Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 08

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Laudomia andarono a veder la festa con una loro parente, e trovandosi
in piazza S. Croce, in una gran folla, che è, che non è, la Lisa non si
vide più; nè per quanto la cercassero venne lor fatto di rintracciarla.
Tornò però a casa poco dopo di loro, e se Niccolò e gli altri non ne
fecero gran caso come d'accidente assai ordinario in quelle confusioni,
Laudomia, ancorchè non lo dicesse, l'intendeva altrimenti, e le si
avvolgevano per la mente mille sospetti. Ma essa ne sapeva più degli
altri. Per tutta quella sera la Lisa, ancorchè facesse ogn'opera per
parere come al solito, non potè però nascondere all'occhio indagatore
della sorella un certo sbigottimento, un non so chè di nuovo nella
guardatura ed in tutta la persona.
Laudomia notando questi sintoni d'un amore sempre crescente che la
tenean ravvolta tra mille oscuri e dolorosi sospetti avea giusti motivi
di provarne amarissima afflizione. Vedeva troppo bene che non era da
sperarne virtuoso fine. Il giovane era di parte Pallesca: di quella
parte, che aveva recato al padre ed a tutta la sua casa infiniti mali,
che s'era sempre mostrata nemica delle antiche leggi, e dell'antica
libertà di Firenze. Era pur da supporre che Niccolò volesse aver per
genero uno di quella setta? Aggiungi a tutto ciò, che la giovane
domandando destramente e senza far parer di nulla ai fratelli o agli
amici di casa qual fosse costui, aveva udito sul fatto suo cose che
molto le dispiacevano. Ch'egli era un Messer Troilo degli Ardinghelli,
cagnotto de' Medici, uomo cortigiano e di rotta vita.
A questi motivi che riguardavano gl'interessi della famiglia e della
parte, un altro se n'aggiungeva intimo e domestico.
Nel fondaco di Niccolò lavorava un giovanetto di prima barba che sin
da piccolo fanciullo s'era allevato in casa ed avea nome Lamberto.
Costui era nato molto umilmente. Suo padre, lavorante dell'arte di Por
S. Maria[19], per la sua fede e per esser di buonissimo ingegno era
venuto in grado a Niccolò, che di povero operajo, l'aveva tirato su
fino a costituirlo capo d'ogni sua faccenda. Quest'uom' dabbene pagò
col sangue gli obblighi ch'egli aveva al suo benefattore.
Quando, addì 6 di aprile del 1498, i nemici di Fra Girolamo assaltarono
il convento e la chiesa di S. Marco, moltissimi Piagnoni, e fra
essi Niccolò, con Pietro padre di Lamberto, concorsero, e vi si
rinchiusero per difenderlo. Durò la battaglia molte ore della notte,
essendo quei di fuori in gran numero, e combattendo con armi d'ogni
sorta, con archibusi e sassi, e facendo quei di dentro grandissima
resistenza, non altrimenti che s'usa nell'espugnazione d'una rocca.
Il padre co' suoi frati, dopo esser andato processionalmente per
tutto il convento, si ridusse in chiesa e, preso nel tabernacolo il
Sacramento lo pose sull'altare, e messisi quivi in orazione cantavano
tutti insieme «_Salvum fac populum tuum domine et benedic haereditati
tuae_» aspettando di punto in punto il martirio. Benchè il padre non
volesse consentire che s'usassero l'armi per difenderlo, Fra Domenico
da Pescia, e molti nobili cittadini, fra quali erano Francesco Valori,
Battista Ridolfi e T. Davanzati, si strinsero intorno e deliberarono
ribatter coll'armi i loro avversarj, i quali consumata col fuoco la
porta della chiesa, alla fine v'entrarono in folla attaccando battaglia
di mano, furiosissima co' Piagnoni e co' frati, la quale durò molte
ore. Un novizio chiamato Herico, tedesco, salito sul pergamo con un
archibuso ammazzò di molti nemici, ed ogni volta che dava fuoco diceva
anch'esso «_Salvum fac Populum tuum domine ecc_.» Ed un frate de'
Biliotti con un crocifisso di ottone cavò un occhio a Jacopo di Tanai
de' Nerli, e ciò sia detto per dar idea quali fossero codesti tempi.
