Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 21

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colla virtù loro respinto il nemico e salvata la città, correvano
ad incontrarli con festa, con carezze, e lodi, e abbracciamenti, e
lacrime d'allegrezza, non restando di render grazie a Dio che gli
avesse tutti campati da una tanta rovina. Quei fortissimi uomini, que'
poveri popolani, tutti trafelati, molli pel sudore, per la pioggia, e
taluni pel sangue, deponendo per poco le loro armature, ajutati dalle
mogli, dalle sorelle, dai vecchi genitori, che tosto si davano a
forbirle e rassettarle per le future battaglie, si riposavano intanto
cresciuti di speranze e d'ardire per l'ottenuta vittoria: seduti al
fuoco, o ristorandosi di quei cibi, che comportavano le loro scarse
facoltà e la strettezza presente, circondati dalla famigliuola rimessa
appena da tanto spavento, e che a bocca aperta gli stava ascoltando,
narravano i fatti di quell'assalto, l'irrompere de' nemici, l'armi,
l'insegne, le strane fogge, i barbari aspetti che dalle mura benissimo
si eran potuti discernere per la moltitudine infinita di lanterne e
di torce che portavano i nemici con loro. Descrivevano con parole
vivissime il giungere, l'appoggiar delle scale, il salire a furia e
tumultuariamente, e poi a un tratto dai fianchi de' bastioni, ove nelle
casematte s'ascondevano cannoni grossi ed artiglierie d'ogni misura, lo
scoppiare e lo scagliarsi, come da tante bocche d'inferno, del fuoco
di mille tiri, che percuotendo per fianco quelle scale le mandava a
fracasso con quanti soldati portavano, tutti in un monte nel fosso: e
qui aggiungevano, delle ferite, del sangue, delle strane ed orribili
morti di quegli sciagurati, delle grida, dei lamenti, del guizzare dei
mal vivi, del fumo che occupava ogni cosa, del tonare e lampeggiare
incessante di tante cannonate, e di nuovo tutti insieme lodavano e
rendevan grazie a Dio d'averli salvati dalle mani di così feroci nemici.
Quelli tra i difensori che avean riportate ferite venivano medicati
con diligenza, i più maltrattati negli spedali, gli altri nelle
proprie case, ed intanto si nominavano i compagni, i cittadini rimasti
morti nell'assalto;, chi li compiangeva, chi pregava per essi, ma i
più portavan loro invidia, tenendo per fermo fossero le loro anime,
come quelle de' martiri, salite immantinente a godere della gloria
del paradiso; ed i più divoti e zelanti tra Piagnoni, stimando si
fosse avverata in quest'occasione la profezia di Fra Girolamo; che
prometteva a' Fiorentini l'ajuto stesso degli angioli, divenivan sempre
più fervidi in quella loro fede, tenendosi sicurissimi all'ultimo di
codesti alleati, e non mancò chi affermasse d'aver veduto in aria
serafini che colle spade infocate sbaragliavano, e, ad ogni colpo,
abbattevano l'intere file nelle bande imperiali.
Nessuno più di Niccolò potea vantarsi d'avere intera e vivissima
questa fede nel frate, e se non era forse intimamente persuaso (avea
troppo senno per giungere a tanto) che dovessero apparir visibilmente
angioli a difender Firenze, fondava però, sulle parole del Savonarola,
la speranza, per non dir la certezza, d'uno speciale ajuto celeste
pel quale sempre sarebbe stato respinto il nemico. Eppure avea potuto
creder possibile che fossero entrati in città!
Quando, cessato il romore e svanito il pericolo, egli fu ritornato
in camera colle figliuole, sedutosi al focolare, veniva col pensiero
riandando tutto il successo di quella sera, e sospirando diceva:
«_Modicae fidei! quare dubitasti?_» Parole usate spesse volte da Fra
Girolamo, e ch'egli ora applicava a sè stesso, dolendosi d'aver potuto
vacillare un momento.
