Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 11
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ringraziar Dio e me che ancora vedi lume, invece ti rimane pur tanta
faccia di parlare, e per poco la non dice che la buona, la virtuosa è
stata essa.... e l'uomo dabbene egli è 'l suo drudo, e non è traditore
chi viene armata mano contro la sua patria?.... Ah, che conosco
finalmente che vipera mi tenevo in seno, che sia maladetta l'ora che
tua madre s'incinse di te pel mio malanno.... Animo, a chi dich'io?
Ch'io ho troppo sofferto.... Animo, fuor di questa casa....--
Finir queste parole, avventarsi alla Lisa, afferrarla per le trecce e
strascinarla carpone sin presso la porta, malgrado i pianti e le grida
di Laudomia, fu tutt'uno.
I figli allora, commossi a pietà per la misera sorella, s'interposero e
gliela levaron di mano.
--Via, disse Vieri, il più giovane de' tre, ch'era bonaccio e di que'
caratteri che non possono sentir discorrere di guai, via, d'ogni cosa
alla fine si vuol far pace, e basta bene che la se ne vadi se voi non
la volete in casa....--
--Oh padre mio! interrompeva Laudomia, è vero, abbiam fatto error
grande, ma Iddio perdona pure a chi si pente, e domanda pietà... Se
quel che più v'offende è l'aver essa sposato un pallesco, ma non avete
voi pregato per essi non son tre ore... e se non perdonate, come volete
che Iddio, scusate babbo s'io son tanto ardita.... come volete che
Iddio perdoni a voi?--
Gridò Niccolò:
--Non mi star a far la saccente, ch'io non ho mestieri d'imparar da te,
sciocca, ciò che convenga di fare.... Sta a vedere ora che bisognerà
lasciarsi vituperare le figliuole da' Palleschi, per dar retta alle tue
baje.... bada a te, e a' fatti tuoi, tu.... e tu (volgendosi a Lisa)
prendi quel fanciullo e levamiti dinanzi, e vattene col malanno, che
Dio ti dia....--
La povera giovane, ch'era sino allora rimasa in terra buttata come
uno straccio, coi capelli che le cadevan per le spalle e pel volto,
mandando tratto tratto dal petto un singhiozzo convulso si venne
alzando con gran fatica.
--Iddio è giusto, diceva interrottamente, oh Iddio è giusto.... egli
e non voi m'avrà a giudicare.... e vedrà.... se meritavo.... d'esser
trattata... a questo modo. Per la disubbidienza.... quanto a questo,
ero colpevole.... è vero..... ma è mio marito.... non è mio drudo, come
dite.... non ho peccato.... Per quanto all'esser Pallesco.... oh questo
poi!.... Iddio non parteggia, io mi confido ch'egli non è nè Pallesco,
nè Piagnone.... egli maledice.... oh sì, maledice queste sette....
quest'odj.... questi furori....--
--Egli maledice i figliuoli empj, gridò Niccolò, i figliuoli che
disubbidiscono, e vituperano chi diè loro la vita, e n'attristano la
vecchiaja, e li cacciano disperati nella fossa, e tu, sciagurata, te
n' avvedrai....--
A questo punto Laudomia atterrita, e quasi smarriti i sensi e
l'intelletto per la terribil scena di cui era spettatrice, e per
l'orrenda maledizione scagliata dal vecchio sul capo della misera
sorella, non trovava più forza per formar parole, ma coi gemiti, colle
lagrime, coll'abbracciare le ginocchia e baciar i piedi del padre,
divenuta come ebbra e forsennata, coll'avvinghiarsegli appigliandosi
alle sue vesti tentava ancora d'impietosirlo. Ma lo sventurato vecchio
era (non per modo di dire, ma realmente) fuor di sè, e smarrito ogni
lume, ogni senso di ragione, ributtò Laudomia con un urto così valido
che la misera si dovette arrovesciare sul suolo: provò dapprima un gran
dolore al capo; a poco a poco non sentì più nulla e svenne.
I figli di Niccolò, visto l'atto crudele e furibondo del vecchio,
che sconvolto nel viso, irti i capelli sulla fronte livida, mostrava
col pallore, col tremito delle membra, coll'errar delle pupille,
star presso a perder i sensi, come già dava segno di aver smarrito
l'intelletto, gli si posero attorno con sommesse ed umili parole, ma
pur usando misuratamente le forze, e l'avviarono fuor della camera
dietro la sventurata sua figlia.
Questa, col fanciullo in collo che piangeva, scese, e senza più
volgersi uscì in istrada. Al padre s'era intanto dissipata la nube che
l'aveva per un momento come tratto di senno, si sciolse dalle braccia
de' figli, e chiuso con impeto il portone, fe' correre il chiavistello,
e senza profferir più parola entrò nelle sue stanze e voltò la chiave
dell'uscio.
Eran circa le sei ore, che in quella stagione corrispondono a un
dipresso alla mezzanotte; la tramontana spingeva di traverso una
pioggia fitta e diacciata, e la povera Lisa camminava a caso nelle
tenebre, ora inciampando, ora entrando fino a mezza gamba nelle pozze
d'acqua e di mota di che era piena la via, ma non avendo altra cura,
altro pensiero che di tenersi ben serrato al petto il suo bambino ed
addoppiargli i panni in capo ed indosso, onde salvarlo dall'acqua e dal
freddo.
Procurando andar rasente il muro; e per dirigersi (avendo le mani
impedite brancolar non poteva) alzava gli occhi tratto tratto, e
seguiva la linea de' tetti, che in quell'oscurità generale erano più
scuri del cielo, appena tanto da poterli distinguere. Andò così un
buon pezzo vagando, ed a poco a poco l'idea dello stato presente,
del pericolo, del patire del figlio, cacciò o distrusse ogni altro
pensiero. L'idea che s'ella fosse venuta meno, il povero Arriguccio
sarebbe spirato nel fango di freddo e di disagio, forse in pochi
minuti, valse a ritornarle quella forza che già sentiva mancare: pregò
Dio col cuore, e riflettendo a qual partito dovesse appigliarsi,
si risolvette andar da una parente che le s'era sempre mostrata
amorevole.... ma stava fino in porta S. Friano. Pure non conosceva
altro rifugio, s'avviò. Poco pratica delle strade, così allo scuro,
ed in tanto travaglio d'animo presto, come suol dirsi, perdè la
tramontana, nè seppe più in quale strada si trovasse. Si fermò un
momento per riprender gli spiriti e raccoglier le idee, e calcolando
la strada fatta le fu avviso trovarsi in faccia al Duomo, di dove pel
corso degli Adimari potea dirigersi verso l'Arno. Ma scostandosi da un
muro che aveva alle spalle e procedendo avanti credendosi in piazza,
dopo otto passi diede invece nel muro infaccia d'una via stretta,
poichè senza accorgersene avea voltato dietro l'arcivescovado, e per
Calimala era venuta verso porta Rossa.
Allora, perduta adatto ogn'idea del luogo ove fosse, sentì, insieme
colla speranza, mancarsi l'animo e le forze, e si mise a piangere
dirottamente, pur alzando tra i singhiozzi la debol voce a chieder
ajuto per amor di Dio. Ma nessuna finestra s'aprì, nessuna luce
comparve.
--Oh Dio mio! Dio mio, disse la misera stringendosi al seno il figlio,
ch'egli abbia a morir a questo modo in mezzo a Firenze!---
Ed alzò più forte la voce, che finì in istrido disperato. Tutto
inutile. Le corsero allora alla mente le cagioni della sua presente
sventura: ripensò rapidamente gli odj di parte, le preghiere fatte
quella sera stessa, i furori de' Piagnoni, li maledisse, maledisse la
patria!... ma il suo dolore s'era mutato in follia. Merita compassione.
