Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 17

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Essa avea la figura d'un triangolo, contornata di casucce di contadini
da due lati, il terzo era occupato dalla facciata della chiesuola, la
sola che fosse in paese: nel mezzo un pozzo sotto una tettoja, e da
un lato eran rizzate una trave con una carrucola per dare i tratti
di fune, e le forche, dalle quali era ben raro il giorno che non si
vedesse spenzolare qualche disgraziato, qualche contadino colto sul
fatto di portar vettovaglie a Firenze, qualche spia, e talvolta soldati
rei di lesa disciplina, che a voler reggere un esercito in quel secolo
bisognava spesso lavorar di corda, nè l'_etichetta_ militare aveva
ancora stabilito che morir appeso offenda l'onore, e morir fucilato lo
lasci illeso. Ma bisogna compatire i poveri cinquecentisti, essi avean
forse l'idea che la vergogna stia nel delitto e non nella pena.
Quella piazzetta per la quale al dì d'oggi si passeggia ad ogn'ora
liberamente, incontrando soltanto o contadini tranquilli, e che vi
rispondono cortesemente in quella loro armonica e corretta lingua, o
brigate di cittadini villeggianti ne' contorni; quelle casucce che
presentano oggi giorno l'immagine della povertà quieta e contenta;
quegli usci ingombri di bambini di tutte le misure, di donne che
attendono all'utile e pulito lavorìo dei cappelli di paglia; tutto,
al punto che vi giunse Fanfulla, era pieno di genti strane, di
disordine, di schiamazzi. Il suolo fangoso, immondo, pesto pel gran
passare d'uomini e cavalli: le case piene di soldati, le mura sudice ed
affumicate, la chiesuola ridotta una taverna, e la piazza ingombra di
frascati sotto i quali eran vivandieri con pane, grasce, barili di vino
ec., ed avean rizzata quivi la loro bottega con assai buon giudizio,
sapendo che la vista della corda e delle forche, era un ottimo trattato
di mnemonica per quegli avventori che potessero scordarsi di pagare.
Mentre Fanfulla s'aggirava considerando a chi gli convenisse dirigersi
per domandar di Troilo, udì levarsi un bisbiglio tra la gente,
s'accorse d'un agitarsi di persone nel lato ov'eran le forche, e vide
poi che appoggiatavi una scala saliva un uomo ad acconciare il laccio,
e preparar l'occorrente per far giustizia. Accostatosi per curiosità,
vide poco lontano dal patibolo a piè d'un muro la persona che pareva
destinata al supplizio. Era una donna, colle mani legate dietro le
reni, e, posta ginocchioni a piedi d'un cappuccino, si confessava.
Fanfulla si maravigliava che avessero ad impiccare una femmina, ma gli
crebbe la maraviglia vedendo che di sotto i panni le spuntava fuori il
fodero d'una spada.
Nel momento che stava per domandare qual fosse il delitto di costei,
vide venire un caporale, che facendosi far luogo tra gente e gente,
s'appressò ad uno de' soldati che guardavano la paziente, e gli domandò
per qual cagione s'impiccasse codesta donna.
--Dite pure codesto giovane, rispose il soldato ridendo. È stato un
caso bizzarro.... io non c'ero... ma qui il Fruga ci s'è trovato....
egli, ch'è fiorentino, dice che lo conosce questo garzoncello.... e la
casata sua.... egli è figlio d'un piagnone, d'un setajolo...--
--Ma che ha egli fatto insomma....--riprese il caporale con impazienza.
--E' dicono che ha voluto ammazzare un tal messer.... che so io?