Mentr'egli stava in questi pensieri, Lisa e Laudomia, ritte contro
le impannate delle finestre, aspettavano con impazienza il ritorno
de' giovani, non senza agitazione e timore, che fosse avvenuta loro
qualche disgrazia. Ma svanì presto ogni sospetto; e verso la mezzanotte
tornaron tutti, eccetto Averardo, che quasi mai veniva a casa a
dormire, e non voleva altra camera che le cannoniere de' bastioni, nè
altro letto che la nuda terra; e quella letizia, quell'ebbrezza che
ci siamo ingegnati dipingere accennando il ritorno delle milizie dei
quartieri alle case loro, riempie parimenti la casa de' Lapi quando,
Bindo pel primo, e poi gli altri, entrando tutti allegri, e gettando
in un angolo con fracasso i loro pesanti archibusi, ancora anneriti
dal recente sparare, e con un odore di polvere arsa che empiè tosto
la camera, si posero intorno a Niccolò ed alle giovani, raccontando
anch'essi a loro modo, con festa grandissima, e con ardite e concitate
parole, la gloriosa sconfitta data all'armi imperiali. E narrando a
gara le loro prodezze, e quelle degli amici e de' cittadini più noti,
veniva a saper Niccolò che Bindo avea toccata un'archibusata nel lato
manco del corsaletto, ed il fanciullo, pur ripetendo che non era nulla,
e mostrando non doversene far caso, scintillava d'allegrezza negli
occhi, mostrando l'ammaccatura che era rimasta impressa nel ferro, e
diceva in cuor suo, «son pur soldato anch'io!» Vieri narrava, come
Lamberto avesse fatto cadere un sasso grandissimo con tanto giudizio
e fortuna su una scala piena da cima a fondo d'assalitori, che tutta
l'avea vuotata, proprio, diceva egli, come a sfrondar un ramo pieno di
foglie secche: e presa poi la scala vuota pei due capi che giungevano
ai merli l'avea rovesciata nel fosso, ed ucciso e storpiato con essa
buon numero di nemici. Tutti poi lodavan Troilo per la sua prodezza, e
Bindo più degli altri, chè avea combattuto al suo fianco, e vedutogli
menar le mani in modo, che molti imperiali e Palleschi, se avessero
saputo da qual mano uscivan i colpi che li ferivano, avrebber potuto
dire, che Troilo recitava la parte di Piagnone un po' troppo al
naturale. Egli difatti s'era portato da soldato ardito e valoroso, chè
si trovava condotto a tale da non poter fare altrimenti; rodendosi però
internamente di dover correre rischio d'uccider alcuno de' suoi amici o
di venirne ucciso, mandava divotamente il canchero a Baccio Valori che
l'aveva messo a questo sbaraglio, e se l'avesse scoperto tra nemici,
non è certo che si fosse potuto trattenere dal fargli coll'archibuso
parer poco felice la sua invenzione di mandarlo in Firenze.
Alle lodi espresse da Bindo, che Niccolò udì con mostra di contento
grandissimo, parendogli sempre più confermarsi da' portamenti di
Troilo, l'intera sua mutazione, e l'amore per la parte che voleva la
libertà ed il governo popolare, questi rispondeva, simulando modestia e
compunzione:
--Messer Niccolò, qual merito si può avere a combatter con qualche
ardire quando si fa per una causa cotanto santa, e si conosce per segni
manifesti che Iddio sta per noi! E se non, paresse.... se non temessi
parer troppo facile a prestar fede a certe cose nelle quali conviene
pure andar cauti assai.... ardirei quasi asserire d'aver veduto questa
notte gli angioli che dalle mura ributtavano i nemici.--Il mariuolo
sapeva ch'era quest'opinione tra Piagnoni, ed aveva fra popoli in
quella notte stessa uditone bisbigliare come di cosa veduta da molti
nell'assalto:
--Iddio può tutto, rispose Niccolò, e ciò sarà forse vero: ma meritan
tanto i nostri peccati? A ogni modo siam certi, che Dio si farà scudo
alla debolezza nostra, e dove non giungeranno le forze umane, giungerà
col suo braccio Egli. Di tanto si fece mallevadore il B. Fra Girolamo,
ed i suoi miracoli ci fanno sicuri ch'egli era inspirato da Dio....
