Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 12

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La povera Laudomia uscì coprendosi il viso colle mani. Il vecchio,
soprastato così un poco origliando, quando udì perdersi lo strepito de'
passi di Laudomia che lentamente saliva, andò prestamente nella camera
ove era la dispensa, pose in una tovaglia quanto pane vi potè capire,
e venuto al portone l'aperse, lasciò sul limitare la provvisione, e
richiuse col chiavistello. La povera Lisa, udendo aprire, s'era alzata
tosto dal luogo ove giaceva con tutta la fretta che le concedevano
le sue poche forze, tutta l'ansia che si può immaginare, e s'era
mossa, sperando venire accolta in casa: ma giunse appunto quando il
chiavistello veniva ricacciato negli anelli, e vide a terra la tovaglia
col pane. Tante umiliazioni, tanti mali l'avean prostrata; non ebbe
più forza nè di piangere nè di dolersi. Sedè sulla soglia, prese un
pane e cominciò (chè si sentiva mancar dalla fame) a mangiarlo con
avidità. Spento, o sospeso almeno ogni senso de' suoi mali morali,
pensò, sospirando pel desiderio:
--Che ristoro, che bene mi avrebbe fatto un buon fuoco ed un po' di
vino, così intirizzita, così debole come sono!--
Laudomia intanto, salita appena, era di nuovo scesa senza lume, scalza,
per non far rumore, sperando ingannar la vigilanza del padre, e poter
giungere alla Lisa: facendo capolino dall'alto vide l'atto di Niccolò,
lo vide fermarsi dopo chiuso il portone e rimanere colla fronte bassa
alcuni minuti, che le parvero mille secoli, poi asciugarsi gli occhi
col dosso della mano, ed alla fine rientrare nelle sue camere. Laudomia
si lanciò al chiavistello, l'aperse adagio, adagio, uscì in istrada:
era scura e deserta; fece alcuni passi chiamando a voce bassa, ma
quanto potè distinta, «Lisa mia! Lisa mia! Nessuno rispose: eppure,
pensava, non può esser ancora tanto lungi che non m'oda: oh, sapessi
per qual parte ha preso! Averla forse qui presso e non poterla trovare!
E s'io non uso quest'occasione, forse mai più!.... Griderò più forte;
accada che vuole.» E la buona Laudomia con voce acuta chiamò due volte
la sorella.
Una voce, non femminile, ma forte, maschia e vicina, le rispose dicendo:
--Chi può chiamar la Lisa per la via a quest'ora?--
E tosto le fu sopra un uomo d'arme a cavallo che rattenne la briglia
mentre la giovane sbigottita rifuggiva all'uscio di casa. Entrò, ma non
lo chiuse, e si volse incerta, chè passato il primo sgomento le era
parso quella voce non le giungesse nuova.
Il cavaliere fattosi avanti, smontò e le disse:
--Laudomia, voi cercate di Lisa in istrada, a quest'ora?--
--Oh Lamberto!....--
Ma non potè dir altro, chè questa comparsa così improvvisa le fu come
un colpo di fulmine. L'avea pur tanto sospirata, anche dopo il caso
della sorella, poichè conoscendo bensì quanto sarebbe stato doloroso il
narrarglielo, pur l'idea di Lamberto vicino la rassicurava, le sembrava
avrebbe una guida, un appoggio: che egli saprebbe trovar rimedi ove
nessun ne trovava; consigli, mentre venivan meno ad ognuno. Figurandosi
il suo arrivo, se lo era immaginato in modo che non le mancasse tempo a
preparar le parole; colta ora così improvviso, non potè per brev'ora nè
parlar nè rispondere.
