Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 30

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insieme, esclamava, tutto infiammato in viso:
--Ah! un eroe come il Ferruccio non vi fu, non vi sarà mai più al
mondo!.... e l'età nostra sciagurata non era degna d'un tal uomo, e
pensar che tanta virtù sia finita alle mani di quel disonorato marrano
traditore di Maramaldo! E non aver potuto nè impedirlo, nè farne
vendetta?.... Eh, ma saprà ben farla Iddio! la faranno gli uomini
finchè dura il mondo, finchè la virtù, l'onore, l'amor di patria
varranno più che la codardia e il tradimento!--
Dette queste parole con impeto grandissimo, a un tratto, mutando voce
ed aspetto, proseguiva con amaro sorriso:
--Oh, appunto, egli ha mestieri delle mie lodi!--
Poi, rimasto un momento a pensare, come per raccoglier le idee, diceva
con voce bassa e dolorosa:
--Ecco dunque come andò la cosa. Avrete saputo ch'egli s'ammalò a Pisa
quando appunto avea avuto l'ordine di Palagio di mover le genti verso
Firenze. Perdemmo tredici giorni, chè tanto penò a risanare. E quella,
per dio, fu la nostra rovina!.... basta; come a Dio piacque, uscimmo
una notte per la porta di Lucca. Eravam venticinque bandiere. Intorno
a tremila fanti, e non s'aggiungeva a 500 cavalli. Ma gente.... lo può
dir Fanfulla.... gente che.... e poi s'è veduto a Gavinana che genti
erano.... ma sotto il Ferruccio chi non sarebbe stato soldato!....
Di munizioni poi non se ne discorre, egli avea provveduto a tutto.
Polvere, scale, ferramenti, biscotto:.... v'eran trombe da fuoco,
moschetti da porsi sui cavalletti, e mille cose.... Si prese verso
Pescia, e per istrada un'ordine! una disciplina! parevan una regola di
frati.... dicon delle Bande nere!.... Fanfulla, l'abbiam vedute.... Di'
un po' tu se queste avean loro invidia?--
Fanfulla rispose coll'atto della bocca, che significava grandissima
affermazione.
--Dunque si prese verso Pescia, e, come costoro della terra ci negarono
il passo, ci volgemmo al castello di Medicina, ove s'alloggiò. E
l'indomani a Calamecca. La mattina di S. Stefano poi, che fu l'ultimo
giorno di quel grand'uomo, si salì sul poggio, e si dovea andare al
Montale. Ma arrivati che fummo alle Lari, quei due ribaldi cancellieri,
il capitan Pazzaglia e 'l Melocchi.... quello che chiamano il
_bravetto_, gli si misero attorno pe' nostri peccati (chè non pensavan
costoro al servizio della città, ma valersi di noi per disfare i
Panciatichi) e tante gliene dissero, che in vece d'andar diritto,
come dicevo, al Montale, egli si lasciò pur condurre a S. Marcello,
e, sappiate, che della rovina dell'impresa furon cagione que' due
vituperati ribaldi, e non altri, e ne starò a paragone con chi si
vorrà!,... chè quegli arrabbiati della montagna di Pistoja non si
curano che rovini il mondo, purchè riescano a scannare uno della parte
nemica; e messer Francesco, Dio gliel perdoni, non dovea mai prestar il
suo ajuto a que' pazzi furibondi.... Basta, non tocca a me il giudicare
quella grand'anima.... avrà avuto i suoi motivi. Egli, dolendosi che
i popoli gli si mostravan nemici e gli negavan vettovaglie, disse
coll'Arsoli «E ci converrà alla fine sforzar qualche terra!» Ed anco,
bisogna dire, che que' Cancellieri avean promesso un ajuto di mille
uomini, che mai si videro.