Niccolò, che aveva allora 58 anni, combatteva in mezzo alla chiesa
rimpetto l'altare della Madonna, ed aveva allato il suo fedel Pietro
(così aveva nome il padre di Lamberto) il quale avvistosi d'un tale cui
Niccolò non poneva mente, che con un partigianone gli menava un gran
colpo che l'avrebbe passato banda a banda, non trovando altro modo a
ripararlo si gettò frammezzo, e ricevette nel petto il ferro che gli
uscì per la schiena, ed il suo sangue innondò da capo a piedi Niccolò.
Corsero alcuni frati, come usavano con chi cadeva, e raccolto il ferito
lo portarono presso l'altare ove, presa con grandissima letizia la
comunione, e ringraziato Iddio di quella morte, volse a Niccolò, che
gli reggeva il capo non senza lagrime, gli occhi moribondi, e gli
disse: «Io lascio la Nunziata ne' setti mesi.... vi sia raccomandato il
mio figliuolo, o figliuola che sia....» e senza poter dir altro rese
l'anima a Dio.
Da quel punto, come ognuno può immaginare, egli tenne cura grandissima
della Nunziata, e Lamberto nato due mesi dopo, trattò poi sempre come
se gli fosse stato figliuolo: e trovato che facilmente apprendeva, lo
fece ammaestrare tanto che fatto esperto in sulle scritture gli diede a
tener i suoi libri con buona provvisione, pensando giorno e notte qual
modo avesse a tenere per fargli uno stato e rimeritar per cotal via il
grand'obbligo che aveva col padre. Niccolò era ricco mercatante, perciò
avrebbe potuto dire a Lamberto, togli questo tanto in danari e fa i
fatti tuoi. Ma gli pareva prima di tutto che obblighi di quella fatta
mal si potessero compensare colla sola moneta; poi trovandosi molta
famiglia gli pareva fosse anche ingiusto sminuire l'avere de' suoi
figli per una cagione che a lui solo si riferiva.
Gli era nato il pensiero di dare a Lamberto una delle sue figlie con
tal dote che stesse bene, così veniva a salvare tutti i rispetti. Ma
quantunque il giovane, che era già oltre i vent'anni, fosse tale da non
temere un rifiuto da nessuna fanciulla, Niccolò aveva però troppo senno
e troppa giustizia per voler ordinar tal parentado senza conoscer prima
ben bene il cuore e la volontà di chi lo doveva contrarre. Muovere i
primi passi e proporlo egli stesso non gli pareva ci stesse dell'onor
suo, onde dato tempo al tempo aspettava che una qualche occasione
favorisse l'adempimento di questo suo disegno.
Che Niccolò avesse in animo di far Lamberto suo genero, senza curarsi
ch'ei venisse di sì povero stato, non poteva recar maraviglia a chi li
conosceva ambedue. Il vecchio non era di que' tali che sono avversi
all'aristocrazia de' nobili perchè l'invidiano, e che la vogliono
spenta per occuparne il luogo. Egli teneva ogni uomo figlio delle
proprie opere, lo stimava a norma delle sue virtù, e perciò giudicava
sempre pericolose ad una città quelle sette o vuoi di grandi, o vuoi
di popolani, o mercanti, o di qualunque altra generazione esse siano,
che ristringendosi insieme, e separandosi dagli altri cittadini,
schifando imparentarsi con chi non sia de' loro, usando atti violenti
e portamenti superbi, cercano ottener autorità, ricchezze ed onori,
non per veruna particolar virtù che sia in loro, ma pel solo accidente
d'esser nati in codesta loro setta, o d'appartenerle in qualunque modo.
