Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 40

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Quando Laudomia volle moversi dalla sedia sulla quale s'era di nuovo
abbandonata, le sue forze mal corrisposero alla smania che provava di
torsi di quel luogo funesto. Se qualcosa dovesse recar maraviglia,
sarebbe ch'ella avesse potuto tanto resistere. Ma bene spesso si
vedon persone deboli, o pel sesso, o per l'età, o per la fisica loro
struttura, sopportar maravigliosamente travagli e spaventi, rette dalla
prontezza dell'animo, e dall'orgasmo stesso prodotto da un pericolo, da
un affetto, da una passione prepotente. Cessino queste cagioni, e la
natura spossata cade di tanto più bassa, quanto era maggiore lo sforzo
che la reggeva.
Così avvenne alla poveretta. Uscita di quel terribil pericolo,
trovandosi sicura ed illesa tra braccia amiche, tra quelle dello sposo,
del fratello, sentì per tutte le fibre diffondersi un gelo torpido, che
avea pure in se un tal che di dolce, e pel quale parea le si venisse
spegnendo il principio vitale. Quell'ultimo atto d'interporsi onde
Lamberto ritornasse in sè stesso e venisse a Troilo salvata la vita le
avea dato l'ultimo crollo; assalita da un ribrezzo di febbre che la
diacciava tutta; con una angoscia al cuore che ne rendeva violento,
incerto e disuguale il battito, si sentiva intorbidar l'intelletto, ed
occupar da confuse e dolorose immaginazioni.
--Oh! Lamberto, diceva pregando con voce spenta, mentre tentava invano
d'alzarsi, io sento offuscarmisi la mente... la vita se ne va... Oh!
prendimi in braccio.... portami altrove.... Son tua sposa.... è vero?
Non è stato un sogno.... posso morirti vicina, mi puoi ajutare....
reggere il capo.... Oh! potessi ricordarmi.... ma ho le idee così
scomposte! Mi desti l'anello in S. Marco.... son tua.... non è vero?--
--Oh! sì, Laudomia, amor mio, fatti cuore.... noi siamo sposi.... e tu
sei col tuo sposo....Iddio te lo diede e tuo padre, e non ti lascerà
più mai....--
--Oh! mio padre, dicevi....--
E la scena di Gavinana, il pericolo di Niccolò le si affacciava alla
mente senza che potesse distinguere se era cosa reale o soltanto
temuta; fatto accaduto, ovvero minacciato nell'avvenire.
--Oh Lamberto mio! diceva piangendo, dimmelo, se lo sai.... s'egli è
vero che lo volean prigione.... o forse.... già l'avrebber preso....
sarebbe al bargello.... lo porranno al tormento.... vi fosse ora?....
fosse attaccato alla fune. Oh, babbo, babbo! Oh, povero sventurato
vecchio!... Dimmelo, dimmelo se lo sai!--
E piangeva sconsolatamente, a torrenti, che avrebbe fatto pietà ai
sassi.
Lamberto fuor di sè si struggeva in proteste, affermando sull'onor
suo non saper nulla, e trovando mille modi, mille espressioni per
rassicurarla; Bindo, coll'impeto d'affetto d'un cuor buono di quindici
anni faceva altrettanto, e cogli occhi lagrimosi, si disperava temendo,
più grave che non era in effetto, il male della sorella. Maurizio,
che era venuto ad avvisare esser ammanniti i cavalli, vedendo il suo
padrone in tanti travagli per cagione di Troilo, non si sapea dar pace
avesse a rimaner vivo. Il buon svizzero smaniava, e mordendosi il dito
saettava di tanto in tanto sguardi stralunati verso l'uscio della
camera gialla, ov'era chiuso e legato il traditore, dicendo in cuor suo:
--Io non hafer mai pefute fine con messer Droile.... Ah, se mie patrone
dicesse: «Maurizie, ti far quel che pare migliore!»--
E seguitava a scollare il capo, chè secondo le sue idee non v'era
cagione che permettesse di nuocere a quelli coi quali s'era bevuto
vino, tanto era la sua riverenza per questo liquore. E perciò appunto
non avea voluto assaggiarlo la sera della riconciliazione: e se gli
altri avean perdonato, egli, per un istinto di fedeltà quasi canina (e
crediam che l'epiteto contenga un elogio) era rimasto implacabile.