Ma tornata tosto al pensiero della Lisa che intanto sempre più
s'allontanava, e preso risolutamente partito, diceva con parlar celere
e pieno d'istanza:
--Lamberto! Iddio, vi ci ha mandato.... La Lisa era qui ora.... sarà
poco lontana.... cerchiamola, non vi posso dir altro.... chè se si
perde un momento.... oh Lamberto! andiamo.... saprete il motivo.... ma
andiam presto.--
Lamberto, lontano mille miglia dal vero, sentì però darsi da queste
strane parole una botta al cuore; ben conobbe che qualche gran cosa
v'era sotto; ma come forte e discreto, cacciato ogni altro pensiero,
senza domandar più oltre seguì la giovine, che fatta sicura per tal
compagnia, mise in cuore di cercar tanto finchè trovasse la sorella.
Tiravano verso il Duomo, e ad ogni passo la chiamavano a nome.
Ma prima di narrar l'esito di quest'inchiesta, sarà bene dir due parole
dei casi di Lamberto dal giorno ch'egli uscì di casa Lapi.
Ardeva in quel tempo la guerra tra Carlo V e Francesco I. Il popolo di
Firenze, che per antico uso seguiva la fortuna di Francia, aveva nel
campo francese un suo cittadino, il più riputato e valente soldato che
fosse allora in Italia, Giovanni de' Medici, capitano di quelle bande
famose, che dopo la sua morte furon dette bande nere. Lamberto propose
mettersi nella sua scuola, e da un cittadino amico de' Lapi, ebbe
una lettera che molto lo raccomandava al capitano fiorentino. Saputo
ch'egli era in Lombardia, ove già romoreggiavano le genti tedesche,
che condotte da Giorgio Fronsperg per la valle dell'Adige calavano
in Italia, prese il suo cammino per Bologna, Parma e Piacenza, ed a
piacevoli giornate, per non trovarsi, giungendo, troppo male a cavallo,
dopo non molti giorni si trovò a Milano.
La terra ed il ducato si tenevan per l'imperatore, ed era tutto pieno
d'armi tedesche e spagnuole sino alle rive dell'Adda. Di là dal fiume,
l'esercito di Francia, s'alloggiava pei borghi e per le terre della
Ghiara d'Adda; e Giovanni colle sue bande era in quel momento a
Rivolta con parte delle genti; il resto l'aveva sparso da Vailà sino
a Casirate. Siede Rivolta non lungi dalla riva sinistra dell'Adda tre
miglia al disotto di Cassano, pel di cui ponte avrebbe dovuto passar
Lamberto; ma v'era a guardia un grosso d'imperiali, i quali, vedendo un
uomo d'arme avviarsi al campo nemico, l'avrebbero senza dubbio fermato.
Bisognava dunque provvedersi d'altro tragitto.
Il più spedito, ed insieme il più pericoloso, era guadar l'Adda
rimpetto a Rivolta; a questo s'appigliò Lamberto pensando «Più che la
lettera mi gioverebbe appo il sig. Giovanni s'io potessi giungere al
campo dando segno alcuno della mia virtù sotto gli occhi suoi proprj.»
Così deliberato, partì una mattina nel finir di giugno, allegro e
contento da Milano, sul suo buon cavallo che avea ristorato dal
viaggio, ed ottimamente in arnese di tutte armi; e passando libero tra
molte truppe di soldati, che lo credevan di parte imperiale, poco dopo
mezzogiorno si trovò là dove le campagne cessando d'esser coltivate
s'imboscano, ed il terreno divenendo ghiajoso mostra non lontana la
corrente del fiume.
Seguì la strada che s'avvolgeva entrando fra certi macchioni, ora
sassosa ora affondata nella sabbia, e giunto ov'era un poco di rialzo
scorse, in mezzo ad un largo letto di ghiaje aride e bianchissime,
scender veloce e limpida l'onda dell'Adda. Al di là, sul campanile di
Rivolta, vide sventolare la bandiera del sig. Giovanni, le Palle de'
Medici. Quella vista non potea non offendere chi era nato del popolo di
Firenze, e Lamberto stringendo i denti, e dando di sprone al cavallo,
pensava «Peccato ch'io pur debba combattere sotto quella impresa!» ma
gli sovvenne tosto, che il ramo mediceo, dal quale usciva il valoroso
capitano, era capital nemico di quello che tanto avea pesato su
Firenze, e cacciati que' molesti pensieri passò innanzi.