Troi.... Trojano.... il nome non importa.... ch'è lancia spezzata qui
del signor principe. Questo gentiluomo debbe aver fatto forza ad una
sorella del giovine, ed egli per farne vendetta se n'è venuto in campo
sull'imbrunire vestito da donna, e appostatosi in un luogo fuor di
mano, ha mandato un fanciullo a questo gentiluomo dicendogli, che una
giovine voleva dirgli due parole.... capite il mariuolo! perchè non
entrasse in sospetto e venisse solo. L'altro è venuto, ma dietro, un
po' lontano, aveva quattro soldati.... appena trovata quella ch'egli
credeva donna si sente gridar da essa «difenditi, traditore!» e mette
fuori tanto di stocco; il gentiluomo caccia mano alla spada e ribatte
appena due o tre colpi, che que' suoi bravi correndo saltan alle spalle
e sulle braccia del giovine! L'hanno legato, e qui or ora mastro
impicca gli serrerà il gorgerino.--
Il caporale scuotendo il capo ed alzando le spalle, come volendo dire:
«Tutto qui questo gran caso!» se n'andò pe' fatti suoi.
Fanfulla rimase pensoso, chè gli pareva (quantunque non avesse potuto
raccapezzare i nomi) questo negozio avesse che far colla Lisa, ed
intanto appiè del patibolo v'era proprio il povero Bindo che si
preparava da buon cristiano all'ultimo viaggio.


CAPITOLO XVII.

Al cominciare di quest'istessa sera, mentre la Lisa con tanto disagio
e pericolo usciva di Firenze per cercare di Troilo, egli se ne stava
contento e senza pensieri nella villa Guicciardini a cena col principe
d'Orange e con un monte di capitani e di gentiluomini, che vi passavano
il tempo lietamente quando i doveri militari non li chiamavano altrove:
vi trovavan ricca mensa, carte e dadi, e quanti trattenimenti eran
comportabili co' luoghi e col tempo che correva. Quantunque per la
grettezza di papa Clemente fosse in quell'esercito gran penuria di
danaro, e che i soldati pel difetto delle paghe vivessero nello stento
sempre, e spesso s'ammutinassero, i capitani avevan però bastante
giudizio per regolar le cose in modo da non patir mai, essi almeno,
nè fame, nè sete, ed anzi aver sempre preparata una buona tavola. Su
questo punto della tattica militare, sembra che tutti i gran capitani
siano andati sempre d'accordo, prima e dopo l'invenzione della
polvere, ed il principe d'Orange, che nella sua fresca età di 27 anni
era uno de' più arditi ed esperti di cui faccia menzione la storia,
neppur in questa parte non rimaneva addietro dagli altri.
La villa de' Guicciardini, in buon essere ancora ai nostri giorni, è
posta sulla strada che dal pian' de' Giullari conduce a S. Margherita
a Montici. Essa consiste in due fabbriche a due piani, quadrate e
piuttosto nane: due muri merlati le congiungono, e lasciano in mezzo un
vano che serve di cortile. Nel muro verso strada è il portone coll'arco
e gli stipiti a bugnato. Le finestre del terreno, disposte con bella
proporzione ed a piacevoli distanze secondo lo stile Bramantesco, son
munite di grosse ferriate, che dal cornicione sovrapposto scendono ad
appoggiarsi su un largo davanzale petto da due mensole. Nella fabbrica
posta a manca di chi entra pel portone di strada, era alloggiato il
principe insieme co' suoi gentiluomini e paggi, in quella a mano ritta
erano i servi colle bagaglie ed i cavalli.
Nel cortile, illuminato dalla luce rossiccia di fiaccole resinose,
molti vasi d'agrumi ricoverati ivi da giardinieri della villa per
salvarli dall'accetta dei soldati, servivano di rastrello alle alabarde
de' lanzi che tenevan la porta. Fuori di questa, lungo i muri, molti
cavalli colle briglie e le selle, guardati da' valletti, aspettavano
i loro padroni. Questi, dandosi allora buon tempo tra i dadi e le
bottiglie, vicini ad un buon fuoco, in sale ben riparate, tutte
scintillanti di lumi, avean del disagio, del freddo, della noja che
soffrivan per loro uomini e bestie, appunto l'istesso pensiero che
prende un lord inglese d'una carrozza a nolo che l'aspetti alla porta
d'un ballo in un ambiente di 15 gradi sotto lo zero.
