Fra Tommaso Campanella, Vol. 2 - 47

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parlando del libro (ved. la nota alla pag. 364), là dove si cita un
gran filosofo, che per 40 ore venne crudelmente tormentato da' suoi
nemici, senza mai potergli strappare di bocca una parola su quanto
essi domandavano, perchè _nel fondo dell'animo avea determinato di
tacere_. D'altra parte son conosciuti da un pezzo i versi e la nota ad
un suo Sonetto intitolato «Di sè stesso» ove si riproducono i concetti
palesati al Card.^l S. Giorgio, leggendosi: «quando bruciò il letto e
divenne pazzo o vero o finto: _Stultitiam simulare in loco prudentia
est_ disse il comico, _et de jure gentium_ i pazzi son salvi»; mentre
nel Sonetto si canta:
«Bruto e Solon furor finto coperse
e Davide temendo il re Geteo.
Però là dove Jona si sommerse
trovandosi l'Astratto, quel che feo
al santo Senno in sacrificio offerse».
S'intende bene che l'Astratto qui è il Campanella, il quale si trovava
_in faucibus Orci_, come sovente si espresse; e che avrebbe potuto dire
di più nelle sue condizioni? Pur troppo, segnatamente nella Narrazione,
disse anche essere stato pazzo «non finto»: questo pertanto mostra
solo che le sue circostanze l'obbligarono molte volte a nascondere il
vero, e che però le sue assertive debbono essere vagliate con molta
circospezione.
[462] Ved. gli ultimi versi, con la nota annessa, della Canzone III in
Salmodia metafisicale.
[463] Così nella Canzone «Della Bellezza», Madrigale 9^o, egli dichiarò
che
«Bello è il mentir, se a far gran ben si prova».
E nella nota quivi annessa citò la menzogna di Ulisse a Polifemo, e
di Sifra e di Puha a Salomone. In un'altra nota annessa al Madrigale
4.^o della «Canzon II al Primo Senno», parlando dello Spirito impuro,
disse che esso è per natura mendace, ma aggiunse che «è segno di
natura corrotta e viziosa, quando mente non per industria, bisogno e
sagacità». L'essere poi stato costretto a fingere, e l'aver finto,
si rileva dal Sonetto intitolato «Senno senza forza de' savii esser
soggetto alla forza de' pazzi», dove il filosofo ci apparisce ritratto
con la maggior fedeltà, essendo quivi citati i suoi presagi, le sue
«Regie imprese» e le conseguenze di esse.
[464] «Nec potest Macchiavellista dissimulare in hoc aliisque saeculis
praeteritis, futurisque, quod argumenta potiora dissimulaverim: nam
plura quam ipsi queant imaginari et fortiora apposui, dissolvique
per coelestem et humanam philosophiam non semel neque bis, usque ad
radices». Così nella lettera proemiale all'_Atheismus_ pubblicata dallo
Struvio.
[465] Abbiamo detto che il Campanella fu diversamente ed assai spesso
vituperosamente giudicato nella persona e nelle opere sue. Segnatamente
circa le opere politiche e religiose, che appunto riguardano più da
vicino l'argomento nostro, fu ammessa in lui un'astuzia con frode, un
Machiavellismo combattendo il Machiavelli, un Ateismo combattendo gli
Atei, la quale ultima proposizione in verità è affatto insulsa. Possono
leggersi nel Cyprianus e nell'Echard le testimonianze di questo genere
emesse dal Boecler, dal Conringio, dal Voël etc. etc. e non a torto
l'Echard fece riflettere che in altrettali giudizii ostili dominava
il dispetto de' Protestanti di Germania, i quali furono veramente,
per esagerazione di zelo, trattati con molta durezza dal Campanella.
