Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 38

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Lamberto e Bindo, collo sguardo basso ed errante, co' petti gonfi e
frementi per impotente furore, parean due fiere cadute nella tagliola:
Maurizio, che venuto quivi per seguire il padrone era stato preso cogli
altri, bestemmiava nella strozza in tedesco: Fanfulla, che non usciva
mai della sua strana ed avventata natura, diceva scrollando il capo,
soffiando e mezzo sorridendo:
--Siam proprio serviti nel coscetto!--
Le donne piangevano, tenute per le braccia ed un poco in disparte, da
due di que' maladetti.
E Niccolò, coll'augusta e veneranda fronte levata e sicura, disse:
--Io so quel che importi per me l'esser prigione del papa....--ed un
amaro e sdegnoso sorriso gli corse sul labbro, quasi dicesse: «poco
mi può togliere oramai!» Volgendosi poi ai figliuoli, ed additando la
fossa ov'era sepolto il Ferruccio, soggiungeva:
--Da esso ho appreso come si muore.... ma forse non n'era mestieri.--
Ben conosceva il vecchio, che la sua morte si voleva e non quella de'
figliuoli nè d'altri; e perciò poco s'era turbato: ma gli sovvenne in
quel punto di Troilo, della taglia che credeva gli fosse stata posta,
e tenendolo del tutto spacciato, troppo glien'increbbe. Si guardò
intorno, cercandolo affannosamente coll'occhio, e dicendo:
--Di te mi duole, Troilo, figliuol mio!--
E siccome, non essendovi altro lume che la lanterna portata da Matteo,
poco ci si vedeva, penò un buon poco a rintracciarlo; finchè poi lo
scorse lontano, ritto, immobile, colle braccia intrecciate sul petto ed
il viso basso, e s'accorse che non era nè legato, nè tenuto in guardia
da alcuno di que' soldati, che con tanta cura s'erano assicurati che
gli altri non potesser fuggire.
Il volto del giovane, che dalla natura avea sortito bellissimo, era
in quel momento spaventevole e turpe come il suo tradimento: simile
a Caino, a Giuda e ad altri gran scellerati, cominciava per esso
il supremo de' tormenti, quello de' rimorsi, scevri affatto d'ogni
pensiero di speranza o di pentimento.
Niccolò gli lesse in fronte scritto il suo peccato, notò sui volti de'
soldati un riso di scherno, che pareva dicesse: «di lui non istare in
pensiero!» Gli si squarciò il velo che gli avea tanto lungamente celata
la verità, e questa gli si rivelò alfine nuta e tremenda. Stese le
braccia e le mani, legate a' polsi da una ruvida fune, e con voce che
schiantò il cuore persino di que' ribaldi che l'attorniavano, disse,
guardando Troilo:
--Ed era un traditore!.....--
Nel suono di queste parole, nel modo di pronunciarle, nell'atto del
misero vecchio, fu tanta e così dolorosa effusione di verità, che,
persin lo ripeto, ne' cuori di que' rozzi e feroci sgherri sorse un
senso di compassione.
Ma Lisa, la povera Lisa, quasi uno strale di fuoco le fosse penetrato
nelle carni, si strappò dalle mani di quelli che la tenevano, colla
forza nervosa e convulsa d'una disperata passione, e scagliandosi verso
il padre gridava:
--Perchè traditore? come?.... chi può dir traditore il mio Troilo? Che
ha egli fatto?....--
E non potendone correre in traccia, che era stata tosto ripresa e
fermata da quelli cui era fuggita, si gettava innanzi colla persona,
col capo, cercando cogli occhi il marito, e pur seguitando a ripetere:
--Oh! traditore poi!.... traditore il mio Troilo!... Oh babbo! perchè
dir quest'orrore?.... ed in questi momenti?--
Alla fine anch'essa lo vide, ed era sempre al luogo, e nell'atto, e col
viso medesimo, e quell'impressione che n'avea ricevuta Niccolò, quel
pensiero, quella certezza istessa invase la Lisa, che provò il brivido
della morte all'aspetto di quel ceffo sfigurato, e dovette torcerne il
volto turandosi colla mano gli occhi, ma non pertanto vincendo tosto
quel primo moto, e ritornando a sperare, gli diceva piangendo, senza
guardarlo, se non tratto tratto alla sfuggita:
--Oh Troilo!.... vieni.... parla.... non senti? non udisti?.... Perchè
star là ritto?... che mistero c'è sotto!.... Oh Troilo, Troilo!
