Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 16

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fiscale, la Corte emanò i suoi Decreti in questo senso, ed abbiamo
ragione di credere che non poco v'influì Mons.^r Nunzio, il quale
era spesso sollecitato dal Vicerè a terminare la causa dell'eresia,
acciò si potesse procedere alla spedizione di quella della congiura.
Ma il Vescovo di Termoli, che avea realmente studiata la causa ed
era abituato alla ricerca della verità senza transazioni, scorgendo
un cumulo di circostanze poco atte a rassicurare la sua coscienza,
volle che fossero interrogati dal tribunale il Priore e il Lettore di
Soriano, fra Domenico da Polistina e così pure Valerio Bruno, inoltre
fra Gio. Battista di Placanica e fra Francesco Merlino già interrogati
dal Vescovo di Squillace in Calabria: e però fin dal 18 luglio avea con
una sua lettera commesso a quel Vescovo di mandare tutti que' frati in
Napoli, e di chiarire con nuovi esami alcuni punti del processo già da
lui fatto nell'anno precedente; ed il Vescovo eseguì la commissione
con ogni sollecitudine, procurando la comparsa de' frati al tribunale
di Napoli ed inviando poi anche l'Informazione supplementare da lui
presa, che per tal modo trovasi inserta nel processo di Napoli. Come si
rileva dai documenti che fanno parte di questa Informazione, il Priore
di Soriano era già venuto in Napoli chiamatovi dal P.^e Generale, e
fra Domenico da Polistina, funzionante da compagno del Provinciale di
Calabria, fu da costui immediatamente inviato; a fra Gio. Battista da
Placanica e a fra Francesco Merlino fu fatto dal Vescovo di Squillace,
con la comminatoria di molte e gravi pene, precetto di presentarsi
al tribunale in Napoli, l'uno nel termine di 20, l'altro nel termine
di 25 giorni; al Lettore di Soriano fu fatto un uguale precetto,
col termine di 30 giorni.--Si ebbe quindi una serie di altri esami,
alcuni de' quali si compirono mentre già il processo ripetitivo faceva
il suo corso: noi li poniamo tutti qui in continuazione degli esami
precedenti, senza attenerci con rigore assoluto alla cronologia de'
diversi atti processuali, per non intralciare di troppo il corso della
nostra narrazione.
Ed in prima l'8 e l'11 agosto, nel convento di S. Luigi ove risedeva il
Vescovo di Termoli, furono esaminati e riesaminati fra Giuseppe d'Amico
Priore di Soriano e fra Domenico di Polistina[181]. L'esame del giorno
8 fu fatto innanzi all'intero tribunale. Fra Giuseppe d'Amico, dietro
dimande, disse che fra Dionisio e il Pizzoni vennero insieme a Soriano,
un giorno di giovedì al tardi, ed allora nel convento trovavasi pure
il Soldaniero, uomo di mala vita, che Mons.^r di Mileto non voleva
fosse cacciato, come anche Valerio Bruno, servitore del Soldaniero
ed egualmente fuoruscito; che il Pizzoni l'indomani se n'andò al suo
convento di Pizzoni, d'onde tornò il sabato con Claudio Crispo e si
diresse tosto ad Arena ove trovavasi il Campanella; che fra Dionisio,
rimasto il venerdì a Soriano, partì egli pure il sabato per Arena, poco
dopo ch'era partito il Pizzoni, dicendo di temere che costui conducesse
il Campanella a Pizzoni mentre egli volea condurlo a Soriano, e poi
l'istesso giorno tornò a Soriano e vi rimase la domenica per farvi una
predica, dopo la quale definitivamente se ne partì. Disse che, appena
giunto, fra Dionisio dimandò del Soldaniero, e si recò in camera di
lui e vi si trattenne un pezzo in colloquio, e ciò accadde nel giugno