Figliuoli, riprese dopo breve pausa, io vi fui stasera cagione di
scandalo, mostrai di dubitare!.... ho fatto errore, e stimo mio debito
farvelo conoscere, affinchè non ne prendiate mal esempio, e duriate
invece sempre più saldi in quella fede colla quale potremo alla fine
ottenere vittoria.--
In un uomo qual era Niccolò, una confessione tanto candida doveva
produrre gran senso; ma egli era di que' tali che son capaci di
sacrificar tutto al vero e prima di tutto se stessi.
Senza aspettar risposta alle sue parole, egli diede commiato ad
ognuno, accennando all'ora tarda ed al bisogno che doveano aver di
riposo, e rimasto solo, aperse il priorista sul quale soleva scrivere
le cose notabili che venivano accadendo alla giornata, e dopo avervi
descritto l'accidente di quella sera, ed aver poi di nuovo caldamente
raccomandato a Dio la città, la famiglia e se stesso, il vecchio entrò
nel letto e presto s'addormentò.
Ma sotto quell'istesso tetto, non a tutti riusciva quella notte prender
sonno così subito.
Lamberto, salito nella sua cameruccia che aveva abitata sin da
fanciullo, ed era per lui piena di tante memorie così dolci un tempo,
ed ora così acerbe, chiamò il suo servo che l'ajutasse disarmarsi, e
mentre Maurizio gli veniva prestando i suoi servigi, ogni tanto alzava
gli occhi in viso al padrone, il quale non poteva a meno di non mandare
tratto tratto qualche sospiro. Lo svizzero allora scrollava il capo
soffiando; chè, non parendogli bene d'entrar egli pel primo su quelle
cose che supponeva agitassero l'animo di Lamberto, sperava con cotali
atti di condurlo a cominciar egli in qualche modo; ma quest'arti non
gli riuscivano e già gli avea tratto di dosso l'arnese senza che avesse
mostrato por mente a que' suoi atti, nè profferita parola.
Maurizio allora si poneva ad asciugare e forbire con un panno
l'armadura, che pezzo per pezzo veniva appiccando a certi chiodi fissi
nel muro. Quando fu al pugnale, lo trasse dal fodero per nettar la
lama, ed ora guardandola a striscio di luce per veder ove abbisognasse
di ripulitura, ora strofinandola, osservava pur sott'occhio che viso
facesse Lamberto, il quale si veniva spogliando per entrare in letto,
e stava tutto scuro e malinconico. Vistolo a quel modo non si potè più
tenere, e diceva, senz'alzar gli occhi dal suo lavorío:
--Io sapere tofe starebbe pene questa pella lama!--
--E dove?--domandò Lamberto sorridendo a fior di labbra, chè già mezzo
indovinava la mente di Maurizio.
--Starebbe pene nella putelle di messer Droile.--
--Pazzo! mettila, mettila nel fodero, e vattene a letto.--
--Io anterò. Ma messer Droile hafer fiso di traditore,..... quello non
galantuomo!.... io star pofere soltate, pofere servitore, non potere
parlare... ma questa sera folefa dire «Non pefer fine, messer Lamperte,
non pefere.... Ma io, soggiungeva scrollando il capo con un certo suo
fare curioso, io però non hafer pefute!»--
Lamberto parte sgridandolo, parte ridendo di quella sua tedesca
maniera, e dicendogli che un buon sonno l'avrebbe guarito da' suoi
furori, lo mandò a dormire, ed egli v'andò, ma ripetendo sempre «Io
però non hafer pefute» ed il motivo pel quale tanto gli premeva
stabilire questo fatto lo vedremo poi.
