Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 41

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seduto sul letto, disse, levando le braccia al Cielo: _Deus meus quare
dereliquisti me?_....
Era ne' destini di Niccolò servir d'esempio sin dove possa su questa
terra giungere la sventura e la forza dell'uomo nell'ottenerne
vittoria. Colla tremenda potenza di volontà, ch'era stata sempre virtù
sua principalissima, volle cacciar quelle idee, e le cacciò: volle
averne d'un genere affatto opposto, e le ebbe, raccolse gli sfrenati
pensieri, e disse in cuor suo: «Chi son io per giudicare quell'ente
che fece me e gli uomini tutti, e cielo, e terra, e l'universo! Dir
ch'egli o non possa, o non voglia, o non gli caglia occuparsi d'ognuna,
benchè minima, delle sue creature, pesarne i meriti e le colpe, i
dolori e le gioje, perch'egli è troppo grande per iscender sì basso;
qual empia pazzia? Non sarebbe ciò appunto limitare la sua potenza,
volerlo rimpicciolire alla nostra misura? Le creature tutte non son
esse egualmente atomi, e nulla a fronte della sua immensità? Volgere
il sole e gli astri pel firmamento costa più forse alla sua mano che
dar forma e moto al minimo degl'insetti? Oh, Iddio grande, dacchè m'hai
pur creato, abbi dunque cura anche di me! Soccorri dunque quest'anima
immortale ora che sta per ritornare donde tu la movesti! Perdona i
dubbj di quest'intelletto, che è per tua fattura! Tu non gli desti di
poterti comprendere, ma, lo sento, tu m'hai posta nel cuore, compenso
a tutti i miei mali, bastante virtù da poter sperare in te, nelle tue
misericordie. Sì, mio Dio, io spero.... io confido nella tua bontà,
mi getto tra le tue braccia, nel tuo paterno seno, ove saprò forse un
giorno perchè in terra ebbi tanto a patire!....»
La speranza, celeste amica degli afflitti, scese così nel cuore del
povero vecchio, e vi sparse una nuova dolcezza, una quiete serena per
la quale si sentì riconfortar tutto. Gli parve essere già trasportato
in una regione alta e lontana dalle miserie del nostro mondo, sentirsi
sciolto oramai dalle passioni, dalle cure di esso, e trasfondersi tutto
nelle idee d'una vita migliore. Questi pensieri a poco a poco, senza
perder punto della loro soavità, si confusero, vennero acquistando
non so che di fantastico e d'immaginoso, chè lo stanco vecchio s'era
alla fine addormentato, e gli pareva vedersi dinanzi tre figure, tre
forme umane vestite di tonacelli bianchi, co' piedi scalzi, che gli
sorridevano, e parean godersi in un fuoco vermiglio ed ardentissimo,
che per ogni parte guizzando con mille rapidissime fiammelle le
circondava.
Quello che era nel mezzo cominciava a parlargli, ma le sue parole erano
come un'armonia dissimile ad ogni lingua terrena, ed incomprensibile
a Niccolò, al quale, riconoscendo Fra Girolamo, pareva prostrarsegli,
esclamando:
--O santissimo de' martiri, fa che il tuo servo t'intenda!--
Il frate allora, mutando voce e lingua, gli diceva:
--E vorresti intendere i misteri di Dio? Adorali, e spera.
S'adempiranno le mie profezie. _Florentia post flagella renovabitur_.
Ma non puoi sapere nè quale abbia ad essere il flagello, nè quanto
debba durare.... _sic dicit dominus_.... passeranno le generazioni ed i
secoli, poi sarà luce nuova e terra nuova, e quella patria che abbiamo
amata cotanto ambedue risorgerà libera, rinnovata.--
Il fuoco, i martiri, la visione tutta sparì: e Niccolò destatosi, e
stimando appunto visione divina il sogno che con apparenze sovrumane
gli avea ritratte quelle idee che avea sempre avute fisse nel cuore,
si sentì più che mai avvampare di quell'ardente carità di patria, di
quella fede inconcussa, che era stata l'anima del viver suo, e doveva
essere in morte l'unico suo conforto.