o luglio 99; che da otto a quindici giorni dopo, il Soldaniero parlò
ad esso fra Giuseppe della ribellione, ma solo nel mese di agosto gli
raccontò diverse eresie dette da fra Dionisio; che poi, trovandosi esso
fra Giuseppe presso il Visitatore in Monteleone, quando già la congiura
era scoverta e fra Dionisio era fuggito con una cavalla presa nel
convento, riferì ogni cosa al Visitatore ed al Provinciale, ed avvertì
al suo ritorno il Soldaniero di quanto avea fatto; che il Soldaniero
allora gli rispose di dover essere esaminato, perchè avrebbe deposto
anche di più, ma non aveva mai pregato lui che cacciasse fra Dionisio
dal convento. Aggiunse che il Soldaniero non gli aveva mai discorso del
Pizzoni come fautore di eresie, bensì come sollecitatore perchè «si
havesse voluto trovare con l'intentione loro», e solo di fra Dionisio
gli raccontò le diverse eresie, che egli si fece a ripetere; (così era
certo l'armeggio per la ribellione da parte di tutti costoro insieme
col Campanella, ma la faccenda dell'eresia era imputabile solo a fra
Dionisio, che veramente ne faceva professione almeno come di un'arma
di guerra).--Quanto a fra Domenico di Polistina, costui confermò che
agli 8 o 9 di agosto dell'anno precedente, dopo l'incontro avuto col
Campanella in Davoli, la sua fuga da quel posto per minacce di banditi
e il suo arrivo in Soriano, seppe dal Soldaniero che fra Dionisio
gli aveva esposto un gran numero di eresie, il fatto osceno contro
l'ostia etc., eresie che fra Dionisio e il Campanella doveano predicare
al tempo della ribellione, ed egli poi ne parlò a fra Cornelio del
Monte; che del Campanella non seppe al di là delle cose dette, e con
fra Cornelio non parlò del Campanella per conto dell'ostia consacrata
(così fra Cornelio risultava falso, ma rimaneva pure a vedere se non
era falso in ciò fra Domenico, e fino a qual punto costui fosse stato
informato dal Soldaniero o viceversa). Aggiunse poi, spontaneamente,
che il Campanella molti anni prima avea voluto uscire dalla Religione,
e si era detto pubblicamente che avea lasciato la Calabria in compagnia
di un certo Abramo ebreo o caldeo; (era sempre lui fra Domenico
che evocava tale fatto, e questa volta per detto altrui, non per
propria scienza).--Il nuovo esame di costoro, l'11 agosto, fu fatto
innanzi al solo Vescovo di Termoli. Fra Domenico da Polistina narrò
qualche circostanza di poco valore relativamente al suo incontro
col Soldaniero. Fra Giuseppe d'Amico aggiunse che, parlando della
ribellione col Soldaniero nell'agosto, ebbe a vedere nelle mani di lui
una lettera del Campanella scritta di suo pugno, giacchè ne conosceva
il carattere, la quale finiva col dire al Soldaniero che su quanto
gli avea discorso fra Dionisio, se ne rimetteva al suo luogotenente
fra Gio. Battista di Pizzoni; (così fra Giuseppe parlava sempre de'
soli fatti della ribellione, ma è pur vero che non avrebbe potuto
parlare de' fatti di eresia laddove fossero stati a sua notizia fin da
principio, mentre non si era curato di denunziarli per tanto tempo).
Infine, dietro dimanda, depose che il Campanella, quando si partì
dalla Calabria, diceva di partirsene per la persecuzione che soffriva
dal Provinciale di quel tempo P.^e Pietro Ponzio, e si disse che era
partito con un Abramo, ebreo molto scienziato ma che esso fra Giuseppe
non avea veduto; (nessuno dunque avea veduto questo ebreo, ma è pur
vero che a nessuno conveniva ammettere di averlo veduto).