Il sospetto che destava lo stato di Laudomia, benchè grave, non lo era
però al punto che non dovesse cedere a quello ben altrimenti maggiore
di sospettar quivi tanto che nascesse qualche impensato ostacolo alla
loro fuga.
Quando parve un po' racquetata, e dissipata in gran parte quella nube
che le avea per un momento offuscate le idee, Lamberto, e gli altri di
compagnia, la levaron di peso, e con grandissimo riguardo tanto fecero
che la misero a cavallo, ove, reggendola da ambo i lati, presero,
guidati da Selvaggia, la via del piano.
Ma dove ripararsi a quest'ora con tanti sospetti, tanti timori, tanti
nemici che forse li circondavano? Dove condurre quella poveretta, che
al più potea far qualche miglio, ma poi avrebbe corso rischio della
vita se non trovasse riposo od ajuto?
Monte Murlo sorgeva poco discosto. Lamberto e Bindo conoscevano il
Pievano, e negli anni scorsi lo venivan talvolta visitando dalla villa
che avea Niccolò poco lungi del Poggio a Cajano.
Presero partito d'andare a lui per la via più diritta. Come pratici del
paese, malgrado l'oscurità, l'ebbero presto rintracciata, e facendo
animo a Laudomia risolutamente vi s'avviarono.
Ma Selvaggia, che precedeva, fermandosi a un tratto, e percuotendosi
colla palma la fronte, esclamò:
--L'abbiam fatta grossa! e il famiglio di Troilo?... Michele?... è
rimasto nella villa.... libero.... nessun di noi ci ha più pensato.....
Dio sa che non abbia udito.... veduto tutto.... Dio sa che a quest'ora
non abbia sciolto il padrone.... e presto ci sia addosso con genti di
quel ribaldo d'jeri sera!...--
Fanfulla, senza dar tempo ad altro, gridò, volgendosi e riprendendo di
corsa la via fatta:
--Ci penso io, e non dubitate di nulla....--
E Maurizio, senza chieder a Lamberto licenza, corsegli dietro a gambe
quanto poteva.
Gli altri rimasero un momento sospesi: riflettendo poi che bastavano
all'impresa que' due, e non volendo assottigliar troppo a Laudomia la
scorta, seguitarono il loro cammino verso M. Murlo.
Mentre Fanfulla ed il famiglio tornavano addietro a furia per la
salita, ora correndo, ora di buon passo, a seconda che la strada era
rotta od agevole, nacque a Maurizio un'idea, che gli parve bellissima e
mirabile, e risolutosi di tentare il suo compagno, cominciò a dire, col
fiato grosso e tronco dall'affanno:
--Ah!.. mie... patrone... star... troppo... pone... troppa carità...
per... quel ripalde, traditore!... Non lasciar legato... ma
impiccato... e allora noi non dofer tornar indietro... non hafer più
paura.
--E così... avrei fatto, se stava in me... e non tanti perdoni... ma è
stata... madonna... che vuoi? le donne hanno il cuore senza pelo...--
--È stato... che mie patrone hafer pefute... ma Maurizie furbe, non
hafer mai foluto pefer fine con Droile... e poter adesso asciustar
tutto, se messer Fanfulle star contente.--
Fanfulla non capì gran fatto questa sottil distinzione del _pefer_ o
_non pefere_: ma correva, le parole gli costavano, avea altro pel capo,
onde non rispose, e così giunsero alla villa.