Per conto nostro dobbiamo dire che nel paese, dove potè essere meglio
conosciuto intimamente, oltre la caratteristica di astuto e furbo,
stabilita a' tempi suoi e mantenutasi per tradizione, non mancarono
le testimonianze dell'aver lui scritto ben diversamente da ciò che
sentiva, e questo per verità importa di assodare. Così il Nicodemo,
da potersi considerare un'eco di affermazioni d'individui che aveano
trattato col Campanella, nelle Addizioni alla Biblioteca del Toppi
disse, «Per quanto ebbe ingegno e dottrina, tanto fu ingannatore,
e spesso, spesso, per compiacere altrui o per proprii fini, cose
scriveva lontanissime da quello che nell'interno sentiva»: respingendo
un modo di esprimersi tanto sciocco, che non tiene il menomo conto
della posizione orribile del Campanella, rimane accertato il fatto
della dissonanza tra i suoi pensieri e i suoi scritti. Potremmo poi
riferire testimonianze e ricordi pieni di stima e di affetto, da parte
di qualche suo discepolo distintissimo, che ebbe campo di conoscerlo
intimamente e di valutarne al tempo medesimo le stringenti necessità:
nè vi è chi ignori le testimonianze di stranieri illustri che lo
conobbero, come Tobia Adami il quale ebbe a conversare con lui per
più mesi al Castello dell'uovo nel 1613, e Gabriele Nandeo il quale
ebbe a conversarvi del pari lungamente a Roma nel 1631, mostrandosi
entrambi convinti non solo dell'ingegno e della dottrina del filosofo,
ma anche del suo candore ed innocenza, mentre per lo meno il Nandeo
era certamente consapevole delle sue imprese di Calabria. Ora a' tempi
nostri il Sainte-Beuve (Portraits litteraires, Paris 1862, vol. 2.^o
p. 522) ha pubblicata un'altra lettera del Nandeo, rinvenuta nella
corrispondenza ms. di Mons.^r Peirescio, nella quale, in data del
30 giugno 1636, invelenito contro il Campanella, che assicuravasi
avere sparlato di lui e che protestava di «non aver detto nulla a suo
svantaggio e voler morire suo servitore ed amico», il Nandeo vomita
largamente grossolani giudizii sul conto di lui. E dice che vuole
«una sodisfazione per lettera di propria mano, concepita in guisa
da mostrare almeno di essere dispiaciuto di avere offeso a torto e
con leggerezza», ma aggiunge che «qualunque sodisfazione gli avesse
dato, non lo stimerebbe mai altrimenti che un uomo stordito più di
una mosca e negli affari del mondo meno sensato di un ragazzo», e
«se ha evitato i giusti risentimenti del M.^o del Palazzo di Roma
_fuggendosene a Parigi sotto pretesto di essere perseguitato dagli
spagnuoli che non pensarono punto a lui_, non eviterà frattanto i suoi»
(giunge il Nandeo a tradire la verità fino a questo punto). E dice che
il Campanella «ciarla potentemente, mentisce impudentemente, spaccia
bagatelle al popolaccio, e con tutto ciò è un matto arrabbiato, un
impostore, un mentitore, un superbo, un impaziente, un ingrato, un
filosofo mascherato. . . », terminando col motto «ipse est catharma,
carcinoma, fex, excrementum di tutti gli uomini di lettere, a' quali fa
vergogna e disonore»! Il Sainte-Beuve, aggiungendovi anche una nota del
Guy-Patin, che dopo di aver visitato il Campanella in Parigi scrisse di
lui nel suo libro di ricordi il _beau-mot_ «multa quidem scit, sed non
multum», dice per conto suo bonariamente: «in un tempo in cui _si è in
via di esagerare sul Campanella_, ho stimato bene far conoscere questa
opinione segreta del Naudè e della cerchia degli amici del Naudè;
giacchè sovente è invocata la loro testimonianza esteriore..., era
giusto che se ne avesse anche la testimonianza intima e confidenziale».