Iddio, che giammai non abbandona chi d'abbandono non è meritevole, avea
mandato l'ajuto quando appunto stava per isorgere maggiore il bisogno.
Un romore di persone e di chiavi si fe' sentire nell'andito vicino: si
riaprì la porta della segreta, entrò un tavolaccino con un torchietto,
poi alcuni birri della famiglia del bargello, e comandarono al vecchio
d'alzarsi e di seguitarli. Egli ubbidì, e preso in mezzo da costoro,
uscirono, e dopo un lungo ravvolgersi per corridoi e scalette vennero
alla porta d'una sala ove teneva ragione il nefando tribunale,
statuito, non a giudicare, ma a mandar alla morte i nemici del nuovo
stato, aggiuntovi lo scherno di un giudizio.
Era un camerone quadrato ed alto, mostrava dipinta nella facciata per
mano di Giotto una storia piena di figure di santi, sotto i quali il
pittore ritrasse molti de' più ragguardevoli cittadini dei tempi suoi,
tra gli altri, Corso Donati, Brunetto Latini e Dante Alighieri.
Sotto Pietro Leopoldo fu dato il bianco alla pittura. A nostri giorni
l'ugne de' prigionieri scortecciando quell'intonaco, la scoprirono qua
e là. Speriamo che si scopra del tutto, e che quel luogo pieno di così
onorate memorie, sia ridotto meno schifo che non è al presente.
Sotto la pittura era una spalliera, o banco, sul quale sedeano otto
giudici vestiti di robe pavonazze, ed avean dinanzi un lungo tavolone
ov'eran registri, scritture, calamaj, un involto, ed in quattro
candellieri altrettanti ceri accesi, chè ancora non era apparsa la
prima luce del giorno: e per due finestre strette, lunghe ed alte dal
suolo, poste a manca di chi entrava, ed aperte pel caldo, si vedean tra
le sbarre dell'inferriate scintillare le stelle.
Presso la porta s'intrattenevano mazzieri, birri, testimonj e
tavolaccini. In un angolo sporgeva dal muro una trave con una carrucula
in punta, e la corda del tormento. Un'immagine di Nostra Donna dipinta
accanto sulla parete, con una lampada accesa davanti, dovea forse colla
sua vista confortar le vittime: o piuttosto era ivi collocata per la
vecchia usanza degli uomini di usar le cose divine a tutelare le loro
ribalderie.
Quando entrò il vecchio sorse un leggiero bisbiglio tra que' ribaldi
che erano in sull'uscio. Alcuni si riposavano sdrajati lungo il muro,
chè a que' giorni il tribunale non avea avuto posa d'un momento. Uno di
costoro, stirandosi e sbadigliando, tutto svogliato diceva:
--Quando verrà l'ultimo di codesti uccellacci! che possiamo un tratto
andarci a dormire!....--
Niccolò venuto avanti, si fermò a due passi dalla tavola. Quantunque si
sentisse, come si può immaginare, parendogli che al cospetto di que'
nemici della sua patria, avesse egli il carico di sostenerne l'onore
colla presenza e colle parole: si tenne ritto più che poteva, e girando
lo sguardo, non arrogante, ma pure ardito sui giudici, nessuno potè
sostenerlo, ed abbassarono gli occhi o li volsero altrove.
Erano stati scelti costoro tra' più sviscerati amatori de' Medici,
o piuttosto tra quell'antica e mala razza, la quale, dacchè gira il
mondo, s'è trovata sempre pronta a porre la sua viltà a servigi del
partito vincente.
Era tra essi Baccio Valori (Dio ti benedica le mani, Cosimo de'
Medici!) v'era messer Benedetto de' Nobili, degli altri non accade dire.