Trovarono il cancello aperto come l'avean lasciato. In quattro salti su
per la cordonata furon al portone, che non parea fosse stato mosso, ed
era rimasto rabbattuto. Entrarono, e fermatisi tutti ansanti a tender
l'orecchio, udirono che Troilo chiamava Michele con voce che facea
risonar le volte del castello, e tra una chiamata e l'altra mandava con
voce men alta, imprecazioni tremende, bestemmiando cielo ed inferno, e
l'ora ch'era venuto al mondo.
--Senti che moccoli attacca!.... disse ridendo Fanfulla; dunque, dacchè
uscimmo, non è stata mossa una maglia nel castello... ed ora siam qui
noi, e non sarà altro, se piace a Dio.... quel poltrone di Michele
si sarà messo a dormire qua su per queste camere... se va bene, avrà
bevuto jer sera, poi anche lui sarà stato stracco... ed il padrone ha
avuto tempo a urlare; non l'avrà sentito.., dev'esser così senz'altro.
Ora, prima d'ogni altra cosa, lasciami chiuder questo portone, chè non
se la colga mentre l'andiam cercando per la villa.--E chiuse a chiave,
come avea detto.
--Ora andiamo a cercarlo--soggiunse: ma venne fermato pel braccio da
Maurizio, il quale con un certo suo fare, che avea del furbo e del
minchione tutt'assieme, gli disse:
--Care Fanfulle! io pensar una cosa. Se messer Droile sortirà di
qui, lui poter far molto male a mie patrone, ora che brutte porche
Pallesche hafer victoria. Io hafer pensate puone rimedie. Noi impiccar
messer Droile, che star bestie più cattive... e pofere Michele lasciar
andare.... che non poter far male.--
Fanfulla si cacciò a ridere, e rispose:
--Sicuro, che più _puone rimedie_ di questo non c'è... e non ti credevo
un così bell'ingegno. Ma a dirtela non feci mai il boja, e non intendo
cominciar ora.--
--In mie paese, Fanfulla care, non pensar male così.... Manigolde dopo
tagliar cento teste star nobile.--
--La legge è bellissima, ma tra noi non s'usa.... e poi, non mi
sentirei forse voglia di divenire gentiluomo a quel modo.--
--Care Fanfulle, ti star solamente qui.... non ajutare.... lasciar
far Maurizie.... ma ti prometter non dire niente a mie patrone.... se
sapute! Pofere Maurizie!--
Fanfulla stette in due alcuni momenti: non ci si sapea risolvere
parendogli la cosa brutta; dall'altro canto pensava quanto quell'infame
meritasse la morte, e più di tutto di quanto pericolo fosse il
lasciarlo vivo, ora che alla volontà di nuocere (come avea benissimo
conosciuto Maurizio) s'aggiungeva, per la vittoria de' Palleschi,
il potere. Alla fine disse in cuor suo «un traditore di meno, poco
danno.... purch'io non ci metta le mani» ed avviandosi su per la scala
colla spada sguainata onde cercar di Michele; disse a Maurizio:
--Orsù, io vo a snidar quest'altro.... tu fa quel che il cuore
t'ispira.... io non ne vo' saper nulla... e non ne saprò mai nulla....
e non ti dico nè si, nè no.--
E presa la lanterna che era stata scordata, e ancora ardeva su uno
scalino, seguitò a salire zufolando sotto i baffi, e molto contento che
si fosse trovato chi, senz'essere rattenuto dalla viltà dell'impresa,
levasse pur dal mondo cotanto puzzo, e liberasse l'oppressa casa de'
Lapi da così pericoloso persecutore.
Maurizio, contento anch'esso di far le vendette del padrone, e levargli
questo bruscolo d'in su gli occhi, s'avviò alla camera, ove Troilo non
restava di tempestare, ed infilzar bestemmie da far venir giù le cappe
de' cammini.
Quand'egli udì metter la mano al saliscendi, credendo fosse Michele,
esclamò, schiumando dalla rabbia:
--Tu ci venisti pure, impiccato poltrone! scioglimi di qui ch'io t'ho
a....--
Ma in quella l'uscio s'apperse, ed invece di Michele vide entrar lo
svizzero con un viso, che gli fe' correr un freddo tra carne e panni.