Qui però, conoscendo esser per lui il luogo di maggior pericolo (poichè
in tempo di guerra, come ognun sa, passar la linea che divide gli amici
dai nemici è tenuto per atto sospetto) e dubitando incontrar qualche
mano d'imperiali che corresse velettando quella riviera, s'inforcò
meglio sulla sella, imbracciò più stretto lo scudo, e colla lancia alla
coscia era tutt'occhi, camminando pur tuttavia, per non esser colto
improvviso.
S'era provveduto a tempo. Uscito appena dal bosco, non avea fatto dieci
passi sulla nuda ghiaja quando si sentì alle spalle uno stormir di
frasche e voltosi al rumore, vide sbucar dalle macchie tre balestrieri
a cavallo e due barbute, che tutti insieme di mezzo galoppo gli vennero
sopra. Egli avea scorto sulla riva opposta buon numero di soldati
delle bande che cercava, e tra loro due a cavallo di nobil presenza
che pareva l'attendessero ad osservare che cosa dovesse nascere di
quest'incontro. Pensò in cuor suo «Oh, fosse costà il sig. Giovanni!» e
questa speranza gli raddoppiò l'ardire e perfin la forza, e disse tra
denti «Uno contro cinque: è una buona occasione. Ora Iddio m'ajuti.»
Fattosi avanti, una delle barbute gli gridò:
--Chi sei, e con chi stai?--
--Con nessuno: rispose Lamberto senza far atto nè di muoversi, nè
d'arretrarsi.--
--Chi viva!--Replicò l'altro arrestando la lancia.
--Viva il sig. Giovanni, viva Firenze, e muojano i marrani! gridò
Lamberto in modo che, udito dall'altra riva, cento voci ripeterono il
medesimo grido: ma nel mandarlo, il giovane, piantati di forza gli
sproni ne' fianchi al cavallo, s'era lanciato contro l'avversario, e,
passatogli colla lancia l'arcione dinanzi, lo ferì nella coscia, e
lasciandolo, che tutto rannicchiato accennava di cadere, si volse agli
altri.
Fortuna per lui, che su quella ghiaja piena di ciottoli e di pietre
grosse i cavalli mal si potevan maneggiare, onde non vennero ad
essergli tutti addosso ad un tratto, chè al certo si trovava spacciato:
ma pure, per quanto fosse valente della sua persona, per quanto
disperatamente menasse le mani, difendersi contro quattro era difficile
impresa. Pure, furon poco stante ridotti a tre, chè Lamberto, in mezzo
a quel tempestare, n'avea veduto cadere uno senza essersi accorto, in
tanti colpì, quale gli fosse toccato.
Così sempre ravvolgendosi tra loro, e combattendo, s'erano accostati
alla riva, e Lamberto, che sentiva negli orecchi le grida di _dagli,
dagli_, dalla sponda opposta, voleva esser fatto a pezzetti prima
d'arrendersi. Conobbe pure alla fine che dirla solo contro tanti era
pretender troppo dalle sue forze e dalla fortuna.
Preso il suo vantaggio, si lanciò nel fiume lasciando sulla sponda due
de' nemici; ma il terzo più pronto, gli tenne dietro quasi nell'istesso
tempo, tanto che i cavalli ebber presto l'acqua fino al petto, e quello
di Lamberto aveva alla groppa la testa del cavallo nemico.
L'animoso giovane volgendosi tirò una punta al cavaliere: non potè
passare il corsaletto del quale era armato, ma fu di tanta forza che la
lama volò in pezzi; il percosso collo stringer le cosce comunicò l'urto
al cavallo che già si reggeva mal sicuro sul fondo incerto del fiume,
l'uno e l'altro andaron sotto in un tonfo profondo, ed uno scoppio di
grida lodò dalla riva il bel colpo di Lamberto. Alcuni archibusieri del
sig. Giovanni avevano intanto coi loro tiri fatto arretrare i nemici:
a Lamberto non restava altro contrasto che quello del fiume. In quella
vede riuscir dall'acqua assai lontano il capo del cavallo caduto che
notava a salvamento, e a poche braccia il cavaliere, ma abbandonato in
atto di chi abbia smarriti i sensi.