Il presidente, volto all'accusato, l'interrogò:
--Il tuo nome, l'età, la patria?--
E Niccolò con voce sicura
--Niccolò di messer Cione de' Lapi, del popolo di S. Giovanni,
gonfalone del Leon d'oro, di anni 91.--
--Messer Benedetto, leggete l'accusa.--
S'alzò il Nobili, e tolto dalla tavola un foglio, lesse con volto, in
apparenza compunto, le seguenti parole:
«_In Nomine D. I. C., ac Beatiss. V. Mariae. Amen_ (ed il ribaldo
chinò il capo sin quasi sulla tavola che avea dinanzi), Hoggi addì.....
agosto 1530, è comparso dinanzi agli eccelsi signori Otto di Balia
della ciptà et repubblica di Fiorenza, Niccolò di Cione de' Lapi, et
accusato come per infrascripti testimonj, d'avere
I.º Sollevato et aggirato il popolo con frodi et macchinazioni, a
danno et vituperio di questo Stato, intromettendosi _clam, seu palam_,
nelle deliberazioni e nelle pratiche de' magistrati per contraddire
che la sopraddetta ciptà et repubblica di Fiorenza non iscendesse alle
giuste et honeste conditioni domandate da S. B. papa Clemente VII per
l'ill.^{ma} casa Medici, e pei cittadini Palleschi che aveano avuto
bando di rubelli dopo il 1527, et essere stato cagione principalissima
che si prolungasse la guerra con infiniti danni della ciptà et del
contado.
II.º _Item_ d'havere consigliata et favorita la deliberazione di
spogliare le chiese, cappelle, luoghi pii et oratorj degli ori,
argenti, gemme et arredi pretiosi, contro l'espressa proibizione
di S.ª S.ª et a danno gravissimo del clero, de' conventi et
della S.ª Catt.ª Chiesa, per sostentare le spese della guerra et
dell'abominevole ribellione contro gli ordini et le leggi antiche della
repubblica di Fiorenza, e contro la chiesa romana.
III.º _Item_ d'havere consigliato et confortato molti pessimi huomini,
alle ruberìe, arsioni et rovine delle ville di Careggi et altre case
dell'ill.^{ma} casa Medici, ed a far villania, e tagliar a pezzi papa
Clemente a' Servi e ad altre brutte insolenze[73].
IV.º _Item_ d'havere tenuto in casa sua culto empio et sacrilego alla
memoria di frate Hieronimo Savonarola arso sulla piazza di Palagio
come heretico ostinato, et scomunicato dalla SS.^{ma} memoria di papa
Alessandro VI, come appare dalla tonaca et dalle ceneri del sopraddetto
frate, quali sono presenti all'accusa, et havute dal sopraddetto
Niccolò in venerazione et tenute in casa, nella propria camera da letto
per farvi le sue divozioni, con iscandalo della famiglia, de' buoni
cristiani et disubbidienze alla S.ª R.ª Chiesa.»
Dalle quali accuse, ammoniti a dir la verità, e presone sacramento
sull'anima loro e sopra i SS.^{mi} Evangeli, seguono gl'infrascritti
testimonj....
E qui lesse una filza di nomi della più bassa canaglia, seguiti tutti
da una croce, perchè nessuno di costoro sapeva scrivere, poi soggiunse:
«Per le quali et per altre colpe et malefizj che si tralasciano, ma che
all'occasione potrebbero venir dimostrati, si richiedono gli eccelsi
signori Otto di Balia della repubblica et popolo di Fiorenza, facciano
giustizia del sopraddetto Niccolò di messer Cione de' Lapi, colla
condennagione alla pena de' traditori della patria; ad defensione de'
buoni cittadini ed delle leggi, et esemplo de' tristi, et malvagi. _Ad
Dei gloria. Amen_.»
Durante questa lettura un riso amaro era più di una volta apparso sulle
labbra del vecchio: venuta a fine, disse il presidente:
--Niccolò, tu hai udito:, confessi, o vuoi parlare in tua difesa?--
--In mia difesa? rispose il vecchio sorridendo, io non butterei il
fiato e le parole per questo: non vi conosco forse? non so io chi v'ha
posti a quest'ufficio? Chi m'ha fatto pigliare e menar prigione, contro
la fede de' capitoli della resa, che patteggiavano salve le vite e la
libertà de' cittadini?