Crebbe allora l'affanno del respiro, un sudor freddo le usciva da
tutti i pori, e le parea sentirsi agghiacciar l'alito nelle fauci. Le
ginocchia le mancarono affatto, dovette accosciarsi rasente il muro; un
torpore mortale le invase le membra pel quale a poco a poco anche la
mente le si venne oscurando: non era sonno, non era svenimento, ma un
misto d'ambedue.
Rimase in questo stato brev'ora, sopraggiunse per sua ventura la scolta
guidata da Fanfulla, dal quale venne raccolta, e confortata nel modo
narrato al capitolo VII. S'egli avea sentito premura per lei al primo
vederla, tanto maggiore la provò quand'ebbe udito i suoi casi. Le si
profferse in tutto quanto era in poter suo, interrogandola al tempo
stesso, che cosa pensasse di fare. Ma neppur essa lo sapeva. Andar da
quella parente come avea divisato quando si trovava sola, abbandonata
da tutti, ora non ci si sapea risolvere: era una casa di Piagnoni
arrabbiati, come tutti i congiunti e gli amici de' Lapi, ed oltre che
aveva in uggia più che mai in quel momento cotesti furori, era di più
molto incerta se, saputo il suo matrimonio con un Pallesco, avrebbe
trovato carezze ed accoglienze, od invece rimproveri e male grazie.
Quantunque caduta sì basso, il suo animo ripugnava a porsi in casa
altrui in figura di colpevole e di supplicante. Rispose dunque a
Fanfulla, che se Iddio, ed egli non l'ajutavano, non sapeva quanto a
lei che cosa divenire.
--Vi sarebbe un mezzo, soggiungeva, ed il migliore di tormi d'affanni,
condurmi al campo a trovar mio marito!
--Eh figliuola, al campo! giusto; la via dell'orto! Prima, per bando
del sig. Malatesta, nessuno può uscir di Firenze se non comandato,
e per combattere; poi, un affare di poco! condurre una donnetta del
vostro taglio col bambino, che se gli salta di cacciarsi a urlare,
felice notte.... no, no, questa lasciamola per l'ultima.--
Alla povera Lisa si gonfiaron gli occhi di lacrime vedendosi tagliar
la via di condursi a quello che era pur sempre signore del suo cuore.
Sospirava e taceva, Fanfulla soprastato così un poco a pensare, scrollò
il capo in atto di risolversi e disse:
--Orsù, per qualche tempo.... finchè arriverà... ci penso io.... Venite
meco.--
Presosi il bambino in collo e coll'altra mano reggendo la Lisa uscì
dalle camere della guardia, che potea star poco ad albeggiare, e dopo
alcuni minuti si fermò all'uscio d'una casetta in via Larga. Dopo otto
o dieci bussate l'uscio s'aprì.
--Aspettatemi qui un momento, disse Fanfulla entrando. Ricomparso
dopo alcuni minuti mise dentro la Lisa, che in una povera cameruccia
trovò una vecchia consumata dallo stento ma di benigno viso, la quale
l'accolse con mostra di buon volere e di compassione. Si può imaginare
se la povera giovane avesse bisogno di conforti d'ogni qualità! Pochi
ne potè trovare, ma porti con amorevolezza, in quell'estremo bastarono
pure ad ajutarla, e fatta porre su un lettuccio col suo bambino,
benedisse Iddio di trovarsi ancor tanto latte da poterlo addormentare:
quando lo vide dormire, la stanchezza vincendo a poco a poco il senso
della sua sventura l'immerse in un sonno placido e profondo.
Fanfulla intanto, visto appena che le cose si avviavan bene, se n'era
uscito, promettendole che si sarebbe lasciato rivedere. Quando fu in
istrada camminava a capo basso, colle mani dietro le reni, scrollando
il capo e soffiando: poi un tratto si cacciò a ridere, e disse:
--Ora che il capitan Fanfulla ha creduto bene di farsi cavaliero di
questa dama, e che le ha detto _ci penso io_.... al fornajo, ben
inteso, vediamo un po' se non se l'ha per male; con che quattrini le
farà le spese? E non si scordi che la terra è assediata, e se la fame
non cresce, che più di così e impossibile, cresce almeno ogni giorno il
prezzo del grano!.... A te, rispondi.--
La risposta del buon Fanfulla fu cacciarsi a ridere un'altra volta
dicendo:
--Proprio tutte a me mi capitano!.... Uh, fosse il tempo del sacco
di Roma!... ma tosto dandosi colla mano sulla bocca si ricordò che
dal sacco in poi aveva fatto di gran discipline appunto per iscontare
il mal guadagno d'allora. Si recò in mano le poche monete si trovava
indosso, avanzo della paga ricevuta a conto dal signor Malatesta. Il
poveraccio n'avea donato la maggior parte all'ospite della Lisa pel
suo mantenimento, salvandone appena un terzo per sè, ma la provvisione,
tanto per l'uno che per l'altra, potea servire una settimana
malvolentieri. Pensando e ripensando, alla fine gli venne un'idea, ma
dovette esser tremenda per lui, poichè gli trasse un gemito dal petto,
come v'avesse materialmente sofferto la trafittura d'un ferro.
Si contorse, combattè, respinse l'idea, la discacciò, e raddoppiava il
passo sperando lasciarsela dietro le spalle. Ma quella maladetta idea
gli ronzava nel capo, lo molestava, cacciata di qua ricompariva di là,
e quantunque non lasciasse di pungerlo, aveva però in se una potenza
attrattiva d'un genere così irresistibile, che alla fine rimase essa
padrona, ed il povero Fanfulla dovette proprio fare a suo modo.
Sapete che cos'era quest'idea? Rinunziare, niente meno, a far com'egli
diceva il mestiere a cavallo, non esser più uomo d'arme, mettersi nelle
fanterie e vendere il suo vecchio Grifone.
Un cuore come Fanfulla non v'è più in questo nostro secolo d' _egoisti_!
Era tanta la pietà del caso della Lisa, ed il punto d'onore di non
mancare alla promessa, che dovette, non trovando altro modo, attenersi
a questo, benchè sopra tutti enorme e doloroso. Proseguì il suo cammino
colla fronte bassa ed avvilita, come colui che già si sentiva caduto di
grado, e nel solco della cicatrice che gli divideva la guancia scese
lento, lento, un certo umido che in tutt'altri si sarebbe chiamato una
lacrima. Ma Fanfulla, chi diamine vorrebbe dir che piangesse!
Si condusse alla stalla ove teneva il cavallo e nel guardarlo pensava:
--Chi vuoi tu che compri questo povero animale? Torse lo sguardo ed il
capo dal suo antico compagno al quale gli parea quasi farsi traditore,
ed andò difilato ove alloggiavano gli uomini della compagnia del sig.
Amico d'Arsoli. Nelle scaramucce che si facevano alla giornata sempre
qualcuno ne rimaneva a piede. Fanfulla profferse il suo cavallo ad
uno di costoro, e quantunque risoluto in tutto all'enorme sacrificio,
gli rimaneva però nel cuore un resto di speranza, di non trovare
chi volesse far il negozio per esser la bestia troppo sfinita. Ma
in quel tempo non bisognava cercar cinque piè al montone, ed uno di
que' caporali, fu contento pagarlo trenta ducati. Il nostro povero
amico prese i danari e presto se li mise in tasca. Levatane la chiave
della stalla la diede al compratore, insegnandogli il luogo dov'era,
tutto ciò senza guardarlo in viso, e si tolse di quivi sospirando e
dicendo--_È fatto_--
Questa somma, che in tempi ordinarj avrebbe dato le spese alla Lisa
per più mesi, col caro, cagionato dall'assedio, non potea servire pel
quarto del tempo.