possibile che la tua Lisa disperata non ottenga pur una parola?...--
Ed alla fine, con impeto d'indicibile smania, esclamava:
--Ma sciagurato! dì almeno che è vero!.... che sei traditore.... uscirò
almen d'incertezza!....--
Per sola risposta, Troilo si strinse nelle spalle, s'allontanò, e
presto si confuse colle ombre della notte.
Lisa si fece bianca e fredda come un marmo, le cadder le braccia, e
disse anch'essa:
--Era un traditore!....--
E lasciandosi andare come morta a piedi di Niccolò, colle fronte sulla
terra, diceva con voce spenta:
--Ed io, scellerata, son cagione di tutto!--
--È vero pur troppo!--
Rispose il vecchio; ed i soldati cui riusciva oramai troppo grave esser
testimoni di cotale scena, si mossero conducendo i prigioni verso la
casa d'onde poco innanzi erano usciti.
Mentre camminavano, Maurizio, che veniva accanto a Lamberto, gli disse
sottovoce con un sospiro:
--Ricortare quella sera! Io ticeva non pefere! Non pefer fine per far
pace con messer Droile!.... Star tratitore! Hafefa racione pofere
Maurizie?--
E Lamberto:--L'avevi pur troppo!--
Ricondotti così alla loro casa, Niccolò fu rinchiuso in una camera,
le giovani in un'altra, ed in una terza gli uomini, guardati
diligentemente da molti armati finchè venisse l'ora d'avviarsi tutti
verso Firenze.
Il colpo era fatto: Niccolò preso, ed il capitano di questa nobil
fazione, messer Benedetto de' Nobili, che nascosto dietro le spalle de'
suoi avea gridato: «voi siete prigioni del papa» perchè non s'era fatto
innanzi, perchè non s'era mostrato? Perchè il codardo non avea avuto
ardire d'affrontare lo sguardo di Niccolò, come neppure a Troilo n'era
bastata la vista. Sia lodato Iddio, che al cospetto di certi uomini,
la fronte de' ribaldi venduti ai potenti, dovrà, sinchè duri il mondo,
cader sempre nel fango!
Ora che i prigioni eran rinchiusi e ben guardati, nè v'era il rischio
d'incontrarsi con loro, entrarono in casa i due traditori, ed era con
essi Selvaggia, alla quale non ci regge l'animo apporre l'istessa
taccia, sin che non abbiano i suoi portamenti palesato interamente
l'animo suo. E ad ogni modo, che non si perdona ad un amor come quello
che la consumava, e che piuttosto dovrebbe dirsi delirio, furore o
pazzia? Tanto più se si ponga mente al lungo e disperato soffrire
di quella poveretta, all'offese, agli scherni, allo sprezzo, che
era stato il solo suo pane (se è lecita l'espressione) dacchè avea
aperto gli occhi alla luce, il cuore agli affetti? Pur troppo cotali
anime entrando nel mondo recan seco loro i semi d'eroiche virtù e di
tremendi delitti. I casi, gli uomini ne' quali s'imbattono, suscitano
l'une o gli altri. Quindi virtù o vizio, felicità o sventura.