--In somma, in un pajo d'ore fummo a S. Marcello. Quei della terra,
veduto venirsi addosso quella rovina, avean sollecitato chi a sgombrar
le loro robe, chi a chiudersi e fortificarsi nelle case, e molti s'eran
ridotti nel campanile. E dall'altra parte della terra, su per la costa
del Cerreto, era una processione di donne, di fanciulli, di vecchi che
s'ingegnavano campar da quella rabbia, e tutti con qualche fagotto
in capo, carichi de' loro fanciullini e di quante masserizie di casa
avean potuto raccorre e portare, e tirandosi dietro qualche asinello,
pur carico, o qualche loro vaccarella od altro bestiame, si vedevano
ora sì ora no tra i gruppi de' castagni e si sentivan insino le voci
e i pianti delle donne e de' bimbi... ed io venivo poco indietro da
que' due ribaldi Cancellieri, e vedevo che ridevano tra loro, con
una rabbiosa allegrezza negli occhi, pascendosi di quel doloroso
spettacolo, e venivano instando onde sollecitasse, e dicevan presto,
presto, che non ci fuggan tutti!.... Ah! vi giuro ch'io non so che
santo m'ha tenuto di non dar loro della spada in sul capo, che avrei
tolto un gran puzzo dal mondo.... e, dicevo io, pensare che stiamo con
tanti nemici addosso, e Tedeschi, e Spagnuoli, e mille diavoli, che
anderà a finire.... Dio lo sa! E con chi la pigliamo? con que' poveri
disgraziati contadini....
E chi son essi? Italiani.... E chi siam noi? Italiani. Ah! pel vero
Dio, che s'egli ci flagella, e' ci fa molto bene il dovere.... e lo
può dir Fanfulla, che gliene dissi subito «questo principio poco mi
piace, invece di pregar Dio che ci dia vittoria, far questi brutti
assassinamenti!....» Non dubitate, che troppo fui profeta!
In somma, che volete? appena nella terra, addosso tutti, casa per
casa a sfondar le porte, ammazzar quanti potevano, e dalle finestre
l'archibusate fioccavano, e si combatteva per tutto, per le strade,
nell'interno delle case, per le scale, di camera in camera, che que'
miseri, disperati d'ogni pietà volevan almen morire vendicati, e que'
due maladetti parevan diventati cento, non potevo voltar l'occhio in
un luogo che non ve li vedessi, e facean cose che non so come la terra
non s'aprisse.... l'ho veduto io con quest'occhi il Melocchi che nella
casa d'un suo particolar nemico avea trovato un bimbo di pochi mesi....
venne in piazza.... l'avea per una gamba.... e rideva all'impazzata,
lo rotò due volte e lo scagliò in una casa che ardeva!.... ancora
sento l'acuto vagito di quell'innocente!.... oh Dio! Dio, e potevi
dar vittoria a cotali assassini?.... Io, non potendo impedire, e non
volendo vedere cotali ribalderie, mi tolsi di là e Fanfulla meco, e
andammo alla porta verso Gavinana ad aspettar che finissero quegli
orrori..... a un tratto, chi vedo? il Melocchi suddetto che veniva
correndo con due altri, e mi dice: «Andiamo, andiamo, presto, dietro
quelli che fuggono, che li arriveremo!»... Gli ci avventammo come
due mastini... «se tu non ti levi di qua, sozzo ribaldo!» gli dissi,
e s'egli replicava una parola era morto. Così si ritrasse e que'
poveretti poteron scampare.
Intanto avean posto fine al loro furore, chè si sentivan le campane
di Gavinana sonare a furia a martello, ed il Ferruccio, avvisandosi
fossero i nemici, veniva mettendo in ordine le sue genti. Egli era,
cogli altri capitani, nella casa de' Mezzalancia[60] fuor della porta
di Pistoja, e quel campo che sorge dall'altra parte della strada su
per la costa, era tanto stivato di soldati che non si vedea che un
ferro[61].
S'era fatto un tempo scuro; ed acqua a bigonce: fu ordinato che le
genti si ristorassero e mangiassero, ed il Commissario uscito fuori
coperto di tutte armi, fuorchè il capo, parlò ai soldati com'egli
sapeva parlare: e poi bevve, e siccome pioveva sempre, disse ridendo:
«Il tempo ci ajuta: e ci inacqua il vino perchè non andiamo ubbriachi a
combattere» E fu pur troppo l'ultimo ch'egli bevve.
