Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 18

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mai potuto cavarne alcuna spiegazione. Dietro dimanda d'ufficio, disse
che il Pizzoni gli aveva fatto scrivere al P.^e Generale una lettera
in cui gli pareva «più presto de sì che altramente» che si fosse fatta
menzione di fra Dionisio, parlandosi di ribellione e di cose di S.^{to}
Officio. Sugl'interrogatorii speciali per lui, disse che il Pizzoni lo
aveva una volta mandato a vendere per sei ducati un libro di prediche
a fra Vincenzo Perugino, il quale non lo volle, ed egli non ricordava
che fra Vincenzo avesse detto che erano prediche di fra Dionisio; che
egli aveva una volta avuto penitenze da fra Dionisio; che nel convento
di Pizzoni, per salire alla cucina, si doveva passare per la cella del
Vicario; sul resto si riferì al primo esame. Finalmente sugli articoli
del fiscale si riferì del pari al primo esame, poichè non ricordava
alcuna cosa.
Continuarono il 29 agosto gli esami ripetitivi contro fra Dionisio.--E
dapprima il Petrolo disse di avere, fin da quando era novizio,
conosciuto fra Dionisio, ed averlo poi veduto due volte in Stilo
di passaggio, oltrechè in Stignano, l'ottava del Corpo di Cristo,
quando fece una predica sul SS.^{mo} Sacramento che non si poteva
sentire più bella «et tutti la laudorno» (la predica egli menzionava,
il pranzo in casa Grillo no). Disse di non aver mai udito eresie
dalla bocca di lui, ma solamente udito da fra Pietro di Stilo che
egli, fra Dionisio, aveva dette al Lauriana alcune parole contro il
SS.^{mo} Sacramento, oltrechè aveva commesso qualche peccato di carne
della peggiore specie. Rispose quindi su tutti gli interrogatorii
negativamente: e dietro dimande d'ufficio disse che fra Dionisio era
veramente amico del Campanella, ma egli non sapeva che il Campanella
gli avesse comunicato eresie, nè aveva mai detto che il Campanella
discorresse di eresie alla scoperta, mentre invece ne discorreva in
modo che solamente qualcuno poteva intenderle. Sugli articoli del
fiscale rispose del pari negativamente.--Fra Pietro di Stilo disse di
aver conosciuto fra Dionisio ed averlo veduto tre volte in Calabria,
due volte in Stilo ed una volta in Briatico quando andava contro fra
Gio. Battista di Polistina; e dichiarò di averlo ritenuto sempre un
ciarliero e vendicativo, ma non cattivo nelle cose di fede. Dimandato
di ufficio se avesse almeno udito dire qualche cosa contro di lui
in materia di fede, rispose che una volta il Lauriana gli cominciò
a dire qualche cosa contro di lui, «ma non finì»; ed avvertito di
non dir bugie, rispose che non aveva potuto comprenderlo (oramai
fra Pietro era in vena di difender tutti, anche tirandola un po'
troppo). Insomma non ebbe nulla a dire contro fra Dionisio, eccetto
che era «scaccione, ciò e chiacchiarone», e riuscì negativo su tutti
gl'interrogatorii e così pure sugli articoli: segnatamente sull'ultimo
articolo, che diceva avere fra Dionisio creduto, insegnato o cercato
d'insegnare tutte le opinioni eretiche del Campanella, egli rispose
di non aver mai udito dire tali cose contro la fede da niuno di loro.