Anco questi (quantunque la cagione fosse tutt'altra) si sentì scosso
alla vista di quel ribaldo.
Lo spavento, la rabbia, il lungo divincolarsi sperando giugnere a
sciogliere o strappar le funi, il gridar continuo e disperato, l'avean
ridotto a tale che nella persona e nel volto parea più fiera che uomo.
Chi avesse voluto rappresentar un'anima condannata alle pene eterne,
non l'avrebbe dovuta dipinger altrimenti: sfigurato, rosso, e quasi
pavonazzo il viso, molle di sudore, di schiuma, di lacrime rabbiose...
metteva paura. E Maurizio ne provò un tal ribrezzo misto di furore, che
propose quanto più presto potesse levarselo dinanzi.
Visto il trabocchetto che era rimasto spalancato, fece nuovo disegno.
Andò diritto all'apertura: scosse la fune, e conobbe quant'era profonda
quella buca. Pose mano alla corda, e cominciò a tirarla su: e tira, e
tira, e mai non veniva il capo. Troilo intanto, preso da un tremito, da
un orrore indescrivibile per ciò che gli si preparava, avea cominciato
a pregare, scongiurare, promettere, s'era gettato ginocchione per
quanto gli avea permesso la fune, poi, uscito di sè per lo spavento,
avea detto cose orrende, incomposte, senza senso, avea urlato, ruggito,
e Maurizio badava a tirar su la fune, non dicendo altro se non:
--Messer Droile, ti far acto de contrizione.... ti meritar di morire in
acqua!--
Alla fine venne fuori il capo della corda, al quale era attaccato un
gancio di pozzo tutto rugginoso ed imbrattato di melletta. Troilo
sfinito cadde bocconi, ma se smarrì le forze, per sua maggior sventura
non ismarrì i sensi.
Maurizio prestissimamente (chè aveva voglia di finirla, e l'abbiamo
anche noi) lo legò sotto l'ascelle colla fune del trabocchetto, tagliò
quella che lo attacava alla colonna del letto, e levatolo di peso
l'infilò in quella buca larga appunto abbastanza perchè vi potesse
capire.
Il disgraziato si sforzò, dibattendosi, d'ajutarsi, ma non gli venne
fatto, ed appeso alla corda che velocemente scorreva tra le mani di
Maurizio, si calò in quel profondo. Dopo un minuto la corda era al
termine: Maurizio la sfilò dalla carrucola e la gettò giù anch'essa, vi
gettò la berretta di Troilo, che era rimasta in terra, poi chiuse gli
sportelli, e tornato in cortile ad aspettar Fanfulla, s'inginocchiò, e
con quanta divozione potè, disse un _Miserere_ per l'anima di Troilo,
il quale non ebbe probabilmente laggiù così presta morte, che non
avesse tempo a far molte riflessioni, sulle quali lasceremo spaziare la
fantasia del nostro lettore.
L'ipotesi di Fanfulla circa il famiglio di Troilo aveva appunto colto
nel vero. Assai bene stracco delle veglie e della mala vita de' giorni
passati, era andato cercando nel piano superiore della villa una camera
fuor di mano ed un letto, sul quale sdrajatosi, s'addormentò, che le
cannonate non l'avrebbero desto.
Fanfulla, giunto a capo la scala udì alla lontana il suo russar
profondo, e guidato da quel suono, l'ebbe presto trovato. Gli fu
addosso prima che si risentisse, onde acciuffatolo con gentilezza alla
canna, Michele aprì gli occhi sbigottito, ed il primo oggetto che gli
s'offerse fu la punta d'una spada che gli faceva il solletico alla
bocca dello stomaco. V'era poco da replicare, onde senza far movimento
o difesa chiese la vita per Dio, che gli venne concessa a patti che
seguisse, o per dir meglio, precedesse il suo vincitore, il quale
standogli a calcagni lo fe' calare in cortile.