A Lamberto, che l'avrebbe poco prima morto a buona guerra volentieri,
increbbe ora di vederlo affogare: volse la briglia verso lui stimolando
il cavallo, mentre i soldati del sig, Giovanni accortisi del suo
disegno gli gridavano con grandi schiamazzi==Lascialo bere!==Colui
per sua fortuna non era nel filo della corrente, ma in uno spazio ove
l'acqua ripercossa da un gomito della sponda si rivolgeva all'indietro;
onde Lamberto ebbe agio di giungere ad afferrarlo per le coregge della
corazza, e tirandoselo dietro spinse il cavallo di traverso nella
corrente. Questa era profonda e rapida nel mezzo, il povero animale
dovea portar quasi doppio peso, e poco mancò la carità di Lamberto
non gli riuscisse fatale. Pure senza smarrirsi d'animo, preso colla
sinistra il crine del cavallo che aveva appena il capo fuor dell'acqua,
animandolo colla voce e col calcagno, riuscì alla fine, deviando però
molto, a toccar l'altra riva.
Fu raccolto con gran festa dai soldati spettatori di quel bel fatto,
e molti entraron nell'acqua per ajutarlo a sorgere, e togliergli
l'impaccio di quell'uomo mezzo morto, che stesero sulla riva a bocca
sotto motteggiando del bello sturione, com'essi dicevano, che aveva
pescato.
Sopraggiunse in quella un giovane a cavallo di aspetto altero e di
membra fortissimo, con un cojetto indosso, ed una rotella in braccio
nella quale eran le sei palle in campo d'oro. Tutti s'allargarono
riverenti, ed egli fermatosi presso Lamberto, il quale tutto grondante
d'acqua (e dalle spalle stillava pure a gocce sanguigne) era
scavalcato, gli disse con parlar tronco; ma sorridente ed amorevole.
--Chi sei tu, che combatti contro cinque uomini per gridar il mio
nome?--
--Il mio è troppo umile e basso, perch'egli non giunga nuovo all'Ecc.
V., rispose Lamberto, beato oltre ogni credere d'essere stato veduto
in quella occasione dall'istesso capitano: ho però qui una lettera di
Messer (nominò chi l'avea scritta) se pure l'acqua non l'avrà disfatta,
che potrà dare all'E. V. contezza dello stato mio, e farle fede quanto
sia grande in me il desiderio di venire ammaestrato in questa prima, e
mirabile scuola della milizia italiana.
Nel dir queste parole sfibbiatosi da un lato il petto di ferro, si
cercò in seno, e ne trasse una carta che l'acqua aveva però risparmiata
in gran parte. Giovanni la prese, dicendogli:
--Quanto al venir ammaestrato, pare che poco ti faccia mestieri,
tuttavia, vediamo.--
Mentre Giovanni de' Medici leggeva, Lamberto sfogando a sua posta la
smania che sentiva già da gran tempo di conoscere di veduta un così
valente e riputato signore, ne ammirava la fiera presenza, l'atto del
cavalcare, ardito e disinvolto, guardandolo con quell'appassionata
venerazione che invade ogni anima generosa e ancor digiuna di gloria
all'aspetto di chi è già fatto chiaro per grandi ed onorate imprese.
Non avrebbe mai osato sperare la fortuna tanto amica quanto gli s'era
mostrata in questo incontro; ed il trovarsi ora ad un tratto venuto
in onore presso i suoi nuovi compagni, ben accolto e lodato alla loro
presenza da un tant'uomo gli destava il senso d'una felicità troppo
grande per non crederla un sogno. Col cuor palpitante, e gli occhi
umidi per l'allegrezza, col viso adorno d'una cotal trepidazione, che
riusciva più bella in chi pur ora avea dato segno di tanto ardire,
aspettò immobile il fine della lettura.