Ed aggiunse, spontaneamente, che stando in Pizzoni ed avendo udito
frati e secolari sparlare di fra Dionisio pe' suoi discorsi di cose
lascive, avendogli anzi Claudio Crispo detto che pure nel discorrere
la prima volta col Soldaniero si era comportato egualmente e costui
n'era rimasto scandalizzato, egli nel passare per Soriano andando ad
Arena, poichè il Soldaniero l'interrogò circa il Campanella e gli
disse che fra Dionisio era un cervellino, lo pregò di tacere quanto
fra Dionisio gli aveva detto, essendo nella natura di lui il ciarlare
con tutti, ed intese di alludere a' discorsi di cose lascive; (così
volle sopprimere la circostanza dell'aver lui portato una lettera del
Campanella al Soldaniero, e veramente la tirò un po' troppo).--Da
ultimo il Soldaniero, e successivamente Valerio Bruno, vennero entrambi
interrogati in via supplementare sul fatto dell'espulsione di fra
Dionisio e del Pizzoni dal convento di Soriano per parte del Priore
e del Lettore. Il Soldaniero confermò che nel secondo giorno in cui
que' frati gli aveano parlato di eresie, il Priore, dietro il suo
reclamo, li cacciò entrambi, e poi gli disse, «che ti pare, non te l'ho
fatti sfrattare?» ed egli rispose, «havete fatto bene». Valerio Bruno
confermò egli pure che que' frati furono cacciati nel secondo giorno
in cui il Soldaniero avea parlato al Priore ed al Lettore, ed aggiunse
che gli aveva veduti partire; (ma oltrechè il Priore e il Lettore lo
negavano, era stato pure da entrambi questi testimoni affermato che fra
Dionisio aveva fatta una predica in Soriano, e ciò non si accordava
coll'espulsione).
Evidentemente anche per fra Dionisio le prove testimoniali riuscivano
sempre meno gravi in questi esami ripetitivi. Fra Pietro di Stilo
deponeva a favore di lui, e il Petrolo non l'accusava menomamente.
L'accusava bensì il Lauriana, ma costui, che non sapeva più dar conto
di nulla, era stato già dichiarato testimone falso dal Pizzoni medesimo
che ne aveva diretto i passi. Non rimanevano dunque contro fra Dionisio
che il Pizzoni e Giulio Soldaniero con Valerio Bruno: tuttavia il
Pizzoni si andava scovrendo di una morale assai disputabile, ed intento
solo ad accusare gli altri per iscusare sè medesimo; il Soldaniero poi
non poteva riuscire ad accreditarsi, mentre sosteneva essergli state
fatte tante confidenze in materia di eresie durante una prima visita di
fra Dionisio (bisognava conoscere a fondo il modo di agire di costui
per ammetterlo), ed oltracciò confessava di aver prima confabulato co'
Polistina nemici capitali di fra Dionisio, continuava a deporre fatti
indubitatamente falsi come l'espulsione di fra Dionisio e del Pizzoni
dal convento, e mostrava abbastanza chiaramente di avere indettato
il suo fido Valerio Bruno (come il Pizzoni avea fatto col Lauriana)
e spintolo a deporre ciò che ad esso Valerio non constava, per far
risultare più credibili le proprie deposizioni. Nè occorre dire che la
condotta iniqua de' primi processanti, entrambi devoti alla fazione
de' Polistina, accertata anche dal Pizzoni testimone del maggior
peso contro fra Dionisio, faceva apparire per lo meno esagerata la
colpabilità di costui e di tutti gli altri inquisiti.
Siffatti apprezzamenti, che sorgono spontanei nell'animo di chiunque
sia fornito di una dose anche discreta di equanimità, non potevano
non sorgere nell'animo del Vescovo di Termoli, che al rigore di un
vecchio Commissario del S.^{to} Officio sapeva accoppiare un senso
squisitissimo di giustizia. E ci è rimasto di lui un documento che
lo dimostra abbastanza bene, rivelandoci ciò che l'agitava a questo
periodo della causa: poichè precisamente alla fine del volume che
comprende il processo offensivo e ripetitivo, in uno de' folii
esuberanti rimasti in bianco, troviamo un quadro di note ed appunti
che egli redigeva intorno alla colpabilità di ciascuno inquisito, note
ed appunti incompleti e in qualche tratto vergati con parole tanto
abbreviate da rendersi poco intelligibili, ma in somma esprimenti le
diverse contradizioni, inverosimiglianze, falsità, ed accuse rimaste
infondate, che emergevano dalle deposizioni raccolte. I lettori
troveranno questo quadro tra' Documenti[189]: d'altronde vedremo in
sèguito, dopo il processo difensivo, ciò che il Vescovo scriveva a
Roma intorno alla causa, e il concetto che in ultima analisi se n'era
formato.