--Oh! che fai costì in ginocchioni?--disse Fanfulla alquanto
maravigliato di veder Maurizio in quel momento a cotale occupazione.
--Far piccole tifozione per anime di pofere messer Droile--rispose il
servo a mezza voce, onde Michele udendo non s'insospettisse.
--Non si può negare che non abbi buon cuore.... Ora dunque andiamcene,
col nome d'Iddio.--
E legate le mani a Michele con una fune che veniva ad avvolgersi ad una
delle gambe, onde non potesse fuggire, uscirono, e l'avviarono innanzi
drizzandosi tutti verso M. Murlo.
--E così, com'è andata?--domandò Fanfulla, che si moriva di curiosità
di saper che fine avesse fatta quel maladetto.
--Io dirò, care Fanfulle!... ma prima ciurare ti non dir mai niente a
mie patrone!.... peccato ti non star gentiluome!... mi allora domandar
ciuramente da gentiluome...--
--Non te ne curare, fratello: che lo fossi anco, sarebbe meglio ch'io
ti facessi un giuramento da uom dabbene... chè de' gentiluomini romper
la fede se n'è veduti parecchi, e degli uomini dabbene nessuno... ed
io, come tale, ti do la mia fede che non lo dirò a persona viva.--
--E mi star sicure puone Fanfulle. Messer Droile non impiccate. Pensava
risparmiar strada per andar da _der Teufel_, e mandato giù, giù, giù,
poi gettar dentro anche berretta.... così domani non trovar più....
credute andato fia... e nessuno sospettare niente.--
--Non l'ha pensata male!--disse Fanfulla, e seguitando a camminar di
buon passo giunsero assai presto, alla pieve di M. Murlo, ov'eran già
ricoverati i compagni, e dove Laudomia, alla quale era per istrada
cresciuto il male, avea almeno trovato un letto ove stendere le sue
membra sfinite, e tutti gli ajuti d'una cordiale e premurosa ospitalità.
Ma per dir pienamente delle sventure che percossero la famiglia de'
Lapi, ci convien ora ritrovar Niccolò, che lasciammo avviato verso
Firenze.
Povera Firenze! Noi c'ingegnammo alla meglio narrar i mali che
oppressero una delle sue famiglie, e pensare che mill'altre ne
soffrirono altrettanti e forse maggiori! Quante spose rimaste vedove!
quanti bambini orfani e derelitti! quanti vecchi orbati de' loro
figliuoli ebber a strascinar gli ultimi giorni nella solitudine e nel
pianto! Quante anime forti e generose fiaccate dalle lunghe miserie
dell'esilio si spensero inutili e dimenticate!
Pensare poi qual trista pianta mettesse le barbe tra quelle rovine!
quali velenosi frutti portasse per le susseguenti generazioni che
nacquero e morirono inonorate all'ombra sua pestilente!
Oh! ma convien por mente ad una cosa, e questa ci consolerà di tanti
danni; ci mostrerà che i patimenti d'un intero popolo non furono
gettati, e furon impiegati anzi ottimamente. Servirono a fermare
stabilmente le cose di Carlo V in Italia, a mantenerlo in possesso
della Lombardia, che per 200 anni potè così dormir in pace tra
le braccia della Spagna. Servirono a procacciar per altrettanti
ai Napoletani la giusta ed amorevole tutela d'un vicerè Spagnolo.
Servirono a far sì, che i soldati dell'impero, senza doversi guardar le
spalle, potessero invitarsi talvolta a pranzo alle tavole de' Francesi,
e sfamarsi qualche giorno alle spalle de' borghesi e de' contadini
Provenzali o della Sciampagna.
Servirono insomma a molte belle ed utili cose; ed ove i Fiorentini le
avessero potute prevedere, si può immaginare se ciò avrebbe servito a
consolarli; ma per disgrazia non eran profeti.


CAPITOLO XXXVII

Eran sonate le quattr'ore di notte quando Niccolò, circondato dalla sua
scorta, si fermava dinanzi ai battenti chiusi di porta al Prato.