--E vorreste ch'io pensassi a difendermi? No, non parlo per salvare il
mio capo: cada pure, e Dio volesse fosse caduto assai prima! non avrei
veduta la rovina di questa santa ed altrettanto disavventurata patria,
nè tanti tradimenti, nè tanta viltà.
--Ma parlo per l'onor di Firenze, perchè sempre, sinchè avrò libera
almeno la lingua ed il respiro, sinchè mi lascerete vivo, non udrò mai
vituperare e calunniar questo assassinato popolo, senza ch'io levi
il grido in sua difesa.--Io non l'ho nè aggirato nè sollevato con
macchinazioni, nè ho turbate le deliberazioni o le pratiche: ma in
casa, in chiesa, in piazza, per tutto, a viso aperto (come ha parlato
sempre Niccolò) l'ho confortato alla difesa della sua libertà, e me
ne vanto: chè Firenze è stata sempre città libera e di sua ragione,
ed i Medici e loro consorti, essi con macchinazioni e frodi tentarono
sottometterla, e se ne furon cacciati, fu fatto loro il dovere: ora
ritornano armata mano a calpestarla; Iddio l'ha consentito pe' nostri
peccati, ma l'infamia di traditori alla patria starà eterna sovr'essi e
non su noi.
--Gli ori e gli argenti delle chiese furon usati, ed avevam potestà
d'usarli dal papa stesso, che l'aveva concesso prima del 27 in
defensione dello stato de' Medici. O non è lecito adoprar que' tesori
ad uso profano, e neppur allora non dovean porsi a discrezione de'
laici; o è lecito, e furon adoprati santamente a sollevar la miseria e
salvar la vita a migliaja d'innocenti che morivan di fame.
--Dell'arsione di Careggi non parlo; ciò varrebbe soltanto a mia
particolar difesa, ed io non curo difendermi.
--Ma parlo bene, e protesto alla faccia di Dio e del mondo, contro le
vituperevoli bestemmie ch'io ebbi pure ad udire in offesa del santo
martire Fra Girolamo Savonarola, che non vi basta aver morto, non vi
basta averne disperse e battute in Arno le ceneri, se colle calunnie
non lo vituperate. E vi pensereste forse che vi venisse fatto? Che non
fosser note ed aperte al mondo le ribalderie, le frodi, le false accuse
colle quali procuraste la sua rovina voi Palleschi, cui facean vergogna
le sue virtù, le sue sante esortazioni? Che non sappia ognuno come fu
falsato il suo processo? Come ser Ceccone, notajo, che fu istrumento di
queste abbominazioni, per giusto castigo di Dio morì disperato? Ed una
scomunica fondata sulle calunnie avrebbe a tenere?.... Io non prestai
alle reliquie del santo martire culto che non si convenisse, ma le
tenni in casa con quel rispetto che era dovuto alle ceneri d'un santo,
chiarito tale da miracoli, in vita e dopo morte operati.--
Messer Benedetto a queste parole sciolse l'involto che era sulla
tavola, ne trasse la tonaca ed un sacchetto di seta trapunta d'oro
ov'eran le ceneri, e mostrandola a Niccolò, disse:
--E' basta che tu riconosca queste cose esser tue, e quelle medesime
che tu tenevi in camera in una nicchia, con accesa una lampada dinanzi;
quello che si debba inferir poi di codesto culto, e della validità
della scomunica no' lo sappiam ben noi.--
--Sì, ch'io le riconosco, e son mie, disse Niccolò prendendole e
baciandole con impetuosa effusione d'affetto, e ringrazio Iddio che
mi porge occasione di confessare a viso aperto il suo profeta innanzi
a voi suoi nemici! di confessare la patria innanzi a voi che l'avete
assassinata e tradita! Chi ero io, povero vecchio, da meritar di morire
per cause cotanto sante ed onorate? Ora fatemi il peggio che voi
potete, trionfi _potestas tenebrarum_, ma sappiate che Niccolò solo,
inerme, prigione in mezzo a voi, v'ha compassione, e che a voi toccherà
un giorno portargli invidia. Io dico e te, Baccio Valori.--
Disse alzando la mano e la voce verso di lui, che mezzo sbigottito si
scosse.