Finita la cena, sparecchiata la tavola, vennero le carte ed i dadi.
Il principe vestito d'una cappa di velluto cremisi foderata di vajo,
sotto la quale non avea altro che farsetto e calzoni di pelle di dante,
per poter presto ad ogni bisogno indossare l'armatura, giuocava al
_Lansquenet_ con D. Ferrante Gonzaga, il Co. di S. Secondo, Pier Luigi
Farnese ed una decina di ufficiali spagnuoli e tedeschi. Egli si teneva
davanti un mucchio di fiorini d'oro; ne poneva una manciata ad ogni
posta, e comunque la fortuna decidesse, il suo volto rimaneva sempre
ugualmente altero ed impassibile; chè gli statuti cavaliereschi, e le
massime in vigore tra la nobiltà, volevano si giocasse largamente, si
perdesse con indifferenza e si pagasse senza ritardo.
Per osservar queste leggi, un giorno tra gli altri, al dir del Varchi,
egli dovè dare a' suoi compagni di giuoco il danaro che papa Clemente
gli avea mandato per le paghe dell'esercito. I soldati morivan di fame,
ma il debito d'onore era soddisfatto. Tra i due mali si scelga sempre
il minore.
Per la sala alcuni, o seduti su larghi seggioloni a bracciuoli, o
passeggiando innanzi e indietro, conversavano, ridevano, parlavan di
caccia, d'amore, di fatti d'arme, di quistioni, di duelli, in una
camera vicina, molti de' più giovani attendevano a schermire, ed in
quel momento, fatto un cerchiello, badavano ad un assalto di spada
e pugnale, nel quale Troilo ed Alessandro Vitelli mostravano egual
destrezza, quantunque il primo fosse dai più giudicato averne la meglio.
Per le sedie e per le tavole stavan buttati alla rinfusa i cappelli,
gli elmi, i guanti, le spade ed i pastrani de' convitati; dal muro
dipinto a fresco, e scompartito in molte storie chiuse in cornici di
stucco a bassorilievo, pendevano armi, pennoni, bandiere ed arnesi da
guerra d'ogni maniera: ed i chiodi che le reggevano, piantati senza
riguardo nelle pitture, le avean tutte scrostate e guaste.
Nell'un de' lati s'apriva un largo ed alto cammino la di cui cappa
sporgeva molto innanzi, e posava su due figure di cacciatori ritte
contro gli stipiti, le quali tenevansi alla bocca una cornetta; il
cornicione che reggevano col capo e con un braccio era pieno di
bellissimi fogliami, d'animali e mascherine; ed al di sopra due ninfe
giacenti tenevan ritto tra loro uno scudo sul quale eran le tre
cornette de' Guicciardini.
Un uomo di mezzana statura, che mostrava nella persona una vecchiaia
anticipata, sedeva su un seggiolone al fuoco: solo, tutto assorto
ne' suoi pensieri, pareva non s'accorgesse, o non si curasse, delle
risa, del chiasso che si faceva intorno a lui. Vestiva il lucco ed il
cappuccio fiorentino, e col gomito appoggiato ad uno de' bracciuoli
reggendosi la gota col pugno chiuso, guardava fisso il serpeggiar
della fiamma, ed a seconda dei pensieri che lo travagliavano, ora
aggrottava le ciglia, ora così un poco scrollava il capo, e talvolta
a fior di labbra sorrideva, ma il suo ridere esprimeva tutt'altro
che allegrezza. Era costui messer Baccio Valori commissario pel papa
all'esercito imperiale. Uomo di acuto ingegno, pratico delle cose
di stato, avido di potere e tenuto astutissimo. Egli dovette però
accorgersi, dopo alcuni anni, che la più sottile astuzia sta nell'esser
uomo dabbene, poichè non riuscì alla fine a salvar il suo collo dalla
scure di Cosimo I.