Ma quanto sono rari gli uomini che, simili a Niccolò, detestino gli
abusi per solo amor dell'equo e dell'onesto, e non pel timore di
riceverne danno o pel dispetto di non potersene valere ad opprimere
altri!
Lamberto poi dal canto suo avrebbe meritato di esser posto tra le
eccezioni anche da un padre che stimasse i natali e le ricchezze più
che non facea Niccolò.
Se il lettore desidera figurarsi il ritratto di Lamberto, immagini un
giovane alto di statura, ed atto per l'ottima proporzione delle membra
a tutto quanto può imprender l'uomo, che richiegga forza e destrezza.
E ciò basti circa il fisico. Nella parte morale, la natura l'aveva
favorito con quel dono che riserba a suoi più cari, a quelli che senza
distinzione di stato o di fortuna ella destina alle maggiori imprese;
dono che può nominarsi l'amore, anzi la smania della perfezione, seme
fecondo delle belle azioni e delle grandi virtù, e di tutto quanto è
di sublime nell'umano operare. Giudice severo, che dice all'orecchio
dell'uomo applaudito _Tu potevi far più_, sprone che punge sempre chi
è nato per sentirlo, perchè in ogni cosa, in ogni atto vede quanto è
più lunga la strada da farsi per giungere alla perfezione di quella già
fatta; tormento dell'anima ed insieme la sua vita, il fonte di tante
dolcezze, Sarebb'egli forse l'impressione rimasta nell'uomo da quel
soffio divino col quale Iddio l'ha chiamato dal nulla?
Questa nobil passione, che in Lamberto andava divenendo più fervida
col crescer degli anni, l'aveva eccitato a profittare con ogni studio
della ventura di venir allevato in una casa dove eran a sua portata
tutti i mezzi di educarsi a quelle discipline che procurano il perfetto
sviluppo delle qualità fisiche e morali. Presago forse che la sua vita
non avrebbe avuto a consumarsi tutta in un fondaco, s'era ingegnato
rendersi pari ad una più splendida fortuna, raffermandosi la sanità
e le forze con ogni sorta d'esercizj cavaliereschi, ne' quali era
riuscito mirabile sopra ogni altro; e maturandosi il senno colla
lettura degli storici principalmente, ai quali unendo i ragionamenti
che udiva farsi in casa da Niccolò e da quelli uomini di stato che vi
concorrevano, era venuto a formarsi un capitale di sode e variate
cognizioni, per le quali e per l'abito fatto fin dall'infanzia di non
far atto, non accettar opinione senz'avervi prima molto pensato, venne
a trovarsi uomo in quell'età in cui molti altri sono poco più che
fanciulli.
È vero altresì, per non tacere de' suoi difetti, che appunto per quel
suo amore del bello e del perfetto, egli facilmente e con incredibil
veemenza s'infiammava di quelle cose e di quelle persone, ch'egli si
immaginava avessero alcun che di grande, e colla calda fantasia se
le dipingeva d'una perfezione molto maggiore che non era in effetto:
conoscendo poi (come suole accadere sempre) d'essersi o in parte
o totalmente ingannato, passava dall'immoderata ammirazione ad un
immoderato dispregio.
Nè sarà forse fuor di proposito l'osservare, che se i giovani di mente
fervida e di cuor generoso come Lamberto si potessero premunire contro
questa smania di giudizj avventati ed eccessivi, eviterebbero molti
errori, non avrebbero a rimproverarsi molte ingiustizie, ed i mali che
ne sono la conseguenza; ed il disappunto delle illusioni svanite non
farebbe loro concepire contro l'umanità quell'odio cieco ed orgoglioso,
che ha forse prodotte molte belle declamazioni poetiche, ma non ha mai
reso gli uomini nè più virtuosi nè più felici.
