Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 37

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che gli s'eran profferti la notte innanzi in S. Marco, cominciarono a
radunarsi, e far cerchielli, e parlar tra loro, ricordando che avean
promesso difenderlo, e facendosi animo gli uni cogli altri a non
lasciar che senza compagnia si mettesse per istrada in momenti di tanto
pericolo.
Questi poveri uomini furon presto risoluti, e mandaron il Bozza a casa
i Lapi onde s'informasse destramente da qual porta pensasse uscir
Niccolò; e saputo da uno de' cavallari ch'egli prendeva per Pistoja si
divisero in due truppe; e molti uscirono (alla sfilata però) per Porta
Prato, dandosi il ritrovo in un campo fuor di strada presso S. Donato,
e gli altri si sparsero intorno alla casa, per via dei Conti, sul canto
de' Carnesecchi e sulla Piazzetta, per far testa ed esser pronti nel
caso che, da chi si fosse, si volesse disturbare od impedire codesta
partenza.
Troilo, da una finestra, vide questa ragunata di popolo, e disse tra sè:
--Ve' s'io m'apposi pensando che menar costui prigione in Firenze era
un brutto rischio!--
Finalmente l'ora era giunta, pronti i cavalli, avviato già innanzi il
bagaglio, e negli ultimi momenti, mentre la famiglia radunata se ne
stava sospirosa ed in silenzio, s'era sentito pei piani superiori della
casa il sordo ed interrotto strepito degli usci che si serravano, de'
chiavistelli, degli arpioni che venivan messi per tutto, e questo
rumore si veniva accostando a misura che M. Fede scendeva assicurando
l'imposte e rivedendo in ogni parte se si lasciasse nulla fuor
d'ordine, nessun'entrata ai ladri, e pensando persino all'acqua nei
casi de' temporali, e diceva, mezzo piangendo:
--Tante fatiche! Tante cure! e poi lo sa Iddio in che mani capiterà
questa povera casa! Altro che ladri! ho paura.... Oh! la Madonna
Santissima ci aiuti.--
E così terminati questi assetti se ne venne in camera di Niccolò, e
rimase appoggiata allo stipite dell'uscio, quasi volendo significare
che avea oramai pensato a tutto, e che quanto ad essa era lesta, senza
volerlo espressamente dire, chè non le reggeva il cuore dar proprio lei
il segnale, per dir così, della partenza.
Il vecchio intanto pareva agitato da una nuova inquietudine, e disse
alla fine, avere mandato per uno de' garzoni di stalla un breve a Fra
Zaccaria in S. Marco per offrirgli d'uscirsene di Firenze con esso
loro, e commettendogli di proporre al Fojano questo modo istesso di
scampo, chè tutti e due, per le loro prediche fatte durante l'assedio
in favore della difesa, portavano ora pericolo grandissimo.
--Io non mi so risolvere a partire prima di sapere se possiamo ajutar
questi frati dabbene.--
Fanfulla, senza contrastare a questo generoso pensiero, mostrava però
col viso, e con un certo irrequieto moto della persona, ch'egli non
approvava in quel momento maggiori indugi, e Lamberto, che la pensava
al modo stesso, propose, che andasse intanto innanzi alla porta e
parlasse col capitano, onde disporlo a non metter impedimento alla loro
uscita, e Niccolò gli diede cinquanta ducati affinchè la pratica più
sicuramente riuscisse.