Per conto nostro, a fronte di testimonianze provenienti da uomini
di coscienza sciaguratamente doppia, siamo disposti ad accogliere
le testimonianze segrete anzichè le pubbliche, ma, naturalmente,
riserbandoci il dritto di apprezzarne il valore: ed essendoci noto
come negl'italiani si trovi ancora tanta dabbenaggine, che mentre al
di là delle Alpi si professa lo _chez-nous_ ad ogni costo, essi si
affaticano a professare il _favorite-signori_ senza eccezioni, stimiamo
bene spendervi intorno alcune poche parole. Lasceremo da banda le
testimonianze del Guy-Patin: vi sono le opere del Campanella, e chi
è avvezzo a leggere deve da esse trarre i suoi convincimenti, non
dalle impressioni di un uomo che studiava spirito e maldicenza per
farne traffico, ricavandone un pranzo e un luigi per ogni seduta, ed
era tanto competente in filosofia da maledire Descartes. Quanto alla
lettera scritta nel 1636 dal Naudeo, essa per noi vale solo a mostrare
due cose: 1.^o che il Campanella non aveva l'abitudine del mutuo
incensamento tanto diffuso tra' dotti a quell'età, onde il Naudeo,
come il Peirescio, il Gassendo etc., non potevano tollerarne qualche
giudizio sul conto loro, che non fosse un elogio continuo in tutto e
per tutto; 2.^o che il Naudeo era capace di bizze momentanee senza
alcuna misura, da doversi dire francamente bestiali. Quando si avesse
a ritenere la detta lettera del Naudeo non come una bizza momentanea,
ma come l'espressione del suo profondo convincimento sul Campanella,
allora, avendo lui scritto le note lettere latine posteriori al 1636
e la lettera dedicatoria del _Syntagma_, avendo inoltre pubblicato il
Panegirico ad Urbano VIII con la relativa avvertenza, nel quale del
resto diede veramente prova solenne di menzogna e d'impostura, andrebbe
a lui rivolto quel suo motto «ipse est catharma, carcinoma», con ciò
che segue.
[466] Ved. Doc. 520, pag. 596.
[467] Alludiamo a' «Nuovi Documenti su T. Campanella tratti dal
Carteggio di Giovanni Fabri, Roma 9bre 1881». Notiamo che i documenti
di tale Carteggio pubblicati nella loro integrità sono solamente
cinque, rappresentati da due lettere dell'Arciduca Ferdinando e tre
lettere dello Scioppio, mentre le notizie che li accompagnano ne
mostrano un numero assai maggiore. Come abbiamo detto nella Prefazione
di questo libro, ancora non si concede di poter vedere il Carteggio.
[468] Ved. Centofanti nell'Arch. storico italiano, luglio 1866 pag. 19:
«De cleri reformatione iterum dico tibi me quasi nihil sperare . . .;
ipsi orabunt nos, si Principes duos, quos quasi manibus teneo
convertemus, et sapientes Germaniae per novitatem doctrinae admirabilis
alliciemus»: d'onde si vede che il Campanella avea giù rinunziato a
sostenere la riforma del Clero consigliata come indispensabile nella
lettera del 1606 al Papa, e il suo pensiero era tutto rivolto alle
imprese di Germania da doversi compiere insieme con lo Scioppio, al
quale aveva pure scritto un'altra volta. Aggiungiamo che essendo ora
accertato da uno de' documenti rinvenuti dal Berti essere lo Scioppio
venuto in Napoli nell'aprile 1607, e cominciando la lettera del
Campanella con le parole «Mirifice me angit quod adspectus denegatur
tuus», saremmo tentati di assegnarle appunto la data suddetta, quando
essi stavano vicini e non si permetteva che si vedessero. Aggiungiamo
ancora che non può dubitarsi essere stato l'anno 1607 quello in cui lo
Scioppio ebbe la missione di Germania, poichè una lettera autografa di
lui a Cassiano del Pozzo, da noi pubblicata, reca: «L'anno 1607 havendo
gli Catolici di Germania supplicato il Papa Paolo V che soprasedesse
di mandar un Nunzio alla Dieta di Ratispona per evitar la gelosia
de' Protestanti, si risolse il Papa di mandarvi la mia persona come
Consegliero di casa d'Austria» etc. (ved. Il Codice delle lettere del
Campanella, pag. 80 in nota).