Si potrebbe anzi dimostrare che invece li ha fatti più duri per gli
altri e più amanti di sè, togliendo loro il conoscere una verità
trivialissima e palese ad ogni cervello riposato, che se al mondo
sono molti bricconi, son pure molti galantuomini, e gli uni e gli
altri, compresivi anche questi feroci odiatori della nostra specie,
fanno promiscuamente delle cose buone e delle corbellerie, onde alla
fine tutto poi si riduce ad aver la santa flemma di segregare le une
dalle altre, lodar il bene, biasimare il male; compianger gli uomini
che per loro natura debbono ondeggiar sempre in tra due; e finalmente
ammonirli ed ajutarli se si può, invece di strapazzarli e di maledirli
inutilmente.
Queste riflessioni sarebbero però state affatto inutili per Lamberto.
Egli aveva incontrato pochi guai, e trovato invece nella famiglia del
suo protettore infinite carezze, il suo carattere non avea perciò avuto
motivi d'inasprirsi, e non ostante il difetto che gli abbiamo apposto,
la sua aggiustatezza, i suoi modi affettuosi ed onesti, e la tenera
gratitudine che mostrava a Niccolò, gli avevan compro l'amore del
vecchio, de' figli e di tutti quanti lo conoscevano. V'era però in casa
tal persona che l'amava senza esserne forse neppure avveduta, in modo
diverso dall'altre, ed era Laudomia.
Per verità, se mai due cuori dovevano incontrarsi, i loro erano quelli.
Ma Lamberto quantunque si sentisse portato verso di lei dalla simpatia
che nasce dalla somiglianza de' caratteri, era però rattenuto da quello
splendore puro e verginale che appariva in essa, pel quale veniva a
giudicarsi troppo inferiore a cosa tanto alta e divina.
Rade volte la vedeva, e più rado le parlava, e gli parea persino
Laudomia l'avesse in poco conto, e lo sfuggisse. Il timido ed onesto
giovane pensava «merito forse un suo sguardo?» Ma la figlia di Niccolò
era lungi dall'averlo in dispregio, e lo sfuggiva per quell'intimo
senso di pudore che era sua guida.
Lisa invece teneva con Lamberto altri modi. Lo trattava con quella
sicurtà confidente, di chi è certo non gli si trovi a ridire. L'anima
amorosa e candida di Lamberto era in quella stagione ove tanto
facilmente s'apre all'amore, come all'aura d'una nuova vita: ove il
potere di questo si fa sentire prima d'aver trovato l'oggetto su
cui fermarsi. Tempo pieno di perigli, d'angosce, di dolcezze e di
trepidazioni, ove l'uomo è quasi sempre colto al primo laccio ed
allettato dalla più agevol'esca. Tutto sta a non capitar male!...
Il cuor del giovane che non avea osato innalzar i suoi voti sino a
Laudomia, si volse a Lisa appoco appoco senza quasi avvedersene e
volerlo, e finalmente se le diede vinto, ponendo in essa sola ogni suo
bene ed ogni suo pensiero.
Quel senso avveduto e sottile che la natura ha posto in ogni donna, e
che precede l'esperienza, mostrava a Lisa benchè giovanetta qual fosse
per lei il cuor di Lamberto. Essa godeva di sapersi amata. E qual
cuore umano non ne gode, sia pure illibato ed innocente? Ma questa
compiacenza era forse per essa più di amor proprio che di cuore.
Sentendo molto altamente di se, aveva caro codesto amore come una
prova di più di quanto valesse: se si vuole avea caro anche Lamberto;
l'avrebbe fors'anco amato perdutamente, ma non poteva capirle in mente
l'idea di divenir moglie di chi passava la vita sua col braccio in mano
a misurar broccato.