Dalla riuscita dell'impresa di Firenze dipendeva l'adempimento delle
sue ambiziose speranze, o la sua totale rovina. Se la città veniva
espugnata e sottoposta al giogo mediceo, egli saliva ai primi gradi,
otteneva onori e ricchezze, egli allora era il buono, il prudente,
l'amico dell'ordine e delle leggi. Se in vece il popolo vinceva
e conservava la sua libertà, egli rimaneva col bando di ribelle,
spogliato dell'avere, e nella dispregiata condizione del traditore
deluso.
Ma per riuscire le difficoltà eran molte e gravissime. Egli doveva
tenere il campo abbondante di munizioni e vettovaglie, mentre al papa
per un lato incresceva lo spendere, ed il principe per l'altro non era
buon massajo, come vedemmo, neppur di quei pochi danari che tratto
tratto venivan pagati dalla camera apostolica. Nell'animo di Clemente
VII si era inoltre generato il sospetto che il principe d'Orange allo
stringer de' conti, intendesse far per sè l'acquisto di Firenze, ed il
Valori aveva l'incarico di tenerlo d'occhio per isventare al bisogno le
sue macchinazioni[38]. E finalmente, la parte de' Piagnoni, che s'era
sperato sbigottire col solo accostar l'esercito alle mura, si vedeva
ora invece tanto cresciuta d'animo, e tanto pronta alla difesa, che si
poteva ragionevolmente dubitare del fine di questa guerra.
Stimando cosa importantissima aver in Firenze chi lo tenesse avvisato
giorno per giorno delle risoluzioni dalla parte nemica, s'era ingegnato
mantenere corrispondenza secreta con molti Palleschi: ma da costoro,
sospetti al reggimento, era o tardi o male informato, e giovavano poco
o nulla. Avrebbe potuto fare gran fondamento sopra Troilo, il quale, se
una volta gli veniva fatto d'entrare in casa Niccolò, ed affiatarsi con
esso, si sarebbe trovato per dir così nel cuore della parte Piagnona,
ed a portata di conoscerne i pensieri e le risoluzioni più secrete.
Ma poco sperava da questo giovine. Quantunque avesse promesso a
Malatesta di porsi a tale impresa, come vedemmo al capitolo VI,
quantunque neppure al Valori istesso non avesse disdetta la sua parola,
si mostrava però tutt'altro che smanioso di osservarla: ora trovava un
pretesto, ora un altro, moveva mille dubbj, e non si sapeva risolvere
a barattare la vita del campo un po' dura talvolta, ma pur libera,
piena di licenza e condita dai piaceri di cui godeva nella casa del
principe, col viver uggiuso e malinconico d'una città assediata, piena
di prediche, processioni e discipline, ove appunto gli sarebbe toccato
abitare nella casa più austera, e sotto l'uomo più temuto e più rigido
della parte Piagnona.
Se dunque Baccio Valori, con tanti pensieri pel capo, col contrastar
continuo a tanti diversi umori, vivea malissimo contento, e se ne stava
solo e malinconico, senza partecipare all'allegrezza ed ai solazzi che
l'attorniavano, non è da farne maraviglia, invece è da ringraziare
Iddio, che in questo mondo si duri più fatica talvolta a far il birbone
che ad esser galantuomo.