Era costì apparecchiato quel suo cavallo bianco, quel turco che
comprò dall'Albanese: vi salse, e colla spada ignuda si mosse egli
con quattordici bandiere e facea l'antiguardo; il retroguardo eran
quindici, guidati dal sig. Gian Paolo. Io venivo con questi e seguivo
Amico d'Arsoli, e Fanfulla andava col Ferruccio.
Venne intanto di Gavinana l'avviso che gl'imperiali eran molti più
di noi, e li guidava il principe in persona. Dice Fanfulla, che
Ferruccio udito questo non potè tenersi di non esclamare: «Ah traditor
Malatesta!» chè non si potea supporre volesse l'Orange lasciar cotanto
sprovvisto il campo sotto Firenze, se non fosse stato sicuro di non
venir molestato da Malatesta.
Forse in cuor suo dubitò allora Ferruccio della giornata, ma al di
fuori mostrandosi pieno di baldanza s'affrettò a giungere a Gavinana.
Noi altri intanto coi cavalli del retroguardo prendemmo un po' al
disotto a destra della terra, per andar contro quelli del principe, e
camminando quanto più si poteva veloci e serrati (chè son luoghi ove
a maneggiar uomini d'arme è cosa malagevole) udivamo nell'interno del
castello le archibugiate, e le grida della zuffa attaccata già dal
Commissario. Allora anche noi, avanti, per venir alle mani, e passammo
quel piccol torrente che v'è. Di là tra castagni v'era un po' di largo,
e così ci urtammo coi cavalli del Bicherini, con Herrera e Rosciale,
e l'Albanese co' suoi stradiotti, e non fummo mescolati mezz'ora
che, ajutati dagli archibusieri che avevam con noi, li cominciammo a
ributtare, ed essi non troppo ordinatamente venivan perdendo terreno.
Non per dir che ci fossi anch'io, ma s'è fatto il potere, ed il sig.
Amico, povero vecchio, combattè quel giorno com'avesse venticinqu'anni.
Così sempre serrando i nemici girammo intorno alle mura, e venimmo a
riuscire dall'altra parte della terra, in quel luogo che si chiama
Vecchietto, ove gl'imperiali cominciarono sparpagliati a fuggire: il
principe vedendo i brutti portamenti de' suoi si spinse innanzi in
que' campi che dicon le Vergini: di qua, di là dal castello, da ogni
parte veniva in quel luogo una grandine d'archibugiate, ma egli, da
quel franco signore ch'egli era, niente, e avanti! e in quella che
s'avventa al Masi colla spada in alto, lo vedo piegarsi da un lato, e
poi giù disteso in terra: sul primo pochi de' suoi se ne avvidero, chè
il fumo occupava ogni cosa.... ma a un tratto, ecco il suo cavallo, un
bel bajo, tutto coperto di cojame bianco, venir giù a salti sbuffando
che parea un leone, e passar come un razzo, e sparir nel folto del
castagneto rompendo e fracassando rami e quanto trovava.,.. Per
que' suoi poltroni fu come avessero veduto il demonio, ed invece di
scagliarsi alla vendetta, via tutti a rotta di collo verso Pistoja, e i
nostri dietro, e gridavam _Vittoria_ da farci scoppiar la canna, chè il
Ferruccio udì le grida di dietro e credette aver vinto.