Sappiamo qual parte fosse toccata a Selvaggia, che votato il calice
della sventura sino alla feccia dovea morir nello strazio, se una
potente speranza non l'avesse tenuta viva, quella della vendetta. Per
questa sola essa sosteneva la vita, pensava, agiva, si moveva, da
quella terribil notte, ove sulla strada d'Empoli avea per l'ultima
volta veduto Lamberto: l'avea pensata, combinata alla lunga nel segreto
del cuore, nel silenzio delle notti senza sonno, nelle lunghe ore ove
o fosse in quiete, o in trambusti, tra la moltitudine, o lontana da
tutti, era sempre sola con quel suo perenne ed immoto pensiero, che le
splendeva alla mente quasi torbida stella in un'immensità tenebrosa.
Volea vendetta, l'infelice! E l'avea a suo grand'agio meditata, e poi
scelta quale, raro o mai, fu immaginata da cuore umano; l'avea, per dir
così, nutricata, e con mille cure, mille stenti, condotta al punto di
vederla compiuta. Il momento era giunto.
Intorno alla tavola sulla quale era ancora non tocca la cenetta
apparecchiata pei poveri presi, sedettero messer Benedetto, Troilo e
Selvaggia. Il primo, per guardarsi il meglio che poteva dai rischi che
avrebbe forse incontrati in quest'impresa, s'era tutto inferrucciato
di maglia, e di pezzi d'armatura, con un petto ed uno schienale, che
sulle spalle e sotto l'ascelle, per virtù di buone coregge, eran venuti
bene o male a congiungersi e star a dovere: ma ai fianchi, con tre
braccia in giro di pancia, erano stati scherzi a volerli far entrar
nell'incastro, e rimanevano aperti, lontani un palmo l'un dall'altro,
tantochè sui lati gli sarebbero stati di poca difesa. Ora poi, pel
disagio, pel caldo che era grandissimo, benchè fosse notte, il ribaldo
vecchio non ne poteva più e gli pareva d'aver indosso una montagna. Si
cavò una cervelliera tutta bozze e rugginosa, e colle guance pallide e
vizze, s'asciugava il sudore, gonfiando le gote e soffiando. Selvaggia,
coperta del lucente arnese d'un uomo d'arme, non dava segno veruno di
stanchezza: teneva i gomiti sulla tavola, e soprappensiero la veniva
scheggiando con un coltello che s'era trovato sotto mano. Troilo,
armato alla leggiera d'un picciol giaco, aveva un viso livido ed uno
spavento negli occhi che metteva ribrezzo. Ma volea parer franco; parer
più franco ribaldo del suo compagno, ed arrabbiava in cuore, vedendo
che costui non mostrava sul suo viso di collo torto, verun'altra
alterazione se non quella prodotta dalla fatica e dal caldo. Alfine,
conoscendo che il suo aspetto lo tradiva, s'attaccò ad un fiasco,
bevette, e pensando di volger la cosa in ischerzo, levò una risata
grandissima, e che troppo appariva studiata, dicendo:
--Sapete che mi vien in capo, messer Benedetto?--vi ricordate quella
notte alla buca di S. Girolamo, quando vi toccai sul groppone con
quelle funicelle... e fu per isbaglio, vedete!... buon per voi allora
se foste stato come siete adesso, con quell'arme indosso che parete un
paladin di Francia!--
--Così ci fuss'io ora alla buca, e non fossi qui:--rispose il vecchio
ipocrita, che al contrario di Troilo, non provando senso veruno
d'umanità, si studiava di simularne l'apparenza, con quella diversità
che corre tra il birbone novizio ed il matricolato.
--Queste scene mi fauno male! proseguiva con un viso compunto.... Quel
povero Niccolò! quella povera famiglia!....--
Poi con un gran sospiro:
--Ah! la ragion di stato è pur la terribil cosa! Ed il servire ad essa,
servire alle leggi ed all'ordine costa di gran sacrifici!--
La presenza di Selvaggia e di alcuni soldati, che ritti sull'uscio
guardavan l'entrata, persuase forse il Nobili a parlar così. Ma aveva
da far con Troilo, che rifacendo il suo viso, la sua voce ed il suo
sospiro, rispondeva:
--Eh! vi compatisco, povero messer Benedetto! Sono una gran cosa que'
bei sacchetti di ducati di sole.... voglio dir le leggi, e l'ordine
e la ragione distato.... mi scordo nulla? il Nobili si scontorse e
fece a Troilo cenno coll'occhio, quasi dicesse: «costoro ci odono» e
chiedesse mercè. Ma Troilo, che si sentiva in quel momento pieno d'un
inesplicabil veleno, come accade a chi è costretto odiare e sprezzar
sè stesso, ed avea bisogno di darsi un qualche sfogo, proseguiva con
perfido riso:
--Messer Benedetto mio caro! vo' siete già stracco e rifinito come un
asino d'un mugnajo, e volete torre quest'altro disagio di tenervi sul
viso quella maschera d'uom dabbene.... E se vedeste come siete sudato!