Coricatosi Lamberto, non istette forse mezz'ora, che provando una
smania insopportabile, buttò giù le gambe dal letto, e messosi
indosso un poco di veste andò verso la finestra, ed apertala, si pose
appoggiato co' gomiti sul davanzale a respirare l'aria libera. Quella
vita di sacrificio che s'era promesso di fare, cominciava duramente per
lui. Pensi ognuno come dovea sentirsi il cuore trovandosi in quella
stessa casa d'onde era partito pochi anni innanzi, pieno d'amore e di
speranza, e beato per tante illusioni! vedendosi accanto il terrazzo
medesimo ove Lisa gli avea data quella rosa, troppo fedel simbolo della
sua costanza. Per essa s'era scostato da Laudomia, avea incontrato
fatiche e pericoli, lasciata la madre, (ed era stato per sempre!) per
essa avea negata una parola di conforto a quell'infelice che trovò in
riva al Po, a quella Selvaggia che suo malgrado, tornandogli tratto
tratto alla mente, e ponendovisi a paragone della Lisa, gli facea
dire: «Per qual cagione Iddio perdona egli ogni peccato, e gli uomini
ne perdonano alcuni soltanto? Romper la fede data, tradir patria e
parenti, dovrà trovare scusa e perdono? E non dovrà un'infelice tradita
essa dal padre stesso, e strascinata suo malgrado alla colpa, trovar
più misericordia nè pietà nessuna? Questa, viver vita miserabile tra
gli scherni e gli oltraggi: quella, venir accolta, onorata oramai al
paro d'ogni altra, ed esser contenta e felice?».... Pensare ch'essa
era al piano disotto, in braccio a quello pel quale l'avea così
bruttamente tradito, che bisognava pur sopportarlo, ch'egli avea
dovuto perdonare ad ambedue, costretto da così strane ed improvvise
circostanze, che a riflettervi pareano un sogno! Tutto ciò era peso
soverchio, era troppo amaro calice per Lamberto, il quale non aveva
imparato ancora, che ogn'anno aggiunto alla vita dell'uomo passa
portandone seco una speranza, e lasciando in suo luogo un dolore. Egli
era ancora in quell'età, ove si crede che la felicità sia una cosa
lontana forse e difficile a raggiugnersi, ma però reale, ottenibile,
la condizione ordinaria, per dir così, della vita; e la sventura
invece un'eccezione. Dovendo ora dimenticare il passato, rinunziare
ai disegni, ai desiderj di tant'anni, si consolava pensando «io ebbi
disgrazia, e non seppi guidarmi» e si confortava colla lusinga di poter
meglio ordinare il suo avvenire: i consigli della madre, venerandi
per esso come ordini divini, stimava gl'indicassero la via sicura per
giungere alla felicità, a quella quiete contenta del cuore, dalla quale
si sentiva cotanto lontano. Si volgeva colla mente a Laudomia, ch'egli
sin da fanciullo, come dicemmo, avrebbe amata prima di Lisa, se non gli
fosse parsa troppo alta e divina cosa, nella quale neanche adesso non
avrebbe ardito fermare il pensiero se non gli avessero fatto animo i
conforti materni e le accoglienze di Niccolò; cercava di figurarsi una
vita nuova tutta riempiuta dal suo amore, ma correndo colla fantasia
dietro queste immagini, il cuore pareva arrestato da un ostacolo che
Lamberto stesso non poteva definire, sul quale ripugnava ad arrestare
la riflessione, quasi temesse che esaminandosi nel profondo, potesse
trovarvi cosa che gli troncasse ad un colpo ogni nuova speranza,
distogliendola dall'ubbidire alla madre, facendolo immeritevole
dell'amore angelico di Laudomia.
Era immaginario o reale quest'ostacolo? Qual era? Neppur Lamberto, lo
ripetiamo, avrebbe saputo rispondere a tali questioni; pensi dunque il
lettore, se potremmo rispondervi noi! Ma forse vi risponderà per tutti
il seguito di quest'istoria, ed ora lasciando il giovane ondeggiante
tra suoi dubbj, troviamo gli altri abitatori di casa Lapi, che in
quella notte a nessuno, fuorchè alla Lisa, non mancavan cure moleste e
pensieri pungenti.