Non appena esaurite le ripetizioni, nello stesso giorno 29 agosto
1600 i Giudici deliberarono di devenire alla spedizione della causa
e al processo difensivo: pertanto disposero che fosse subito inviato
al S.^{to} Officio di Roma una copia del processo tanto informativo
che ripetitivo; e sappiamo che l'8 settembre questa copia fu mandata
al Nunzio dal Vescovo di Termoli insieme con una sua lettera, e
che nella stessa data il Nunzio la trasmise al Card.^l di S.^{ta}
Severina, accompagnandola con un'altra lettera sua, in cui partecipava
le sollecitazioni che spesso riceveva da' ministri Regii desiderosi
di potere spedire la causa della ribellione[190]. Diremo ora anche
qui, innanzi tutto, in che modo si procedeva nelle difese. Un decreto
fermava che ciascuno inquisito avesse una copia del processo (copia
repertorum), ma senza nome e cognome di coloro i quali aveano deposto,
«secondo lo stile del S.^{to} Officio»; che inoltre fosse avvertito
aver facoltà di scegliersi un Avvocato e procuratore a suo piacere,
bensì persona cognita ed approvata dalla Curia, fornita de' requisiti
necessarii, e con ciò un termine di tanti giorni per fare ogni e
qualunque difesa, se intendesse e volesse farne: questo decreto era
da' Giudici medesimi partecipato di persona a ciascuno inquisito, che
facevano tradurre al loro cospetto separatamente. Scelto l'Avvocato, o
dall'inquisito, o in mancanza dai Giudici, d'ufficio, costui recavasi
nella casa di qualcuno de' Giudici a prestare il giuramento nelle mani
di lui, inginocchiato, toccando i Santi Evangeli e promettendo di
fare «le giuste difese» del tal di tale secondo lo stile del S.^{to}
Officio. Il Notaro e Mastrodatti consegnava allora al più presto le
copie de' reperti a ciascuno inquisito, e redigeva sempre un atto
di questa consegna e del seguìto ricevimento in presenza di quattro
testimoni (i soliti carcerieri e carcerati) decorrendo dalla data di
quest'atto il termine per le difese: talvolta pure, sia d'ordine de'
Giudici, sia dietro spontanea deliberazione dell'inquisito, redigeva
o autenticava una dichiarazione, in cui l'inquisito manifestava di
volersi difendere, ovvero di non volersi difendere riposando nella
giustizia e pietà dei Giudici, ed avendo per rato, fermo e valido
quanto essi ordinerebbero, ciò che poteva farsi anche durante lo
svolgimento delle difese. Mettendosi d'accordo coll'Avvocato, allorchè
voleva difendersi, l'inquisito redigeva e presentava una serie di
così dette eccezioni ossia articoli, in ciascuno de' quali eccepiva,
poneva e voleva provare un dato fatto in sua discolpa, affermando per
solito ogni volta che esso era vero, verissimo, come constava a coloro
che lo sapevano o l'avevano udito: e quasi sempre cominciando dai
fatti della sua buona vita fin dalla tenera età, passava, mano mano,
a' fatti delle inimicizie che aveva incontrate, alla mala condotta
e speciale odiosità de' testimoni che intendeva o supponeva aver
deposto a suo carico[191], alla falsità ed erroneità delle imputazioni
fattegli, a tutti gl'incidenti che spesso si verificavano durante i
processi. Oltracciò dava una lista di testimoni a difesa, indicandone
anche la residenza, i quali dovevano essere esaminati sopra tutti o
sopra alcuni determinati articoli. Dal canto suo il fiscale, sugli