Lamberto poi, che per natura e per sapersi persona cotanto umile già
dubitava di sè, parte immaginando i pensieri della giovine, talvolta
usciva di speranza affatto, talvolta vedendosi tanto accarezzato da
Niccolò e trattato come un figliuolo, un poco si riconfortava, ed il
vecchio, che pure per quanto glielo concedevano i suoi molti pensieri,
s'ingegnava scoprire qual fosse il cuor della figlia pel suo Lamberto,
fatto quasi certo che tra esso e la Lisa qualche cosa ci fosse,
procurava senza troppo aperte dimostrazioni di lasciar però conoscere
ch'egli non avrebbe posto ostacolo alla loro unione.
Alla fine, un giorno ch'egli era solo in camera con ambedue, essa a
caso uscì, e Lamberto non pensando di venir osservato le tenne dietro
col guardo: con un guardo che assai diceva. Niccolò sorridendo, e
postagli una mano sul capo gli disse: «Lamberto, io ti voglio quanto
bene io ho, perch'io ti conosco intero uomo dabbene, e sappi che
per dar marito alla Lisa io non guarderò che sia ricco nè che sia
di gran casato; ma che sia un giovin dabbene e che le piaccia» e
soprastato così un momento, guardando amorevolmente il giovane che
avea il viso come una brace, ripetè ancora «che le piaccia, tu m'hai
inteso.» Niccolò era già uscito di camera, che Lamberto aveva ancora
a batter palpebra, ed a muoversi, tanto gli parea di sognare. Alla
fine riscossosi, e pazzo per l'allegrezza disse «ora s'io non saprò
guadagnarmela avrò a dolermi di me.» Ma ad avvelenar questa gioja gli
sovvenne ad un tratto, ciò che gli era parso indovinare, che la Lisa
fosse troppo altera per porre l'amor suo in basso luogo, e per la prima
volta in vita sua si sentì offeso dell'oscura povertà de' suoi natali:
per la prima volta pensò sospirando «Oh fossi nato un signore!» Ma
tosto quasi facendo vergogna a sè stesso di questi inutili rammarichi,
diceva scuotendo il capo: «Non son io forse un uomo come un altro?» e
colla fervida fantasia vedeva quasi schierarglisi innanzi quanti in
Italia per le loro virtù eran di povero stato, saliti in grado ed in
autorità. Rammentava quanto aveva letto di Castruccio, d'Uguccione
della Faggiuola, e di Sforza, e del Carmagnola, e di tant'altri, e
prendendo per se quel passo del Purgatorio di Dante, esclamava Son io
pure «di quel paese
....ove un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.»
Passando poi da un'idea all'altra vieppiù si confermava in questi
pensieri così ragionando: «Niccolò, è vero, mi darebbe la Lisa,
perchè son figlio di chi ha dato il sangue per lui, ma non per questo
tralascerà di conoscere che io son nato d'un povero operajo, e che
potrebbe, purchè volesse, dar la Lisa al primo uomo di Firenze, e
gliene saprebbe il buon grado.»
L'animo di Lamberto nobilmente altero si sdegnava all'idea che
il suo benefattore, che la Lisa, non avrebbero però mai cagione
di andar superbi di lui, e riscaldandosi in quest'immaginazione
gli pareva già veder Laudomia sposa d'un qualche grande, e che il
cognato si vergognasse del povero Setajolo, che gli amici e le
brigate lo lasciassero da canto, che la sua Lisa (secondo il solito
se la dipingeva una perfezione) offesa da questi sprezzi lo volesse
difendere, avesse a farglisi sostegno, quasi a proteggerlo!....
quest'idea lo trafisse a un tratto così amaramente, e passar la vita
a quel modo gli parve cosa tanto dolorosa e vigliacca, che con subita
risoluzione fermò in cuor suo di voler ad ogni costo prepararsi quella
che si sentiva poter meritare. Pieno d'ardire e di speranza si vide
a un tratto apparire innanzi agli occhi come una scena nuova tutta
piena e risplendente di fatti d'arme, di vicende e di gloria; in fondo
alla quale vedeva se stesso chiaro nella milizia, signore di castella,
onorato e potente, e la Lisa tenuta in conto di gran signora, ed
invidiata dalle compagne e dalle amiche; ebbro di queste seducenti
immagini, conoscendosi saldo d'animo e di corpo, atto d'ogni difficil
cosa, esclamava, quasi sdegnato di non aver avuto prima cotali pensieri:
«Pur beato ch'io m'accorsi alla fine d'aver cuore e braccio al pari
d'ogni uomo!» e soggiungeva: «Se Iddio m'ajuta come m'ajuterò da me,
Niccolò non avrà ad arrossire di suo genero, nè la Lisa ad invidiare
altra donna.»