--Io dico a te! verrà il giorno che la morte di Niccolò ti farà
invidia: e non ch'io t'imprechi alcun male per quel che tu mi fai ora,
chè liberamente ti perdono, ma non perdona Iddio a chi fa alla sua
patria quello che tu facesti!--
--Orsù! disse Baccio troncandogli le parole, e facendo un risoluto
cenno a' mazzieri, a questo modo si porta egli rispetto al magistrato?
Ed il presidente, accennando anch'esso ai ministri, disse:
--Dacchè egli non vuol prender la buona via, e per arroto dice villania
al magistrato, egli è dovere collarlo. Tu t'hai a dolere di te,
Niccolò! Cancelliere, scrivete l'esamina.--
Alcuni birri si gettarono su Niccolò e, presolo per le braccia, lo
trassero violentemente presso il brutto istrumento che accennammo
dianzi, gli strapparon di dosso il lucco, il cappuccio, li gettarono a
terra, ed il venerabil vecchio rimase in sole calze[74] e camicia. Il
crocifisso d'argento, quello che avea tolto da capo al letto all'atto
della partenza, ed era stato di M.ª Fiore sua moglie, gli pendeva sul
petto, e trasse gli sguardi di quegli sgherri, che gliel'ebber tosto
strappato. A quest'atto uscì dal petto di Niccolò un doloroso sospiro,
ma levò gli occhi al Cielo rassegnato, e le sue labbra mormorarono
alcune sillabe di preghiera, o forse di perdono.
Intanto i ministri del manigoldo, vestiti di farsetti e calze d'un
rosso cupo, colle maniche rimboccate sin sopra il gomito, avevano
spinto il vecchio sotto la carrucola, e legategli dietro le reni le
braccia strettamente ai polsi colla corda che ne pendeva.
Tre di costoro afferratone l'opposto capo, aspettavano con istupida
indifferenza il cenno d'incominciare, e Niccolò, volgendo il cuore a
Dio ed implorando l'intercessione di Fra Girolamo, diceva:
--O tu, che soffristi tanto per la giustizia, fa ch'io sappia soffrir
questo poco per la gloria di Dio, e per l'onore di questa povera
patria.--
Messer Benedetto intanto, alzatosi dal suo posto, s'era accostato al
paziente, e collocatosi ritto in faccia, accanto ad una piccola tavola,
alla quale sedeva il cancelliere con un foglio bianco e la penna in
mano aspettando di scrivere la confessione.
Molti pittori, nel rappresentare il martirio di qualche santo, si
sono ingegnati render la scena più dolorosa ed evidente col contrasto
tra i ceffi de' manigoldi ed il volto del martire; ma nessuno potè
mai giungere ad immaginarlo quale era quivi realmente. Il volto di
Niccolò, che per l'estremo pallore era quasi d'un color solo colla
barba e coi capelli, illuminato dalla lampada della Madonna che gli
stava sul capo, avrebbe avuto l'apparenza del marmo o dell'alabastro, e
sarebbe sembrato il volto d'un profeta scolpito da Michelangelo, ma gli
occhi neri levati al cielo davan vita a quel volto, splendendo umidi
tra quel candore, e tuttochè devoti, e tutti trasfusi in Dio, non
erano spogliati però del tutto della consueta fierezza. La bianchezza
parimenti della camicia e del petto, che appariva largo e ben formato,
benchè un po' scarno, la figura tutta in una parola di Niccolò, parea
circondata d'una certa aureola, parea quasi risplendesse sull'oscuro
campo che le faceano le brune pareti della sala, le immonde vesti della
sbirraglia, ed i loro sozzi visacci, quali rossi e spugnosi per l'abuso
del vino, quali smorti e disfatti per immoderate libidini, quali scuri
e bestiali per abituali e sanguinose violenze. Nè men turpe di loro,
benchè d'aspetto meno plebeo, appariva il viso di messer Benedetto.