L'Arsoli allora tutto ansante, fulminando per gli occhi l'allegrezza
della vittoria, disse a me e ad un altro «Presto, addietro alla porta
Papiniana, e se il Commissario può darmi 50 cavalli, fateli passar
qui affinchè ributtino quelli che volessero girar la mura e coglier i
nostri alle spalle, mentre io seguito costoro che fuggono» Diede di
sproni e via di carriera, e noi addietro come saette; ben conoscevo
quanto importasse far presto, chè vedevo comparir lontane molte
bandiere di lanzi, intere e ordinate all'assalto. Mentre galoppiamo
per que' greppi, fu a un tratto come la terra mi si sfondasse sotto,
e 'l cavallo ed io sottosopra, giù pel pendìo tra i cespugli e le
macchie finchè ci fermammo in un cavo, io sotto, lui addosso, immobile,
e la gamba ritta che avevo presa la sentii a un tratto tutta molle e
calda, era il sangue del cavallo che, trapassato da una palla, credo
morisse per aria. E non mi potevo nè movere, nè ajutare, e sentivo
mancarmi l'anelito, nè potevo capir perchè, avendo solo una gamba presa
sotto; riflettendovi dopo, credo che nel momento appunto ch'io caddi
mi dovette passar dappresso al viso due dita, una palla di cannone, e
sapete che ciò basta a levar il respiro per un pezzo.
Io puntavo le mani qua e là, e mi sforzavo di riaver la mia gamba, ma
tutto era inutile, e mi toccò aver pazienza. Intanto il mio compagno
era giunto al Commissario, e Fanfulla venne comandato per guidar que'
50 cavalli ove aveva detto l'Arsoli. Li vidi venire, e formarsi in
battaglia in un largo che mi stava sopra a pochi passi, di dove ero
caduto, loro non vedevan me, chè ero ficcato fra i cespugli, e gridare
non potevo; io li osservavo, ed ho potuto allora conoscere che conto
fa qui il nostro Fanfulla dell'archibusate. Figuratevi ch'egli era col
cavallo dinanzi la fila de' suoi uomini, e sentivo che, vedendo certi
soldati giovani far gobbe le spalle al fischiar delle palle, diceva
«Animo ragazzi, non è nulla, quelle che fischiano son già passate»
e inforcato, ritto fra gli arcioni, pareva fosse sulla piazza d'un
alloggiamento a far scuola a' soldati, e non in battaglia, e veniva
loro dando molti insegnamenti, ed in quella il suo cavallo toccò
un'archibusata di striscio in una spalla e si piegò tutto da un lato,
ed egli serio serio, senza scomporsi, diceva facendolo muover di passo
«Quand'un s'accorge che il cavallo è ferito, è regola di non lo lasciar
fermo; sente più il dolore, se un nervo è offeso si può irrigidire: si
fa muovere pianamente, così, e venirlo toccando un po' di sprone.»
A queste parole Fanfulla disse sorridendo:
--Che volete? vedevo certi giovani di prima barba, che quel _psst_
delle palle vicin all'orecchie pareva li disturbasse, e volevo che
capissero che non è da farne caso.... n'ho sentite tante io, eppur son
qui ancora.--
Niccolò e gli altri sorrisero così un poco, e Lamberto proseguiva:
--Insomma, non ci fu mai verso di riaver la mia gamba, che oramai mi
doleva forte e la sentivo tutta intormentita, e dubitavo fosse rotta:
e quando mi pareva mi tornasse in petto tanto fiato da poter chiamare
in mio ajuto, ecco venir di verso Gavinana un balestriere correndo, e
richiamando addietro Fanfulla e la sua gente in ajuto del Commissario,
chè que' lanzi veduti da noi poco prima, invece di prender di sotto,
avean imboccata la porta Peciana, e rinnovata nella terra la battaglia
colle genti del Ferruccio, stanche dal lungo combattere con quelle del
Maramaldo, che aveano sconfitte. Io vidi partir Fanfulla e dovetti
rimaner così senza poter far altro, e poco dopo sentii nel castello
levarsi un tremendo grido, con tanto spesseggiar d'archibusate che
pareva un tuono continuo e che la terra s'aprisse, ed io mi disperavo
di non poter ajutar in nulla.
Poi, dopo un'ora, a poco a poco si fecero meno spessi i tiri, e sempre
più diradandosi finiron poi affatto, e solo sentivo nel castello un
ronzìo cupo come in un nido di calabroni: a sera poi capitò Fanfulla,
che m'ajutò; egli vi potrà dire come andassero le cose dentro la terra,
chè vide tutto.