Laudomia, dopo aver condotti ed alloggiati gli sposi nella loro camera,
s'era chiusa nella sua, che rimaneva di sotto a quella di Lamberto, e
postasi ad un inginocchiatojo sul quale stava un'immagine di Nostra
Donna, del beato Angelico da Fiesole, pregava tutta raccolta; e dai
pensieri di Dio scendeva a quelli della patria, del padre, della
sorella, implorando per tutti la celeste bontà, e ringraziandola
d'averli salvati dall'ultimo pericolo. A vederla in orazione in atto
composto, colle mani giunte, le palpebre abbassate, tanto pura ed
onesta nel volto, si sarebbe pensato che quello della Vergine fosse
ritratto dal suo. Dopo alcuni minuti s'alzò, e scioltasi la veste, si
trovò presto nel suo lettuccio, tenendo, nel deporre o mutar panni,
tali modi, che nessun occhio, per quanto fosse pudico, vedendola in
quel momento non avrebbe dovuto volgersi altrove, chè il pudore in essa
non era studio, neppur virtù; era natura.
In breve prese sonno, ma non istette molto a venir destata da uno
strepito, che al primo svegliarsi non sapeva d'onde nascesse, tosto
però s'accorse esser passi nella camera di sopra, e naturalmente i
suoi pensieri si volsero a Lamberto, ricordando una ad una tutte le
circostanze che a lui si riferivano sin dalla loro infanzia: fermando
con delizia la mente a quell'epoca ov'egli aveva a lei consacrato il
primo pensiero d'amore: chè Laudomia era modesta, ma al tempo stesso
sagacissima, e s'era allora benissimo accorta qual fosse per lei il
cuore del giovane, quale la cagione che l'impedì di scoprirsi, e come
poi a poco venisse preso dai modi più facili della sorella, alla
quale ella aveva così tosto sacrificato ogni pensiero di sè, solo per
procurarle ciò che stimava la maggiore tra le venture. Ma ora che le
cose eran tanto mutate, le pareva nella serie de' tanti accidenti
avvenuti, scorger come una traccia disposta da Dio per unirla poi
finalmente a quel solo col quale si sentiva di poter esser felice.
Un discorso tenutole da Niccolò la stessa sera dell'arrivo di Lamberto
la raffermava in queste idee, e la persuadeva che le era lecito aprire
il cuore alla nuova speranza. Egli, presala per la mano, quando furon
rimasti soli, le avea detto: «Laudomia, io non ho pensiero che
tanto mi stia a cuore, e tanto mi tenga in travaglio nei rischj di
quest'assedio, quanto quello della tua sicurezza e del tuo bene. Da più
di un anno tu hai rifiutato molti parentadi che ti s'offrivano, assai
onorevoli. Avrai avute le tue ragioni, nelle quali non m'intrometto; ma
ora, lo vedi, io son vecchio, mille pericoli ti circondano; vorrei pur
vederti appoggiata a tal braccio, che ti potesse guidare e difendere.
Io ho pensato a Lamberto per te? Ora sta a te il pensarvi. S'io ti
comandassi di dargli la tua mano, m'ubbidiresti?»
Laudomia, che non confondeva il pudore colla simulazione, gli avea
risposto, arrossita bensì un poco, ma schietta ed ingenua: «Babbo,
v'ubbidirei e ci avrei poco merito.»