La sentinella di guardia sulla torre gridò il _chi va là?_ in tedesco;
chiamò nell'istessa lingua il suo capitano, che salito ov'era il
soldato, incominciò in cattivo italiano un dialogo con messer
Benedetto, ed a grandi stenti riuscì pure a capire esser costoro quelli
ai quali avea ordine da Malatesta d'aprir la porta a qualunque ora
fossero giunti.
Dopo un poco la porta s'aprì lenta lenta: entrò la compagnia, e
passando tramezzo ai lanzi s'avviò verso borgo Ognissanti.
In 90 anni di vita era stata questa la prima volta che Niccolò avea
udito soldati a guardia delle porte di Firenze parlar lingua barbara e
ignota. Se avesse avute le mani sciolte, le sue orecchie non avrebbero
ricevuto quel suono, che amaramente lo scosse, come si scuote lo
schiavo ad un'improvvisa e dolorosa strappata della sua catena.
Camminarono innanzi per le vie oscure, deserte e silenziose, che davano
a Firenze l'aspetto che ebbe forse la Necropoli degli egiziani, la
città delle tombe; e giunti in piazza, potè Niccolò vedere il portone
di Palagio, le sue scalere, la ringhiera ove si trattavan un tempo le
cose del popolo, tutto ingombro di soldati stranieri che dormivano.
Questo bestiame spagnolo e tedesco russava buttato sulla nuda terra in
mille diversi e strani atteggiamenti.
Lo scalpitar de' cavalli non ne destò pur uno; e la brigata traversò la
piazza. Poi per Condotta e Badìa si condusse finalmente al portone del
Bargello.
Anco qui convenne far risentire la gente di dentro. S'udì presto
rumoreggiare nella guardiola de' birri, posta di fianco all'entrata,
poi un suonar di chiavi, un correr di chiavistelli, e finalmente il
cigolar de' cardini sui quali, aprendosi, girava il portone. Niccolò
scavalcato, venne messo dentro, consegnato al bargello che era venuto
in persona a riceverlo, dopo la qual cerimonia, la scorta e messer
Benedetto se n'andarono, i battenti si richiusero, e i chiavistelli
ritornarono a luogo.
Niccolò si guardò intorno, e non vedendo quivi nessuno di coloro che
erano stati presi con essolui, parte si riconfortò. Pure gli sorse in
cuore il pensiero delle figlie, il desiderio di sapere come fosser
capitate, ne dimandò con istanza a quelli che gli stavano attorno;
nessuno rispose. Il povero vecchio conobbe con chi aveva oramai a
trattare, e non replicò la domanda.
L'antico e venerando cittadino della repubblica, l'anima più nobile e
generosa che fosse in Firenze, si trovava ora sottomessa a quell'impura
e degradata razza (simile sempre a sè stessa in ogni età e sotto tutti
i modi di principato) per la quale tener chiusi gli uomini, tormentarli
e darli poi alla fine in mano al boja, è un modo come un altro, e
talvolta miglior d'un altro, di guadagnarsi il pane. Per essa, chi
ha posto il piede sul funesto limitare del carcere, sia colpevole od
innocente; sia un ostinato assassino od un involontario omicida, abbia
sull'anima un parricidio o l'abbia pura d'ogni delitto; per essa, dico,
è tutta una cosa. È un prigioniero, e d'altro non si mette in pensiero.
Pianga o rida, si disperi o sia rassegnato, poco le importa.
Vien in mente al mastino che dal beccajo è lanciato a fermare un
vitello fuggito, se si dorrà sentendosi traforar l'orecchio dalle sue
zanne?
Eppure questa gente, per la quale l'incapacità di sentir compassione è,
sto per dire, condizion necessaria dell'esistenza, si sentì scossa alla
vista di quell'augusto vecchio; se non fu propriamente pietà, fu almeno
maraviglia che andasse tant'oltre la vendetta papale.