Una circostanza s'aggiunse, che la fece struggere anche più in fretta.
La Lisa s'ammalò. Tante agitazioni, tanti patimenti le infiammarono il
sangue; le saltò una febbre gagliarda che per due settimane non la
lasciò mai, e quando per le assidue cure della vecchia, di un medico
dabbene, e più d'ogni altro del buon Fanfulla, fu rimessa in piedi, si
trovò con poche forze e con meno danari. La vecchia non n'avea per sè,
onde non potea darne. Fanfulla, senz'altra provvisione che la paga d'un
fante, facea quel poco che poteva, ma se ciò bastava a non morire, non
era abbastanza per poter campare. E la povera Lisa, conoscendo ch'egli
viveva in disagio per cagion sua, gli nascondeva il proprio patire, il
bisogno di cibo migliore e più abbondante, che per l'abito, la gioventù
e le rinascenti forze, provava urgentissimo; in somma, la figlia
di Niccolò nata e vissuta negli agi e nell'abbondanza d'ogni bene,
imparava ora per la prima volta le terribili angosce della fame.
La vecchia che l'aveva raccolta in casa, detta la Niccolosa (l'arte
sua era lavar pannilini, cucire e rimendare) era stata conosciuta da
Fanfulla quando egli stava in S. Marco, chè spesso, per esser costei
in tanta vicinanza del convento, le portava tovaglie d'altare ed altre
biancherie. Tenendola per donna dabbene e d'amorevole natura, le avea
messa in casa la Lisa, che accettata volentieri, fu del pari ben
trattata finchè durarono i danari. Ma finiti questi, la povera vecchia
venne a tali strette, che il suo proprio patire le toglieva di potere
aver pietà dell'altrui. Salita un giorno nella cameruccia d'ella Lisa,
con viso afflitto, ma con buoni modi, le dovette pur dire, che quanto
alla casa sua ell'era contenta vi stesse, nè intendeva metterla in
mezzo alla strada; ma quanto al vitto, pensasse a provvedersene.
--E come provvedermene? Pensò sospirando la Lisa, che da molti giorni
viveva di poco pane ov'era più crusca che farina, e vedeva presso a
finire la piccola provvisione che se n'era fatta. Panni di qualche
valore, anella da vendere non ne aveva, chè era uscita di casa si può
dire in sola camicia. Ed in tante miserie fosse almeno stata sola a
soffrire, ma essa avea un figlio che dovea vivere del suo latte!
Il povero Arriguccio, che dipingemmo così bello, così colorito e
pienotto, avea pur fatta in poche settimane la gran mutazione. Le
membra tonde e sode s'eran, per dir così, liquefatte ed avvizzite. La
pelle lucida e tesa un tempo pendeva ora floscia ed arrendevole a tutti
i moti del fanciullo.
Ogni giorno la povera madre nel vestirlo o nello spogliarlo, lo
guardava, lo veniva ricercando per tutta la persona cogli occhi umidi
di pianto; ed ogni giorno le pareva si fosse consumato la metà; ogni
giorno credeva trovare qualche ossicino più protuberante, e meno
coperto del giorno innanzi. E sebbene questo decadimento non fosse
tanto rapido quanto la materna sollecitudine l'immaginava, era però
vero e continuo.
Per la nuova magrezza, e l'impossibilità di mutarlo spesso, chè la
poverina non avea panni, la tenera e sottil pelle del bambino in molti
luoghi ov'era più frequente l'attrito, s'era fatta rossa, e pareva
presso a lacerarsi.
CAPITOLO XII.
La sventurata madre seguiva ansiosa e tremante il progresso di questi
mali, struggendosi in pianto, ed in baci che imprimeva a migliaja sul
misero corpicciuolo, quasi dovessero aver virtù di ritornargli la forma
e lo splendore di prima. Ma questa virtù che era un tempo nel suo seno,
il dolore, gli stenti, la fame, l'aveano esausta quasi del tutto.
Gli orrori della sua cacciata dalla casa paterna, il rimescolo, il
freddo di quella prima notte, le avean subitaneamente scemato il latte;
nè il suo modo di vivere era atto a ristituirglielo ora. Il fanciullo
non mai sazio, piangeva di continuo: la poverina priva d'ogni ajuto,
d'ogni modo onde acchetarlo se lo teneva tutto giorno attaccato al
petto, ma neppur questo valeva: che il bambino trovandolo vôto, si
sfiniva suggendo inutilmente e presto staccatosi dava in un pianto
fioco e sconsolato.
Il giorno stesso in cui la Niccolosa era venuta a dirle quelle dolorose
parole, la povera giovane verso sera rimasta sola in casa si sentiva
più debole, più inferma del solito. Quel tenersi continuo il fanciullo
al seno l'avea sfinita. Un dolore profondo alle ossa del petto le
impediva di mettere intero l'anelito, e tratto tratto si sentiva
soffocare.
Seduta a canto alla finestra col figlio steso sulle ginocchia, che
languido ed abbandonato, dormiva, o piuttosto era in quel sopore che
sopravviene al mancare delle forze, ella vedeva scemare la luce del
crepuscolo pensando con terrore alle imminenti tenebre d'una lunga
notte d'inverno.
Non avendo lume era costretta, quand'annottava, di andarsene a letto;
e quell'ore eterne passate nell'oscurità senza poter chiuder occhio, e
col disperato travaglio di non trovar via ad acchetare il pianto del
figlio, le mettevano, al sol pensarvi, un brivido di spavento, ed eran
forse il più duro tormento del suo stato presente.
Ora alzava gli occhi guardando il ciel bigio, che di momento in momento
s'andava facendo più nero, ora li lasciava cadere afflitti e spenti
sul volto affilato del bambino, misurandone il respiro, che le parve
a poco a poco farsi più frequente e affannoso. Le parve scorgere che
il candido pallore della pelle s'andasse come annebbiando di livido,
specialmente attorno alle labbra, s'alzò sbigottita, e sperando codeste
apparenze fossero effetto della poca luce, preso il fanciullo, lo pose
col volto contro la finestra, e vide che il lividore non era illusione,
vide le labbruccia farsi scure e turchine, gli occhi semichiusi
aprirsi un tratto, e la pupilla errare un momento, poi sparire sotto
la palpebra. Gettò un grido la misera madre, che credette giunta
l'ultima ora del figliuolo, lo portò sollecita sul letto, lo sciolse
in un baleno dalle fasce, e tremando per l'ansia, per la fretta, per
l'incertezza, cominciò a strofinarlo, e colle palme, col fiato, e,
senz'avvedersene, colle lagrime che gli piovevano dagli occhi le pareva
pure dover riuscire a ridestare in esso il calor vitale.
Poscia avvisando nuovi modi s'abbandonava colla bocca su quella del
fanciullo, coprendolo e riscaldandolo, poi gli faceva cader tra le
labbra qualche stilla di latte, che a stento riusciva a spremersi dal
seno, ma la dolcezza di vederlo inghiottire, che avrebbe comprata colla
vita, non l'ebbe; rizzatasi allora smaniosa, disfacendosi in lagrime,
giungendo le mani convulse, o cacciandosele ne' capelli:
--Oh figlio mio! diceva, oh amore della povera madre! oh non
l'abbandonare!..... No, no, no!.... Oh se mi guardasse almeno! oh
Dio! che non ho altro al mondo che il povero angioletto mio;.... e
anche questo mi vuol abbandonare! Oh! Arriguccio mio,.... guarda la
povera madre.... oh ridi!.... Oh! veder ridere una volta ancora quella
boccuccia cara e poi morire! Oh! Dio! Dio! prendimi tutto..... sì,
tutto e tutti..... ma il figlio, l'amor mio, le mie viscere,.... oh no,
non è possibile.... oh non lo potresti volere!....--
Ma il fanciullo immobile, respirando appena, non dava segno atto a
destare ombra di speranza. L'infelice Lisa rasciutte le lagrime,
invetrito lo sguardo, ristette fissandolo un pezzo, immobile e muta;
ma intanto ciò che gli sforzi, le cure, il pianto della madre non
avean potuto, lo potè la natura e la convulsione che aveva assalito il
bambino si venne a poco a poco calmando.