Contentissimo Niccolò, veniva d'allora in poi considerando come potesse
condurre a termine questo suo desiderio, e si disponeva, calmata che
fosse l'agitazione che aveva turbato Lamberto al trovar, ritornando,
le cose sue tanto mutate, di muovergliene parola egli stesso. Laudomia
adunque ripensando ora in cuore i disegni del padre, diceva: «beata me
che rifiutai codesti parentadi!» e volgendosi col cuore alla Nostra
Donna di Frate Angelico, che tanto vivamente le raffigurava la divina
madre della purità, la pregava chiamasse sul suo cuore la benedizione
del Cielo, l'accogliesse sotto il suo manto, e sempre la mantenesse
illibata in ogni atto ed in ogni pensiero; e facendo per se queste
preghiere, sentiva di farle al tempo stesso anche per Lamberto, col
quale le pareva ormai aver una vita, un interesse, un desiderio solo.
Con pensieri tanto diversi e lontani da questi quanto lo può esser
l'inferno dal paradiso, l'anima d'un traditore da quella d'un angiolo,
Troilo anch'esso vegliava accanto alla Lisa, che sola, a quell'ora,
trovandosi aver raggiunto il sommo de' suoi desiderj, e stimando la
sua felicità stabilita per sempre, dormiva tranquilla e riposata. Non
sapeva, poveretta, che certi errori, giammai non sfuggono al castigo
neppure nella vita presente! ch'esso indugia talvolta, ma posto da
Dio sulla traccia del reo non la perde più d'occhio, e lo coglie dopo
lunghi anni, quand'egli forse neppur più si ricorda d'averlo meritato!
Troilo intanto, che aveva alle mani troppo diffidi bisogna per potersi
addormentare così al primo, e conosceva necessario pensare e ponderar
molto ogni sua azione nell'arduo passo a cui si trovava, veniva dicendo
tra se stesso: «Eccomi dunque in casa!.... l'entrare è andato benone,
sta a vedere come se n'uscirà!.... corpo di Fra Girolamo e di tutti
i domenicani! che muso ha quel vecchione! me gli sono inginocchiato
davanti come un bambino! questa, per tutti i santi, non l'avrei mai
immaginata. L'avessero a sapere in campo starei fresco, vorrebbero
rider poco! E quell'altro Alberto, Adalberto, che so io.... stava là
ritto ritto che pareva avesse inghiottito il braccio che gli serviva
anni sono, a misurar le rascie, e mi faceva cert'occhi!.... È capace
immaginarsi di mettermi paura! Ora che ha la spada accanto, gli pare
d'esser divenuto qualche gran cosa! e mi ricordo.... quant'anni
saranno?.... che lo vedevo a bottega sul canto di Vacchereccia a
innaspar seta co' fattorini.... ma io dico così che son proprio
commedie!.... Alberto! s'è messo un nome, questo poltrone, come fosse
de' duchi di Brandeburgo! Se non era che mi tocca aver pazienza, quasi
quasi stasera gli insegnavo io.... Gli ho rubata l'innamorata! se
non ha altro con me.... eccola qui, se la venga pure a prendere....
gli ajuterò una mano se gli bisogna, e sopra mercato.... via, muoja
l'avarizia.... gli darò anche quel bambino, che se è vero che i maschi
tengono dalla madre, dovrebbe, quando fosse fatto grande, aver più del
setajuolo che del gentiluomo.»
Così dicendo, volgeva sulla povera Lisa, che gli dormiva accanto col
suo bambino, un'occhiata piena di noja, e della sazietà che provava
omai grandissima di quell'infelice.
Ad alcuno fra' miei lettori, o le mie lettrici, se avrò la fortuna
d'averne, parrà forse impossibile che un cuore umano possa giungere a
tanta perversità. Beati loro! hanno la fortuna di non conoscere tutte
le vergogne della nostra natura!
Proseguendo poi il corso delle medesime idee, soggiungeva: «Dice pur
bene quell'altro di Ferrara, quel poeta....
Che non v'è soma da portar più grave
Come aver donna quando a noja s'ave.