Qual cosa e più turpe d'un viso d'ipocrita?
Mettendo un sospiro, ed abbassando gli occhi per simular umanità, disse:
--Niccolò, confessi tu d'aver sedotto e traviato il popolo, come appare
dall'accusa e da' testimonj?--
Il vecchio non rispose, e cominciò a recitar il versetto «_Domine
adjutor meus ecc_.»
Il Nobili accennò ai ministri, e questi ravvoltasi meglio la fune
alle mani piegarono le ginocchia lasciandosi andar di tutto peso....
Le braccia dell'accusato gli corsero su per le schiene, i muscoli del
petto stirati con violenza gli s'avvallarono tra costa e costa, perdè
colle piante la terra, e rimasto sospeso s'aggirò un momento colle
ciglia e le labbra strette, ma senza mandar un gemito. Rimasto così
alcuni secondi, fu riposto giù.... ma non ci regge l'animo dir più
oltre di questa barbarie, della quale per secoli furono vittime tante
migliaja d'infelici, e se più crudele o più pazza, sarebbe difficile
definirlo. Basti dire che l'innocente vecchio soffrì la fune tre volte,
e la fortezza dell'animo potè tanto sulla natura che non rallegrò i
suoi nemici nè d'un grido nè d'un lamento: ed alla fine, doloroso e
languente, ma costante sempre, fu di nuovo portato, più che condotto,
nella sua segreta.


CAPITOLO XXXVIII

Quando Niccolò fu lasciato, si può dir, semivivo, sul lurido saccone
che gli serviva di letto, era già fatto giorno da un'ora. Rimase come
lo aveano posto; chè quel misero corpo era oramai divenuto un peso
inerte, e privo d'ogni forza; gliene fosse pur rimasta, il minimo atto,
il più lieve moto avrebbe resi insopportabili gli acerbi dolori che
lo tormentavano per la sofferta tortura. Ma neppur questi patimenti
poterono prostrare quell'anima riconfortata dalla celeste visione che
in sogno avea creduto avere, e dal pensiero ch'era ormai presso al
termine di tante miserie.
Al silenzio della notte era succeduto colla nuova luce quel confuso e
continuo rumore che s'ode in una città desta, e che penetrava pure in
quella segreta per l'alta e piccola finestra, munita d'una ferriata
fitta, e d'una tramoggia al di fuori.
Tra quel rumore, tra quel ronzìo confuso, che era un misto di voci
e di schiamazzi lontani, dell'andar de' carri, dello scalpitar de'
cavalli, del picchiar delle arti per le botteghe, parea talvolta a
Niccolò udire un bisbiglio più forte, come d'una frotta di uomini che
passasse sotto le mura del bargello, ed un tratto levarsi il rumore,
col maladetto grido: Palle, Palle!.... muojan i Piagnoni! urlato dalla
più vile canaglia di Firenze; poi tra mezzo qualche voce sonora e di
comando profferir parole tedesche, ovvero spagnole, chè tutte le strade
all'intorno eran, per sospetto del popolo, stivate di soldatesche
straniere.
--Oh perchè vissi tanto! diceva sospirando Niccolò. Perchè non fui
anch'io all'ultima battaglia ove morirono i miei figli?... sarei morto
con essi! Oh felice me allora!--e sforzandosi d'alzar le braccia riuscì
pure, malgrado la doglia degli omeri e delle spalle, a turarsi colle
mani le orecchie.