[469] Scioppii, De Antichristo, Epistola ad Ill.^{um} quemdam
Germaniae Principem Protestantem scripta, accesserunt ejusdem De Petri
primatu, De adoratione summi Pontificis, de splendore et divitiis
ecclesiasticorum, de Papae denique potestate in saecularibus etc.
Ingolstadii 1605.
[470] Ved. Il Codice delle lettere etc. pag. 35.
[471] Jul. Caesaris Capacci, Illustrium mulierum et illustrium virorum
elogia, Neap. 1608-1609, t. 2, pag. 275-77. Il Capaccio dice che il
Fabre gli «mostrò» la disputa mandata alla stampa contro lo Scaligero.
[472] Questo errore non sarebbe il solo: probabilmente per colpa
dell'amanuense la lettera si mostra erronea in più punti. Fin
dall'intestazione vi si leggo «Gaspari Scioppio... qui se litteratorem
exhibet» e dovea dire «liberatorem»; offre poi «politicae XV
aphorismos» e dovea dire «CL»; più oltre, «rogo te sis mihi ac tibi
dedecori et onori», e dovea dire «ne sis» etc. etc.
[473] La data della morte del Marchese di Lavello Gio. Geronimo
trovasi ne' Reg.^i delle _Significatorie de' Relevii_ vol. 39, fol.
108.--Quanto al ricupero della _Metafisica_ ved. Doc. 522, pag. 603.
L'intervento del Reggente della Vicaria fa ritenere che il Campanella
abbia dovuto reclamare pel ricupero dell'opera sua.
[474] Entrambe le lettere sono state da noi pubblicate.
[475] È curioso il vedere che al Re, oltre le promesse solite di
edificare una città inespugnabile etc., far che i vascelli navighino
senza remi e senza vento, far che le carra camminino col vento con
buoni pesi, far che i soldati a cavallo adoperino entrambe le mani
senza obbligo di tener la briglia (cose più o meno già dette pure nella
_Città del Sole_), aggiunse straordinariamente la promessa de' «Rimedii
di rinnovar la vita ogni 7 anni». Nessuno meglio del Campanella sapeva
adattarsi alle persone con le quali avea da fare.
[476] Ved. Il Codice delle lettere etc. pag. 45.
[477] Così nell'Echard, Vita Campanellae, ediz. agg.^{ta} al Cyprianus,
Traiecti ad Rhenum, 1741, pag. 175.
[478] Ved. i Nuovi documenti pubblicati dal Berti, Doc. 1.^o pag. 29.
Ma ci permettiamo di far avvertire che la data di esso, 17 marzo 1607,
non può stare; la lettera evidentemente fu scritta dalla Germania e
basta riflettere che accenna ad una lettera commendatizia già scritta
dall'Arciduca Ferdinando, la qual cosa conosciamo essere avvenuta in
gennaio 1608; vedremo poi, nel corso della narrazione, come essa si
colleghi a qualche altra lettera pubblicata da noi.
[479] Ved. Griselini, Memorie aneddote spettanti alla vita di fra
Paolo Servita, Losanna 1760, pag. 142, e Oporini Grabinii, Amphotides
Scioppianae, Paris. 1611, pag. 162.
[480] Ved. Il Codice delle lettere etc. pag. 50.
[481] Riportiamo qui il brano suddetto perchè i lettori possano
valutarlo: «Primum ab Archiduce Maximiliano, cum totos XI dies cum
maxima mea molestia neque minimis impensis Oeniponti desedissem,
literas ad Proregem impetravi, et quidem adnitente D. Georgio nostro.
Deinde ut ipse Georgius hominem ei rei allegaret perfeci: ita tamen ut
stipulanti promitterem, curaturum me ut secum prius toto anno esses
quam quaquam discederes; tum etiam nullius me alterius principis
auxilia imploraturum, quamdin spes aliqua sit suam tibi operam
profuturam... Et tamen, bona cum ipsius pace, ut te Serenissimus
Patronus meus Ferdinandus Archidux ex praescripto meo Proregi
commendaret perfeci». Così nell'ultima delle tre lettere pubblicate dal
Berti, che a noi pare debba mettersi in primo luogo.