--Metteva conto, disse un di costoro, durar tanta fatica per aver in
gabbia codest'ucello!.... poco potea volar lontano, a ogni modo.--
Ed intanto tastava Niccolò per tutta la persona, onde toglierli l'arme
se n'avesse avute. Frugandogli poi in tasca, prese i pochi danari che
v'erano e li consegnò al bargello. Lo scrivano di costui notò sul suo
registro il nome del prigioniero, l'ora del suo ingresso nel carcere;
poi l'avviarono su per lo scalone esterno, che ancora oggigiorno si
vede nel lato destro del cortile.
Se Niccolò nel salire v'avesse calato uno sguardo, avrebbe potuto
vedere nel centro dello spazzo un ceppo quadro e massiccio, sul quale
la mannaja era posata in traverso: le lastre del pavimento all'intorno
lorde di larghe macchie oscure, sulle quali luccicava riflesso il
raggio d'un torchietto affumicato che un birro portava innanzi: avrebbe
forse indovinato di chi era quel sangue, che ora i cani potevan
lambire, e scorreva pur poche ore innanzi nelle vene del penultimo
gonfaloniere della repubblica.
Ma la nefanda vista non cadde sott'occhio a Niccolò, che levava in alto
lo sguardo, affissandolo ora sul Marzocco che adorna la spalletta dello
scalone, ora alle pareti ed agli scudi scolpiti che le ricoprono, e
pensando ai valorosi uomini di cui erano, pensando all'antica maestà di
Firenze, si sentiva rinfrancar l'animo e le forze, e proponeva renderle
quell'ultimo omaggio che per lui oramai si poteva, mostrandosi a quel
passo degno veramente d'esserle figliuolo.
Salì dunque con andare stanco sì, ma non vacillante: fronte grave, ma
serena e sicura, e giunto sul pianerottolo su in alto, fu condotto per
un andito lungo ad una porta nana ed angusta nella quale, aperta dal
carceriere, gli convenne entrar tutto curvo. Era una segreta larga e
lunga otto passi, ove da una buca in alto si vedeva un po' di raggio di
cielo tra le sbarre di una grossa ferriata. V'era un lettuccio con un
sacconcello pieno di paglia trita, e che serbava l'incavo di chi v'avea
prima dormito. In terra una mezzina.
--Vedi se c'è acqua.--
Disse il carceriere ad uno de' suoi uomini. Quegli guardò, e rispose:
--È piena. Il Carduccio non ebbe sete, bisogna dire: neppur l'ha
tocca.--
Niccolò si scosse a quel nome, ed interrogava ansioso:
--Era qui forse?--
--Qui.--
--Ed ora dove l'hanno posto?--
--Donde verran' per esso il dì del Giudizio.--
Ed i birri uscirono, chiusero con rumore di chiavi e chiavistelli la
segreta, e vi lasciaron il vecchio allo scuro. Ritto com'era in mezzo
al carcere, alzò le braccia in atto di preghiera, e disse:
--Oh Francesco! tu compiesti il tuo sacrificio. Abbia in pace Iddio
l'anima tua valorosa.--
Poi brancolando trovò il letto, vi sedè; prese la mezzina, bevve pochi
sorsi, e determinò cercar riposo e sonno se avesse potuto, per far
quant'era in sè onde riprendere un po' di forze.