Se n'avvide ai primi indizj la donna. Scorse il colore ritornar
naturale, gli occhi sereni; ricomporsi i lineamenti; tacita, tremante,
teneva dietro a questa mutazione con un ansare sempre più rapido, ma
quando vide le labbra del suo fanciullino aprirsi ad un sorriso, fu un
tale scoppio d'allegrezza, di piangere e ridere ad un tempo, fu tale
l'ebbrezza, la commozione interna, che mal reggendosi in piedi cadde
ginocchioni accanto al letto, e coprendo di baci le ginocchia ed i
piedi del figlio, diceva:
--Oh Dio, lo sapeva!... oh! non era possibile... sarebbe stato troppo
ad una povera madre, ad un'infelice.... infelice? Chi dice che sono
infelice? Che sono povera?.... M'è tornato l'amor mio! mi guarda e
ride, l'ho visto ridere.... son felice, son ricca, io son troppo
avventurata, io non chiedo altro, io non ho cuore per altro bene, per
altro amore.... oh Arriguccio! tu avevi morta la povera madre.... oh
cattivo!.... no, no cattivo.... angiolo, angliolo del paradiso, chè ora
m'hai ridonata la vita.--
Nè bastando quelle parole a dare sfogo ad affetti tanto indomiti e
bollenti, le finiva in un fiume di lagrime ed in mille baci e mille
carezze.
Intanto era fatta notte del tutto. Quando nel cuor della Lisa fu
acchetata la tempesta di tanti affetti, cominciò a riflettere al suo
stato, al pericolo che, durando così le cose, quella sventura che
era stata ora soltanto minacciata, s'avverasse: l'amor materno vinse
il terrore ch'ella provava al solo pensiero pel padre, e si risolse
andare a lui senza por tempo in mezzo, impetrarne la vita del figlio,
ottenerla o morire a' suoi piedi.
Arriguccio dormiva. Fe' sopra lui il segno della croce, l'assettò in
modo che se veniva a muoversi non corresse pericolo di cadere, lo
baciò, e scese brancolando nella cameruccia al pian terreno ov'era la
Niccolosa.
--Per l'amor di Dio, le disse, state attenta se mai Arriguccio
piangesse.... or ora torno.--
La vecchia la sgridava di voler uscire sola la sera; ma inutilmente,
chè la Lisa già avviata più non l'udiva. La notte era scura, le strade
deserte, appena qualche bottega a sportello, ed il debol chiarore dei
lumi di dentro pur serviva a non ismarrir la via. La Lisa camminava
muro muro, con passo veloce; in pochi minuti fu al portone de' Lapi,
che rivedeva per la prima volta. A quella vista pianse. Ma rasciutte
quelle lagrime, ferma col piede sul primo de' due scalini pe' quali si
saliva al limitare, le veniva meno il coraggio, nè poteva stender la
mano alla campanella che serviva a picchiare.
Vide lume alle finestre delle camere terrene di Niccolò, e salita sulla
panca di marmo che s'estendeva quant'era larga la facciata, riuscì,
attenendosi all'inferriata, a poter alzarsi tanto da vederne l'interno.
Nella camera non era altri che Niccolò e Laudomia, egli sul suo
seggiolone sotto il cammino, ella alla tavola del lavoro, ambedue
immobili e muti; ambedue mostrando sul volto tracce tali che potevano,
da chi ignorasse i loro casi, esser attribuite egualmente, ad una
calamità sofferta, o ad una fresca malattia. Lisa, che la prima
conosceva, dubitò della seconda, e non s'ingannava.
Dicemmo come al fine della terribile scena, mentre Lisa era cacciata
di casa, Laudomia rimanesse in terra svenuta; soccorsa dalla fante, si
riebbe tanto da poter a stento, ed ajutata, giungere al suo letto, ma
presa già dalla febbre, da vacillazione di mente, stette in forse della
vita per molti giorni, ed altri moltissimi in letto, e quella sera
stessa era scesa per la prima volta nella camera di Niccolò.
Ad esso era accaduto poco meno. Ma d'animo e di complessione più
ferma, non aveva mai voluto nè stare in letto, nè sentir medici, nè
veder anima viva; i figli, che s'eran lasciata sfuggir qualche parola
a pro della Lisa, gli avea discacciati, ed alla sola Laudomia l'avea
comportato, ma col patto espresso, che mai più non entrasse su questo
discorso: vietato poi a tutti, pena la sua disgrazia, d'aver che
spartire in verun modo cosa alcuna colla moglie, com'egli diceva, di
quel traditore Pallesco.
Laudomia però, riavutasi appena tanto da poter connetter le idee,
conosciuto che bisognava operare di nascosto del vecchio, avea
combinato coi fratelli di ritrovar la povera Lisa, n'andasse il mondo.
E per dir il vero avean messo sossopra Firenze, ma senza frutto
nessuno, e la Laudomia più di tutti ne vivea disperata.
Lisa guardava intenta ora il padre, ora la sorella: il pallore, la
mestizia d'ambedue, quell'immobilità, quel silenzio erano altrettante
punte che le laceravano il cuore. «Ecco di che fosti cagione! diceva
a se stessa.... ecco in che termini hai ridotto tuo padre, un povero
vecchio.... tua sorella quell'angiolo senza macchia.... e speri che
Iddio non faccia a te altrettanto? Speri ch'egli voglia lasciarti
la consolazione del figlio?....» E qui sorpresa dal pensiero che la
vendetta divina stesse forse per colpirla appunto nella vita del suo
bambino, non si potè più frenare, e scoppiò in un singhiozzare così
alto che Laudomia e Niccolò l'udirono.
--Chi piange costì? disse il vecchio alzandosi; e andato alla finestra
l'aperse. Lisa, vedendo che il padre si moveva, sopraffatta dal
terrore, era scesa, e prostrata sul lastrico della via diceva:
--Ah babbo! per me non chiedo nulla.... non merito nulla.... ma
il mio bambino sventurato! che colpa ha egli se sua madre è una
sciagurata?.... Se suo.... (la povera Lisa ebbe ancor tanto senno da
non nominare Troilo in quel momento). Oh babbo! il mio povero bambino
infelice vive del mio latte:... ed io non ne ho più.... non ho più
forza, non ho più fiato, più vita!... la fame, babbo!... la fame....
oh Dio, se provaste la fame!.... e vedere un bambino che muore di
fame!....--
Lisa nel finir queste parole alzò il capo tremante, pensando, esser
impossibile che Niccolò fosse tanto crudele da non muoversi a
compassione; già si figurava veder alla finestra il padre in atto
benigno.... invece la finestra era chiusa, sparito il lume. L'infelice
stette in due di spaccarsi la fronte sui sassi, tanto fu il dolore
disperato che l'invase.
Niccolò, accortosi appena della figlia, s'era tosto tirato indietro,
non perdendo però una delle sue parole. Laudomia, senza profferir
sillaba, gli s'era accostata, e piangendo cheta gli abbracciava le
ginocchia. Ma il vecchio fattola alzar di forza, e coll'indice teso
mostrando la porta, disse, con voce ch'egli voleva far minacciosa e
severa senza potervi però interamente riuscire:
--Laudomia, io non mi muto: esci, sali in camera; lo voglio, te lo
comando.--
Visto che non era prontamente ubbidito, ripetè l'ordine, e questa volta
con quella voce alla quale nessuno di casa s'attentava a resistere.
faccia di parlare, e per poco la non dice che la buona, la virtuosa è
stata essa.... e l'uomo dabbene egli è 'l suo drudo, e non è traditore
chi viene armata mano contro la sua patria?.... Ah, che conosco
finalmente che vipera mi tenevo in seno, che sia maladetta l'ora che
tua madre s'incinse di te pel mio malanno.... Animo, a chi dich'io?