Il disegno di Lamberto di darsi al mestier dell'armi non era in quel
secolo privo d'una certa probabilità che venisse a riuscire ad una
splendida fortuna; ben inteso che chi vi si metteva avesse ad un grado
eminente le doti che rendono atto a tale ufizio, e che una palla
d'archibuso non gl'impedisse troppo presto di farle valere. Durava
ancora per la milizia il costume de' condottieri, ed era libero a
ciascuno di divenirlo, purchè salisse in tal riputazione tra la gente
d'arme che molti si contentassero d'averlo per capo. Ogni soldato,
facendo il mestiere per propria scelta, e come un modo d'arricchire
e salir in grado, concorrevano in maggior numero a quel condottiere
col qual si ripromettevano miglior fortuna. Esso poteva, accettando e
rifiutando a sua posta, farsi una compagnia scelta; e questo modo di
formar l'esercito avea di buono, che nessuno senza esser valente della
sua persona, e senza grand'esperienza nelle cose di guerra non giungeva
al comando.
Ma al momento di mandar ad effetto le sue risoluzioni, un pensiero gli
si parò d'innanzi, se non come ostacolo insuperabile, almeno come una
difficoltà, che sempre è più grave, quanto più è virtuoso l'uomo che
l'incontra. Lamberto aveva ancor sua madre. Essa era, prima di prender
marito, una buona contadina di quel di Lucca, e venuta a Firenze con
Piero, era stata seco molt'anni prima che le nascesse Lamberto. Si
sarebbe potuto applicarle l'elogio racchiuso in quelle quattro parole
che serviron d'epitaffio ad un'antica dama Romana:
_Domum mansit=Lanam fecit_[20].
Ma mi pare di sentire qualcuna delle mie leggitrici, se avrò la fortuna
di trovarne, dire sorridendo «già noi povere donne non abbiamo ad esser
buone ad altro che a star a casa a filare!»
Ah care le mie donne! (già suppongo che siamo d'accordo sul non prender
letteralmente le parole dell'epitaffio) se sapeste quanto vi rende
grandi, nobili, importanti ai miei occhi, l'incarico a voi commesso
dalla provvidenza nel mondo!
Se il vero bello, il vero grande, l'importante finalmente ha a
misurarsi dall'utile e dalla virtù, chi potrà credersi più importante
d'una buona moglie, d'una buona madre? Chi regge i primi passi, chi
consola i primi affanni di questi uomini superbi, che cresciuti poi
si tengono dappiù di voi, ed a voi pure debbon ricorrere se voglion
trovare sollievo alle miserie della vita? Chi al par di voi è capace
viver vita di sagrifici, immolarsi del tutto al bene, alla felicità
della persona cui donaste il vostro amore? Gli atti d'eroismo presso
gli uomini sono sempre sostenuti dagli applausi e dalle lodi: per voi
invece quanto può operar d'arduo e di grande la virtù in un cuore
umano, resta il più delle volte ascoso ed obbliato tra le pareti
domestiche. E se ciò non ostante siete virtuose ed utili, qual gloria,
qual merito maggiore!