Di poi, il 21 agosto, fu interrogato in Castel nuovo Valerio
Bruno[182]. Costui disse che era stato per circa un anno col Soldaniero
nel convento di Soriano, che avea là veduto fra Dionisio rimastovi due
giorni, durante i quali venne pure il Pizzoni, e che li avea veduti
cacciare entrambi dal Priore a richiesta del Soldaniero, scandalizzato
perchè gli avevano palesate molte eresie, le quali egli si fece a
ripetere. Disse che fra Dionisio e il Soldaniero aveano mangiato
insieme un giorno di martedì o venerdì; giorno in cui il Soldaniero
si asteneva dalla carne per voto fatto in sèguito di un colpo di
archibugio ricevuto, ed egli avea udito fra Dionisio maravigliarsene;
che non seppe altro di ciò, ma poi l'indomani, essendo venuto il
Pizzoni ed avendo confermato le eresie dette da fra Dionisio, ad un'ora
o due in circa di giorno udì il Soldaniero che «comminciò a gridare che
cose son queste che mi dite, à par mio dite queste cose, è comminciò
à chiamare il Priore, Padre Priore venite, cacciati questi»; che il
Priore il quale nella sera precedente avea cercato di scusare fra
Dionisio dicendo che era briaco, ed avea raccomandato al Soldaniero,
per amore di Dio, l'onore della Religione, finì per accorrere insieme
col Lettore ed altri e così cacciarono que' due frati. Insomma,
accumulando circostanze in modo abbastanza comico, questo furfante
procurò di rendere sempre più credibile il suo racconto, ma avvertito
da' Giudici che era caduto in qualche contradizione e che badasse
di non dire bugie, cominciò lui a turbarsi veramente e ad esclamare
«misericordia Signore, per l'amor di Dio, che questa cosa hà un anno
che è passata che non mene ricordo;... io non son dottore, facilmente
si può pigliare et errare una parola, habbiatimi compassione Signore».
Infine dichiarò di non avere udito egli stesso, nè da altri all'infuori
del Soldaniero, cose contrarie alla fede provenienti da fra Dionisio
e dal Pizzoni; (evidentemente Valerio Bruno si era messo anche questa
volta d'accordo col Soldaniero, per appoggiarne le deposizioni).
Vennero in sèguito da Calabria fra Gio. Battista da Placanica e fra
Francesco Merlino, e il 30 agosto e il 2 7bre, quando già il processo
ripetitivo faceva il suo corso, e furono sottoposti al primo esame e
all'esame ripetitivo nel solito convento di S. Luigi presso Palazzo:
venne egualmente fra Vincenzo di Lungro Lettore di Soriano, e poco
dopo, il 7 7bre, fu egli pure esaminato nel medesimo convento innanzi
all'intero tribunale[183]. I due primi riuscirono di speciale interesse
circa la persona del Campanella, l'altro circa la persona di fra
Dionisio e i fatti di costui in Soriano. Fra Gio. Battista di Placanica
disse di stare «di mal cervello, ciò e, di mal memoria», e si riferì
costantemente all'esame già fatto dieci mesi innanzi in Squillace;
fu interrogato su' concetti che il Campanella aveva espressi intorno
all'immortalità dell'anima, alla fornicazione, alla scomunica, alle
cerimonie de' turchi, alle religioni claustrali, e in genere non se ne
seppe più di quanto se n'era saputo prima; può dirsi che fu esplicito
solamente nell'attestare che il Campanella parlava della fornicazione
in modo da sembrare che quasi dicesse non esser peccato, ed oltracciò
nell'attestare che non potè avere nè dal Vescovo di Squillace nè dal
P.^e Provinciale la licenza di confessare e predicare in Monasterace.