Ch'io ho troppo sofferto.... Animo, fuor di questa casa....--
Finir queste parole, avventarsi alla Lisa, afferrarla per le trecce e
strascinarla carpone sin presso la porta, malgrado i pianti e le grida
di Laudomia, fu tutt'uno.
I figli allora, commossi a pietà per la misera sorella, s'interposero e
gliela levaron di mano.
--Via, disse Vieri, il più giovane de' tre, ch'era bonaccio e di que'
caratteri che non possono sentir discorrere di guai, via, d'ogni cosa
alla fine si vuol far pace, e basta bene che la se ne vadi se voi non
la volete in casa....--
--Oh padre mio! interrompeva Laudomia, è vero, abbiam fatto error
grande, ma Iddio perdona pure a chi si pente, e domanda pietà... Se
quel che più v'offende è l'aver essa sposato un pallesco, ma non avete
voi pregato per essi non son tre ore... e se non perdonate, come volete
che Iddio, scusate babbo s'io son tanto ardita.... come volete che
Iddio perdoni a voi?--
Gridò Niccolò:
--Non mi star a far la saccente, ch'io non ho mestieri d'imparar da te,
sciocca, ciò che convenga di fare.... Sta a vedere ora che bisognerà
lasciarsi vituperare le figliuole da' Palleschi, per dar retta alle tue
baje.... bada a te, e a' fatti tuoi, tu.... e tu (volgendosi a Lisa)
prendi quel fanciullo e levamiti dinanzi, e vattene col malanno, che
Dio ti dia....--
La povera giovane, ch'era sino allora rimasa in terra buttata come
uno straccio, coi capelli che le cadevan per le spalle e pel volto,
mandando tratto tratto dal petto un singhiozzo convulso si venne
alzando con gran fatica.
--Iddio è giusto, diceva interrottamente, oh Iddio è giusto.... egli
e non voi m'avrà a giudicare.... e vedrà.... se meritavo.... d'esser
trattata... a questo modo. Per la disubbidienza.... quanto a questo,
ero colpevole.... è vero..... ma è mio marito.... non è mio drudo, come
dite.... non ho peccato.... Per quanto all'esser Pallesco.... oh questo
poi!.... Iddio non parteggia, io mi confido ch'egli non è nè Pallesco,
nè Piagnone.... egli maledice.... oh sì, maledice queste sette....
quest'odj.... questi furori....--
--Egli maledice i figliuoli empj, gridò Niccolò, i figliuoli che
disubbidiscono, e vituperano chi diè loro la vita, e n'attristano la
vecchiaja, e li cacciano disperati nella fossa, e tu, sciagurata, te
n' avvedrai....--
A questo punto Laudomia atterrita, e quasi smarriti i sensi e
l'intelletto per la terribil scena di cui era spettatrice, e per
l'orrenda maledizione scagliata dal vecchio sul capo della misera
sorella, non trovava più forza per formar parole, ma coi gemiti, colle
lagrime, coll'abbracciare le ginocchia e baciar i piedi del padre,
divenuta come ebbra e forsennata, coll'avvinghiarsegli appigliandosi
alle sue vesti tentava ancora d'impietosirlo. Ma lo sventurato vecchio
era (non per modo di dire, ma realmente) fuor di sè, e smarrito ogni
lume, ogni senso di ragione, ributtò Laudomia con un urto così valido
che la misera si dovette arrovesciare sul suolo: provò dapprima un gran
dolore al capo; a poco a poco non sentì più nulla e svenne.
I figli di Niccolò, visto l'atto crudele e furibondo del vecchio,
che sconvolto nel viso, irti i capelli sulla fronte livida, mostrava
col pallore, col tremito delle membra, coll'errar delle pupille,
star presso a perder i sensi, come già dava segno di aver smarrito
l'intelletto, gli si posero attorno con sommesse ed umili parole, ma
pur usando misuratamente le forze, e l'avviarono fuor della camera
dietro la sventurata sua figlia.
Questa, col fanciullo in collo che piangeva, scese, e senza più
volgersi uscì in istrada. Al padre s'era intanto dissipata la nube che
l'aveva per un momento come tratto di senno, si sciolse dalle braccia
de' figli, e chiuso con impeto il portone, fe' correre il chiavistello,
e senza profferir più parola entrò nelle sue stanze e voltò la chiave
dell'uscio.
Eran circa le sei ore, che in quella stagione corrispondono a un
dipresso alla mezzanotte; la tramontana spingeva di traverso una
pioggia fitta e diacciata, e la povera Lisa camminava a caso nelle
tenebre, ora inciampando, ora entrando fino a mezza gamba nelle pozze
d'acqua e di mota di che era piena la via, ma non avendo altra cura,
altro pensiero che di tenersi ben serrato al petto il suo bambino ed
addoppiargli i panni in capo ed indosso, onde salvarlo dall'acqua e dal
freddo.
Procurando andar rasente il muro; e per dirigersi (avendo le mani
impedite brancolar non poteva) alzava gli occhi tratto tratto, e
seguiva la linea de' tetti, che in quell'oscurità generale erano più
scuri del cielo, appena tanto da poterli distinguere. Andò così un
buon pezzo vagando, ed a poco a poco l'idea dello stato presente,
del pericolo, del patire del figlio, cacciò o distrusse ogni altro
pensiero. L'idea che s'ella fosse venuta meno, il povero Arriguccio
sarebbe spirato nel fango di freddo e di disagio, forse in pochi
minuti, valse a ritornarle quella forza che già sentiva mancare: pregò
Dio col cuore, e riflettendo a qual partito dovesse appigliarsi,
si risolvette andar da una parente che le s'era sempre mostrata
amorevole.... ma stava fino in porta S. Friano. Pure non conosceva
altro rifugio, s'avviò. Poco pratica delle strade, così allo scuro,
ed in tanto travaglio d'animo presto, come suol dirsi, perdè la
tramontana, nè seppe più in quale strada si trovasse. Si fermò un
momento per riprender gli spiriti e raccoglier le idee, e calcolando
la strada fatta le fu avviso trovarsi in faccia al Duomo, di dove pel
corso degli Adimari potea dirigersi verso l'Arno. Ma scostandosi da un
muro che aveva alle spalle e procedendo avanti credendosi in piazza,
dopo otto passi diede invece nel muro infaccia d'una via stretta,
poichè senza accorgersene avea voltato dietro l'arcivescovado, e per
Calimala era venuta verso porta Rossa.
Allora, perduta adatto ogn'idea del luogo ove fosse, sentì, insieme
colla speranza, mancarsi l'animo e le forze, e si mise a piangere
dirottamente, pur alzando tra i singhiozzi la debol voce a chieder
ajuto per amor di Dio. Ma nessuna finestra s'aprì, nessuna luce
comparve.
--Oh Dio mio! Dio mio, disse la misera stringendosi al seno il figlio,
ch'egli abbia a morir a questo modo in mezzo a Firenze!---
Ed alzò più forte la voce, che finì in istrido disperato. Tutto
inutile. Le corsero allora alla mente le cagioni della sua presente
sventura: ripensò rapidamente gli odj di parte, le preghiere fatte
quella sera stessa, i furori de' Piagnoni, li maledisse, maledisse la
patria!... ma il suo dolore s'era mutato in follia. Merita compassione.