vi goccian le gote come una pentola risciaquata! voi v'ammalerete. Già
è inutile, vedete. Fate come fo io: sono un ribaldo, e lo dico. Sono
un traditore; e che perciò! E gran capitani e re e papi e imperatori
lo sono altrettanto e peggio, quando non trovano altra via. Fo i
fatti miei come posso anch'io, e chi ne vuol venga avanti. Dico bene,
Selvaggia?--
Ed alzandosi, non più col viso piacevole e in solo scherzo, ma a un
tratto mutato in un piglio rabbioso, fedel ritratto dell'inferno che
avea nel cuore, passeggiava pel salotto, e diceva, mezzo fremendo:
--Io non posso patir questi bacchettoni.... questi serpenti colla
faccia d'angeli.... chi gli abbia a saper grado di cotesta fatica, non
si sa, nè Cristo, nè diavolo certo!....--
E seguiva a passeggiare sbuffando e brontolando tra' denti.
Selvaggia, poco o nulla gli badava. Il Nobili, mezzo sbigottito di
quell'ira così subita e senza cagione, gli diceva, guardandolo con
maraviglia:
--Oh! che cosa c'entra ora quest'adirarsi?--
Troilo gli si volse come una vipera; poi, tosto avvedendosi quanto
quella sua rabbia desse in non nulla, e lo rendesse ridicolo, scoppiò
in una grandissima risata sguajata e convulsa, e versando al Nobili
un bicchier pieno colmo di vino glielo presentò, canterellando una
canzoncina; il vecchio lo accettò, dicendo:
--Va, va che n'hai un ramo!--e bevette.
Entrò in quella Michele, il famiglio di Troilo, che era venuto colla
squadra guidata da messer Benedetto, dicendo:
--C'è su vostra moglie....--
--Ci mancherebbe quest'altra! che avessi moglie!--disse Troilo ridendo.
--C'è dunque M. Lisa che non si sa più come farne bene! è buttata in
terra come uno straccio in un angolo, cogli occhi fissi, stravolti,
pare smemorata, e bada a dire che vuol voi, che vuol parlar con voi, e
non le si può cavar altro di bocca, e la sorella e la fante le stanno
d'intorno, ma pare che non capisca, e non senta, e non si può conoscere
che mal le abbia preso.--
--Le ha preso il canchero, che Dio ti dia, ribaldo poltrone!--disse
Troilo avventandosi col pugno chiuso al servo, che presto si ritrasse
ed uscì, e Troilo gli seguiva a gridar dietro:
--Chi t? ha detto di venirmi a rompere il brutt'impiccato! son io
medico o speziale? Son atto forse a guarir le donne del mal di corpo?
Maladetta l'ora che mi venisti tra piedi? È curiosa quest'altra....
Michele, Michele!--- gridò sempre più invelenito, e Michele ricomparve.