[482] Ved. Il Codice delle lettere, pag. 46 e 68.
[483] Ved. Il Codice delle lettere, pag. 42. Dobbiamo fare avvertire
che in questa lettera il Campanella dice dippiù esservi disgusto fra
Abacuc e il Tutore: oggi, sapendosi dall'Epistolario romano che fin
dall'ottobre 1607 era stato dal Fugger mandato in Italia Daniele
Stefano di Augusta, per far evadere il Campanella, potrebbe lo Stefano
esser ritenuto per Abacuc, disgustatosi col Tutore ossia fra Serafino.
[484] Abbiamo cercato di vedere con la maggiore attenzione se
nell'Archivio di Stato in Napoli fosse rimasta qualche traccia di
questo Carteggio dell'Arciduca Ferdinando ed anche dell'Arciduca
Massimiliano intorno al Campanella. Ci pare che le tre seguenti Lettere
Regie vi si riferiscano: ma il mistero col quale sono scritte vieta
di ritenerlo in modo assoluto. E però le mettiamo qui per lasciarne
giudici i lettori, pregandoli di ricordarsi che primo a scrivere fu
Massimiliano, che pochi giorni dopo scrisse Ferdinando, nel gen.^o
1608 (lettere giunte con ritardo), e che Ferdinando scrisse ancora in
sèguito, il 3 8bre 1608 e il 10 maggio 1609.--1.^o «El rey. III.^o
Conte de Venavente Primo mi Visso Rey, lugar teniente y Capitan general
del Reyno de Napoles. He visto vuestras cartas de los 23 de mayo y 30
de iunio con los papeles que acusan tocante a mejorar el presidio y
poblaçion de puerto Ercules, y sobre el socorro que pide el Archiduque
Massimiliano Ernesto, y agradezco os mucho el cuydado que teneys de
lo primero, en lo qual quedo mirando para proveer lo que convenga, y
en lo que toca a lo que os escrivio el dicho Archiduque no se offrece
que dezir, sino que fue açertado lo que le respondistes y lo sera
que siempre vays con la misma consideracion no resolviendo nada sin
avisarmelo, porque ay mucho que mirar en la forma de hazer aquellas
ayudas. De Valladolid a 10 de setiembre 1608. Yo el Rey».--2.^o «III.^o
Conde etc. Las cosas de la Religion Catolica en Alemana se van poniendo
en tan mal estado que obliga a atender a su reparo con summo cuydado,
y haviendo entendido el en que se hallan los Ser.^{mos} Archiduques
ferdinando y leopoldo mis hermanos por lo que toca a sus estados,
He acordado de engargaros y mandaros, como lo hago, les asestays y
ayudeys en lo que pudieredes de esse Reyno, y demas desto procureys
que por todas vias se entienda que yo de acudir a la defensa de la
causa Catolica y al empaxo de la cassa (_sic_) de Austria en qualquier
evento, como debo, para que con esto se reprima el atrevimiento de
los hereges, y avisareysme de lo que hizieredes, y se os ofreçiere
açerca desta materia. De Segovia a 13 de agosto 1609. Yo el Rey».--3.^o
«.... queda entendido lo que el Archiduque ferdinando mi Hermano os
ha embiado a pedir con el Conde fu.^o efforça de Porçia, y que os le
aveys respondido y ya se os ha avisado lo que es mi Voluntad, se haya
por agora ensto, a quen no se offreze que anadir, sino que aquellas
cosas me dan el cuydado que es razon y se va mirando en lo que se deve
hazer.... De Segovia a 22 de Agosto 1609. Yo el Rey». (Da' Reg.^i
_Litterarum_ S. M.^{tiz} vol. 12, fol. 878, 1053, 1703).
[485] Ved. Gabr. Naudaei Epistolae, Genevae 1667. Ep. 82, pag. 614.