--Così non avessi veduto! disse Fanfulla. Quando venni richiamato
addietro.... Eh! badate ch'io non so discorrere come Lamberto, e ve
la narro come posso.... Quando dunque giungemmo alla porta Papiniana,
feci scavalcar ognuno.... per quelle vie torte e strette, meglio su
due gambe che su quattro, dico io.... Dunque a piedi, colle picche
innanzi, e ben serrati, eccoci in piazza. Che volevate vedere? I
morti a mucchi, il sangue a rigagnoli per tutto, come l'acque ne'
temporali: e dalla via che mette a porta Peciana era già sboccata la
prima bandiera de' lanzi, e tutta la strada, che sale un poco, si vedea
piena zeppa di picche, e venivan avanti da maladetti. Il Commissario,
tutto già ferito e pesto, che fa? la gente sua era in gran parte morta
o ferita. Arrendersi? sì, le zucche fresche!... si chiama attorno
tutti i capitani e caporali, ne fa una fila, e tutti insieme a capo
sotto, dentro in quella battaglia di lanzi! E lui vi s'era buttato
il primo, vedete! E al capitan Goro, che volle passargli innanzi per
riparargli la persona, afferrò un braccio ruggendo com'una fiera, e lo
tirò addietro. Eh! è un pezzo che vedo picchiare, e ho visto picchiare
davvero più d'una volta, ma un cozzo come quello che diede il nostro
squadrone (chè c'eravamo uniti anche noi agli altri) nella fila dei
lanzi, in quarant'anni, per la Madonna, è stato il primo!
E sotto! tutti co' denti serrati, che quasi non si vedea lume, si
lavorava co' pugnali e co' coltelli, e talvolta ad afferrarsi e
lottare, e andar sottosopra, e rialzarsi, e più se n'ammazzava, e più
ne ricompariva, e tanto pensavo uscirne vivo, come esser fatto papa....
Presto eran per mancarci proprio le forze di reggerci in piedi non che
di combattere.... era un caldo! e l'armatura parea foco espresso....
Allora l'Orsino, che sempre era accanto al Ferruccio, e lo vedeva
ansante, pieno di sudore, di polvere, e gocciolava sangue per tutto,
sento che gli dice «Non ci vogliamo arrendere sig. Commissario?»
--No! grida lui con un urlo strozzato, e parve che gli tornassero le
forze a un tratto, e si caccia, più diavolo che mai, nel folto dei
lanzi, che cominciano a tentennare. Figuratevi noi allora! Ci scagliamo
come mastini, e mena, e spingi, e avanti, ributtandoci, a viva forza,
scavalcando cadaveri, e tutti imbrodolati di sangue, riuscimmo a un
tratto fuor di porta, e vistomi all'aperto m'accorsi che avevam rotti i
lanzi, chè a dirvela, per quella via stretta non ci vedevo più, e non
sapevo dov'ero, e mi sentivo la testa intronata, chè n'avevo toccata
una sul capo, e 'l sangue mi velava la vista. Basta, fuori che fummo si
fece un po' di largo, mi nettai un po' gli occhi, ed i nemici aprendosi
alquanto, vidi il Commissario cacciarsi in una casetta vicino alla
cappella delle vergini, e io dietrogli, e dico: «Finchè ne vuoi tu ne
voglio anch'io.»
E costì da capo ricominciamo a sonare,.... ma eram rimasti una decina
e non più, e ora ne cadeva uno or un altro, ma senza rinculare un
passo, e si combatteva sull'uscio, alla fine, eran più di cento che
spingevano, e di peso ci portaron dentro, e ci montaron addosso, che
ognun di noi n'avea quattro alla vita; allora il Ferruccio, che pel
sangue perduto e la stanchezza era venuto a terra e non potea più
muover gambe nè braccia, e non parea vivo che dal fulminar degli occhi
e dal ruggito che gli usciva tratto tratto di gola, povero signore!....
fu preso da uno spagnuolo, e io da un altro, e così finì; eramo quattro
vivi.