Crebbe allora l'affanno del respiro, un sudor freddo le usciva da
tutti i pori, e le parea sentirsi agghiacciar l'alito nelle fauci. Le
ginocchia le mancarono affatto, dovette accosciarsi rasente il muro; un
torpore mortale le invase le membra pel quale a poco a poco anche la
mente le si venne oscurando: non era sonno, non era svenimento, ma un
misto d'ambedue.
Rimase in questo stato brev'ora, sopraggiunse per sua ventura la scolta
guidata da Fanfulla, dal quale venne raccolta, e confortata nel modo
narrato al capitolo VII. S'egli avea sentito premura per lei al primo
vederla, tanto maggiore la provò quand'ebbe udito i suoi casi. Le si
profferse in tutto quanto era in poter suo, interrogandola al tempo
stesso, che cosa pensasse di fare. Ma neppur essa lo sapeva. Andar da
quella parente come avea divisato quando si trovava sola, abbandonata
da tutti, ora non ci si sapea risolvere: era una casa di Piagnoni
arrabbiati, come tutti i congiunti e gli amici de' Lapi, ed oltre che
aveva in uggia più che mai in quel momento cotesti furori, era di più
molto incerta se, saputo il suo matrimonio con un Pallesco, avrebbe
trovato carezze ed accoglienze, od invece rimproveri e male grazie.
Quantunque caduta sì basso, il suo animo ripugnava a porsi in casa
altrui in figura di colpevole e di supplicante. Rispose dunque a
Fanfulla, che se Iddio, ed egli non l'ajutavano, non sapeva quanto a
lei che cosa divenire.
--Vi sarebbe un mezzo, soggiungeva, ed il migliore di tormi d'affanni,
condurmi al campo a trovar mio marito!
--Eh figliuola, al campo! giusto; la via dell'orto! Prima, per bando
del sig. Malatesta, nessuno può uscir di Firenze se non comandato,
e per combattere; poi, un affare di poco! condurre una donnetta del
vostro taglio col bambino, che se gli salta di cacciarsi a urlare,
felice notte.... no, no, questa lasciamola per l'ultima.--
Alla povera Lisa si gonfiaron gli occhi di lacrime vedendosi tagliar
la via di condursi a quello che era pur sempre signore del suo cuore.
Sospirava e taceva, Fanfulla soprastato così un poco a pensare, scrollò
il capo in atto di risolversi e disse:
--Orsù, per qualche tempo.... finchè arriverà... ci penso io.... Venite
meco.--
Presosi il bambino in collo e coll'altra mano reggendo la Lisa uscì
dalle camere della guardia, che potea star poco ad albeggiare, e dopo
alcuni minuti si fermò all'uscio d'una casetta in via Larga. Dopo otto
o dieci bussate l'uscio s'aprì.
--Aspettatemi qui un momento, disse Fanfulla entrando. Ricomparso
dopo alcuni minuti mise dentro la Lisa, che in una povera cameruccia
trovò una vecchia consumata dallo stento ma di benigno viso, la quale
l'accolse con mostra di buon volere e di compassione. Si può imaginare
se la povera giovane avesse bisogno di conforti d'ogni qualità! Pochi
ne potè trovare, ma porti con amorevolezza, in quell'estremo bastarono
pure ad ajutarla, e fatta porre su un lettuccio col suo bambino,
benedisse Iddio di trovarsi ancor tanto latte da poterlo addormentare:
quando lo vide dormire, la stanchezza vincendo a poco a poco il senso
della sua sventura l'immerse in un sonno placido e profondo.
Fanfulla intanto, visto appena che le cose si avviavan bene, se n'era
uscito, promettendole che si sarebbe lasciato rivedere. Quando fu in
istrada camminava a capo basso, colle mani dietro le reni, scrollando
il capo e soffiando: poi un tratto si cacciò a ridere, e disse:
--Ora che il capitan Fanfulla ha creduto bene di farsi cavaliero di
questa dama, e che le ha detto _ci penso io_.... al fornajo, ben
inteso, vediamo un po' se non se l'ha per male; con che quattrini le
farà le spese? E non si scordi che la terra è assediata, e se la fame
non cresce, che più di così e impossibile, cresce almeno ogni giorno il
prezzo del grano!.... A te, rispondi.--
La risposta del buon Fanfulla fu cacciarsi a ridere un'altra volta
dicendo:
--Proprio tutte a me mi capitano!.... Uh, fosse il tempo del sacco
di Roma!... ma tosto dandosi colla mano sulla bocca si ricordò che
dal sacco in poi aveva fatto di gran discipline appunto per iscontare
il mal guadagno d'allora. Si recò in mano le poche monete si trovava
indosso, avanzo della paga ricevuta a conto dal signor Malatesta. Il
poveraccio n'avea donato la maggior parte all'ospite della Lisa pel
suo mantenimento, salvandone appena un terzo per sè, ma la provvisione,
tanto per l'uno che per l'altra, potea servire una settimana
malvolentieri. Pensando e ripensando, alla fine gli venne un'idea, ma
dovette esser tremenda per lui, poichè gli trasse un gemito dal petto,
come v'avesse materialmente sofferto la trafittura d'un ferro.
Si contorse, combattè, respinse l'idea, la discacciò, e raddoppiava il
passo sperando lasciarsela dietro le spalle. Ma quella maladetta idea
gli ronzava nel capo, lo molestava, cacciata di qua ricompariva di là,
e quantunque non lasciasse di pungerlo, aveva però in se una potenza
attrattiva d'un genere così irresistibile, che alla fine rimase essa
padrona, ed il povero Fanfulla dovette proprio fare a suo modo.
Sapete che cos'era quest'idea? Rinunziare, niente meno, a far com'egli
diceva il mestiere a cavallo, non esser più uomo d'arme, mettersi nelle
fanterie e vendere il suo vecchio Grifone.
Un cuore come Fanfulla non v'è più in questo nostro secolo d' _egoisti_!
Era tanta la pietà del caso della Lisa, ed il punto d'onore di non
mancare alla promessa, che dovette, non trovando altro modo, attenersi
a questo, benchè sopra tutti enorme e doloroso. Proseguì il suo cammino
colla fronte bassa ed avvilita, come colui che già si sentiva caduto di
grado, e nel solco della cicatrice che gli divideva la guancia scese
lento, lento, un certo umido che in tutt'altri si sarebbe chiamato una
lacrima. Ma Fanfulla, chi diamine vorrebbe dir che piangesse!
Si condusse alla stalla ove teneva il cavallo e nel guardarlo pensava:
--Chi vuoi tu che compri questo povero animale? Torse lo sguardo ed il
capo dal suo antico compagno al quale gli parea quasi farsi traditore,
ed andò difilato ove alloggiavano gli uomini della compagnia del sig.
Amico d'Arsoli. Nelle scaramucce che si facevano alla giornata sempre
qualcuno ne rimaneva a piede. Fanfulla profferse il suo cavallo ad
uno di costoro, e quantunque risoluto in tutto all'enorme sacrificio,
gli rimaneva però nel cuore un resto di speranza, di non trovare
chi volesse far il negozio per esser la bestia troppo sfinita. Ma
in quel tempo non bisognava cercar cinque piè al montone, ed uno di
que' caporali, fu contento pagarlo trenta ducati. Il nostro povero
amico prese i danari e presto se li mise in tasca. Levatane la chiave
della stalla la diede al compratore, insegnandogli il luogo dov'era,
tutto ciò senza guardarlo in viso, e si tolse di quivi sospirando e
dicendo--_È fatto_--
Questa somma, che in tempi ordinarj avrebbe dato le spese alla Lisa
per più mesi, col caro, cagionato dall'assedio, non potea servire pel
quarto del tempo.
Una circostanza s'aggiunse, che la fece struggere anche più in fretta.