--Che questo mio corpo, quest'istrumento logoro, non abbia a farmi
vergogna al paragone!.... Ajutami Iddio nella prova che mi si prepara:
tu vedi l'anima mia, ma vedi insieme a che sian condotte queste membra
afflitte, infondi in esse tanto vigore che basti a condurle, senz'atto
di viltà, quei pochi passi che le separano dalla tomba.--
Si stese sul giaciglio, vi declinò il capo, e compostosi per dormire,
rimase immobile onde conciliarsi il sonno: ma com'era possibile che una
mente traboccante di mille pensieri, che un cuore così appassionato
potessero assopirsi? a tanto non basta pur troppo la sicurtà d'una
coscienza illibata, nè la veglia è frutto de' soli rimorsi. Com'era
possibile che trovandosi oramai al termine d'una lunga e travagliata
vita, piena di tante fortune, consumata tutta nell'ardente pensiero
della patria, non gli si schierassero ora dinanzi in lunga serie tutti
quanti gli eventi di tant'anni, i disegni falliti, gli improvvidi
consigli, i casi infine pei quali dopo tanti sforzi, tante agitazioni,
tanto sangue versato, Firenze era pur caduta sotto l'artiglio mediceo;
ed esso condotto.... a che? A farle l'ultimo ed inutile sagrificio di
poche ore di vita!.... e tanto lungo affannarsi, tante perdite, tante
sventure non avean potuto ottener altro dall'Eterna Giustizia?
Essa avea potuto consentire che gl'iniqui trionfasser de' buoni,
malgrado la loro imperturbata costanza a combattere, a soffrire,
a pregare? Malgrado le promesse di Fra Girolamo suo profeta? «Qual
tremendo giudicio! pensava l'afflitto vecchio, qual imperscrutabile
mistero dell'ira di Dio!.... E qual era, o Signore, la nostra mira?
pensava nell'amarezza del cuore. Quali i nostri ardentissimi desiderj.
Non eran forse stabilire il tuo regno? accrescer gloria al tuo nome?
Salvar la patria dalle mani dei tuoi nemici? Di quelli che per tener
più sicuro il piede sul collo di questo popolo non hanno altra via che
corromperlo ed affondarlo ne' vizj?.... Oh, quanto ho patito, quanto ho
pregato! Con che cuore ti diedi, Dio mio, la vita de' miei figliuoli!
Con che allegrezza t'avrei donata quella dell'ultimo che mi resta!....
Avrei visto l'ultima rovina della mia povera casa... Ma Firenze!...Dio
mio!.... perchè non salvasti Firenze?»
Questi dolorosi pensieri ravvolgendosi nella mente di Niccolò che non
potea, malgrado la sua tempra di ferro, non esser vinto ormai dalle
veglie, dalle fatiche, dalle agitazioni morali, lo vennero avviando,
senza che se n'avvedesse, verso una serie d'idee ancor più tetre e
sconsolate; e ne fu appunto cagione l'accasciarsi delle forze vitali.
La fede nella giustizia di Dio e nella sua bontà,... la fede nelle
profezie di Fra Girolamo, che a guisa d'un raggio celeste gli era stata
per tant'anni guida e conforto, la vide offuscarsi e sparire in una
tenebrosa caligine, piena di spaventi e di dubbi. Se in tutto quanto
ho sperato... in tutto quanto ho creduto per novant'anni, mi fossi
ingannato!
Questo tremendo sospetto sorse in quel travagliato cuore, quando
appunto avrebbe avuto maggior bisogno di trovar nella Fede argomento
e sollievo d'incorruttibili speranze: provò un brivido per l'ossa
(materialmente, non per iperbole) sentendosi uscir di pugno l'ultimo
filo al qual poteva ancora attenersi, come rabbrividisce chi, sospeso
per un valido ramo su un baratro profondo, lo sente all'improvviso
crocchiare e venirsi schiantando: o chi in nave battuta dal vento
o dall'onde vicino ad un'irta scogliera, vede strapparsi la gomena
dell'ultim'àncora di salute.
Un doloroso gemito uscì dal petto di Niccolò quando, non ostante i
suoi sforzi per chiuder la porta del cuore a pensieri di disperazione,
sentì che v'entravan terribili e ruinosi, come si versano i nemici in
una rocca difesa a lungo e combattuta indarno. Per la prima volta a
novant'anni sentì che cos'era spavento, parendogli veder crollare ad un
tratto le speranze di tutta una vita per questo mondo e per l'altro,
cercando invano nel presente e nell'avvenire un senso che non fosse
dolore, un pensiero che non fosse tenebre ed incertezza, e alzandosi
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