In quella, posto fine al giocar di spada, una frotta di que' giovani
entrarono nella sala, e facendo tra loro non so che baje, se ne vennero
a furia e schiamazzando verso il cammino, e trascorrendo all'impazzata,
urtarono malamente il seggiolone sul quale sedea Baccio. Egli si volse
stizzito e brontolando, mentre Troilo accostandoglisi, diceva ridendo:
--Non v'adirate messer Baccio, e cacciate codesti pensieri, chè il viso
ogni giorno vi s'allunga d'un braccio.... non sapete voi che cent'anni
di malinconia non pagano un quattrin di debito?--
--Tu sei un gran pazzo, e se attendessi ad altro che a queste bajate,
e' sarebbe pure il tuo meglio. Ora siedi qui un momento, chè dovresti
però esser stracco al diavoleto che avete fatto finora.--
--Stracco? Mai, messer Baccio, e se volete che tiriamo quattro
stoccate, voi ve n'avvedrete.--
--Non m'affastidir il cervello col malanno che Dio ti dia,.... ch'io
non ho il capo a motteggi.--
Poi con miglior viso ed in suono quasi di preghiera seguitava:
--E a Firenze insomma, quando pensi d'andarvi? Tu promettesti pure al
sig. Malatesta ed a me!.... Sia pure quanto ci bisognerebbe averci un
uomo da potersene fidare!....--
--Aspettate messer Baccio, rispose il giovine strascinando un altro
seggiolone vicino al suo, e sdrajatovisi colle gambe tese e le braccia
aperte, ho già capito, che avete sullo stomaco un sermone e volete
liberarvene.... Eccomi qua, son pronto a riceverlo, vi sentirete meglio
dopo.... dite pur su, ora che ho assaggiato questo seggiolone vi so
dire ch'io non mi moverò di quel pezzo.
--Tu scherzi, Troilo, e s'io parlo è per il tuo bene.--E postagli una
mano sulla spalla guardandolo fisso, seguitava, abbassando la voce:
--Ah, pazzo che sei! Ma non sai tu che un'occasione come questa di
guadagnarsi la grazia di papa Clemente e de' signori Medici, molti la
comprerebbero ad ogni prezzo: ed avrebbero a gran ventura che capitasse
loro alle mani, e tu....--
--Ed io.... ed io non la rifiuto, rispose Troilo, dimenandosi sul
seggiolone con mostra d'impazienza, siete curioso anche voi... È presto
detto andar a Firenze, da Niccolò.... eccomi qua, son diventato
Piagnone! Sì.... e lui senz'altro mi crederà.... mi metterà in casa....
saprò tutto.... troverò subito modo di farvi sapere i suoi secreti....
eh! messer Baccio, voi viaggiate per le poste....--
--Che vi sia qualche difficoltà non lo nego: ma gli affari del mondo
non si fanno da sè.... e convien durar fatica e farli noi. E se tu
non te ne dai maggior pensiero di quello che n'abbi preso sin ora, al
sicuro rimarremo sempre aspettando la manna ci caschi dal cielo.... se
non vi fossero difficoltà e pericoli neppur ti sarebbero stati promessi
i ricchi premj....--
--Oh! quanto a questo, interruppe Troilo, io li avrò molto ben
guadagnati. Pensa che diletto!.... abitare con Niccolò!.... sarà
tutt'uno come stare di casa alla buca di S. Antonio. A proposito, e'
converrà che mi rimetta in esercizio di dir orazioni.... bisognerebbe
aver alla mano qualche passo, qualche profezia del Frate, ora, ora: una
me la ricordo.
--_Florentia renovabitur_ e poi _flagellabitur_... no, tutt'al
rovescio.... Si principia col _bastonabitur_, e qui ci ha azzeccato....