[486] Il Berti, nella Vita del Campanella stampata nella Nuova
Antologia (luglio 1878, p. 615), parlando del carcere di Napoli dice
che il Campanella «ricevette pure nel carcere la visita del celebre
Gerolamo Vecchietti, di cui prese a difendere talune opinioni che
erano state allora giudicate eretiche»; e in una nota aggiunge,
«coteste opinioni si riferiscono alla cronologia sacra nella riforma
del Calendario Giuliano». Ma in un _Avviso di Roma_ della Collezione
esistente nella Bibl. Corsiniana (cod. 1768) abbiamo trovato in
data del 30 aprile 1633: «Il Vecchietti fiorentino dopo esser stato
sett'anni prigione all'Inquisitione questa settimana n'è uscito». Era
dunque prigione fin dal 1626, e quindi compagno del Campanella; e le
Lettere Inedite del Campanella dateci dallo stesso Berti ci mostrano
quale sia stata veramente l'opinione eretica, per la quale passò
pericolo di essere dannato al fuoco da 18 Teologi d'accordo, l'aver
negato che Cristo avesse mangiato l'agnello (ved. le Lett. da Aix 2
9bre 1634, da Parigi 4 10bre 1634, da Parigi 22 7bre 1636).
[487] Ved. Il Codice delle Lettere etc. pag. 131 e seguenti.
[488] Ved. le Poesie, ediz. D'Ancona pag. 151.
[489] Di testimonianze relative a tale notizia non conosciamo finora
altra più antica di quella del Bulifon, cronista della fine del 1600
e principio del 1700; ed essa viene a luce oggi per la prima volta,
comunicataci dal chiar^{mo} Scipione Volpicella. Si sa che il Bulifon,
libraio, registrava notizie di ogni sorte per compilare il suo così
detto _Cronicamerone_; ma essendo stato saccheggiato il suo negozio
e il suo domicilio il 1707, i manoscritti andarono perduti con tutto
il resto, e poi se n'è venuto ricuperando qualche volume più tardi.
Due di essi stanno nella Biblioteca Nazionale (X, F, 51-52), altri
in mano di particolari, ed uno di questi ultimi reca: «La notte che
divide l'anno 1679 dal 1680 morì in Roma quasi in miseria il celebre
matematico Giovanni Alfonso Borelli d'anni 72. Egli nacque spurio,
come dicono, nel Castello Nuovo di Napoli da un officiale spagnolo,
sebbene v'è chi dica dal Padre Tommaso Campanella ivi carcerato. Ma
restò tanto odioso di quella nazione che si assunse il cognome della
madre. Questo nelle sue opere stampate e ristampate in più luoghi diede
saggio della profondità di sua dottrina, con la quale gareggiò con li
primi ingegni dell'Europa. Non si deve tacere che la maggior parte
delle esperienze fatte nell'Accademia del Cimento in Firenze sono del
nostro Borelli in quella aggregato. Le opere da lui stampate sono De
vi....... (_sic_), De motibus a gravitate pendentibus, De motionibus
animalium, Dell'incendio del Vesuvio, e Euclide restituito».--Ognuno
apprezzerà, come merita, la notevolissima ragione del cambiamento di
nome del Borrelli addotta dal Bulifon, tanto più che da' posteriori
è stata variamente e meno acconciamente interpetrata. Noi pertanto
abbiamo raccolto e discusso in una speciale Illustrazione quelle poche
cose che finora ci è riuscito di trovare su tale argomento ne' libri
parrocchiali del Castel nuovo e nell'Archivio di Stato. Ved. Illustraz.
V, pag. 646.
[490] Il Conte di Lemos lo aveva dichiarato a S. M.^{tà} fin da
principio (ved. Doc. 36, pag. 42); d'altronde tale era la regola.
[491] Questa iniqua proposizione del Card.^l Barberini trovasi
riportata in una delle lettere del Campanella pubblicata dal
Baldacchini, quella del 10 agosto 1624, ed era perciò nota fin dal
1840; ce l'ha poi confermata un'altra lettera pubblicata nel 1878
dal Berti, quella del 13 agosto 1624 (non 13 aprile come il Berti
lesse, avendolo noi personalmente verificato nella Barberiniana). E
tuttavia si è continuato sempre a parlare della gloriosa protezione
del Campanella spiegata da Roma, dove è noto che il Card.^l Barberini,
Card.^l Nipote, spadroneggiava.