Quello spagnuolo che ebbe il Ferruccio voleva nasconderlo, ma venne un
ordine di Maramaldo che gli fosse condotto. Lo misero a sedere su due
picche in croce, e lo portarono in piazza.
Maramaldo, vinto ch'egli ebbe, s'era riparato in quella casa
sull'angolo della chiesa: uscì sul ballatojo innanzi l'uscio, al quale
s'ascende per due gradinate, mentre appunto le salivano i soldati
che portavano il Commissario,... glielo buttarono ai piedi, rimase
stramazzato, reggendosi però su un braccio, colla fronte alta e più
feroce che mai.--
Qui Fanfulla tacque per un momento. Poi, fatto grave e addolorato
nell'aspetto (cosa tanto fuori della natura sua) disse, scrollando il
capo:
--Darei quel poco sangue che m'avanza per non aver veduto ciò che sto
per narrarvi!....--
E dopo un'altra pausa, riprese.--Maramaldo gli si accosta e gli dice:
«Ci sei una volta! mercante poltrone!» Ma Ferruccio non gli lascia
finire la parola e lo mente per la gola, com'egli fosse sano ed armato,
e non ridotto com'era, e mentre si dicean villania, vedo Maramaldo
colla destra venirsi frugando dietro le reni finchè trova il manico del
pugnale, lo sguaina, e l'alza a un tratto sul viso al Ferruccio, io lo
guardavo proprio negli occhi.... non li mosse, vedete! non li volse,
com'ho da render l'anima a Dio! ed ebbe due volte la lama nella gola, e
disse, morendo e borbogliando pel sangue che gli usciva di bocca: «Vil
poltrone, tu ammazzi un uomo morto!»
Io perdio avea le mani legate da que' marrani, chè coll'ugne e co'
denti l'avrei vendicato. E codesti si chiaman capitani di soldati? capi
d'assassini piuttosto! vergogna di quanti fanno il mestiere!
Io fui condotto in una casa poco discosto, e da quello che m'avea preso
venni raffigurato, ed io riconobbi lui, chè fummo insieme nell'esercito
di Borbone, era un certo Valesco..... e mi dice: «Oh, chi pensava mai
che fossi qui!» e cominciamo a discorrere, e per dirla in breve, m'usò
di molta cortesia, chè gli dissi: «Vedi, che taglia vuoi tu che ti
paghi? a scorticarmi tutto non ne caveresti un ducato.»
Insomma, e per l'antica amicizia, e perchè a dirla, tutti i soldati che
da vent'anni sono in sulle guerre d'Italia li conosco uno a uno, e non
per merito mio, ma tutti mi voglion bene, mi lasciò andare: bensì gli
ho promesso, che se potrò metter insieme un po' di denari qualche cosa
gli darò. Ho paura però che aspetti un pezzo.
Allora pensai a Lamberto: Dio sa com'è capitato!.... era già fatto
sera, e i soldati nella terra attendevano a far buona cera, bere e
giocare, e metter a sacco le case, insomma, quel che si suol far
sempre. Io me n'uscii zitto zitto e misi in animo di trovar Lamberto
vivo o morto.... e pensavo a voi M. Laudomia.... come vorresti tornarle
dinanzi senz'esso! dicevo. Comincio a cercare per que' greppi (era uno
stellato chiaro) pieni di morti e moribondi, e chi si lagnava, chi
bestemmiava Dio e i Santi, chi vedendomi passare si raccomandava....
ma che potevo in fare? Dicevo «raccomandati a Dio, fratello» e passavo
avanti, chè a voler dar retta a tutti non bastava un mese. Insomma,
dopo un par d'ore, chè credetti più volte, tanto mi doleva la ferita
del capo, e mi sentivo rotto e stracco, di cascar anch'io, per non
rizzarmi più; alla fine, dico, te lo trovo in quel fondo, e, la Dio
grazia, vivo «Ajutiamoci Lamberto, chè la festa è bell'e terminata» e
gli racconto tutto. Ora, come riuscimmo tra tutt'e due a movere quel
cavallo morto, e poi a trovar modo di condurci fin qui, poco importa il
narrarlo; il fatto sta che ci siamo, e che se credevo riveder Firenze,
possa rompere il collo.--


CAPITOLO XXVIII.

