visitare il
Campanella; l'aver lui portata una lettera al detto Soldaniero, ciò che
lo dimostrava consapevole de' segreti del Campanella. Inoltre il non
aver denunziato il Campanella, mentre ne conosceva alcune eresie, e
come religioso e come Vicario del convento era strettamente obbligato
a denunciarlo e a fuggirlo; averlo invece continuato a commendare
per uomo dotto e sapiente, ed essersi poi negato a deporre, nel 1^o
processo, ciò che egli ne conosceva. E qui, accennate le divergenti
opinioni de' dottori intorno al doversi o no ritenere veementemente
sospetto di eresia lo sciente e non rivelante, concludevasi per
l'affermativa, aggiungendo che tale veemente sospetto di eresia veniva
comprovato dall'avere fra Pietro più volte dichiarato di volere
ammogliarsi, benchè si fosse poi scusato allegando di averlo detto
in via di scherzo. E però il Vescovo di Caserta emetteva il voto che
gli si dovesse amministrare la tortura per purgare gl'indizii: ma
il Vicario Palumbo opinò che dovesse prima sottostare ad un nuovo
interrogatorio più diligente e poi darglisi una lieve tortura, e
non risultando nulla, dovesse abiurare come lievemente sospetto di
eresia ed essere rilasciato, ma col bando dalla Calabria; il Nunzio,
da parte sua, si uniformò al voto del Palumbo.--Così questa volta la
maggioranza del tribunale non seguì la foga del Vescovo di Caserta, il
quale evidentemente potea riuscire tollerabile come accusatore ma non
come Giudice. Egli confondeva nel più basso modo curialesco i fatti
concernenti la ribellione con quelli concernenti l'eresia, non teneva
conto dell'essere stato il Lauriana dimostrato falso testimone, non
teneva conto dell'essere stato il Soldaniero dimostrato di pessime
qualità e forzato da fra Cornelio a dire quel che disse, non teneva
conto degli esecrabili procedimenti di fra Cornelio, onde fra Pietro
non avea creduto di dover rispondere nell'esame al quale costui l'avea
chiamato. I Sommarii de' processi offrivano capitoli speciali contro
il Lauriana, contro il Soldaniero, contro fra Cornelio e lo stesso
Visitatore, ma questi capitoli pel Vescovo di Caserta rimanevano
inavvertiti. Eseguita poi la votazione, il Vescovo aggiungeva che le
lettere di fra Pietro ultimamente scoverte (le lettere alle Sig.^{re}
Prestinaci etc.) aumentavano i sospetti contro di lui (quasi che quelle
lettere alludessero ad eresie)! Poteva e doveva fra Pietro ritenersi
colpevole, ma molti degli argomenti addotti dal Vescovo potevano e
dovevano tralasciarsi.
Contro il Petrolo allegavasi l'amicizia, conversazione intrinseca e
confidenza col Campanella, di cui era discepolo; la fuga insieme presa
in abito secolare; la comunicazione fattagli dal Campanella di più e
diverse eresie oltrechè del segreto della ribellione, come esso Petrolo
avea confessato, senza mai allontanarsene e senza denunziarlo, avendo
appena deposto tali cose sotto le minacce e i terrori da parte del
Visitatore. Inoltre la confessione ultima di Cesare Pisano ratificata
in tortura, che rivelava molte eresie dette da fra Dionisio essere
state confermate dal Petrolo; la testimonianza del Lauriana che egli
fosse complice nella ribellione; la sua stessa condotta variabile
tenuta nell'affermare, nel ritrattarsi, nel dichiarare falsa la sua
ritrattazione. Laonde il Vescovo di Caserta opinava che gli si dovesse
amministrare due volte la tortura, e non risultando altro, si dovesse
farlo abiurare come veementemente sospetto di eresia e bandirlo dalla
Calabria rilasciandolo sotto fideiussione; il Nunzio si uniformò a
questo voto, ma il Vicario Palumbo votò per una tortura sola bensì
gagliarda, accettando tutto il resto.--Come si vede, erano sempre messe
in fascio la ribellione e l'eresia; e quantunque ciò accadesse ora in
un campo più generale e più comportabile, non si può non riconoscere
che il tribunale sconfinava, ed ammetteva un fatto, il quale non
gli constava direttamente, e non era nemmeno passato ancora in cosa
giudicata nelle persone de' frati. D'altronde pel Petrolo bastavano le
proprie confessioni, rivedute e corrette con quelle del Pisano, ma il
Vescovo di Caserta si credeva in obbligo di raccogliere tutto il peggio
possibile, senza curarsi troppo di farne la scelta.