La Lisa s'ammalò. Tante agitazioni, tanti patimenti le infiammarono il
sangue; le saltò una febbre gagliarda che per due settimane non la
lasciò mai, e quando per le assidue cure della vecchia, di un medico
dabbene, e più d'ogni altro del buon Fanfulla, fu rimessa in piedi, si
trovò con poche forze e con meno danari. La vecchia non n'avea per sè,
onde non potea darne. Fanfulla, senz'altra provvisione che la paga d'un
fante, facea quel poco che poteva, ma se ciò bastava a non morire, non
era abbastanza per poter campare. E la povera Lisa, conoscendo ch'egli
viveva in disagio per cagion sua, gli nascondeva il proprio patire, il
bisogno di cibo migliore e più abbondante, che per l'abito, la gioventù
e le rinascenti forze, provava urgentissimo; in somma, la figlia
di Niccolò nata e vissuta negli agi e nell'abbondanza d'ogni bene,
imparava ora per la prima volta le terribili angosce della fame.
La vecchia che l'aveva raccolta in casa, detta la Niccolosa (l'arte
sua era lavar pannilini, cucire e rimendare) era stata conosciuta da
Fanfulla quando egli stava in S. Marco, chè spesso, per esser costei
in tanta vicinanza del convento, le portava tovaglie d'altare ed altre
biancherie. Tenendola per donna dabbene e d'amorevole natura, le avea
messa in casa la Lisa, che accettata volentieri, fu del pari ben
trattata finchè durarono i danari. Ma finiti questi, la povera vecchia
venne a tali strette, che il suo proprio patire le toglieva di potere
aver pietà dell'altrui. Salita un giorno nella cameruccia d'ella Lisa,
con viso afflitto, ma con buoni modi, le dovette pur dire, che quanto
alla casa sua ell'era contenta vi stesse, nè intendeva metterla in
mezzo alla strada; ma quanto al vitto, pensasse a provvedersene.
--E come provvedermene? Pensò sospirando la Lisa, che da molti giorni
viveva di poco pane ov'era più crusca che farina, e vedeva presso a
finire la piccola provvisione che se n'era fatta. Panni di qualche
valore, anella da vendere non ne aveva, chè era uscita di casa si può
dire in sola camicia. Ed in tante miserie fosse almeno stata sola a
soffrire, ma essa avea un figlio che dovea vivere del suo latte!
Il povero Arriguccio, che dipingemmo così bello, così colorito e
pienotto, avea pur fatta in poche settimane la gran mutazione. Le
membra tonde e sode s'eran, per dir così, liquefatte ed avvizzite. La
pelle lucida e tesa un tempo pendeva ora floscia ed arrendevole a tutti
i moti del fanciullo.
Ogni giorno la povera madre nel vestirlo o nello spogliarlo, lo
guardava, lo veniva ricercando per tutta la persona cogli occhi umidi
di pianto; ed ogni giorno le pareva si fosse consumato la metà; ogni
giorno credeva trovare qualche ossicino più protuberante, e meno
coperto del giorno innanzi. E sebbene questo decadimento non fosse
tanto rapido quanto la materna sollecitudine l'immaginava, era però
vero e continuo.
Per la nuova magrezza, e l'impossibilità di mutarlo spesso, chè la
poverina non avea panni, la tenera e sottil pelle del bambino in molti
luoghi ov'era più frequente l'attrito, s'era fatta rossa, e pareva
presso a lacerarsi.
CAPITOLO XII.
La sventurata madre seguiva ansiosa e tremante il progresso di questi
mali, struggendosi in pianto, ed in baci che imprimeva a migliaja sul
misero corpicciuolo, quasi dovessero aver virtù di ritornargli la forma
e lo splendore di prima. Ma questa virtù che era un tempo nel suo seno,
il dolore, gli stenti, la fame, l'aveano esausta quasi del tutto.
Gli orrori della sua cacciata dalla casa paterna, il rimescolo, il
freddo di quella prima notte, le avean subitaneamente scemato il latte;
nè il suo modo di vivere era atto a ristituirglielo ora. Il fanciullo
non mai sazio, piangeva di continuo: la poverina priva d'ogni ajuto,
d'ogni modo onde acchetarlo se lo teneva tutto giorno attaccato al
petto, ma neppur questo valeva: che il bambino trovandolo vôto, si
sfiniva suggendo inutilmente e presto staccatosi dava in un pianto
fioco e sconsolato.
Il giorno stesso in cui la Niccolosa era venuta a dirle quelle dolorose
parole, la povera giovane verso sera rimasta sola in casa si sentiva
più debole, più inferma del solito. Quel tenersi continuo il fanciullo
al seno l'avea sfinita. Un dolore profondo alle ossa del petto le
impediva di mettere intero l'anelito, e tratto tratto si sentiva
soffocare.
Seduta a canto alla finestra col figlio steso sulle ginocchia, che
languido ed abbandonato, dormiva, o piuttosto era in quel sopore che
sopravviene al mancare delle forze, ella vedeva scemare la luce del
crepuscolo pensando con terrore alle imminenti tenebre d'una lunga
notte d'inverno.
Non avendo lume era costretta, quand'annottava, di andarsene a letto;
e quell'ore eterne passate nell'oscurità senza poter chiuder occhio, e
col disperato travaglio di non trovar via ad acchetare il pianto del
figlio, le mettevano, al sol pensarvi, un brivido di spavento, ed eran
forse il più duro tormento del suo stato presente.
Ora alzava gli occhi guardando il ciel bigio, che di momento in momento
s'andava facendo più nero, ora li lasciava cadere afflitti e spenti
sul volto affilato del bambino, misurandone il respiro, che le parve
a poco a poco farsi più frequente e affannoso. Le parve scorgere che
il candido pallore della pelle s'andasse come annebbiando di livido,
specialmente attorno alle labbra, s'alzò sbigottita, e sperando codeste
apparenze fossero effetto della poca luce, preso il fanciullo, lo pose
col volto contro la finestra, e vide che il lividore non era illusione,
vide le labbruccia farsi scure e turchine, gli occhi semichiusi
aprirsi un tratto, e la pupilla errare un momento, poi sparire sotto
la palpebra. Gettò un grido la misera madre, che credette giunta
l'ultima ora del figliuolo, lo portò sollecita sul letto, lo sciolse
in un baleno dalle fasce, e tremando per l'ansia, per la fretta, per
l'incertezza, cominciò a strofinarlo, e colle palme, col fiato, e,
senz'avvedersene, colle lagrime che gli piovevano dagli occhi le pareva
pure dover riuscire a ridestare in esso il calor vitale.
Poscia avvisando nuovi modi s'abbandonava colla bocca su quella del
fanciullo, coprendolo e riscaldandolo, poi gli faceva cader tra le
labbra qualche stilla di latte, che a stento riusciva a spremersi dal
seno, ma la dolcezza di vederlo inghiottire, che avrebbe comprata colla
vita, non l'ebbe; rizzatasi allora smaniosa, disfacendosi in lagrime,
giungendo le mani convulse, o cacciandosele ne' capelli:
--Oh figlio mio! diceva, oh amore della povera madre! oh non
l'abbandonare!..... No, no, no!.... Oh se mi guardasse almeno! oh
Dio! che non ho altro al mondo che il povero angioletto mio;.... e
anche questo mi vuol abbandonare! Oh! Arriguccio mio,.... guarda la
povera madre.... oh ridi!.... Oh! veder ridere una volta ancora quella
boccuccia cara e poi morire! Oh! Dio! Dio! prendimi tutto..... sì,
tutto e tutti..... ma il figlio, l'amor mio, le mie viscere,.... oh no,
non è possibile.... oh non lo potresti volere!....--
Ma il fanciullo immobile, respirando appena, non dava segno atto a
destare ombra di speranza. L'infelice Lisa rasciutte le lagrime,
invetrito lo sguardo, ristette fissandolo un pezzo, immobile e muta;
ma intanto ciò che gli sforzi, le cure, il pianto della madre non
avean potuto, lo potè la natura e la convulsione che aveva assalito il
bambino si venne a poco a poco calmando.