--Di' a lei, e di' a tutti coloro lassù, che noi facciamo quel che
ci è stato ordinato da' nostri maggiori.... e ce ne duole insino al
cuore.... ma non si può fare altrimenti.... e va all'inferno.... e
non esser più ardito di capitarmi d'innanzi se non ti chiamo. Michele
sparve, e Troilo ricorse al fiasco. Il disgraziato voleva uscir di sè,
per cessare un momento il tormento insoffribile che lo rodeva. Bevette,
tacque, stette un poco sopra pensieri, poi a un tratto, disse con
ismania:
--Si può saper almeno che ora sia? Che notte eterna! non v'è oriuolo
sul campanile, non batton mai l'ore in questa maladetta terra?--
Un soldato ch'era sull'uscio, disse:
--Alle corde v'hanno impiccato quattro Cancellieri per contrappeso, ed
ora toccano in terra co' piedi, e l'oriuolo è fermo.--
Cert'altri soldati, che dormicchiavano buttati sulla paglia nel
cortiletto, risero, borbottarono non so che motteggi, e tutto di nuovo
fu silenzio. Il lume che ardeva sulla tavola s'impallidiva, e si facea
piccino per mancanza d'olio.
Messer Benedetto s'era accomodato in un angolo, e fattosi con un
pastrano un po' di guanciale, russava, e russavan molti in cortile, per
le scale e per istrada, chè era quell'ora presso l'alba in cui è più
invincibile il sonno. Selvaggia, col capo tra le mani, non si sapea se
vegliasse o dormisse. E Troilo, che col bere avea sperato cacciare i
pensieri tremendi che l'infestavano, gli avea invece, e di giunta, resi
più incomposti e spaventosi, si sentiva la mente turbata e sconvolta da
mille strane ed enormi immaginazioni, per le quali gli parea vedersi
passar innanzi gli occhi mille paurose e sfuggevoli forme, che gli
empievano l'animo d'un nuovo e puerile terrore.
La quiete che l'attorniava, la torbida luce della lucerna morente, lo
funestavano: drizzava con istudiata violenza il pensiero ai guadagni
che avea sperati dal suo delitto, pensava: «domani a quest'ora avrò
quello che ho tanto desiderato, avrò Laudomia, potrò farne il piacer
mio! poi i Medici mi faranno grande, ricco, vivrò splendido ed
onorato!» Ma queste immagini a un tratto avean per esso perduto ogni
colore, ogni vita, non altrimenti che se fossero state fallaci larve,
evocate da un genio malefico soltanto per allucinarlo e trarlo al
delitto.
Arrabbiava vedendo messer Benedetto dormir riposato, e pensava: «Egli è
pur maggior ribaldo di me! Non è più bravo di me, non ha più animo...
eppure... eccolo là, russa come un majale, come avesse condotta a fine
un'opera santa!»
In ultimo, impazientito, rabbioso di trovarsi cotanto vile, diceva:
«Eh, via, ella è pur la gran fanciullaggine! pensiamo a metterci in
via, e col sole spariranno quest'ubbie di femminelle» ed accostandosi
risolutamente al Nobili, lo tirò pel braccio, dicendo:
--Animo! non è più tempo di dormire, e bisogna dar ordine ad avviarsi.--
Il vecchio si risentì, e mettendo il respiro lungo lungo due o tre
volte, stropicciandosi gli occhi, e dicendo: «ohi! ohi!» nel primo
moversi, chè la mala positura e la pressione dell'arme l'avean tutto
indolentito, pur si rizzò, e presto fu interamente desto.
Selvaggia anch'essa, che in tutta la notte non avea mai profferita
parola, s'accostò, e sedette alla tavola con loro; i soldati si
svegliarono, i cavallari si diedero ad ammannire le bestie, ed intanto
una arietta fresca e montanina, che, entrando per la finestra, spense
l'ultimo raggio della lucerna, annunciava vicina l'aurora.
--Orsù, disse Troilo, ho pensato che i prigioni gli avviamo innanzi
accompagnati da' nostri uomini e da que' villani Panciatichi. A voi
non piaccion le scene.... avete detto. A me non piaccion piagnistei.