Nell'esame ripetitivo in sostanza disse di aver conosciuto il
Campanella quando esso era novizio in Placanica, non aver mai udito
direttamente da lui cose di eresie, aver solamente udito da lui dire
«che inferno, che inferno» nel parlare a' suoi discepoli e segnatamente
a Fulvio Vua e Giulio Contestabile, come pure che gli atti carnali non
erano peccati tanto grandi quanto si ritenevano, poichè «Dio havea
fatto il membro genitale...» per usarne.--Fra Francesco Merlino, nel
primo esame, riferendosi lui pure all'esame sostenuto in Calabria,
disse di avere solamente udito dire che il Campanella negava i miracoli
fatti da Mosè, che avea mangiato più volte carne in giorni proibiti e
segnatamente una porchetta insieme co' banditi in Pizzoni, che teneva
con sè il demonio, e per arte diabolica conosceva tutto quello che
sapeva; disse pure, a proposito del disprezzo della scomunica, che egli
si trovava studente in S. Domenico di Napoli, quando il Campanella
dimorava pure in questa città presso Mario del Tufo, e che venuto un
giorno in S. Domenico il Campanella fu preso e tradotto nelle carceri
del Nunzio, essendosi allora dato per motivo della carcerazione che
aveva spiriti, ma essendosi poi saputo che ci erano altri motivi, e
in ispecie che parlando della scomunica per coloro i quali estraevano
libri dalla libreria avea detto, «come è questa scomunica, che, si
mangia»? Nell'esame ripetitivo poi dichiarò, che avea cominciato a
conoscere di vista il Campanella nel convento di Placanica, di cui esso
Campanella era figlio, che in sèguito l'avea conosciuto in Napoli,
quindi di nuovo l'avea visto in Calabria, essendosi più volte visitati,
che non sapeva che avesse detto eresie, che altri aveano palesate
più cose contro la fede da lui dette o fatte, le quali egli si diè a
ripetere; che in Stilo passava per uomo onesto, che si era detto essere
partito dalla Calabria coll'ebreo Abramo, ed avere la sua scienza per
arte diabolica, ma egli non credeva questo, avendo conosciuto «che hà
bello ingegno et hà studiato assai». Inoltre che si era detto «che
esso si voleva fare nominare il Messia della verità», ma di questa,
come di altre cose, si parlò dopo la carcerazione, e più di una volta
fece notare tale circostanza, dicendo, «molte cose sono state dette
subito che questi fratri furono presi, et non so come uscessero», (ben
si vede che in fondo il Campanella non riusciva aggravato di troppo da
tali deposizioni).--Quanto a fra Vincenzo, Lettore di Soriano, egli
narrò la venuta di fra Dionisio e del Pizzoni in Soriano con lievissime
differenze dal modo in cui l'avea narrata il Priore fra Giuseppe:
soltanto aggiunse di più, che quando fra Dionisio andò momentaneamente
ad Arena per condurre il Campanella a Soriano, il Campanella non volle
venirvi; inoltre che veramente, 4 o 5 giorni dopo la dipartita di
fra Dionisio, il Soldaniero gli disse che fra Dionisio era venuto a
trattare della ribellione contro il Re, avendo molti Signori per lui,
e gli disse pure che fra Dionisio non credeva a nulla, comunicandogli
il fatto del pugno dato al crocifisso e il fatto osceno contro l'ostia
perpetrato da fra Dionisio medesimo, cose «approbate da fra Dionisio
come cose del Campanella». Negò assolutamente che il Soldaniero avesse
comunicato al Priore i detti e fatti contro la fede, se non dopo un
mese o dieci giorni in circa; e per quanto i Giudici avessero insistito
con le loro dimande, negò che il Soldaniero avesse mai parlato di
tali cose mentre fra Dionisio era in Soriano per farlo cacciare dal
convento, come pure che avesse attribuite le eresie anche al Pizzoni,
dichiarando che il Soldaniero «ben diceva, che frà Thomaso Campanella,
frà Dionisio Pontio, frà Gio. Battista di Pizzoni, frà Silvestro di
Lauriana, frà Pietro de Stilo, et frà Dominico di Stignano erano
tutto una cosa insiemi, mà non mi parlò di heresie contra frà Gio.