--Tu stavi con messer Niccolò?--disse alla fine Giovanni alzandogli gli
occhi in viso: poscia aggrottate le ciglia, soggiungeva battendo colla
destra sulla rotella:
--Col maggior nemico di questo scudo?--
Lamberto era tanto affascinato dalla presenza di Giovanni, che stette
per rinnegar la parte dal popolo, e Niccolò con essa. Ma egli era di
quelle anime incapaci di cader mai in atto che abbia ombra di viltà,
onde rimasto un momento incerto, alla fine, modesto ed ardito insieme,
rispose:
--Ecc., Niccolò è popolano, ama la libertà di Firenze, e non è nemico
che de' suoi nemici.--
--E perciò egli non può esser pallesco. Bene, Lamberto, così parla un
valentuomo qual tu sei. E poi cacciatosi a ridere soggiungeva: oramai
neppur io son più pallesco; papa Clemente l'accoccherebbe a me se
potesse, ed io a lui.... Orsù, sta bene.... tu hai fatto tal prova che
questa lettera poteva anche andarsene giù per l'Adda. Capitan Puccino,
scrivi questo giovin dabbene nella compagnia, e stasera ne verrai con
esso a cena in castello.--
Dette queste parole volse il cavallo, e di mezzo galoppo prese la via
di Rivolta.


CAPITOLO XIII.

Il capitano Puccino, al quale Lamberto era stato affidato, si fece
avanti per condurlo all'alloggiamento.
--Andiamo, valentuomo, gli disse, l'acqua che ti gocciola d'indosso da
quel che vedo non è chiara per tutto.--
--Nulla, nulla, rispose Lamberto, una leccatura qui nella spalla....
Lasciatemi prima dar un'occhiata a quel balestriere che ho fatto
prigione.... s'egli è di qua o di là.--
Itosene in così dire ove l'avean dapprima posto a giacere, lo trovò
in mezzo a un cerchiello di soldati, e già s'era levato a sedere, nè
pareva lontano dal riprender del tutto gli spiriti e le forze.
Mentre Lamberto nel fiume s'ingegnava di trarlo a riva, que' soldati
vedendo il suo pericolo e la fatica che durava, avean detto tra loro:
«Costui vuol far la fine di Francesco Sforza!, il quale per voler
ajutare un suo paggio che s'annegava nel fiume Pescara, vi rimase egli
stesso annegato.»
Visto poi che il giovane n'usciva ad onore, uno cominciò a dire
«Evviva Sforza!» e un altro: «bravo Sforza» e «ben venga Sforzino» e
così per quel bisogno di soprannomi che s'aveva allora in Italia, tanto
più tra le milizie, ed anche ignorandosi da loro il nome di Lamberto,
gli rimase quello di Sforzino, che non andò più giù fin che visse, e
che ricordando un suo bel fatto, egli udiva volentieri.
--Vieni qua Sforzino, disse ridendo uno di costoro, chè questa volta
hai guadagnata la taglia d'un principe.
Accostatosi Lamberto, vide che faccia principesca avesse costui. Era un
omotto piccolo e tarchiato, con una faccia tonda e scimunita; capelli
e baffi biondi come lino cardato, e quanto all'arme ed alle vesti in
poverissimo arnese.
--A noi, compare, disse Lamberto sorridendo anch'esso, sentiamo chi tu
sei, e come hai nome.--
--Io, signore, star pofere soltate sguizzere, venir in Italia con
capitano Altsax: perchè cretute qui befer molto pon fino: e in
contrario befuta molta acqua....--
E seguitando su questo fare diceva esser del cantone di Zurigo,
chiamarsi Maurizio Schuber, e non poter pagar riscatto, poichè era,
_pofere soltate_; ma esibirsi pronto a seguir sempre come famiglio
quegli che oltre l'averlo abbattuto, l'aveva poi campato da quella
maladett'acqua che tanto detestava.