Noi verremo dietro col nostro comodo, già la montagna è sicura da'
Cancellieri, e non v'è dubbio di nulla. Quando sarem verso Prato,
voi, messer Benedetto, v'avvierete a Firenze, e ne menerete con voi
Fanfulla, Bindo, Maurizio e la Lisa colla fante, che rimanderete
a casa, al fatto suo ho già provveduto. Non le mancherà pane. Son
gentiluomo, e so quali modi si debbon tenere... Selvaggia ed io
prenderemo a man manca, e andremo alla villa di messer Baccio con
Laudomia e Lamberto,--con ambedue abbiamo a discorrere.... e non
dubitare Selvaggia, che di vendetta io te ne satollerò, purchè ad ogni
accidente tu mi tenga il fermo.--
--Di questo non istate in pensiero, rispose con parlar tronco la donna:
poi riprese, ma se date retta a me condurrete con noi anche Fanfulla
cogli altri due invece di mandarli a Firenze. Se vi vanno, saranno
messi in libertà probabilmente, chè il reggimento vuol Niccolò e non
loro, ed appena sciolti, loro primo pensiero sarà mettersi in traccia
di noi. Sapete che anime sono.... Fanfulla pel primo... io ve lo volli
avvertire.--
--E troppo facesti bene! Oh! vedi, pazzo ch'io ero, non v'avevo posto
mente! e se non eri tu potea succeder una bella danza. È vero che essi
son quattro, e noi con Michele tre: ma essi son legati e senz'arme, e
noi armati.... potremmo condur con noi uno o due di questi soldati...
ma... a dirtela.... meno siamo e più l'ho caro.... ed in certi casi,
quando si può far a meno d'aver testimonj, è sempre meglio... No, no,
soli tra noi! Eh, diavolo, sarebbe una vergogna!.... Ehi, Michele!
(gridò chiamandolo) portami dell'acqua!.... non so.... mi sento
stonato.... che sia quel maladetto vino... mi sento un'arsura!....
sarem fuori una volta di queste maledette mura!--
Venne l'acqua, bevve, e si rinfrescò il viso, ed intanto i loro cavalli
erano comparsi all'uscio. Troilo, il Nobili e Selvaggia si misero in
sella, e lasciato l'ordine agli uomini d'arme ed a Michele del modo
che dovean tenere nell'avviare i prigioni, voltarono per le strette vie
di Gavinana in un luogo fuor di mano, di dove potean scoprire quando
questi si fossero messi in istrada, con animo poi di venirli seguitando
alla lontana.


CAPITOLO XXXV.

La strada che da Pistoja conduce a Firenze, passando per Prato, si
mantiene quasi sempre a breve distanza dal piede di quella catena di
monti, che chiude a tramontana la valle dell'Arno. I molti gioghi
che si diramano dalle vette sassose ed aride dell'Appenino, scendono
a grado a grado sino alla pianura, formando dapprima dirupati e
tortuosi burroni, poi fresche vallette ombreggiate da folti castagni, e
s'allargano alla fine in ondulate convalli ricche d'ulivi e di vigne,
tra le quali biancheggiano, sparse per la costa, ville e casali. Le
falde di cotesti gioghi, che s'estendono quali più quali meno nel
piano, ora si perdono insensibilmente con un dolce pendìo, ora a guisa
di promontorj vi si scoscendono con angoli risoluti. A tre miglia da
Prato, sovra un poggetto isolato, sta M. Murlo, castello degli Strozzi,
d'onde messer Filippo e Baccio Valori, alcuni anni dopo l'epoca che
trattiamo, furon condotti, questi al boja, quello al carcere, che aveva
co' suoi danari ajutato edificare, e dov'ebbe al fine volontaria tomba.
Così (in questo mondo, se non nell'altro) saldarono il conto che aveano
colla patria tradita da loro.