Battista predetto». (Si sarebbe tentati di credere che il Pizzoni, per
essersi stretto a fra Dionisio e al Campanella, dovea dapprima venire
spietatamente involto nel medesimo destino loro, ma avendo poi fatto il
suo orribile voltafaccia, questi frati di Soriano, appartenenti alla
fazione del Polistina, doveano oramai proteggerlo: intanto per fra
Vincenzo il Campanella riusciva egli pure imputabile delle peggiori
cose contro la fede, e il Soldaniero rimaneva per entrambi que' frati
scoperto).
Mentre in Napoli si facevano questi esami, in Squillace nello
stesso tempo, dall'8 agosto all'8 7bre, il Vescovo esauriva la sua
Informazione supplementare, la quale riguardava interamente la persona
del Campanella. Mediante i diaconi selvaggi della sua Corte citò
ciascun teste a comparire personalmente innanzi a lui, sotto le solite
gravi pene ecclesiastiche, in brevissimi termini: ed egli medesimo nel
suo Palazzo, col suo Vicario Sir Agazio Colobraro e coll' Auditore
Andrea Mantegna, procedè a quasi tutti gli esami[184].--Eccone un
sunto. Vespasiano Vosco dottore di Girifalco dichiarò, che dopo
la carcerazione del Campanella udì nella piazza di Squillace dire
pubblicamente che costui riteneva Cristo essere un semplice eremita
e Maria Maddalena sua concubina.--Gio. Battista Rinaldis dottore
di Guardavalle dichiarò di aver saputo dalla sua suocera Dianora
Santaguida, vedova di Ottavio Carnevale, che fra Scipione Politi le
aveva detto che il Campanella «per stratiare et burlare li patri
cappoccini, mentre andavano in Chiesa, li dicia dove andati, ad adorare
un appiccato».--Marcello Fonte di Stignano confermò di aver saputo
da Geronimo padre del Campanella, che costui non volle predicare in
Stilo dicendo di non voler fare l'officio di Cantimbanco.--Il Rev.
Scipione Ciordo di Camini confermò di avere udito da alcune persone del
suo paese che il Campanella diceva «che la buggera (la fornicazione)
non era peccato».--Fabio Contestabile di Stilo confermò che gli era
stato detto dal Campanella di pigliarsi spassi e piaceri quanto più
poteva «che del resto è pensiero di chi è».--La Sig.^{ra} Dianora
Santaguida di S.^{ta} Caterina (questa sola innanzi all'Auditore
Mantegna espressamente inviato) dichiarò che da Luzio Paparo suo
parente avea saputo di aver lui udito dire che il Campanella diceva,
«non vi ca (_int._ non vedi che) adorano uno impiso»; dichiarò che non
avea saputo questo fatto da fra Scipione Politi, poichè costui non era
venuto in casa sua, ma nello studio di suo figlio, separato dalla casa
sua; aggiunse che l'aveva poi comunicato a Marcello Contestabile suo
nipote.--Marcello Contestabile di Guardavalle raccontò ne' seguenti
termini un discorso avuto con sua zia la Sig.^{ra} Santaguida, a tempo
della persecuzione fatta da Carlo Spinelli e dall'Avvocato fiscale;
essa disse, «o Marcello figlio mio, secondo si intende questo fra
Thomaso che vene a S.^{to} Nicola alli monaci è peccato non me e
abrusciato, et io le disse S.^{ra} zia che cosa passa, et la detta
mi rispose dicendomi figlio mio io tremo de dirti questi paroli, et
raggionandomi disse credi Marcello che uno homo da bene che sta sotto
parte illoco, nominando il nome ma non mi si ricorda come lo nominò ma
per quanto mi ricordo mi pare che lo chiamò mastro Jacopo, et disse che
quello l'havea detto che lo detto fra thomaso solia venire in S.^{to}
Nicola monesterio de dominichini di detta terra, et illà con li monaci
facia banchetti et dopo si faciano portare uno leuto et sonavano et
detti monaci et altri seculari ballavano et che... (un luridume da non