Lamberto gli oppose, che non essendo neppur esso ricco soldato, non
potrebbe seco toccar stipendi: ma lo svizzero protestando non potersi
scioglier giammai dal grand'obbligo che gli aveva, essendo per opera
sua campato da quella morte acquatica, sopra ogn'altra funestissima,
volle in tutti i conti seguir la fortuna del suo liberatore. Questi
distinguendo pure nelle sue rozze parole una cotale schietta e leale
semplicità, avendolo anche conosciuto alla prova per uomo ardito e da
dir la sua ragione coll'armi in mano, si risolse accettarlo.
--Capitan Puccino sono con voi--disse volto alla sua guida, e
s'avviarono tutti e tre all'alloggiamento, mentre que' soldati
motteggiando Lamberto gli andavano dicendo:
--Evviva Sforzino! Hai fatto un bel guadagno, invece di taglia, avrai a
dar le spese a questo poltrone!....--
Il castello ove il sig. Giovanni avea invitato Lamberto ed il capitan
Puccino, era lontano tre miglia. Sorgeva sul ciglio d'una ripa sparsa
di boscaglie e sovrapposta ad acque stagnanti, avanzi d'innondazioni
dell'Adda, che gli agricoltori, sbattuti sempre dalle guerre, non avean
nè tempo nè mezzi d'inalveare. Intorno al castello molte povere case
di villani, la più parte coperte di paglia, formavano un piccol borgo
detto Casirate.
Il capitan Puccino, e Lamberto col suo nuovo famiglio vi giunsero sulle
ventitrè e scavalcaron tutti (chè que' soldati avean per loro umanità
ripescato allo svizzero anche il cavallo) nel cortile del castello.
Era un recinto irregolare, composto di edificj di varie forme,
circondato da una fossa e dominato da un torrione quadrato e massiccio
che s'ergeva sull'orlo della ripa. Quivi era la stanza di Giovanni de'
Medici, e, per usare la parola moderna, il suo quartier generale.
Poichè Lamberto fu ben rasciutto ed ebbe medicata la piccola ferita
della spalla venne condotto in una gran sala terrena, ov'era
apparecchiato per forse una trentina di persone, chè il sig. Giovanni
splendido e generoso teneva tavola di continuo ai suoi caporali. Egli
ricevè il giovane come persona d'antica dimestichezza, salutandolo
colla mano, e voltosi al castellano Galeazzo Menclozzo barone della
terra, ed a molti ufficiali ch'erano già radunati per la cena,
raccontava loro il bel fatto del guado di Rivolta.
Giunsero a poco a poco gli altri invitati, vennero le insalate in gran
piattelli, secondo l'uso del tempo, che voleva s'incominciasse da
questa vivanda, ed ognuno si pose a mensa.
Chi vuol avere il perfetto ritratto di Giovanni de' Medici, aggiunga
due baffi castagni alla testa di Napoleone, e la ponga su un corpo
grande e robusto.
Lamberto pareva non si potesse saziar di guardarlo, e considerando poi
ad un per uno tutti quanti eran seduti a quella tavola, notando i visi
arditi e sdegnosi, le robuste membra, l'atteggiarsi marziale de' suoi
nuovi compagni si sentiva così contento, ed aveva questa contentezza
così chiaramente dipinta in viso che il Puccino indovinò i suoi
pensieri.
--Che te ne pare eh? Sforzino? Ti so dire che ti puoi vantare d'aver
cenato stasera coi primi bravi d'Italia. Vedi quello a destra del sig.
Giovanni, è Orazio Baglione, figlio di Pagolo e fratello di Malatesta,
che è stato un pezzo co' Veneziani. L'altro a sinistra, quel piccolo
con que' due occhi tutti pepe, è Ivo Biliotti. Sampiero da Bastelica è
quell'altro. Codesto lo conoscerai, è nostro fiorentino, Cecchino del
Piffero lo chiamiamo noi, ma egli è de' Cellini. Il fratel suo è assai
buono orefice: gli sta però meglio in mano la daga che il cesello.--
Lamberto s'era accorto che tra mezzo a costoro, giù in fondo alla
tavola, v'era una donna; vestita com'era da uomo, ed all'incirca
simile agli altri, non dava nell'occhio così alla prima. Osservandola
poi più minutamente, certe trecce di capelli neri che in parte si
mostravano sotto una berretta rosata ad orlo frastagliato che portava
sull'orecchio alla brava; il petto colmo non del tutto celato da un
farsetto a liste nere e rosate, palesavano chiaramente il suo sesso.