articoli presentati, faceva ed esibiva i suoi interrogatorii, ed
istantemente chiedeva che i testimoni fossero esaminati prima sopra
di essi e poi sugli articoli: gl'interrogatorii erano preceduti dalle
solite ammonizioni, ed esigevano le solite informazioni sulla persona
del testimone, e poi le informazioni su' fatti posti negli articoli
con tutte le relative circostanze, terminando con un appello alla
diligenza de' Signori Giudici. In somma si teneva la via medesima del
processo ripetitivo ma all'inversa: gli articoli erano presentati
dall'inquisito assistito dal suo Avvocato, e gl'interrogatorii erano
presentati dal fiscale; e però questi ultimi erano sempre redatti senza
tante sottigliezze e con molto maggiore concisione. Dobbiamo anche
dire che i Giudici talvolta cassavano qualche articolo contenente
fatti già enunciati in altri articoli, e il processo presente ce
n'offre un esempio; inoltre non accoglievano mai tutti i testimoni
dati se erano assai numerosi, come sovente accadeva, ma ne sceglievano
un certo numero a loro piacere. S'intende poi che l'Avvocato non
assisteva alle sedute del tribunale, ma poteva all'occorrenza fare una
comparsa e più tardi presentare una vera e propria Difesa scritta,
come ne conosciamo in gran numero pervenute sino a noi[192]. Figurava
poi sempre quando esauriti gli esami testimoniali e consegnatane una
copia all'inquisito, costui era citato «ad dicendum», e neanche nel
tribunale ma nella casa di abitazione di uno de' Giudici. Quest'ultima
circostanza mostra sempre più chiaramente che non l'inquisito ma il suo
Avvocato presentavasi allora in nome di lui, era interrogato se dovesse
dire altro e potea forse presentare anche una Replica scritta; ma non
apparisce che fossero ammesse le arringhe.
Come dicevamo, il 29 agosto i Giudici deliberarono che si procedesse
alle difese; nello stesso giorno fecero tradurre alla loro presenza,
l'uno dopo l'altro, il Petrolo, fra Pietro di Stilo, il Pizzoni, il
Lauriana, il Bitonto, fra Paolo della Grotteria, e a ciascuno di essi
separatamente parteciparono la loro deliberazione, assegnando per le
difese il termine di otto giorni; poi si recarono alla carcere di
fra Dionisio, che trovavasi ammalato a quel tempo, e parteciparono
anche a lui la loro deliberazione e il termine stabilito di otto
giorni. Sappiamo infatti che fra Dionisio fu ammalato una prima volta
nell'agosto del 1600: ce lo mostra un conto di spese che vedremo più
tardi fatte pe' frati inquisiti, e che contiene la nota delle medicine
fornite a fra Dionisio dallo Speziale del Castello Ottavio Cesarano,
con l'indicazione de' giorni in cui esse vennero fornite; e fu in
questo frattempo che il Soldaniero vide fra Dionisio, gli prestò
qualche assistenza e forse anche gli chiese perdono pe' travagli
procuratigli coll'opera sua, come fra Dionisio asserì e il Soldaniero
negò negli esami ripetitivi. Dobbiamo intanto notare che pel Campanella
non fu tenuto lo stesso procedimento, senza dubbio a motivo della sua
pazzia, ma ebbe in sèguito un Avvocato: per fra Pietro Ponzio poi non
vi fu provvedimento alcuno, giacchè davvero in questa causa, come
in quella della congiura, nulla gli si potè addebitare, all'infuori
dell'intima amicizia col Campanella, provata specialmente con la
scoperta delle conversazioni notturne tenute tra loro.