Se sapeste quanto stia in vostra mano il bene dell'umana società, che
tutto è posto alla fine nel bene delle famiglie! Se sapeste quanto da
voi dipenda far gli uomini generosi, arditi, amanti della patria, farli
umani, operosi, sapienti, fargli gentili e costumati, non invidiereste
al nostro sesso i tristi privilegi d'ammazzar uomini in battaglia, o
coll'ampolle e le ricette, che sono i due modi approvati per mandarli
all'altro mondo; di tormentarli, o rovinarli coi codici, le cause e
mille malanni; di torcer loro il giudicio, e gabbarli coi libri.... e
Dio voglia che la gentil leggitrice non aggiunga del suo «e di farli
sbadigliare con dei racconti simili a questo!» Ma non voglio supporla
ingrata: che se le donne non son dalla mia questa volta, non c'è più
speranza. Ora torniamo alla madre di Lamberto.


CAPITOLO IX.

Essa era stata sempre non solo moglie fedele ed illibata, che se ciò
basta ad un marito quanto all'onore, non basta quanto alla felicità,
ma avea saputo, nei limiti angusti d'una povera casa, esser massaja
senza miseria, provvedendo che il marito ed una fanticella non patisser
di nulla, e potessero anche mostrarsi onorevolmente vestiti secondo
lo stato loro. Ciò non ostante ad ogni fin d'anno trovava il modo
di riporre qualche danaro pei casi impensati. Dove non giungeva la
provvisione che veniva pagata a Piero da Niccolò, cercava supplire col
lavoro dell'aspo, che facea girare tutto il giorno e parte della notte
talvolta; tantochè le vicine, quando sgridavano i loro bambini perchè
eran frugoli, che non istavan mai fermi, dicevan loro «Tu sembri l'aspo
della Nunziata.»
È vero che la buona donna conscia dell'ottimo ordine col quale
governava la casa, si lasciava andare a brontolar un poco quando tra
i suoi sudditi appariva qualche segni di ribellione. Ma siccome
e sudditi e governo, eran d'accordo in sostanza, e contenti per
l'essenziale gli uni dell'altro, accadeva nella famiglia di Piero,
come in Inghilterra, che se talvolta sorgon contese, nessun però vuol
mai spinger la cosa al punto di capovolgere del tutto lo stato. Se il
paragone è un po' troppo disuguale per le dimensioni, l'importanza
relativa è all'incirca la stessa, perciò preghiamo il lettore ad
ammetterlo.
Finchè era vissuto Piero le cose erano andate così. Dopo la sua morte
Niccolò s'era a suo tempo tirato in casa il picciol Lamberto, ed
accomodata la Nunziata d'una casetta ch'egli aveva poco lontana dietro
S. Lorenzo, ove la buona donna, quando le furori cresciuti gli anni e
sopraggiunti gli acciacchi della vecchiaja, potè rallentare un poco
il lavorìo dell'aspo, stante gli ajuti di Niccolò, de' quali si può
dire vivea quasi interamente. La sua casa consisteva soltanto in una
camera ed una cucinetta: ma siccome sempre la Nunziata s'era dilettata
dell'ordine e della pulizia, la teneva rassettata e netta come uno
specchio.
Sul letto, sempre rifatto che non faceva una piega, era sparso qualche
fiore come s'usava allora in Firenze: appiccate al muro, sopra il
capezzale, molte cosarelle di divozione; il ramo d'ulivo, il palmizio,
il cero pasquale, e madonnine e santini. Nell'altro lato della camera
uno scaffale con suvvi disposte in ordine stoviglie di terra e di
stagno che splendeva come fosse argento, e tra mezzo molte fronde
d'alloro: un desco, qualche sedia, l'aspo, compagno indivisibile di
tutta la vita, ecco qual era la camera della Nunziata. La sua persona
piccola ed asciutta come colei che avea durata troppa fatica alla vita
sua per poter ingrassare: i panni ruvidi ma ben composti senza una
macchia.
La buona vecchierella viveva felice in quella casetta senz'altra
compagnia che d'un gatto nero, il quale poteva dirsi più compagno che
soggetto, a veder quali modi teneva in tempo di pranzo e di cena.