Il solo viso non avrebbe forse bastato a darne contezza, chè poteva
anche star bene ad un bel giovane di diciotto anni. Il balenar rapido e
protervo delle pupille, le risa sfrenate, ed un certo che d'impudente
in ogni moto, in ogni atto, mostravano poi tutt'altro che femminile
ritegno.
Il viso, considerato attentamente, ed un po' a lungo, si ricomponeva
per dir così, tratto tratto: lo sguardo allora cadeva spento e sinistro
sugli astanti, le labbra tumide e colorate si chiudevano togliendo
alla vista due file di denti bianchissimi, e divenute pallide e
sottili parevano esprimere tutt'altri affetti, ben più profondi di
prima: sprezzo, dispetto, ironia, ira e dolore talvolta. E quando meno
l'aspettavi, ecco di nuovo ricomparirle sul viso una gioja ebbra e
sfrenata: si sarebbe creduto che due anime albergassero in quel corpo a
vicenda.
Lamberto accennando ad essa coll'occhio, disse al Puccino sorridendo:
--Anche codesto bel giovane è uno de' primi bravi d'Italia?--
--Quello, o per dir meglio quella giovane, (chè vedo sei un buon
bracco e tosto hai scovato il lepre) non ha forse paura di quanti siam
qui, coll'arme in mano. Essa è la più nuova creatura che tu vedessi
mai; uomo, donna, soldato, cortigiana.... questo, proseguiva ridendo,
questo, cred'io più di ogni cosa. Ma non delle solite, che ora è di
tutti, ora di nessuno: ora ride, si dà buon tempo, e fa un chiasso del
trentamila, ora non le si può dire che begli occhi avete in fronte, chè
non risponda una carta di villania; ora amorevole, ora perversa come
la versiera. Io dico che n'ha un ramo. Certi voglion vedervi sotto
di gran cose (chè non si sa di dove sia scappata fuori) voglion che
sia.... che sia.... che so io? Ne dicono tante!.... a me, a guardarla
in viso.... mi par sangue di zingani, ma, quel che è certo, è mezza
pazzericcia; per non dir pazza intera.
In questa il sig. Giovanni, cui poco durava la pazienza a star a
tavola, s'era alzato ed insieme la maggior parte de' convitati
ch'eran seco usciti in cortile. Alcuni ne rimaser seduti; e tra gli
altri Lamberto che stava udendo il Puccino, e la donna che badava a
sghignazzare co' suoi vicini. Il giovane avvezzo in casa di Niccolò
all'austera virtù de' Piagnoni, coll'immagine pura della Laudomia
dipinta nella mente e quella di Lisa scolpita nel cuore, osservò costei
qualche momento, ma quantunque nell'età ove i sensi più facilmente
s'infiammano, la guardò con ripugnanza, e fece l'atto d'alzarsi per
andarsene.
--Sta qui con noi Sforzino, disse il capitano Cattivanza degli Strozzi,
che era seduto accanto alla donna. Sta qui, che la signora Selvaggia ti
vuol conoscere.--
Visto poi che il giovane non mostrava una grande smania di far quella
conoscenza, proseguiva:
--Eh vien qua! e sebbene sei nato di Piagnoni, una bella donnetta t'ha
ella a parere il diavolo? O temi tu che il suo fiato non t'appesti?