Il 5 settembre nel convento di S. Luigi il Vescovo di Termoli, presente
anche l'Auditore del Nunzio Antonio Peri, ricevè il giuramento del
dot.^r Carlo Grimaldi Avvocato del Pizzoni; il 15 settembre ricevè
ancora, egli solo, quello di Gio. Filippo Montella Avvocato del
Petrolo, di fra Pietro di Stilo, del Lauriana, di fra Paolo e del
Bitonto; il Montella nello stesso giorno prestò giuramento anche nelle
mani del Vicario Arcivescovile, ma, non si saprebbe dire perchè, venne
più tardi sostituito dal Rev.^{do} dot.^r Scipione Stinca, il quale
prestò giuramento il 13 ottobre, e trovasi qualificato «avvocato
deputato» per la difesa de' frati suddetti. Alla mancanza del Montella,
seguita dalla deputazione dello Stinca, si deve forse riferire un
memoriale de' frati al Vescovo di Termoli per dimandare un Avvocato,
memoriale senza data, ed inserto nel processo un po' a caso, dopo le
difese di fra Dionisio[193]. Nessuno Avvocato si trova nominato per
fra Dionisio, comunque in una lettera, da lui scritta nell'inviare
taluni articoli a' Giudici, si legga che non avea «potuto accapar dal
suo Avocato la compilatione di tutti gli articoli... per la lunghezza
del processo et occupationi d'infiniti altri negotii di detto suo
Avocato». Il 17 settembre fu consegnata a fra Dionisio la copia de'
reperti della sua causa secondo lo stile del S.^{to} Officio, e il
giorno seguente una copia analoga fu consegnata al Pizzoni; di poi (15
e 18 ottobre) fu consegnata allo Stinca la copia de' reperti della
causa de' diversi frati che egli doveva difendere. Aggiungiamo che
ancora più tardi (31 ottobre) fu prestato il giuramento dal dottore di
leggi Gio. Battista dello Grugno in qualità di Avvocato difensore del
Campanella, certamente «Avvocato deputato» anche lui, comunque di una
simile qualificazione non si trovi alcun ricordo[194]. Dobbiamo dire
che l'opera di questi Avvocati nel presente processo apparisce anche
meno del solito. Vedremo mancanti del nome dell'Avvocato non solo gli
articoli di fra Dionisio, che forse li compilò da sè, ma anche quelli
del Pizzoni, ne' quali per altro la mano dell'Avvocato si rivela da
qualche errore materiale circa le persone, errore che l'inquisito non
avrebbe certamente commesso; pel Campanella poi vedremo una comparsa
del procuratore rimasto anonimo, ma vedremo anche qualche altro atto in
cui il nome dell'Avvocato non manca; infine per gli altri frati vedremo
che non ci fu occasione di comparsa dell'Avvocato, perchè non si fece
nulla.--Ci crediamo pertanto nel dovere di dare qualche notizia intorno
a' suddetti Avvocati. Carlo Grimaldi era un dottore non ispregevole;
pervenne all'ufficio di Giudice della Gran Corte della Vicaria nel
1622-23, come è attestato anche dal Toppi[195]. Il dot.^r Scipione
Stinca è stato da noi già incontrato una volta nel corso di questa
narrazione, sotto le forche preparate pel povero Maurizio, che egli
ebbe ad assistere nell'estremo momento. Apparteneva ad una famiglia
illustre per magistrati, nella quale figurava tuttora il dot.^r Ottavio
Stinca, che abbiamo pure avuta occasione di nominare qual difensore
del Duca di Vietri, ed avremo occasione di nominare ulteriormente a
proposito di qualche altra singolare persona la quale verrà in iscena
più tardi. Era Avvocato e sacerdote, come tanto spesso accadeva a
quei tempi: nel processo è detto «Presbyter Neapolitanus» e possiamo
aggiungere che era ascritto all'ordine de' Cappellani Regii, poichè
abbiamo trovato il suo nome nell'elenco di que' Cappellani, ripetuto
dal 1595 al 1603, nelle scritture della Cappellania maggiore esistenti
nel Grande Archivio[196]. Quanto al dot.^r Gio. Battista dello Grugno
Avvocato del Campanella, egli era un uomo ancor più distinto. Nominato
lettore delle _Instituta e glose_ nel pubblico studio di Napoli,
in sèguito dell'ingresso di Giulio Berlingieri nella Congregazione
de' Gerolamini (31 8bre 1598), fu poi promosso alla lettura _De
Actionibus_, vacata per morte di Gio. Maria Cossa, con provvisione
raddoppiata in omaggio alla sua persona (ult.^o di febbr. 1601); ed in
tale qualità morì verso la fine del 1604, avendo a successore Ottavio
Limatola, come ci risulta da' documenti sparsi nelle medesime Scritture
della Cappellania maggiore[197]. Bisogna dunque riconoscere che le
difese de' frati, e massime del Campanella, non si trovavano affidate
a dottori di poco conto; solo si può dire che la ricerca di essi fu
laboriosa, poichè durò circa due mesi, e forse, oltre il Montella,
parecchi altri rifiutarono il carico di queste difese; d'altronde
occorre anche vedere se vi attesero con diligenza, e su questo punto li
giudicheremo all'opera.