Lo prese a quel punto più che mai ardentissimo il desiderio della
morte, e come pratico de' processi criminali per cose di stato, che
in que' tempi, da chiunque venisser ordinati, si sbrigavano assai
presto, veniva calcolando l'ore che avrebbe ancora dovute passare in
quest'inestimabil passione, e pensava come per confortarsi «non è
possibile ch'io sia mai vivo domattina.» Gli venne a quel punto un
pensiero «Potrò io avere un confessore, che non sia uno de' costoro
ribaldi?» E volea dire, se gli avrebber concesso d'aver una frate di
S. Marco, e non invece un di quegli altri avversi a Fra Girolamo,
ed allo stato popolare, come verbigrazia erano i Frati di S. Croce.
Poi rifletteva. «I nostri si terranno chiusi in convento con sospetto
grandissimo, e potrebbero portare grave pericolo uscendo; dovrò io
esporveli facendoli chiamare? Fra Benedetto, che sarebbe pur quello
ch'io vorrei, si attenterebbe egli a venire? Egli è un santo, ma
altrettanto pusillo d'animo. E se anco venisse, vorrei io esser cagione
che soffrisse oltraggio, villania, e forse peggio da questa setta
perversa?»
O Niccolò, tu devi saper morire solo, senz'altro conforto che la
memoria della tua vita passata! Ora è tempo d'usare quella fortezza che
predicavi agli altri, se non vuoi che dican di te, come disse Cristo
de' Farisei:[75]
All'ora che era solita distribuirsi la vivanda ai prigionieri, verso
mezzamattina, comparve il carceriere con un pane ed una scodella di
broda, nella quale il vecchio prese qualche cucchiajo, ajutandosi
alla meglio, chè il riposo gli avea già in parte restituito l'uso
delle braccia. Poi rimessosi a giacere, e rimasto solo, volse tutti i
pensieri a Dio, ingegnandosi di venirsi così preparando alla morte.
Dopo un'ora udì disserrarsi di nuovo il chiavistello dell'uscio, e
disse:
--Ecco chi viene a darmi il comandamento dell'anima! Ora sii tu
ringraziato Iddio, che finalmente mi chiami alla tua gloria!--
Ma invece dell'uomo che era solito adempiere quel triste ufficio, vide
entrare messer Benedetto, il quale, com'ebbe diligentemente richiuso,
si fermò ritto avanti il lettuccio.
Niccolò, che sapeva chi egli era, vedendolo in atto tutto benigno, gli
piantò gli occhi in viso tanto sicuramente, e come per iscrutare i suoi
pensieri, che il tristo ipocrita dovette volgere altrove lo sguardo.
Poi, tutto modesto e compunto, disse:
--Niccolò, io ti vengo a visitare, ch'egli è dovere d'ogni cristiano
sollevare i tribolati, come se' tu. Ora sappi che mi duole moltissimo
del tuo caso, ma non istette in me il potervi riparare.... pure, se vi
fosse cosa che si potesse fare per levarti i tuoi dispiaceri io sarei
disposto farla....--
Niccolò, al quale non cadeva neppur in pensiero prestar fede alle
costui proteste, veniva dicendo «Che vorrà egli da me?» ma non riusciva
indovinarlo. Pure gli volle rispondere umanamente, raffrenando l'ira
che destava in lui quel ribaldo.
--Io ti ringrazio, Benedetto, e voglio esser persuaso di tutto quanto
tu m'hai detto. Ma oramai io non ho altro desiderio se non che facciam
presto, ed intanto sarai contento tu ed ognuno lasciarmi solo e non mi
dar noja, chè in questi momenti l'uomo ha bisogno di star con sè stesso
e con Dio, e non con altri.--
Dette queste parole Niccolò fece colla mano l'atto di dar commiato,
e volse il capo verso il muro, sperando torsi colui d'allato. Ma il
Nobili non si mosse, e riprese sempre più melato:
--Troppo parli sicuramente, Niccolò! E' pare che non ti curi nè di
vivere nè di morire!.... tu ti butti troppo presto al disperato.... e
ti credi non aver attorno che nemici, eppur non è così, Niccolò.--
Il vecchio volgendo il capo lo squadrò di nuovo con un'occhiata, che le
pupille del Nobili evitarono, errando qua e là, poi disse, un pò più
risoluto:
--Dov'io sia, e con chi.... lo so, Benedetto.... e dov'io sono, la Dio
grazia, son contento d'esservi, ch'io morrei dieci volte non che una
per non veder Firenze in mano di chi ella è.... ora te lo dico un'altra
volta, vatti con Dio e lasciami in pace.--
Il Nobili parve stesse tra due d'andarsene; tacque un momento, poi,
quasi riprendesse il primo pensiero, diceva:
--S'io venni qui, e s'io ti do noja ora, egli è ogni cosa pel tuo bene.