Eppure sento dire, che in Firenze dopo che fecero arrosto Fra Girolamo,
le damigelle dal velo giallo[25] menan la coda più che mai; sicchè e'
non ti dovrebbe parer cosa nuova...--
Lamberto sentendosi pungere dall'ironia che era in queste parole alzò
le spalle avviandosi per uscire, e disse:
--Mal abbian le cortigiane, e chi.... ma non potè finir la frase, chè
tutti urlando e schiamazzando: «Uh Piagnone! bravo Piagnone! evviva il
Piagnone!» gli tagliaron le parole. A questa tempesta tornò indietro,
che già era presso l'uscio.
Fermatosi ritto di contro la tavola e fissando negli occhi il
Cattivanza, senza mostra di stizza, che però l'aveva, disse:
--Oggi è il primo giorno ch'io mi trovo in questa tanto onorata
compagnia, e però è dovere ch'io mi mostri modesto, e sebbene voi mi
diate la baja, forse più che non mi si converrebbe, neppur per questo
mi voglio adirare con esso voi. Vi dirò solo, che d'esser nato di
Piagnoni me ne vanto. Di seguir la dottrina del beato Fra Girolamo,
volesse Iddio che io potessi vantarmene com'io vorrei: e, per dirvene
la ragione chiara chiara, egli è perchè e' cercava colla gloria di
Dio, la libertà del popolo di Firenze, dove invece i suoi avversarj
l'hanno riposto in servitù. Io vi concedo ch'egli poco si dilettava
di cortigiane, dove quelli che l'hanno morto se ne dilettano assai.
A voi pare forse ch'egli avesse il torto; ed a me pare ch'egli avesse
ragione, chè non tutti i cervelli la pensano a un modo. E quanto al
pensare sappiate, capitan Cattivanza, che io stimo messer Domeneddio,
abbia fatto dono agli uomini d'un cervello per uno, senza lasciarne un
solo sprovvisto, col proposito espresso che ognuno si valga del suo.
Chè dove fussi stata sua intenzione che un cervello solo servisse per
parecchi uomini, e' non avrebbe durata tanta fatica, ed a tutti coloro
che n'avessero avuto a far senza, avrebbe posto nella memoria semi di
zucca, o qual altra cosa costasse meno.--
A questo punto molti non si poterono tenere di non ridere, e Lamberto,
che prima pareva sopraffatto da chi lo dileggiava, veniva a poco a poco
riprendendo il suo vantaggio nella mente d'ognuno.
--Poichè dunque, proseguiva, questo benedetto cervello, Iddio l'ha dato
anche a me, lasciate che l'usi come mi vien bene. Io so benissimo che
tra' soldati è costume darsi buon tempo con quante donne s'incontrano;
nessuno potrà dire però che chi non fa così non debba esser tenuto buon
soldato e valente della sua persona, ed a chi lo volesse affermare,
potrei di leggieri farlo avveduto dell'error suo. Ora dunque che siam
d'accordo su questo punto, che si può pur esser uom da qualcosa e
non impacciarsi con meretrici, sarete contento, capitan Cattivanza,
e lo stesso dico a tutti gli onorati gentiluomini che ora sono miei
compagni d'arme, sarete, dico, contenti tenermi per buon fratello,
parato ad ogni vostro comando, ma quanto all'esser io Piagnone, al fare
o non fare questa o quell'altra cosa, vogliate, vi prego, lasciarne il
pensiero a me, ed in tutto il resto abbiatemi sempre per cosa vostra,
apparecchiato ad ogni vostro piacere.--
Confessare le proprie opinioni in faccia ai coltelli, o alle mannaje, è
forse meno difficile talvolta che professarle apertamente in faccia a
chi v'oppone lo scherno ed i motteggi. A questo paragone si conosce un
cuore veramente alto e generoso; e quel di Lamberto era tale.
--Che vuoi che ti dica? rispose il Cattivanza, tra il persuaso e il
dispettoso; hai ragione! Che sappi menar le mani l'abbiam veduto;
sicchè qui non c'è contrasto. Quanto al resto aggiustala a tuo modo,
per me poco mi cale, e nessuno qui ti darà fastidio, che, viva Dio, sei
un giovin dabbene.... vien qua, beviamo e siamo amici.--
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