Ah! e poi.... vi par egli uno scherzo? andarmene, Dio sa per quanto
tempo, a far, niente meno, il marito innamorato e fedele. Se il papa è
galantuomo per questa sola merito il cappello!--
--Eh via! tristaccio, che costei, ho udito dire, è pur bella di molto:
ed ora è un pezzo che non la vedi, e ti parrà quasi una novità.--
--Sì, quasi, bene avete detto!--
--E poi confortati, che quando saremo padroni di Firenze, e' sarà
d'uopo di metter giudizio, ti troverò io una fanciulla, di tal casata,
e con tanta dote, che me ne saprai il buon grado. Oh! insomma.....--
--Insomma andrò, andrò. Già è tutt'una... son condannato a udir
sermoni; qui, da voi, in Firenze, da' frati. Se non foss'altro, per
variare, voglio udire i loro, chè i vostri, messer Baccio mio buono, mi
son cominciati a venir a noja assai bene.--
A questo punto molti di que' gentiluomini si ristrinsero intorno
al cammino. Essi sapevano che da qualche tempo il Valori tentava
inutilmente di spinger Troilo a questa nobil impresa, e n'era stato tra
loro spesse volte ragionato, e motteggiato non poco. Ora Troilo, dopo
aver annunciato che finalmente s'era risoluto partirsi, disse:
--Sarà però bene fare un pò di prova del discorso ch'io terrò in
Consiglio grande per celebrare la mia conversione.--
E salito in piedi sul seggiolone, con voce flebile e nasale cominciò
così:
--Un raggio della divina grazia, signori osservandissimi, un
raggio della grazia celeste, prestantissimi magistrati, sceso su
questo indegno capo per intercessione del nostro beato e santo Fra
Jeronimo, venne, popolo eccellentissimo, lanajoli, setajoli, speziali
nobilissimi, beccai, muratori, tintori, conciatori, illustrissimi
ed eccellentissimi, venne finalmente a diradare quelle tenebre per
le quali miseramente camminando, ingannato dagli scellerati esempj e
consigli di quell'empio, ribaldo, pravissimo e detestabile uomo, d'ogni
nefando, turpe ed abbominevole peccato di messer Baccio Valori....--
A queste parole si levò tant'alto lo schiamazzare ed il ridere, che il
sermone venne interrotto, ed i giuocatori affastiditi si volgevan di
mal umore, ma il Principe fece ben presto cessar il fracasso, alzando
il capo e pronunciando con voce forte questo solo monosillabo:
--Paix!--
Il quale fece in un attimo acquetare ogni rumore; tantochè potè udirsi
chiarissima la voce d'un servo che disse d'in sulla porta:
--Messer Troilo! un fanciullo domanda di voi.--
--Fallo entrare,--rispose il giovane senza mutar luogo; e venne tosto
introdotto un ragazzo, il quale disse:
--Una donna, che vorrebbe parlar con voi due parole tosto, vi manda
dicendo, che v'aspetta qui sulla strada di Baroncelli.--
Troilo scese in fretta dal suo pergamo dicendo: --Signori, il sermone a
un'altra volta.... le dame non s'hanno a far aspettare.--Poi con viso
serio aggiungeva:--È però una gran seccaggine che queste benedette
donne abbiano a venir fino in campo a darmi noja.... Eh! ma.... le
compatisco....--
E dato un gran sospiro:
--Ecco quel che accade ad essere un bel giovane... Andiamo, fanciullo,
mettiti avanti ed insegnami la via. I suoi compagni gli davan la baja
e lo complimentavano sulla sua ventura, ed il Valori gli diceva,
seguitandolo verso l'uscio:
--Sta a vedere ch'è la Lisa!--
--Sarebbe cacio sui maccheroni; ora s'io mi appongo, e se
quest'occasione ti si para innanzi, sappi usarla chè buon per te!--
Troilo uscì, ed invece della Lisa trovò Bindo, il quale più volonteroso
che savio, s'era posto in animo di far le vendette della sorella fin
dal giorno della sua cacciata di casa, nè mai fin allora s'era trovato
libero di mandare ad effetto questo suo disegno.
Se Troilo fosse andato solo forse gli sarebbe riuscito, ma egli
nell'avviarsi fe' cenno a quattro soldati di tenergli dietro, e la cosa
finì appunto nel modo narrato alla fine dell'antecedente capitolo.