Ascoltami Niccolò.... no' siam soli.... nessun ci può udire.... Che io
tenga pe' Palleschi, e tu pel popolo, poco importa.... no' siam vecchi
tutt'a due... ed io penso pure che io ho un'anima da salvare, e codesto
importa assai. Credi tu ch'io non veda i modi che tengono costoro del
nuovo stato? ch'io non conosca il brutto torto che ti vien fatto? Tu
mi dirai «O perchè dunque fosti tu ad accusarmi?» Come potevo io non
ubbidire a quel ribaldo di Baccio? e poi.... e se io ora appunto, per
non imbrattarmi del sangue innocente, venissi a te per salvarti?--
Niccolò si scosse a questa parola, ma il Nobili, accennandogli colla
mano onde non l'interrompesse, proseguiva:
--Vuoi tu aver in dispregio la vita perchè la tua parte fu vinta? È
questo l'esempio che ci diedero i nostri antichi? E se in Firenze, ogni
volta che una parte fu cacciata e dispersa, avesse fatto come vuoi far
tu, sarebb'ella mai ritornata....
--Ingegnati di vivere, chè niuno ha ancor trovato chiodo che valga
a conficcar la ruota della fortuna, e solo pe' morti non v'è più
speranza. Io parlo pel tuo bene, Niccolò! Vedi questi ribaldi che
ti voglion veder morto, sta in te il farteli amici... tu sei ricco,
Niccolò... io so che in casa tua,.... o forse al tuo podere presso il
Poggio, tu hai molto tesoro nascosto.... insegnami il luogo.... ora non
è tempo di miserie... i danari si ritrovano, ma la vita! Dimmi, dov'è
codesto tuo nascondiglio, e con questo tesoro io saprò far in modo che
quei tuoi nemici....--
Niccolò, che non aveva tesori nascosti, e che a un tratto conobbe
aperta la scellerata ed avara frode del Nobili, non si potè più tenere.
--Ah ribaldo ladrone! gridò alzandosi con potente sforzo a sedere, non
ti basta egli avermi involati que' danari ch'io ti prestai per coprire
le tue ladroncellerie, se non vieni ora ch'io sto in fin di morte a
sobbillarmi con queste tue finte compassioni per ispogliarmi di ciò
che tu credi ch'io abbia, e che non ho, nè ebbi mai? Che tesori? che
nascondigli? Che sogni son codesti? Io diedi pei bisogni della città
infin quella poca urnetta d'argento ove tenevo le ceneri del B. Fra
Girolamo, e vuoi ch'io abbia i pozzi pieni di fiorini? Tu fosti sempre
un ribaldo, e sempre sarai, e non mai ti verrà fatto comprendere come
usino gli uomini dabbene, che stimano la patria e la libertà più che
l'oro e la vita.... e per salvarla credi tu ch'io vorrei aver obbligo
ad un Pallesco? Una sola volta in 91 anni m'impacciai con Palleschi,
e fu la mia mala ventura; chè la città non sarebbe forse fatta serva,
io non sarei qui, e non avrei macchiato l'onor di casa mia, s'io non
avessi accettato per genero un traditore Pallesco.--
Vedersi scoperto, deluso, e sentir le rigorose e pur vere parole di
Niccolò, generarono una tanto velenosa rabbia nel cuore del Nobili, che
per darle sfogo, e fargli dispiacere in qualche modo, disse:
--E neppur a termini in cui se' ridotto t'abbandona la tua smisurata
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