Contro il Lauriana ponderavasi la sua qualità di discepolo e confidente
del Pizzoni «indiziato e quasi convinto delle eresie e degli altri
delitti del Campanella»; la testimonianza del Soldaniero, che fosse
uno degli eletti a predicare; l'avere udite eresie dal Campanella e
dallo stesso Pizzoni senza averle rivelate; l'aver suonato la campana
all'armi quando si andò a carcerarlo, con che mostrava «aver avuto
coscienza e partecipazione de' delitti del Campanella». Inoltre il
non aver deposto in giudizio se non dopo di essergli state comminate
pene più gravi; e poi l'aver variato nelle deposizioni, l'aver cercato
per lettere intorno ad esse consigli al Pizzoni e scuse a Ferrante
Ponzio, negando in sèguito questi fatti e rimanendo convinto di
mendacio; l'aver menato vita criminosa con costumi riprensibili etc.
E però il Vescovo di Caserta espresse anche per lui il voto che gli
si dovesse dare due volte la tortura, e non risultando nulla, dovesse
abiurare come veementemente sospetto di eresia ed essere rilasciato
con fideiussione: il Nunzio acconsentì a questo voto, ma il Vicario
Palumbo votò per una tortura sola e per l'abiura come lievemente
sospetto.--Senza dubbio contro questo abietto frate si sarebbe stato
assai più nel vero procedendo per falsa testimonianza; ma non si
usava, senza evidentissime ragioni, passar sopra alla quistione
dell'eresia.
Con la votazione sul Lauriana chiudevasi la discussione sui frati i
quali aveano rinunziato alle difese, e per tutti costoro i Giudici
concordemente emisero pure il voto, che dovessero essere esiliati da
entrambe le provincie di Calabria, e tenuti in monasteri ne' quali
i loro Superiori potessero osservarne la vita e i procedimenti.
Notiamo qui che non ci è pervenuta alcuna notizia di votazione fatta
intorno al Campanella, e che verosimilmente non ce ne fu, a motivo
della sua pazzia legalmente accertata, la quale facea sospendere ogni
Atto ulteriore contro di lui. Ma non deve sfuggire che ne' Riassunti
degl'indizii sopra riferiti, e basta guardare quello del Lauriana,
trovasi espresso in termini non equivoci il giudizio di colpabilità
sul Campanella, e così pure sul Pizzoni defunto. Notiamo ancora che in
tutte le votazioni fatte il Nunzio non mostrò mai un'opinione propria,
mentre pure egli che sedeva al tempo stesso nel tribunale della
congiura, e conosceva intimamente molte e molte cose estragiudiziali,
avrebbe potuto e dovuto tenerla; ma indubitatamente egli non avea
studiato nè seguito con premura lo svolgimento del processo, fu quindi
obbligato a rimettersene a' colleghi, e pur troppo preferì quasi
sempre uniformarsi al voto del collega peggiore. Invece il Vicario
Palumbo mostrò sovente un'opinione propria: i motivi da lui addotti per
sostenerla non furono registrati, ma possono intendersi agevolmente da
quanto sappiamo intorno al processo, e bisogna dire che questa opinione
riuscì molto più giusta; vedremo che la Sacra Congregazione di Roma la
preferì costantemente.
Non rimaneva che procedere alla discussione e votazione su fra
Dionisio. Il 20 settembre i Giudici emisero l'ordine di citarne
l'Avvocato D. Attilio Cracco, perchè l'indomani comparisse nelle
case loro a dire ed allegare quanto volesse, a voce ed in iscritto,
avvertendolo che avrebbero spedita la causa anche senza la sua
comparsa. E subito dopo doverono imprendere la discussione de' meriti
della causa, poichè nel Riassunto degl'indizii troviamo affermato
essersi i Giudici più volte riuniti a tale oggetto, e nel processo
troviamo registrata la loro decisione in data del 24 settembre[363].