Quando il giovinetto fu menato prigione e si trattò d'impiccarlo,
Troilo avrebbe potuto di leggieri campargli la vita, dicendo una parola
all'ufficiale che aveva la cura di mantener quieto il campo, e punir i
disordini e le risse. Fu anzi sul punto di risolversi, poi disse fra se:
--Lascialo impiccare! ciò potrà per avventura liberarmi da questa
maladetta andata in Firenze.--
--A quel poltrone di Baccio non verrà più in capo, cred'io, mandarmi in
casa di chi avrà avuto il figlio impiccato per cagion mia.--
Così lasciato la piazza s'avviava lentamente verso la villa
Guicciardini. Ma Baccio, che dubitava potesse da questo fatto nascere
occasione favorevole a' suoi disegni, e che non era uomo a trascurare
le piccole cose, sapendo che dalle piccole nascon talvolta le grandi,
non s'era contentato d'aspettare il suo ritorno, ma uscito poco dopo
ne veniva verso piazza, e s'imbattè in uno di quei soldati che avendo
ajutato a prender Bindo se ne tornava narrando il caso a chi veniva con
lui.
Il Valori domandando con premura che fosse accaduto, e saputa appena
la cosa, e che si stava per impiccare il figlio di Niccolò, si cacciò
a correre quanto poteva, e giunse per fortuna appunto in quella che il
povero fanciullo con un piè sul primo scaglione stava per salire il
secondo.
Parve a tutti cosa grandissima vedere il Commissario del campo
comparire in quel luogo, aprendosi a furia la strada tra le genti colla
voce a colle spinte, onde il carnefice soprastette all'esecuzione, ed
il Valori, fatto sciogliere e liberar dal laccio il giovinetto, che
pure aveva il viso bianco come un panno lavato, gli fece animo con
umane parole, dicendogli non dubitasse di nulla, e presolo per la mano
lo condusse fuori di quella calca.
--Questa sola mancava! diceva Baccio tra' denti, pensando al pericolo
corso di mandar per la morte di Bindo tutto il suo disegno a monte; e
siccome i tristi tra loro si conoscono, sospettò al primo qual fosse
stato il calcolo di Troilo nel permettere questa uccisione. E tirando
pur sempre verso la villa, con Bindo per la mano, diceva in cuor suo:
--Troilo, Troilo! Tu sei volpe giovane! ed io volpe vecchia; se me
l'appicchi mio danno!... ma io mi conforto che l'andrà a mio modo e non
al tuo.--
Giunto in casa consegnò ai suoi servi il giovinetto onde lo
confortassero con cibo e vino, e gli preparassero un letto; ed egli,
rassicuratolo di nuovo con amorevoli carezze, se ne tornò nella sala
ove poco stante comparve anche Troilo.
--Se non ero io, disse Baccio battendogli sulla spalla, a quest'ora
tuo cognato tirava de' calci al vento.... ora ringraziami, ch'io t'ho
campato d'un gran pericolo, che insieme con quel fanciullo sarebbero
morte tutte le tue speranze di guadagnarti la grazia del papa.--
--In verità ch'io v'ho un obbligo grandissimo, rispose Troilo con un
viso marmoreo, (se l'espressione è lecita) sul quale era impossibile
scorger traccia di quel che realmente pensava in quel momento.
Impossibile ai più; ma non a Baccio, che benissimo indovinò i suoi
pensieri, e sotto i baffi si rise di lui.
Fanfulla frattanto, che avea visto prepararsi il supplizio del
giovinetto, e poi capitar ivi con tant'impeto il commissario stesso
a liberarlo, gli tenne dietro, quando uscì dalla folla, e giunse
all'alloggiamento del principe un momento dopo ch'egli v'era entrato.
Un famiglio pregato da Fanfulla andò nella sala ov'era la brigata, e
disse a Troilo:
--Sta qui fuori un uomo.... pare uno zingano, che dice avrebbe a farvi
motto, per parte d'una gentildonna di Firenze.... e non vuoi dir chi
sia....--
--Oh! insomma, rispose Troilo, io credo che stasera e' voglian la baja
del fatto mio! digli che vada al bordello lui ed essa....--
--No, no, aspetta, interruppe il Valori, e preso sotto braccio il
giovane lo strascinò fuori dicendogli: Eh, non andar tanto a furia!