riportarsi)... et detta donna me lo dicia con gran modestia sugiungendo
che lo detto pure li disse che lo detto fra Thomaso raggionando di
Jesu Christo disse, dati credito ad uno che morio impiso, et di questa
parola spaventati io et la detta mia zia dicendone Jesu Jesu Vergine
maria mi levai» etc.--Jacopo Squillacioti di S.^{ta} Caterina (il
mastro Jacopo della Santaguida) negò assolutamente di aver mai saputo
e detto alla Sig.^{ra} il lurido fatto che la modesta e pia donna
riferiva, e cosi pure qualche concetto eretico che il Campanella e suoi
compagni avessero in qualunque modo espresso: unicamente attestò avere
udito dire «che era venuto a S.^{to} Nicola delli dominichini uno fra
Thomaso, et diciano li genti di S.^{ta} Catherina che non guardava hom'
in faccia ma sempre si guardava la ungnia».--Fu questa l'Informazione
supplementare di Squillace, dalla quale sicuramente non emerse nulla
di nuovo, e se qualche aneddoto venne in luce, esso fu smentito sul
nascere; può dirsi di più che rimase quasi sempre infruttuosa la
ricerca della provenienza de' fatti in quistione, e sopratutto la
ricerca delle persone presenti allorchè essi erano stati enunciati,
oggetto principale dell'Informazione, per quanto dalle interrogazioni
ivi registrate è lecito argomentare.

II. Possiamo ora occuparci del processo ripetitivo, per lo quale, come
abbiamo fatto avvertire più sopra, la Corte fin dal 31 luglio 1600
aveva già emanati i suoi decreti. E gioverà innanzi tutto dire in che
consistevano le ripetizioni, e in qual modo vi si procedeva secondo la
giurisprudenza del tempo. Le ripetizioni concernevano essenzialmente
i testimoni del fisco. Il Procuratore fiscale, che compariva in dati
momenti senza assistere alle sedute della Corte, facendo lo spoglio
degli esami raccolti compilava tanti Articoli, capi, o posizioni,
esprimenti tanti fatti o detti incriminabili da' quali emergeva il
delitto onde si intitolava la causa. Questi articoli egli redigeva
ed esibiva per far constare chiaramente il delitto, e in ciascuno di
essi poneva, offriva, e voleva e intendeva provare ciascun fatto o
detto, ciò che per altro era stato ed era vero, pubblico, notorio,
pubblica voce e fama, e però egli, il fiscale, protestava di non
ritenersi costretto ad una prova superflua! Presentando gli articoli
conditi di un simile noioso formulario, faceva istanza e chiedeva che
si venisse alla ripetizione; e la Corte, veduti gli atti e l'istanza
del fiscale, emanava un Decreto, col quale ordinava la consegna di
una copia degli articoli all'imputato, e stabiliva un termine entro
il quale l'imputato dovea formare e produrre gl'Interrogatorii da
farsi a' testimoni del fisco sopra quegli articoli, ed anche dimandare
un Avvocato e procuratore, dichiarando che in contrario si sarebbe
proceduto alla ripetizione de' testimoni senza interrogatorii; per
solito la Corte deputava pure fin d'allora, _ex nunc prout ex tunc_,
un Avvocato e difensore di ufficio quando prevedeva che l'imputato non
l'avrebbe chiesto da sè, ed infine ordinava di notificare ogni cosa
all'imputato. Nello stesso giorno il Mastrodatti faceva la consegna
degli articoli e la notificazione del termine con la deputazione
dell'Avvocato, e ne redigeva un atto in presenza di quattro testimoni,
ordinariamente carcerati e carcerieri. Quindi l'Avvocato presentava
a nome dell'imputato gl'interrogatorii da rivolgersi a' testimoni
contro gli articoli, e faceva istanza ed umilmente chiedeva che i
testimoni prima di esaminarsi su ciascuno articolo rispondessero
a quegl'interrogatorii, in contrario con riverenza protestava.