Ben lungo e circostanziato fu il Riassunto degl'indizii, scritto
interamente dal Vescovo di Caserta, contro fra Dionisio: e poichè esso
da tanti lati riguarda anche la persona del Campanella, contro cui non
abbiamo un'analoga scrittura, lo riporteremo per quanto è possibile
minutamente, accompagnandolo pure con qualche appunto; del resto
raccomandiamo di consultare il documento originale[364]. Rammentavasi
contro fra Dionisio la 1^a deposizione del Pizzoni in Calabria ed anche
la ripetizione del medesimo in Napoli; la deposizione del Lauriana, e
quelle del Soldaniero, del Pisano, del Conia; la sua fuga dal convento
di Pizzoni mentre procedevasi all'arresto del Pizzoni, e la sua cattura
avvenuta in Monopoli mentre cercava mettersi in salvo con Maurizio; la
sua amicizia strettissima e piena confidenza col Campanella, durata
anche dopo che lo zio P.^e Pietro Ponzio glie l'aveva inibita sotto
pena di maledizione; la sua lettera al P.^e Vincenzo Rodino, in cui
parlava di molti segreti che non conveniva affidare alla penna, la
sua qualità e i suoi costumi di poco buono odore, le vanterie di
brutti peccati commessi, l'irrequietezza e il continuo vagare per la
provincia anche «in compagnia de' giovanetti Cesare Pisano e Alfonso
Grillo» (evidentemente il Vescovo aveva una speciale tendenza a vedere
certi vizii da per tutto); infine l'ultima rivelazione di Maurizio,
che non avendo mai confessato nulla con 70 ore di tortura, volle poi
sgravare la sua coscienza, e «comportandosi abbastanza sobriamente,
disse soltanto ciò che avea saputo dal suo cognato Gio. Battista
Vitale» (era proprio certo che dovesse saperne di più). Allegavasi poi
e combattevasi ciò che fra Dionisio si era sforzato di dimostrare nelle
sue difese contro le persone e i detti de' testimoni a suo carico. E
circa il Pizzoni, notavasi che gli era stato nemico e gli avea rubati
alcuni scritti, ma osservavasi che già si erano riconciliati tra loro
onde conversavano sempre insieme e si trovarono riuniti anche nel
momento dell'arresto del Pizzoni; notavasi che il Pizzoni avea pessimi
costumi, ma con una classica frase osservavasi che in ciò «nulla avea
da dire Catilina a Cetego»; notavasi che era stato vario in certi fatti
ed avea osservato molte cose essere state inserte falsamente negli
esami da fra Cornelio, ma osservavasi che si erano avute «correzioni
piuttosto che varianti», e si dovea credere a quel testimone tanto
più, perchè in fondo avea sempre persistito nella prima deposizione
malgrado i tanti esami fatti e rifatti dal Vescovo di Termoli (e qui un
calcio d'asino al suo predecessore); nè doveasi prestar fede all'ultima
assertiva di ritrattazione scritta dal Pizzoni in punto di morte e
consegnata al suo confessore, poichè questa non s'era trovata e il
confessore P.^e Pietro Peres (forse Gonzales) non era di buoni costumi
ed avea confessato di nascosto, senza il permesso de' Commissarii
e del Curato, e poi per comune sentenza de' dottori non si dovea
tener conto delle dichiarazioni de' morenti, estorte da confessori
e confortatori, non essendo neanche ogni morente un S. Giovanni
Battista (ma in tutti i modi, lasciando in pace S. Giovanni Battista,
bisognava cercarla quella confessione e non essere verso i costumi del
confessore più severo che verso quelli del Pizzoni, del Lauriana e del
Soldaniero). Circa il Lauriana notavasi esserne stata messa in mostra
l'intima amicizia col Pizzoni, la mala vita, l'opinione acquistata
di testimone falso; ma osservavasi che queste ragioni erano frivole,
e bisognava tener conto della diffamazione procuratagli da' Ponzii
medesimi e dagli altri frati; che anzi le sue deposizioni erano assai
verosimili, mentre già da un pezzo prima, quando non vi era sospetto
d'inquisizione, per iscrupolo egli aveva attestato qualche cosa contro
fra Dionisio, e poi non risparmiò neanche il suo maestro Pizzoni, e
catturato con lui all'improvviso, senza precedente concerto, si trovò
d'accordo con lui, nè cedè alle minacce de' Ponzii, «i più furbi ed
astuti tra' calabresi» (e le suggestioni di fra Cornelio provate
per tante vie? e le incertezze posteriori e i mendaci provati dallo
stesso Pizzoni?). Circa il Soldaniero notavasi essere stata allegata
la seduzione per parte de' Polistina, sotto promessa dell'indulto
che poi gli fu concesso dallo Spinelli, le sue molte varianti con sè
medesimo e con Valerio Bruno suo domestico, il mendacio provato con le
deposizioni del priore e lettore di Soriano sulla circostanza dell'aver
fatto cacciare fra Dionisio e il Pizzoni dal convento: ma osservavasi
che nulla constava della pretesa seduzione (pertanto il nome di fra
Cornelio figurava nell'indulto), e il Soldaniero era stato dichiarato
dal Pizzoni già anteriormente consapevole di tutto, per comunicazione
fattagli dal Campanella mediante fra Dionisio, ciò che era del pari
provato dal priore e lettore di Soriano, e poi il Campanella medesimo
gli avea mandato per fra Pietro di Stilo una lettera, come era
confessato da fra Pietro ed attestato dal priore e dal lettore che la
videro (ma la lettera non parlava di eresia, e si trovano qui sempre
studiatamente confuse l'eresia e la congiura); nè le differenze tra
lui e Valerio Bruno erano sostanziali, e Valerio, scorso un anno, avea
potuto dimenticare qualche cosa ed anche mentirla, sussistendo non di
meno una conformità tra il Soldaniero ed altri testimoni non sospetti.