La notte che tenne dietro a questa torbida giornata fu pe' Fiorentini
piena d'inquietudine, di sospetti e d'apparecchi, nell'aspettazione de'
gravi casi che essi prevedevano per l'indomani. In quell'ore stesse
ove, particolarmente ne' gran caldi, suole il sonno vincere ogni cura
e la memoria di ogni travaglio, Firenze rimase desta. A girar per le
strade non s'incontrava persona, ma il chiarore che traspariva qua e
là dalle finestre, i rumori, le voci che s'udivano nell'interno delle
case, assai mostravano che quel disgraziato popolo sentiva appressarsi
l'ultima scena della lunga e sanguinosa tragedia, e nelle sue viscere
ribollivan più fervidi gli umori e le passioni di parte, le speranze, i
desiderj, vicini ormai ad essere irremissibilmente appagati o delusi.
Il popolo minuto, la maggior parte cioè de' cittadini, che in cotali
casi suole operar sempre con prontezza e lealtà, senza secondi fini e
senza raggiri, e per questo appunto viene spesso a pagar lo scotto a
pro degl'ipocriti o degli astuti, si preparava in quell'ore notturne
a venir francamente l'indomani all'ultima prova dell'armi, sperando
vittoria, e rassegnandosi a comprarla colla vita di molti.
Bello ed augusto spettacolo sarebbe stato a poter penetrare il
segreto delle povere case popolane, veder gli apparecchi di quel
gran sacrificio. Veder quegli uomini disporsi tranquilli a morir per
la patria, ed a quali patti? con quali speranze? di mutar sorte, e
divenir ricchi vincendo? No: il loro stato, ben lo sapevano, non potea
cambiarsi, la povertà e la fatica eran la parte che loro sarebbe
toccata dopo, come prima. Ma non facean questi calcoli, neppur li
pensavano; essi amavan la patria, come s'ama una madre, l'amavan
d'amore, era stato per loro il primo pensiero dell'infanzia, dovea
esser l'ultimo della vecchiaja, essi davan la vita per lei con quel
cuore stesso con che un'amante la spende per l'amata, senza cercare
altro premio che la gioja stessa di morire per salvarla.
Quali e quanto fervide saranno state in quella notte le preghiere
delle madri e delle spose! Quante lagrime sparse in segreto! Quanti
voti, quante promesse a Dio d'anime innocenti e cadute d'ogni speranza
che non fosse in Lui! La fantasia si smarrisce immaginando l'infinita
varietà di casi che dovea offrire l'interno di tante famiglie, pensando
i severi conforti de' vecchi, l'animoso e confidente sperare de'
giovani, l'onorato ed irremovibil proposito di tutti; ma il cuore si
stringe considerando poi che in quell'ore istesse v'eran in Firenze
cittadini che vegliavan disegnando come potessero scampar soli dal
comune naufragio, redimere la loro vita a prezzo di tradimenti, le loro
ricchezze a prezzo del sangue o della libertà de' loro fratelli.
V'eran pur troppo costoro, ed eran la setta dei grandi, quella di che
facea capitale Malatesta, e che Troilo ed il Nobili avean avuto, come
vedemmo, l'incarico di sollevare.
Essi ebbero a durarvi poca fatica, chè oramai le cose eran mature, ed
il privato interesse poteva più d'ogn'altro rispetto in uomini che, sul
primo, s'eran però mostrati pronti ed accesi pel comun bene. Ma essi
eran ricchi; avean che perdere, e Niccolò dubitando di loro, non avea
preso errore.
Troilo ed il Nobili, lasciato Malatesta, venner dunque raggirandosi,
e trovando uno ad uno quei grandi; e, come portava l'occasione, con
parole e promesse più aperte riuscirono a staccarli affatto dalla causa
del popolo e risolversi a quegli estremi partiti, che presero poi di
fatti, e furon cagione dell'ultima rovina della città.