Il 30 settembre si diè principio agli esami difensivi per fra Dionisio,
co' quali si aprì il 3^o volume del processo dell'eresia. Egli aveva
scritto a' Giudici di non aver potuto ancora ottenere dall'Avvocato la
compilazione di tutti gli articoli a sua difesa, e di averne intanto
formato da sè un certo numero, pregando che sopra di questi venissero
esaminati «alcuni carcerati, quali per essere stati habilitati
facilmente partiranno per la Calabria»; ed è superfluo dire quanto
sia per noi degna di nota siffatta circostanza, poichè ci rivela lo
stato del processo della congiura pe' laici a quel tempo, e il destino
di taluni tra loro, i cui nomi si leggono nella lista de' testimoni
dati da fra Dionisio contemporaneamente a' suoi articoli. Appena sette
furono gli articoli allora presentati da fra Dionisio, e con essi
poneva e voleva provare la falsità delle deposizioni del Lauriana,
e così pure del Soldaniero e di Valerio Bruno. Intorno al Lauriana,
egli affermava, che costui avea già detto nelle carceri di Squillace e
poi in quelle di Gerace, presenti molti, di essersi esaminato contro
fra Dionisio ed altri, deponendo falsamente in materia di eresia e di
ribellione persuaso dal Pizzoni, e di volersi ritrattare per scrupolo
di coscienza; che poi nelle carceri di Napoli si era consigliato circa
tale ritrattazione con un dot.^r Domenico Monaco egualmente carcerato,
il quale gli avea detto che ritrattandosi avrebbe avuta la corda e
sarebbe stato mandato in galera; che quando in Napoli ratificò il primo
esame, rimproverato da molti a' quali avea detto di essersi esaminato
falsamente, avea risposto, «che sempre c'era tempo per accomodar la
conscientia, ma non sempre c'era tempo d'evitar la corda, et la Galera,
et che più facilmente si potea accomodar con Dio, che con gl'huomini,
et officiali»; che dopo ciò, quando nelle litanie si giungeva al
verso _a falsis testibus libera nos Domine_, tutti guardavano in
faccia al Lauriana e ridevano, ed egli arrossiva, e quando toccava
a lui dir le litanie, ometteva quel verso con grandissimo riso di
tutti; che infine avea negli ultimi giorni cercato perdono ad esso
fra Dionisio, facendosi più volte chiudere per questo nella stessa
carcere con lui dal carceriere. Intorno al Soldaniero e Valerio Bruno
affermava, che il Soldaniero, egualmente per ottenere il perdono
delle falsità deposte contro di lui, gli avea fatto visite, servigi,
regali e prestito di danaro; che inoltre teneva continuamente presso
di sè Valerio Bruno suo servitore, e poteva presumersi avergli fatto
deporre il falso, essendosi da entrambi dichiarato ne' rispettivi
costituti che non aveano mai parlato tra loro, mentre a tutti era noto
il contrario. Sopra siffatti articoli dava per testimoni, variamente
sopra ciascuno di essi, oltre fra Pietro di Stilo e fra Paolo,
Geronimo Marra, Francesco Salerno, Nardo Rampano, Cesare Bianco e
tutti gli altri carcerati di Catanzaro, Giuseppe Grillo di Oppido,
Domenico Monaco il dottore, Aquilio Marrapodi suo servitore e il
carceriere. D'altra parte il fiscale (sempre D. Andrea Sebastiano)
presentava i suoi interrogatorii al n.^o di 18, preceduti dalle solite
ammonizioni, e contenenti le informazioni di rutina e le informazioni
su' fatti asserti negli articoli[198].--I Giudici si limitarono ad