[492] Anche oggi di questo favore di Papa Urbano pel Campanella si ha
una notizia molto confusa, perfino riguardo al tempo in cui avvenne.
P. es. il Berti parla della «pensione mensile che gli fu accordata
quando venne di Napoli in Roma»: ma evidentemente una pensione, o
meglio uno stipendio per la carica di cameriere intimo, non si potè
accordare allora al Campanella, se fu rinchiuso nel carcere di S.^{to}
Ufficio per tre anni. E circa questo fatto della prigionia parimente
il Berti dice, che il Campanella «passò tre anni sotto la mentovata
custodia senza muoverne lagnanza»; ma non poteva muoverne lagnanza se
aveva avuta una condanna al carcere irremissibile; del resto, dovè
pure trovare chi l'aiutasse ad uscirne, disobbligandosi col fargli la
natività, e in una lettera scritta al Papa, quando stava nel S.^{to}
Officio, usò le espressioni medesime usate con lo Scioppio quando
stava nella fossa di S. Elmo, «Adiutor meus et liberator meus es tu
Domine, ne tardaveris». Queste notizie risultano dagli stessi preziosi
documenti datici appunto dal Berti (ved. Nuova Antologia luglio 1878
p. 400 e 392, e Lettere inedite, let. 12.^a p. 40, e let. 4.^a p.
21). Chiunque si faccia a leggere i documenti e a considerare le cose
senza idee preconcette, troverà che la Curia Romana non ebbe mai alcun
riguardo pel Campanella eccetto quello finale dell'averlo tenuto
nel carcere di Roma per soli 3 anni, invece degli 8 anni soliti a
farsi scontare, trattandosi di condanna al carcere perpetuo ed anche
irremissibile. Ma si deve tener presente che dopo la condanna egli
avea sofferto oltre ventitrè anni di carcere, che varii Cardinali e
Prelati aveano molta considerazione della sua dottrina, massime poi che
sopraggiunsero circostanze straordinarie e del tutto estrinseche, per
le quali Papa Urbano, personalmente, mostrò di proteggerlo ed amarlo,
e pure fino ad un certo punto. Si può ben dire che quella volta il
Campanella non vide chiaro, e ad ogni modo, circa la protezione trovata
da lui in Papa Urbano, si sarebbe dovuto accuratamente distinguere più
periodi successivi, ne' quali le cose andarono ben diversamente.
[493] Da buon teologo, lo Spagnolio «reverentemente abolì» ciò che avea
detto del Campanella e de' congiunti e familiari di lui; pel resto
scrisse, «de coeteris, jure, an fraude et calumnia circumventi, saevis
sint affecti suppliciis aut morte puniti, nullo modo contendo». Gli
riusciva quindi anche indifferente il determinare se ci fosse stata o
non ci fosse stata una congiura.
[494] Così nel libro intitolato «Considerations politiques sur les
coups d'Etat, Hollande 1679» p. 262 e 277. Il libro era stato stampato
anche nel 1667 e 1671 sempre assai dopo la morte dell'autore, e
come abbiamo dimostrato nella nostra precedente pubblicazione sul
Campanella, esso fu certamente stampato per la prima volta in piccolo
numero di esemplari, dovendo rimaner segreto, dopo il 1638; poichè
nella dedica al Card.^l di Bagno, il quale avea data al Naudeo la
commissione di scriverlo, si parla del riposo e degli onori che
il Cardinale godeva in Roma dopo sette governi di provincie, una
Vicelegazione e due Nunziature, e si sa che tutto questo accadeva dopo
il 1638, avendo in tale anno il Cardinale rinunziato il Vescovato di
Rieti e preso stanza in Roma.--Quanto al «Panegyricus dictus Urbano
VIII Pontif. max. ob beneficia ab ipso in Thom. Campanellam collata,
Paris ap. Sebast. Cramoisy 1644», esso reca in fine la data del
1632, e sebbene nel titolo ed anche nella dedica si affermi essere
stato «recitato» ad Urbano VIII, e l'Echard aggiunga che appunto nel
1632 questo sia accaduto «coram percelebri omnium ordinum consessu»,
gioverà conoscere un brano di lettera autografa inedita dello stesso
Naudeo, che riportiamo tra i Documenti (ved. Doc. 527 b, p. 607). Vi si
rileverà che il Panegirico non fu mai recitato, e che nel 1635 l'autore
dolevasi di non poterlo dare alle stampe, del quale ultimo fatto ognuno
naturalmente intenderà la ragione. Nulla diciamo poi del trovare
affermato nel Panegirico, che Papa Urbano beneficò il Campanella
«judicium non modo suum..., sed Clementis VIII, et Pauli V mentem, in
aestimandis Campanellae dotibus mirificis, sequutus»; perfino Clemente
VIII avea stimato le qualità del Campanella!