Ed io... Dio sa quanto tempo mi toccherà a godermi questo diletto!....
e di giunta, aver sempre sotto i baffi quella sua bella sorellina,
che par un giglio appena sbocciato.... non si potrebbe?... trovar
modo?.... Eh! giudizio, messer Troilo.... che qui non si scherza! non
ci mancherebbe altro, che il vecchio, o que' grugni di lupi manari
de' fratelli se n' avvedessero!.... eppure, a non voler morire di
seccaggine in questo mortorio, bisognerà ajutarsi in qualche modo, e
così, per far ora trovar qualche trastullo.... la cosa è difficile,
è vero... ma alle cose facili, in fatto di donne, Troilo non ci s'è
messo mai.... e se mi riuscisse, m'avrebbe a far di berretto più d'
uno, là in campo; che le figlie di Niccolò de' Lapi son altra maggior
cosa che non quelle loro sguajate di che si vanno vantando tutto
giorno!....Insomma, vedremo! me ne son riuscite dell'altre; fa che
nulla nulla quest'assedio s'allunghi, e col tempo e la pazienza....
e se questi arrabbiati seguitano a dir davvero, come nell'assalto di
stasera, e' ci sarà da spingere.... eppoi, io credo che quando i nostri
saranno in piazza, e' converrà loro mettere il campo sotto questa casa,
a volerla avere.... hai veduto come lavora qui il nostro messere!....
In un baleno, il serraglio, il ponte, la casa piena di picche,
d'archibusi, di balestre, che pareva il mastio di castello al tempo
del sacco[45]. E messer Baccio, che lo vuol vivo nelle mani! bisognerà
discorrer con Niccolò!»
Verso il fine di queste parole il ribaldo avea cominciato a sbadigliare
e stirarsi, chè gli era pur venuto sonno: stette un altro poco
pensando, e ruminando più di tutto sul fatto di Laudomia (che davvero
ci duole figurarci la sua pura immagine dipinta nella mente di questo
sciagurato, ma il raggio del sole si riflette pure nel più sudicio
pantano senza macchiarsi), poi s'acconciò sul guanciale e presto rimase
addormentato.
Non molto dopo, quando mancava un'ora all'incirca al far del giorno,
si destò Niccolò, chè aveva, come accade ai vecchi, il sonno breve, e
l'ebbe quella notte più del solito, non potendo esser tanto padrone
di se stesso che il pensiero d'aver Troilo in casa non gli riuscisse
molesto, e pieno d'indefinibili sospetti: ma quando voleva chiarirne
l'origine, non la sapeva trovare, e si perdeva in mille dubbi, ognun
de' quali era lieve per se stesso, ma tutti insieme uniti si facean
gravi e lo metteano in pensiero. La sua riunione colla Lisa, il ritorno
in Firenze ed alla parte popolare, erano stati coloriti in modo di
togliere ogni adito alla diffidenza, ma i ribaldi, per quanto siano
sottili ed astuti, hanno però sempre in fronte un marchio indelebile,
(Dio ne sia lodato e ringraziato) che in modo più o meno evidente,
li tradisce: e la frode, per quanto s'ingegni coprirsi o celarsi
colle veste della verità e della schiettezza (ci si perdoni la strana
espressione) ha sempre indosso un tanfo che la fa riconoscere: ma poco
giova, chè gli uomini dabbene pel timore d'ingannarsi, e di far torto a
chi fosse innocente, non consentono a questi indizj, cercan prove; ed
il birbone intanto gliela ficca, come pur troppo accadde a Niccolò, il
quale pensando e ripensando ai portamenti di Troilo, non pensava dove
intaccarlo, e dovea ridursi a dire «sarà immaginazione, o forse per
l'odio gli portavo da tanto tempo.... ma non mi finisce di piacere.»