esaminare Geronimo Marra, Francesco Paterno (o forse Salerno) e un
Minico Mandarino, tutti giovani sarti di Catanzaro carcerati per la
congiura; e li udirono su tutti gl'interrogatorii e tutti gli articoli
indifferentemente, impiegandovi la sola seduta del 30 settembre. Le
deposizioni di costoro non diedero alcun risultamento serio. Nessuno
sapeva nulla; nessuno avea veduto nulla. Il solo Geronimo Marra
dichiarò di avere udito in Napoli il Lauriana, dopo di essere stato
esaminato, dire ad alcuni carcerati, «quando uscirò, Dio provederà
all'anima», ma senza aver capito a quale scopo avesse dette tali
parole[199]. Perfino intorno a Valerio Bruno rimase assodato che stava
in una camera diversa da quella del Soldaniero, ma non si giunse a
sapere nemmeno se facesse l'ufficio di servitore presso di lui (i guai
sofferti aveano resi quei testimoni più che riservati).
Una lunga interruzione si verificò dopo questa seduta, la qual cosa
reca un po' di meraviglia, mentre non si può negare che fino allora
si era proceduto con la più grande celerità, e se molto tempo si era
impiegato nello svolgimento del processo, ciò era accaduto unicamente
per l'intrinseca qualità della procedura, che nelle cause di S.^{to}
Officio era sempre scrupolosamente osservata. Bisogna dire che i
Giudici ebbero a persuadersi non poter convenire questi esami sopra
articoli in numero ridotto, dopo i quali si era costretti a fare nuovi
esami sopra articoli in numero completo. E in tal guisa riesce di
spiegarsi che il Notaro e Mastrodatti Prezioso, d'ordine del Vescovo
di Termoli, il 6 ottobre si recò presso fra Dionisio, gli chiese
formalmente se volesse o no difendersi, ed innanzi a testimoni rogò
un atto in cui fra Dionisio dichiarò che voleva ed effettivamente
intendeva fare le sue difese, e si sottoscrisse confermando tale sua
volontà[200]. Ma senza dubbio non potè presentare le sue eccezioni
od articoli se non a' primi del mese consecutivo, poichè si venne
agli esami sopra di essi soltanto il 6 novembre. Verosimilmente fu
sollecitato anche il Pizzoni a voler presentare i suoi articoli,
essendo scorso da un pezzo il termine assegnato di otto giorni, ciò
che era sempre tollerato dal S.^{to} Officio, ma non poteva poi durare
indefinitamente; così, mentre si menavano innanzi gli esami difensivi
per fra Dionisio, si fecero ancora quelli pel Pizzoni. E certamente
l'Avvocato del Campanella, non appena prestato il suo giuramento il
31 ottobre, dovè essere sollecitato del pari; giacchè poco dopo fu
presentata al tribunale una comparsa, con la quale si diceva essere il
Campanella pazzo, non potersene fare le difese, chiedersi un termine
per provare la pazzia; e nello stesso giorno 6 novembre, quando
cominciarono gli esami difensivi per fra Dionisio, cominciarono pure
gli esami informativi sulla pazzia del Campanella. Sicchè dal 6 al 16
del mese venne simultaneamente esaurito tutto ciò che rifletteva la
difesa degl'inquisiti principali: ma per procedere ordinatamente, sarà
bene narrare prima gli esami difensivi per fra Dionisio, che erano
stati già in parte iniziati, poi gli esami difensivi pel Pizzoni,
che rappresentano il contrapposto degli anzidetti, infine gli esami
informativi sulla pazzia del Campanella.