Se n'avvide ai primi indizj la donna. Scorse il colore ritornar
naturale, gli occhi sereni; ricomporsi i lineamenti; tacita, tremante,
teneva dietro a questa mutazione con un ansare sempre più rapido, ma
quando vide le labbra del suo fanciullino aprirsi ad un sorriso, fu un
tale scoppio d'allegrezza, di piangere e ridere ad un tempo, fu tale
l'ebbrezza, la commozione interna, che mal reggendosi in piedi cadde
ginocchioni accanto al letto, e coprendo di baci le ginocchia ed i
piedi del figlio, diceva:
--Oh Dio, lo sapeva!... oh! non era possibile... sarebbe stato troppo
ad una povera madre, ad un'infelice.... infelice? Chi dice che sono
infelice? Che sono povera?.... M'è tornato l'amor mio! mi guarda e
ride, l'ho visto ridere.... son felice, son ricca, io son troppo
avventurata, io non chiedo altro, io non ho cuore per altro bene, per
altro amore.... oh Arriguccio! tu avevi morta la povera madre.... oh
cattivo!.... no, no cattivo.... angiolo, angliolo del paradiso, chè ora
m'hai ridonata la vita.--
Nè bastando quelle parole a dare sfogo ad affetti tanto indomiti e
bollenti, le finiva in un fiume di lagrime ed in mille baci e mille
carezze.
Intanto era fatta notte del tutto. Quando nel cuor della Lisa fu
acchetata la tempesta di tanti affetti, cominciò a riflettere al suo
stato, al pericolo che, durando così le cose, quella sventura che
era stata ora soltanto minacciata, s'avverasse: l'amor materno vinse
il terrore ch'ella provava al solo pensiero pel padre, e si risolse
andare a lui senza por tempo in mezzo, impetrarne la vita del figlio,
ottenerla o morire a' suoi piedi.
Arriguccio dormiva. Fe' sopra lui il segno della croce, l'assettò in
modo che se veniva a muoversi non corresse pericolo di cadere, lo
baciò, e scese brancolando nella cameruccia al pian terreno ov'era la
Niccolosa.
--Per l'amor di Dio, le disse, state attenta se mai Arriguccio
piangesse.... or ora torno.--
La vecchia la sgridava di voler uscire sola la sera; ma inutilmente,
chè la Lisa già avviata più non l'udiva. La notte era scura, le strade
deserte, appena qualche bottega a sportello, ed il debol chiarore dei
lumi di dentro pur serviva a non ismarrir la via. La Lisa camminava
muro muro, con passo veloce; in pochi minuti fu al portone de' Lapi,
che rivedeva per la prima volta. A quella vista pianse. Ma rasciutte
quelle lagrime, ferma col piede sul primo de' due scalini pe' quali si
saliva al limitare, le veniva meno il coraggio, nè poteva stender la
mano alla campanella che serviva a picchiare.
Vide lume alle finestre delle camere terrene di Niccolò, e salita sulla
panca di marmo che s'estendeva quant'era larga la facciata, riuscì,
attenendosi all'inferriata, a poter alzarsi tanto da vederne l'interno.
Nella camera non era altri che Niccolò e Laudomia, egli sul suo
seggiolone sotto il cammino, ella alla tavola del lavoro, ambedue
immobili e muti; ambedue mostrando sul volto tracce tali che potevano,
da chi ignorasse i loro casi, esser attribuite egualmente, ad una
calamità sofferta, o ad una fresca malattia. Lisa, che la prima
conosceva, dubitò della seconda, e non s'ingannava.
Dicemmo come al fine della terribile scena, mentre Lisa era cacciata
di casa, Laudomia rimanesse in terra svenuta; soccorsa dalla fante, si
riebbe tanto da poter a stento, ed ajutata, giungere al suo letto, ma
presa già dalla febbre, da vacillazione di mente, stette in forse della
vita per molti giorni, ed altri moltissimi in letto, e quella sera
stessa era scesa per la prima volta nella camera di Niccolò.
Ad esso era accaduto poco meno. Ma d'animo e di complessione più
ferma, non aveva mai voluto nè stare in letto, nè sentir medici, nè
veder anima viva; i figli, che s'eran lasciata sfuggir qualche parola
a pro della Lisa, gli avea discacciati, ed alla sola Laudomia l'avea
comportato, ma col patto espresso, che mai più non entrasse su questo
discorso: vietato poi a tutti, pena la sua disgrazia, d'aver che
spartire in verun modo cosa alcuna colla moglie, com'egli diceva, di
quel traditore Pallesco.
Laudomia però, riavutasi appena tanto da poter connetter le idee,
conosciuto che bisognava operare di nascosto del vecchio, avea
combinato coi fratelli di ritrovar la povera Lisa, n'andasse il mondo.
E per dir il vero avean messo sossopra Firenze, ma senza frutto
nessuno, e la Laudomia più di tutti ne vivea disperata.
Lisa guardava intenta ora il padre, ora la sorella: il pallore, la
mestizia d'ambedue, quell'immobilità, quel silenzio erano altrettante
punte che le laceravano il cuore. «Ecco di che fosti cagione! diceva
a se stessa.... ecco in che termini hai ridotto tuo padre, un povero
vecchio.... tua sorella quell'angiolo senza macchia.... e speri che
Iddio non faccia a te altrettanto? Speri ch'egli voglia lasciarti
la consolazione del figlio?....» E qui sorpresa dal pensiero che la
vendetta divina stesse forse per colpirla appunto nella vita del suo
bambino, non si potè più frenare, e scoppiò in un singhiozzare così
alto che Laudomia e Niccolò l'udirono.
--Chi piange costì? disse il vecchio alzandosi; e andato alla finestra
l'aperse. Lisa, vedendo che il padre si moveva, sopraffatta dal
terrore, era scesa, e prostrata sul lastrico della via diceva:
--Ah babbo! per me non chiedo nulla.... non merito nulla.... ma
il mio bambino sventurato! che colpa ha egli se sua madre è una
sciagurata?.... Se suo.... (la povera Lisa ebbe ancor tanto senno da
non nominare Troilo in quel momento). Oh babbo! il mio povero bambino
infelice vive del mio latte:... ed io non ne ho più.... non ho più
forza, non ho più fiato, più vita!... la fame, babbo!... la fame....
oh Dio, se provaste la fame!.... e vedere un bambino che muore di
fame!....--
Lisa nel finir queste parole alzò il capo tremante, pensando, esser
impossibile che Niccolò fosse tanto crudele da non muoversi a
compassione; già si figurava veder alla finestra il padre in atto
benigno.... invece la finestra era chiusa, sparito il lume. L'infelice
stette in due di spaccarsi la fronte sui sassi, tanto fu il dolore
disperato che l'invase.
Niccolò, accortosi appena della figlia, s'era tosto tirato indietro,
non perdendo però una delle sue parole. Laudomia, senza profferir
sillaba, gli s'era accostata, e piangendo cheta gli abbracciava le
ginocchia. Ma il vecchio fattola alzar di forza, e coll'indice teso
mostrando la porta, disse, con voce ch'egli voleva far minacciosa e
severa senza potervi però interamente riuscire:
--Laudomia, io non mi muto: esci, sali in camera; lo voglio, te lo
comando.--
Visto che non era prontamente ubbidito, ripetè l'ordine, e questa volta
con quella voce alla quale nessuno di casa s'attentava a resistere.
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