Passata così quella notte, l'alba desiderata, o temuta, ma sicuramente
spiata da tanti, appariva finalmente chiara e limpida dietro i poggi
dell'Incontro e di Vallombrosa. Quando i suoi raggi cominciarono a
penetrar nelle case, e ad esser visibili malgrado la luce rossiccia de'
lumi, si fece in ogni famiglia quasi un'ultima dipartenza, successero
gli abbracci, i pianti, i caldi e rapidi colloquj delle mogli, le
benedizioni de' vecchj e de' padri, ed a poco a poco si sparse un rombo
per la città, un rumor cupo, di voci, di passi, di porte che s'aprivano
e serravano a furia, ed uscendo i cittadini armati dalle case, per
raccogliersi ai loro gonfaloni, ricambiavan l'ultimo addio, l'ultime
occhiate co' loro congiunti, colle donne, co' bambini che lasciavan
lacrimosi sugli usci.
A levata di sole la piazza era già, non meno del giorno innanzi,
calcata di popolo, ed i Signori radunati in consiglio, quando si vide
di verso Vacchereccia giungere una compagnia d'uomini a cavallo, alla
cui testa veniva Cencio Guercio e si drizzava al Palagio. Giunto al
portone fra l'ondeggiare ed un non troppo amico mormorare della folla,
scavalcò; e salito nella sala ov'era radunata la pratica, espose con
arroganti parole il messo pel quale era stato mandato da Malatesta.
Il traditore neppur in quella notte non avea perduto tempo, e
conoscendo l'universale repugnante più che mai agli accordi, ed acceso
invece a tentar ancora il combattere, avea mandato in campo a Don
Ferrante Cencio sopraddetto, con un altro, i quali ne eran ritornati
con una bozza di capitoli pei quali, in sostanza, venissero bensì
rimessi i Medici, ma rimanesse però libera la città.
Con questa bozza venne dunque Cencio ai Signori, dicendo: «come
Malatesta li confortava accettarla, e gli ammoniva, dacchè eran pure
spacciate le cose loro, non volessero l'intero esterminio di Firenze,
moltiplicando poi parole di tanta alterigia, che il gonfaloniere fu
per fargli metter le mani addosso.» Tardi avvedutasi la Signoria
dell'error suo nel commettersi alla fede di quel ribaldo, che ora
tanto sfacciatamente scopriva il suo tradimento, udendo anche il
rumore che s'era levato in piazza, e le grida del popolo che chiedeva
battaglia, diede con altrettali e più superbe parole commiato a
Cencio, imponendogli, dicesse a Malatesta (trascriviamo il Varchi)
«Che la Pratica per ispraticare oggimai questa tante volte proposta, e
determinata consulta, aveva di nuovo per ultima risoluzione deliberato,
che onninamente si combattesse; il perchè essi come Signori gli
comandavano, e come cittadini lo pregavano per l'onor suo e per la
salvezza loro che desse ordine a cavar fuori i suoi soldati, perchè
eglino dalla parte loro erano preparati, ed aveano preste e in punto
tutte le cose da lui chieste e dimandate, e qualcuna di più.»
Malatesta intanto, tutto pieno d'ansia e di sospetti, moltiplicando
intorno a se le guardie dei suoi perugini e de' soldati côrsi che
gli eran devoti, aspettava la risposta di Palagio, ora bravando,
ora promettendo a' suoi, e raccomandandosi gli tenessero il fermo.
Quando Cencio gli ebbe riferito le parole de' Signori, conosciuto non
rimanergli altro scampo, si risolse, com'avea disegnato, domandar
licenza, e dimettersi dal grado di capitan generale prima che ubbidire
a quel comando, chè potea fargli perder il frutto di tante frodi: non
ch'egli credesse la sua licenza venisse accettata, sperava al contrario
vincer così la costanza de' Fiorentini, e costringerli, trovandosi
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