Circa il Pisano, si era allegata un'antica inimicizia per la parte
da lui presa nella causa di fra Dionisio contro i Polistina, e la
deposizione del Bitonto e del Petrolo, come pure di Giuseppe Grillo,
attestanti non essersi fatti discorsi di eresia nella casa del Grillo:
ma l'inimicizia era senza dubbio estinta, mentre fra Dionisio era
andato col Pisano fino a Messina, e più tardi, insieme col Campanella,
era andato a visitarlo nelle carceri di Castelvetere, per procurarne la
liberazione, come aveva anche scritto al P.^e Rodino; nè poteva tenersi
conto delle deposizioni negative del Bitonto e del Petrolo, essendo
costoro complici e socii nel delitto, nè di quella del Grillo, essendo
inverosimile che i frati avrebbero parlato di cose tanto gravi in
presenza di persone non sicure, e d'altronde la deposizione del Pisano
era stata convalidata pure in punto di morte e ratificata in tortura.
Circa il ì, si era allegata una fede del Cappellano della galera su
cui fu confortato a ben morire, attestante aver dichiarato false le
cose da lui deposte contro monaci, in materia di ribellione e di
eresia, essendogli state estorte con le torture dategli dallo Sciarava:
ma questa fede non aveva alcun valore, perchè non rappresentava una
deposizione giurata, perchè citava come contesti i P.^i Ministri
degl'infermi ed uno di essi nella sua fede parlò del Vitale e non del
Caccìa, perchè riguardava le deposizioni fatte innanzi allo Sciarava
e non quelle fatte spontaneamente innanzi al Vescovo di Gerace etc.
Aggiungevasi che erano state pure prodotte fedi di alcune università
che attestavano avervi fra Dionisio predicato con edificazione
dottrine cattoliche, ma, naturalmente, ciò non bastava. E ricordata
una quistione trattata dal Pegna nelle sue aggiunte all'Eimerico, che
cioè essendo i testimoni legittimi e degni di fede, ma diversi per
luogo e per tempo, non si aveva una convinzione piena e tale da fare
assegnare la pena ordinaria per l'eretico negativo ed impenitente (vale
a dire la degradazione e la morte), ricordata d'altro lato la gravità
degl'indizii, presunzioni e congetture, segnatamente la circostanza del
trovarsi «pienamente convinto nella connessa causa della ribellione»,
si veniva a' voti. Ed uniformemente tutti e tre i Giudici votarono la
doppia tortura, seguita dall'abiura per veemente sospetto di eresia,
aggiungendovi la relegazione, dopo scontata la pena per la causa della
ribellione che doveva ancora essere spedita, in un convento fuori la
provincia, a scelta de' Sig.^{ri} Cardinali supremi inquisitori, con
l'obbligo di alcune penitenze salutari vita durante.
Gli appunti sparsamente fatti nell'esporre questo Riassunto ci
dispensano da ogni ulteriore commento sopra di esso. Principalmente
fra Dionisio era più che colpevole in eresia, ma il Vescovo di Caserta
spiegava contro di lui insinuazioni su tutto e su tutti, equivoci
volontarii, interpetrazioni doppie, giudizii benignissimi sui testimoni
a carico e severissimi su' testimoni a discarico, premura nel trovare
la colpa più che la verità, indifferenza per gli odii ferocissimi delle
fazioni fratesche e per la nequizia de' primi inquisitori, che avevano
tanto influito nella formazione del processo: insomma, l'abbiamo detto
altra volta, i frati erano colpevoli, ma meritavano migliori Giudici;
un solo ne ebbero veramente buono, il Vescovo di Termoli, e fu tolto
loro dalla morte, e il Vescovo di Caserta non risparmiò le insinuazioni
nemmeno verso di lui. Giova conoscere testualmente ciò che egli ne
disse: «ognuno che si faccia a guardare rettamente il modo tenuto dal
predetto Vescovo nel ripetere tante volte i testimoni del processo
offensivo, benchè debba piamente credere che il Vescovo l'abbia usato
per investigare e ricercare la verità, pure vi trova non saprebbe
dirsi quale umano desiderio di voler cogliere in falso i testimoni
del fisco e distruggere il processo di Calabria». Non era umano ma
divino desiderio quello di legger chiaro in un processo nato sotto
tanti maligni influssi e brutto per tante irregolarità; il Vescovo
di Caserta, scrivendo a quel modo, mostrava bene che il senso della
giustizia non era in lui molto sviluppato. Il Campanella, nella sua
Narrazione, come deplorò la morte del Vescovo di Termoli così giudicò
il Vescovo di Caserta, e disse che costui «con dar tormenti et esser
troppo fiscale non provò altro»: la qualità di «troppo fiscale» era
il meno che potesse dire, e bisogna tener presente che nelle sue
condizioni il Campanella dovea mostrare i più grandi riguardi alle
persone e alle cose di S.^{ta} Chiesa.