Passato M. Murlo, s'interna verso i monti un largo seno a guisa
d'anfiteatro, e vi siede nel fondo, assai bene elevata sul piano, la
villa che allora era di Baccio Valori, oggi della famiglia Tempj,
nominata il Barone. A quel punto della strada maestra, d'onde si
comincia a scoprire M. Murlo, giunse la compagnia che conduceva Niccolò
cogli altri prigioni, l'indomani della loro partenza di Gavinana
quando, già tramontato il sole da una mezz'ora, si spandean per l'aria
i tocchi delle campane, che ora di qua, ora di là, nelle circostanti
terre, sonavan l'avemaria. Quali pensieri sorgessero ne' cuori de'
nostri afflitti all'udir quel suono, può immaginarlo chi è capace di
sentir la soave ed affettuosa bellezza di questi versi:
Era quell'ora che volge il disio
De' naviganti, e intenerisce il cuore
Lo dì ch'han detto ai dolci amici addio.
E che 'l novello pellegrin, d'amore
Punge, s'egli ode squilla di lontano
Che paja il giorno pianger che si muore....
Ed all'orecchio dei nostri traditi quel suono dovea sembrar compianto
di ben altre sventure!
Camminavan taciti, stanchi, il vecchio e le donne più degli altri, per
la lunga via, per il materiale disagio, e per le agitazioni del cuore;
e da quelli che li conducevano eran tenuti scostati gli uni dagli
altri, cosicchè neppure avean il conforto reciproco degli sguardi e
delle parole.
Troilo, che veniva indietro con messer Benedetto, parendogli giunto il
tempo di separarsi, si fermò con Selvaggia, e, dato un cenno del quale
era d'accordo co' suoi uomini, si fermarono anche costoro tenendosi in
mezzo Laudomia, Lamberto, Maurizio, Bindo e Fanfulla; Niccolò, la Lisa
e M. Fede proseguiron, senza avvedersi di nulla, verso Firenze, ed il
Nobili, punto il ronzino, presto gli ebbe raggiunti.
Troilo, che non voleva i suoi prigioni sapessero ov'eran condotti, avea
dato a Michele gli ordini opportuni, cosicchè non appena fermati, ebber
bendati gli occhi; furon fatti smontare (salvo Laudomia alla quale si
contentarono di coprir gli occhi) ed i loro cavalli venner condotti
da uno di que' ribaldi alla truppa che andava innanzi con Niccolò.
A queste operazioni, che non presagivan nulla di buono, i prigioni
non fecer contrasto, non opposer difesa. Che potean essi fare? Avean
le braccia strette sul petto da funi avvolte a molti giri, e neppur
vollero far allegri i loro nemici con impotenti furori. Tacevano, ed
aspettavano la morte, chè al certo credettero si volesse lasciarli
scannati in un qualche fosso. Sentirono invece mani che, tastandoli
per la persona, tentavano le funi, ne stringevano e raddoppiavano
i nodi. Coi capi delle corde vennero poi legati tutti insieme, due
innanzi, due dietro: una voce gridò _camminate_! e s'avviarono. Michele
conduceva a mano il cavallo di Laudomia. Alcuni uomini della compagnia
eran rimasti per ajutare questi apparecchi: finiti che furono, Troilo
gli licenziò, e anch'essi se n'andarono e raggiunsero i primi.
Troilo co' suoi, giunti dopo un cinquanta passi al ponte alle Troje (è
brutto il nome, ma non è colpa nostra) ove, per condursi al barone,
conveniva lasciar la strada maestra, e passato il ponte, prender a
mancina per una via stretta, Troilo, dico, ordinò a Michele che,
fermati i prigioni, desse loro due o tre giravolte, onde perdessero
la direzione, ed il medesimo fu fatto al cavallo di Laudomia. Poi
rimessisi in via, dopo un'ora di cammino giunsero al cancello della
villa. Era notte chiusa affatto.
Due grossi mastini udito il calpestio si gettarono con furore alle
sbarre ringhiando e latrando, ma una figura comparsa di dentro entrò
tra loro e 'l cancello, li cacciò a calci, dicendo, con voce bassa e
concitata «Alla cuccia Grifone!...in casa subito. Alano!» ed i cani
brontolando nella strozza pur si ritrassero. Fu aperto il cancello,
entraron tutti, ed i bendati udiron il suono tronco e sonante de'
battenti che si richiudevano. Seguitarono innanzi, ed intanto Troilo e
Selvaggia si fermarono con quello che gli avea introdotti; custode ora
della villa, malandrino un tempo, salvato dal padrone dalla taglia del
capo.