udiamolo prima. Giunti nell'anticamera ov'era Fanfulla, Baccio fece
le viste di andare oltre, e si nascose dietro una portiera d'arazzo
per poter udire ogni cosa. Fanfulla, fatta riverenza a Troilo, gli
disse come una gentildonna, ch'egli dovea molto ben conoscere, s'era
partita da Firenze apposta per venirlo a trovare, e che l'aspettava
poco discosta. Interrogato poi dal giovane chi fosse, che cosa volesse,
Fanfulla, con fare ambiguo e mezzo ridendo, gli diceva:
--Chi sia e che cosa voglia voi lo vedrete.... e non v'avrete a pentire
d'aver preso questo poco disagio di venir dove lei....--
--Oh, parlami chiaro!.... senti, uom dabbene, io ho certi
sospetti....dimmi, è ella la Lisa, figliuola di Niccolò de' Lapi?--
--Voi vi siete apposto, rispose Fanfulla, che credette legger sul viso
di Troilo pensieri favorevoli alle speranze della Lisa; venite dunque,
chè la poverina v'aspetta come un'angelo del cielo. Mentr'egli parlava,
il Valori, che gli rimaneva dietro le spalle, alzata la portiera badava
a far cenno a Troilo che andasse presto, ond'egli disse «moviamoci
dunque» e preceduto da Fanfulla uscì della villa, senza prender seco
altra compagnia, per esser la donna, al dir della sua guida, appiattata
là dentro l'ultima casa dalla terra ed a pochissima distanza.
Sarebbe cosa difficilissima voler determinare quale fosse l'animo di
Troilo in quel momento. I misteri del cuore umano sono tanto profondi,
ed il bene vi si trova misto col male in un modo così inestricabile,
che riesce talvolta assai arduo il giudicare anche i maggiori ribaldi.
Forse al punto di por mano irremissibilmente a quest'opera tenebrosa la
sua coscienza mandava l'ultimo grido. L'idea di riveder quella misera
che avea tanto patito per lui, che tutta si rimetteva nell'amor suo:
d'accoglierla fra le sue braccia, e quel suo stesso confidente amore
farlo servir di rete ove rimanesser colti i suoi più cari, e cadessero
così in mano de' loro implacabili nemici, tutto ciò era talmente vile
ed orrendo, che non era possibile, per quanto fosse ribaldo, vi si
accingesse con animo freddo e tranquillo. Ma la voce del suo buon
angelo non potè farsi dar retta da lui tutto invaso dal desiderio
d'una grandezza futura, che tratto tratto gli s'affacciava vivissimo;
dall'orgoglioso pensiero che gli persuadeva esser male assai leggiero
l'ingannar una fanciulla popolana quando n'andava lo stato e la fortuna
d'un gentiluomo. Quel momento d'incertezza e di rimorso, se pure
n'ebbe, passò come un lampo: fermò l'animo anticipatamente per non
lasciarsi commovere da qualunque cosa potesse udir dalla Lisa, e per
acquetarsi interamente, diceva in cuor suo: «Che gran danno avrò io
poi fatto a costei? aver un fanciullo da un gentiluomo! quasi ciò non
accada ogni giorno! ma io non farò come molti altri, e le darò tanti
danari che bastino a trovarle un marito suo pari.»
Mentre Troilo veniva camminando con questi pensieri, la Lisa, che
aspettava col cuore tremante da una mezz'ora in circa, stimando invece
fosser già trascorse due ore almanco, stava timorosa di qualche nuova
disgrazia. Sul punto di riveder quello che avea cotanto amato, il suo
cuore, cacciando tutt'i sospetti, s'era inebbriato della sola idea di
giunger pur una volta ad essere tra le sue braccia. Ma la poverina
s'affliggeva pensando: «Dio sa come mi troverà! I dispiaceri, lo
stento m'hanno tanto consumata!.... Oh! che cosa pagherei d'esser
bella come era una volta!» E per fare almeno tutto il possibile, si
veniva racconciando alla meglio i capelli, e spogliatasi una vestaccia
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