Quest'interrogatorii erano preceduti rutinariamente da alcune
ammonizioni che si doveano fare a ciascun testimonio, cioè, di essere
obbligato a dire la pura e semplice verità, sotto pena di scomunica ed
altre molte e gravi pene, di tener presente che si commetteva falsità
non solo col proferire il falso ma anche col tacere il vero, e che
commettendo, Dio non voglia, la falsità, era sempre tenuto a restituire
la fama. E non meno rutinariamente esigevano che ciascun testimone
dicesse il suo nome, cognome, padre, madre, patria, esercizio, a spese
di chi vivesse, quanto possedesse, se fosse solito confessarsi e
comunicarsi, e presso quale confessore e in quale chiesa e da quanto
tempo l'avesse fatto, se fosse stato mai scomunicato, e da quanto tempo
e per quale causa: e poi, se conoscesse l'imputato, da quanto tempo e
per quale causa, se gli fosse amico o nemico e perchè, se ci avesse mai
conversato intrinsecamente e quale opinione ne avesse circa le cose
della fede; e poi, venendo a ciascuna imputazione, se avesse udito
qualche volta parlare l'imputato del tale argomento e in che senso, e
con quali parole, e in qual luogo, e in qual parte di quel luogo, e
con quale occasione, e in presenza di chi, e quante volte, e in quale
ora, giorno, mese ed anno, e se determinatamente o d'improvviso, e se
con assenso o con dissenso del testimone, e in caso di dissenso, con
quali parole questo fu espresso e quali risposte ebbe etc. etc. etc. Ci
rimangono saggi d'interrogatorii che costituiscono veri monumenti di
fecondità in sottigliezze, e sempre allo scopo di far trovare qualche
contradizione ne' testimoni, o di stancare interroganti ed interrogati
e prender tempo. Era poi anche in facoltà dell'Avvocato di aggiungere
qualche speciale interrogatorio, oltre quelli calcati sugli articoli,
e perfino d'indicare qualche persona speciale cui quell'interrogatorio
aggiunto dovea rivolgersi: d'altra parte, è quasi superfluo il dirlo,
i Giudici non mancavano quasi mai di rivolgere di tempo in tempo a
ciascun testimone, oltre la detta doppia serie di dimande, qualche loro
particolare dimanda d'ufficio.
In tal modo fu iniziato e condotto anche il processo ripetitivo nella
causa del Campanella e socii. Procuratore fiscale fu il Reverendo
Andrea Sebastiano, fiscale della Curia Arcivescovile, che trovasi
nella massima parte delle scritture processuali di quel tempo, avendo
poi avuto a successore nel 1603 il Rev.^{do} Silvestro Santorello:
egli diede gli articoli soltanto contro ciascuno de' tre imputati
principali, il Campanella, il Pizzoni e fra Dionisio, incolpandoli
tutti egualmente «de haeretica pravitate et atheismo»; ma vedremo
che durante la causa svanì l'ateismo e rimase unicamente l'eretica
pravità. Il tribunale emanò tre Decreti, uno per ciascuno de' tre
imputati, assegnando il termine di soli 4 giorni perchè si producessero
gl'interrogatorii, ma veramente tollerò che questi fossero prodotti
fin 16 giorni dopo, come si vede accaduto appunto pel Campanella,
essendo stati gl'interrogatorii in nome suo presentati il 16 agosto.