Esaurite le discussioni e le votazioni, doverono mandarsi a Roma
i Riassunti degl'indizii co' voti de' Giudici, ed una copia, con
le relative bozze, ne rimase presso il Vescovo, ed è quella a noi
pervenuta: ma dobbiamo notare che il Riassunto contro fra Dionisio vi
si trova solamente in bozza, non ricopiato, donde si desumerebbe che
tutto questo lavoro durò fin oltre il 16 ottobre, e che il Riassunto
contro fra Dionisio forse non fu mandato, come non dovè essere
mandato nemmeno quello contro il Bitonto, poichè costoro a quella
data riuscirono a mettersi in salvo.--Intanto deve notarsi che nel
processo fu registrata la decisione presa su fra Dionisio con la data
de' 24 settembre: questo fatto riesce singolare, poichè i voti de'
Giudici servivano solamente per proposte da sottomettersi alla Sacra
Congregazione Romana de' Cardinali Inquisitori, dalla quale poi veniva
presa la risoluzione che doveva essere seguita da' Giudici nella
spedizione della causa. Noi crediamo assai verosimile che la decisione
su fra Dionisio sia stata inserta nel processo molto più tardi,
quando tutto fu esaurito, per far trovare un ricordo e non lasciare
addirittura senza conclusione la causa di un soggetto principalissimo,
su cui si aggirava la più gran parte del voluminoso processo.
Come dicevamo, fra Dionisio ed il Bitonto riuscirono a mettersi
in salvo il 16 ottobre; essi fuggirono dal Castello insieme col
carceriere, e senza dubbio tale fuga dovè essere preceduta da
lunghi concerti, pe' quali probabilmente occorsero tutte quelle
tergiversazioni, tutti quegl'incidenti fatti nascere da fra Dionisio
negli ultimi tempi, non esclusa forse la rissa medesima con tutte
le sue conseguenze prevedute e calcolate. Il Nunzio, il Vescovo di
Caserta, e parimente il Card.^l Gesualdo Arcivescovo di Napoli, tutti
mandarono a Roma la notizia della fuga, che appunto dal Carteggio del
Nunzio si rileva nella sua data e qualità precisa. In Roma se n'ebbe
dispiacere, come si rileva da una lettera del Card.^l Borghese in
risposta a quella del Nunzio, al quale fu raccomandato caldamente di
adoperarsi per riavere nelle mani i frati fuggiaschi[365]. In Napoli
se n'ebbe «universale meraviglia», come si rileva da una lettera
del Residente Veneto Anton Maria Vincenti[366]; e sicuramente il
Vicerè dovè ordinare un'apposita inchiesta, ma di tale ordine non
c'è riuscito trovare alcuna traccia. Abbiamo bensì trovato ordini
vigorosi in questo senso, venuti da Madrid non appena vi giunse la
notizia della fuga, e con essi menzionata una carta di avvertenze da
doversi tener presenti, la quale carta per altro non fu trasmessa
all'Archivio di Stato: con ogni probabilità le avvertenze principali
riflettevano la convenienza e la maniera di conoscere se Roma avesse
tenuto mano in tale faccenda. Abbiamo trovato inoltre che lo Xarava,
recatosi a Madrid per sollecitare la sua nomina a Consigliere, profittò
dell'avvenimento per offrirsi ad «impinguare», come allora si diceva,
l'inchiesta, e finqui la cosa riesce naturale: ma ciò che riesce
strano si è l'essersi offerto pure nientemeno che a procedere nella
causa di eresia tanto di fra Dionisio quanto del Campanella, siccome
bene informato di tutti i loro disegni, e l'essersi da Madrid ordinato
al Vicerè di vedere cosa convenisse fare circa l'intervento dello
Xarava; decisamente la fuga di fra Dionisio avea fatto volgere la più
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