[495] Tutte le suddette particolarità emergono da' Carteggi e dagli
Avvisi del tempo; l'ultima poi, la più scellerata, è venuta fuori
co' documenti raccolti dal Bazzoni pel suo bel lavoro intitolato «Un
Nunzio straordinario alla Corte di Francia nel secolo 17^o», pubblicato
nella Rivista Europea 2.^o semestre 1880. Notevole riesce l'industria
del Mazarini per adempiere alla commissione ricevuta; si serve del
noto P.^e Giuseppe e vuol servirsi anche del Card.^l Della Valletta,
ma attesta che il Campanella parla molto bene del Card.^l Barberini
non che del Papa (ecco una difficoltà). Più tardi fa sapere che ha
parlato risentitamente al Campanella perchè vuole stampare alcune
opere avendone ottenuta la permissione dalla Sorbona; vuole stampare
l'Ateismo e vi si riscalda, «per qualche profitto che ne caverà»; e
malvolentieri si lascia persuadere che non stampi, «parendogli che
l'opporvisi sia togliergli la gloria» (cose da nulla). Con ciò fa anche
sapere che il Richelieu lo stima un chiacchierone, e che veramente
il giudizio suo non corrisponde all'ingegno. Senza dubbio in quelle
condizioni l'avrebbe perduto ognuno il giudizio; ma che dire poi del
giudizio di chi ha cantato inni di gloria a Papa Urbano ed a' Barberini
a proposito del Campanella? Ed oggi c'è da temere per soprappiù, che
debba il filosofo scontare il risentimento di coloro i quali non sono
riusciti a capirlo.


INDICE DEL VOL. II.

CAP. IV.--Processi di Napoli e pazzia del Campanella. pag. 1.
_A._--Processo della congiura (primi mesi del 1600). » ib.
I. Arrivo delle quattro galere co' prigioni in Napoli; per ordine del
Vicerè, all'entrare in porto ne sono impiccati quattro alle antenne,
ed anche squartati due in mezzo alle galere, il Caccìa e il Vitale, ma
dopo di averli fatti soffocare; ultimi atti di costoro (1). Notizie
esagerate che ne dava il medesimo Vicerè; sua istanza che il Vescovo
di Mileto si rechi a Napoli, e che nella causa dei frati e clerici
intervenga un suo ufficiale; fra Cornelio consegna al Nunzio il
processo di Calabria (4). Scelta de' componenti il tribunale pe' laici
ed istruzioni relative; Marcantonio de Ponte Giudice commissario, D.
Giovanni Sances Avvocato fiscale assistito dallo Xarava, Giuliano
Canale Mastrodatti; notizie sul De Ponte e sul Sances (5). Difficoltà
incontrate dal Nunzio per riconoscere i carcerati ecclesiastici; fra
Cornelio, dopo di averne visitato qualcuno, parte per Roma, dove
non riesce a sodisfare il S.^{to} Officio che l'interroga; non per
tanto Roma accetta che oltre il Nunzio intervenga nella causa degli
ecclesiastici un ufficiale Regio (7). Ricognizione de' carcerati
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