Poi, come animoso, e che non avrebbe temuto di cento uomini, non che
d' uno, soggiungeva: «Alla fine sarà quel che Dio vuole, ed il tempo
chiarirà ogni cosa» e per distogliere la mente da queste angosciose
idee cominciò a vestirsi, chè già a molte chiese veniva suonando l'ave
maria del giorno. Fatta poi la sua preghiera, innanzi alla nicchia ov'
eran le ceneri di Fra Girolamo, accese alla lampada, che v' ardeva
dì e notte, una candela, ravvivo il fuoco del cammino, e sedutosi si
diede a pensare come potesse venir presto a capo del suo disegno di
maritar Laudomia a Lamberto, parendogli, quando ciò gli avvenisse,
aver provveduto, per quanto si poteva in quel tempo, al bene ed alla
salvezza della figliuola. Risolse anzi di non metter tempo in mezzo ed
aprir al giovine l'animo suo quel giorno istesso: stava però in due,
o di parlargli o di scrivergli, prese partilo alla fine di averne
seco ragionamento, stimando così più facile lo scoprire l'intimo de'
suoi pensieri, chè non avrebbe voluto facesse forza in nessun modo al
proprio cuore, spinto forse dal desiderio di compiacerlo.
Intanto a poco a poco s'era fatto giorno, e Niccolò sentiva su in alto
della casa, madonna Fede che andava trafficando per le sue faccende:
fattosi dappiede alla scala, la chiamò, e le disse, che le mandasse
Lamberto, come fosse desto: egli era già in piedi e vestito, onde
scese tosto e si presentò al vecchio, che fattoselo seder vicino, e
guardandolo amorevolmente, dopo alcune parole, come per avviare il
discorso, gli disse:
--Ora ascoltami, Lamberto: Se questa città non fosse in tanto pericolo,
come essa è, o tu non fossi di casa, come tu sei, nè più nè meno
ormai degli altri miei figliuoli, io non sarei mai per dirti cotanto
apertamente quello che ti dirò or ora. Ma questi rovinosi tempi non
comportano indugio, nè con te accade far troppi rigiri di parole, chè
assai ci conosciamo l'un l'altro. Tu sai, ed io non lo dimentico,
l'obbligo grandissimo ch'io ebbi a Piero tuo padre; e ti devi
rammentare, che volendotene dare quella maggior prova ch'io potevo, ed
essendomi avveduto del tuo amore per la Lisa, io ti tenni un giorno tal
discorso da farti conoscere quanto l'avevo caro.
Iddio poi volle tribolare te e me, e le cose sono andate come tu sai.
Ma fatti animo, chè forse è stato pel tuo meglio: che tu meriti altra
donna che codesta pazzarella. Io ti tengo di troppo alto pensare;
perchè io dubiti ti possa esser rimasta in cuore la menoma favilla di
quell'amore che le portasti, dopo i modi ch'ella ha tenuto con te.
Ora dunque, senza allungarla di più, pensa Lamberto, che un'altra
figliuola mi rimane, pensaci: ed insieme sappi, che Niccolò chiuderebbe
gli occhi in pace, se morendo potesse riposarsi nell'idea che
Laudomia non resta sola, e senz'appoggio, in tempi così tristi.... Io
sono schietto con te.... più forse che non si converrebbe ne' casi
ordinarj.... Siilo tu con me,.... non parli tu col padre tuo? con
quello che non avrà bene nè riposo finchè non ti veda contento?--
La commozione di Lamberto, che era venuta sempre crescendo a mano a
mano che Niccolò parlava, non ebbe più misura a queste parole dette in
suono così tenero; gli prese una mano, se la strinse alle labbra, e
rimasto così un momento rispose:
--Oh! pensate s'io non voglio essere schietto con voi!.... e vi dirò
tutto addirittura.... senza neppur ringraziarvi prima come dovrei....--
E qui cominciando da' quei primi tempi, quando avea, ancor fanciullo,
donato a Laudomia l'amor suo, gli facea l'istoria degli affetti, delle
impressioni diverse che avea provate sino al momento del suo ritorno:
dipingeva il rammarico, la terribile angoscia sofferta, pensando a sua
madre; narrava del ragionamento avutone con Fra Zaccaria, della lettera
ch'ella gli avea lasciato, ed aggiungeva:
--Oh sì! Il primo, il sommo de' miei desiderj, la sola speranza ch'io
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