Le eccezioni od articoli, che fra Dionisio definitivamente presentò in
sua difesa, ascesero nientemeno al numero di 58; e noi pur troppo non
possiamo dispensarci dal darne conto, tanto più che in sostanza vi si
comprendono le difese di tutti gli altri frati all'infuori del Pizzoni
e del Lauriana, non escluso il Campanella che per la pazzia rimaneva
ecclissato[201]. Con le sue eccezioni fra Dionisio affermò i suoi
titoli di onore, cominciando dalla tenera età e passando a' tempi della
vita monastica, ricordando pure l'andata presso Clemente VIII come
procuratore della città di Nicastro per la faccenda dell'interdetto,
e la premura spiegata per «manifestar l'innocenza del sangue del P.^e
M.^o Pietro Pontio suo zio ucciso proditoriamente da alcuni monaci»,
come potea rilevarsi dagli Atti esistenti nella Corte del Nunzio, onde
si acquistò le inimicizie di tutti gl'inquisiti e loro parenti, e
massime de' due Polistina. Affermò che costoro, d'accordo col Priore di
Soriano eccitarono il Soldaniero contro di lui, e fecero circondare di
birri il convento per costringere il Soldaniero ad accettare l'indulto
offertogli da fra Cornelio altro suo nemico, e così poteva intendersi
l'inverosimiglianza dell'avere esso fra Dionisio confidate a un tratto
tante gravissime cose al Soldaniero. Che costui era di pessima vita
e cattivo cristiano al punto di persistere tuttora nella scomunica
inflittagli in Calabria, teneva per servitore Valerio Bruno nelle
carceri di Napoli e dichiarava di non aver mai parlato, ed avea più
volte cercato perdono ad esso fra Dionisio narrandogli i particolari
del fatto di Soriano; che mentre era impossibile accordare la cacciata
di esso fra Dionisio da Soriano e la predica contemporaneamente
permessagli dal Priore, dovea notarsi aver lui deposto dopo il Pizzoni,
quando da fra Cornelio gli fu detto che il Pizzoni l'aveva nominato
come uno de' capi della congiura. Che esso fra Dionisio avea nella
predica di Soriano, a santo e pio fine, parlato di qualche fatto
esecrabile commesso contro il SS.^{mo} Sacramento, per mostrare
l'infinita pazienza di Dio; che lo stesso Valerio Bruno avea con più
persone lodata la predica di lui in Soriano, dicendo che era riuscita
a farlo piangere, la qual cosa non gli era mai accaduta; che se il
Priore e il Lettore di Soriano avessero deposto di aver cacciato esso
fra Dionisio dal convento, risulterebbero mendaci, poichè gli aveano
permesso di predicare e non aveano partecipato nulla a' superiori. Che
il Pizzoni gli era nemico, atteso il furto degli scritti per lo quale
esso fra Dionisio l'aveva svergognato; che era sempre stato amico de'
nemici di lui, ed avea fatto fuggire il Polistina, procurando che
fra Pietro di Stilo l'avvertisse, quando esso fra Dionisio cercava
di farlo carcerare; che era sempre stato di pessima vita, soggetto
a penitenze per molti furti (citato uno per uno), affetto da mal
francese etc., scappato in pianelle, senza cappello e senza cappa
dal Capitolo di Catanzaro per fuggire la prigionia, obbligato a
circondarsi di fuorusciti per salvarsi dalle vendette di coloro che
aveva offeso con le sue disonestà. Che nella causa della congiura,
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