--Benvenuto Signoria! disse costui, messer Baccio m'ha mandato un uomo
apposta per avvisarmi che voi venivi, e ch'io v'avessi ad ubbidir in
tutto. Comandate dunque. Io intanto ho apparecchiato il meglio che
potevo. Ma in questi luoghi c'è da star male. V'adatterete.--
--Eh! di poco abbiam bisogno.... Oh! prima di tutto, come ti chiami,
valentuomo.--
--Mio padre, che tenea osteria in Maremma.. verso Vada.... non sarete
pratico?..... quell'osteria che si chiama la Forca de' Preti?.... mi
fece battezzare per Giovanni. Poi fui colla famiglia del bargello di
Pisa, e mi chiamavano il _Caporal tempo cattivo_. Ora questi contadini,
quando non mi stanno sotto mano, mi dicon _lo sbirretto_, quando fanno
motto con me, mi dicon ser Vanni. A voi, quel che vi par migliore.--
--Dunque ser Vanni mio, disse Troilo sorridendo, io son venuto a star
con te un giorno... al più due. Prima d'ogn'altra cosa, vi sarebbe una
stanza, una cantina, un buco, ove fosser buone porte e buone ferrate
per chiuder costoro che hai visto passare, e son legati come salami, se
non te ne fossi avveduto?--
--Eh, ne volete delle camere a uso carcere! non vedete?... il palazzo
da cap'a piede è tutt'una prigione, e' pare il mastio di Volterra.
--Bene. E una. Poi, hai veduto? v'era una gentildonna a cavallo. A
costei la miglior camera e 'l miglior letto, insomma, il meglio che tu
hai.--
--Eh! non c'è altro che metterla nel camerone giallo, dove stava la
nonna di messer Baccio, almeno così ho inteso dire da certi vecchi
qui intorno.... anzi, dicon che ci si sente[71].... io per me non
m'avvidi mai di nulla.... è vero ch'io non ci dormo, e sto nella casa
del contadino qui un pò discosto. Pure raccontano una certa diavoleria
di questa signora a' tempi di Cosimo il vecchio, d'un pievano che
veniva per casa, e un bel giorno scomparve, e voglion che per gelosia
costei lo chiudesse giù in una fossa ne' fondamenti; e da una gola
di trabocchetto che metteva in camera sua gli calava con una fune un
pò di pan muffito, e poi non gli calò più nulla.... e tant'anni dopo
devon averlo trovato con le mani tutte rosicchiate, secco, stirato come
la camicia d'una cicala.... e ora dicon che la notte di S. Giovanni
li vedon tutt'a due a far il giro del ballatojo sotto i merli, e poi
tombolano giù in quella fossa.--
--Poco male se non c'è altro, che di qua a San Giovanni c'è tempo.
Ora dunque pensiamo a racchiuder costoro, e raccapezza qualche cosa
da dar loro mangiare, ch'io non intendo usar con essi come la nonna
col prete.... saette! non vorrei io pure, quando fossi morto, aver a
ballar il trescone su pe' merli con esso loro alle coste.--
--Oh! dunque son prigioni da trattarsi bene--domandò lo sbirretto con
un certo fare, che mostrava con quanta indifferenza avrebbe eseguito
l'ordine di stringer loro il collarino.
--Cioè, rispose Troilo volgendosi a Selvaggia, tre di costoro, sì.
Il quarto, questo mio compagno ne farà il piacer suo, e.... se si
trattasse....--
--Oh! per me è tutt'una, rispose presto l'altro per levare a Troilo
l'incomodo di spiegarsi.... sapete come si dice, sto coi frati e zappo
l'orto.... quel che m'ordinerete, tanto farò, nè più ne meno.--
--Uomo più comodo non si potea trovare a stamparlo apposta, disse
Troilo avviandosi, preceduto dal custode che gl'insegnava la via.
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