Essa si cucinava e si serviva da se, soltanto le vicine, ora l'una
ora l'altra, vedendola vecchia ed inferma, attingevano l'acqua che le
bisognava, per loro amorevolezza non per mercede: giacchè generalmente
i poveri tra loro (aprite gli orecchi, ricchi e signori!) quando non
possono ajutarsi coll'avere, s'ajutano colle braccia.
Nella sua solitudine raramente interrotta, la buona vecchia aveva però
un pensiero vivo, incessante, che l'occupava tutta: quello del figlio.
Cominciando dall'allevarlo col proprio latte, e su via via per gli
anni dell'infanzia, dell'adolescenza e della gioventù, s'era ingegnata
con tutti quei modi che le suggeriva il suo amore, di dargli tale
avviamento ch'egli avesse per prima cosa a riuscire un uom dabbene, e
potesse poi godere di tutta quella felicità che era compatibile colla
sua povera fortuna. Al modo che lo vedeva stabilito in casa i Lapi le
pareva che tante cure e tanti pensieri avessero pur servito a qualche
cosa: ed ora faceva di tutto onde Lamberto coi suoi portamenti venisse
ogni dì più avantaggiando i fatti suoi. Quando un bel giorno ecco che
egli le confida il suo amore per la Lisa e le speranze che nutriva:
la buona donna, che non sapeva immaginare al mondo altro di grande,
di ricco, di potente che la casa Lapi: cui pareva già toccar il ciel
col dito vedendovi il figlio costituito in ufficio poco più che di
servo, conoscendo di giunta che testina avesse la Lisa, si sbigottì
tutta tremando che con quest'amore il figlio non venisse a far isdegnar
Niccolò, e guastar in tutto i fatti suoi, onde prese a mostrargli
quanto pericolo fosse in simil cosa, e molto lo pregò a volersene
togliere, e sospirando, diceva: «Se almeno avessi posto in Laudomia
l'amor tuo: Cotesta, figliuolo, farebbe per te, ma non è tua pari,
neppur essa. Pensaci Lamberto!»
Nunziata, come tutte le donne avanzate in età, che standosene sole
tutto giorno, se hanno cosa alcuna che le tenga in sospetto, a furia di
fissarvi sopra il pensiero, si scaldano il cervello, e se la dipingono
mille volte più terribile e pericolosa che non è in effetto, viveva in
grandissima sollecitudine pel figlio; e quando questi veniva a passar
qualche ora con lei, s'ingegnava con quelle ragioni, e quelle carezze
che sa trovar una madre amorosa, di fargli entrare quei consigli
ch'ella stimava fossero pel suo migliore.
Le cose erano a questo termine quando il discorso di Niccolò cambiò in
certezza la speranza di Lamberto e lo spinse a quelle risoluzioni che
abbiamo accennate.
Ma come annunciarle alla madre? Come separarsi da lei, e forse per
sempre? Come dire a lei, vecchia inferma, amorosa sopra tutte le madri
«_Vi lascio e vado in guerra_?» Lamberto, quantunque in molto travaglio
per queste idee, non si smarrì.
Sapea che la madre, come tutte le donne del secolo XVI, era assuefatta
all'idea che è cosa virtuosa e virile talvolta il prender l'armi, e
che lo sconsigliarne i mariti ed i figli, ove abbiano onesta cagione
d'impugnarle, è atto vile e dappoco. Di fatto la Nunziata cresciuta in
tempi torbidi e travagliati, aveva, e per le cose vedute e pei discorsi
uditi continuamente, avvezzato l'animo alla lunga a pensieri forti
ed arditi; onde quando Lamberto, dopo averle replicate le parole di
Niccolò, le aprì il cuore interamente dicendole quanto avea fermato
d'eseguire, con tutte le ragioni ed i rispetti, che aveva lungamente
pesati in cuor suo, bensì sulle prime parea non sapesse risolversi
a tanto sagrificio, ma poi a poco a poco si diede se non contenta
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