Nel Decreto relativo al Campanella si disse: «atteso che fra Tommaso
Campanella simula o sembra simulare la pazzia, i Signori giudici,
senza deliberar nulla sopra di ciò, perchè la giustizia non patisca
danno in qualche parte e per abbondanza di cautela, decretarono che ad
esso fra Tommaso Campanella venga assegnato d'ufficio come si assegna
per curatore ed avvocato il Rev.^{do} Attilio Cracco»[185]. Questo
medesimo Cracco fu assegnato per Avvocato e difensore al Pizzoni e a
fra Dionisio, nel caso in cui costoro non avessero da loro medesimi
chiesto un Avvocato e procuratore. Per quanto ci consta da diverse
scritture di quel tempo, il Rev.^{do} Attilio Cracco era l'avvocato
officioso quotidiano nelle cause del S.^{to} Officio in Napoli, salvo
l'assistervi o no con la debita diligenza; così nel corso di questo
medesimo processo troviamo una supplica di fra Dionisio a' Giudici
perchè provvedessero a far andare presso di lui il Cracco che non
ci andava. Da una nota confidenziale, scritta da costui a piè di un
atto del processo, rilevasi che egli era compare del Mastrodatti
Prezioso e certamente coll'avvocatura di officio faceva la sua carriera
nella Curia: difatti in una scrittura del 23 luglio 1615, durante
l'Arcivescovato del Card.^l Carafa, essendo Curzio Palumbo Vicario
delle Monache e Commissario delle cause di S.^{to} Officio, troviamo il
Rev.^{do} Attilio Cracco Canonico ed Avvocato fiscale.
Ecco ora con la maggior brevità possibile i particolari degli articoli
e degl'interrogatorii dati per ciascuno de' tre inquisiti, contro i
quali si fece il processo ripetitivo.--Contro il Campanella furono
dati dal fiscale non meno di 20 articoli, riproducendo anche tutte le
scritture, atti e processi formati contro di lui[186]. Co' 20 articoli,
corredati delle formole sopra esposte, il Fiscale volle provare avere
il Campanella detto apertamente e pubblicamente: che non c'era Dio, che
la Trinità era una chimera, che Cristo non era Dio ma un pezzente, che
l'ecclissi del sole a tempo della passione di Cristo non fu miracolosa
nè universale, che la risurrezione di Cristo non fu vera e il corpo di
lui, al pari di quelli di certi legislatori, fu rubato, che Maria non
rimase vergine, che nell'Eucaristia non c'era il corpo di Cristo ed
essa fu istituita per semplice commemorazione, che i Sacramenti erano
invenzioni di uomini ed istituiti per ragione di Stato, che i miracoli
di Cristo non erano veri ed ognuno potea farne, e Mosè passò il mare
profittando del flusso e riflusso e Lazzaro risuscitò per finzione,
che era una stoltezza adorare il crocifisso, che non c'era purgatorio
nè paradiso nè inferno e le anime tornavano nel nulla, che l'anima
era mortale, che non c'erano i diavoli, che egli volea predicare una
nuova legge migliore di quella de' Cristiani, che il peccato era tale
in quanto così credevasi dagli uomini e non era peccato quello che
commettevasi di nascosto, che gli atti venerei non erano peccati e
la Chiesa avea fatto male a proibirli, che le Sacre Scritture erano
invenzioni degli Apostoli ad oggetto d'introdurre la fede di Cristo,
che era lecito cibarsi di carne in ogni tempo, che egli sapeva fare
miracoli o poteva farli, che la legge de' turchi era migliore di quella
de' Cristiani. Come si vede, egli presentò i fatti emersi dai varii
processi, accogliendoli con tutta la larghezza possibile e così come
erano stati deposti. Naturalmente anche l'Avvocato riprodusse le cose
medesime per conto suo negl'interrogatorii con tutto il formulario
d'uso; nè aggiunse alcuna cosa di proprio per combattere le accuse, ma
invocò la dottrina, bontà e religione de' Signori della Corte, notando
che in simili casi conveniva che essi fossero non solo giudici ma anche
patroni per indagare la verità[187].
Quanto al Pizzoni, gli articoli del fiscale contro di lui furono
solamente 4, volendo provare aver lui detto, creduto ed anche tentato
d'insegnare, che non c'era Dio, che non c'era Trinità, che era vano
astenersi dal mangiar carne, ed in complesso tutte le eresie che si
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