Partito Fanfulla, dopo un altro poco comparve finalmente la risposta di
S. Marco. Scriveva Fra Benedetto, esser già in salvo i due frati (egli
così credeva; ma il Fojano era stato preso all'uscir travestito di
Firenze) e pregare Iddio che conducesse del pari a salvamento Niccolò
e tutti i suoi. Questi, mettendo allora più libero il respiro, disse,
alzandosi con una prontezza che ben si vedeva non naturale:
--Ora dunque andiamo.... E Iddio, che vede la nostra ragione, sia
quello che ci ajuti.... Figliuoli miei, (disse fermandosi a un tratto)
voi tornerete un giorno in questa casa, in questa camera, senza me:
ricordatevi allora di Niccolò e de' suoi avvisi. Se avrete autorità
nessuna in Firenze, non vi fidate nè de' grandi, nè di soldati e
capitani mercenarj.... chè per cagion loro noi perdiamo oggi la
patria.--
E gettata intorno un'ultima occhiata, soggiunse, con voce ed aspetto
che pareva tranquillo:
--Andiamo.--
Così tutti insieme alla fine si mossero: gli uomini muti e pensosi,
le donne piangenti, e venuti a! portone uscirono in istrada, e gli
uni dopo gli altri messisi a cavallo, s'avviarono con quest'ordine:
precedeva Niccolò messo in mezzo da Bindo e da Fanfulla: seguiva
Lamberto al fianco di Laudomia, poscia Troilo colla Lisa che aveva
in collo il fanciullo; e venivan ultimi M. Fede e Maurizio. Mentre
Niccolò, non senza fatica, montava a cavallo, erano concorsi ad esso
molti di que' popolani che s'aggiravano intorno alla casa, e chi gli
teneva la staffa, chi tentava sorreggerlo ed ajutarlo, alcuni piangendo
gli abbracciavan le ginocchia o gli baciavano i piedi, dicendogli
parole piene d'affetto, di venerazione, benedicendolo e facendogli
animo, ed il Bozza, appoggiata una mano sulla groppa del cavallo, e
coll'altra vivacemente gestendo, esclamava:
--Non dubitate, messer Niccolò, che no' siam qui noi, e camperete pure
a dispetto de' ribaldi e de' traditori!--
Ed il vecchio, co' cenni e con qualche amorevole parola rispondendo a
queste dimostrazioni s'avviarono, e giunti a Porta al Prato trovarono
che Fanfulla avea con poca fatica ottenuto d'aver libero il passo,
ed uscirono senza ostacolo accompagnati da molti di quegli artefici,
ringraziando Iddio di non aver quivi incontrato impedimento: non sapean
essi che questa cotanta facilità era per ordine espresso di Baccio, che
assai accortamente seguiva in quest'occasione il consiglio di Troilo.
Quando, usciti fuor di porta, presero la via di Prato, il cielo era
oramai tutto sparso di stelle, e soltanto all'oriente splendeva,
dietro le masse scure ed addentellate de' monti, una striscia di luce
rancia, sulla quale campeggiavan lunghi nuvoli neri tinti appena qua e
là sugli estremi e più bassi lembi d'una luce languida e rossastra.
L'afflitta comitiva, parte in sella, parte a piedi, camminava senza
profferire parola, nè produrre altro strepito fuorchè quello del
calpestio de' pedoni e dello scalpitar de' cavalli: l'aspetto della
campagna fosco e tranquillo, stillava al cuore una pace dolce e mesta
ad un tempo: giungeva all'orecchio con certa regolare intermittenza
il fioco e tremulo cantar de' grilli, ed i spessi e diversi sibili di
quelle innumerabili generazioni d'insetti che danno vita ai silenzi
della notte senza turbarli. La placida quiete della natura contrastava
pur troppo coll'agitazione, co' dolorosi pensieri di que' poveri
afflitti. E chi, percosso dalla sventura, e trovandosi a caso in luoghi
ameni, vedendo una bell'aurora, un tramonto, una notte serena, non ha
provato un senso d'amarezza, quasi d'insulto alla sua miseria? Forse,
perchè l'ordinata e perenne stabilità della natura, paragonata colle
mutazioni continue della condizion nostra ci raumilia e ci fa accorti
della nostra piccolezza.
Dopo un tratto di strada, giunti su un poco di rialto, di dove si potea
forse ancora discernere gli edifizj e le torri di Firenze, Niccolò
rattenne la briglia, si volse indietro, e stringendo le ciglia rivolse
a vedere per l'ultima volta, o così gli parve, la massa bruna della
cupola del duomo. Stese verso essa le braccia quasi salutandola, mise
un sospiro profondo, e senza aprir bocca, senza che alcuno de' suoi
osasse parlargli, punse il cavallo e si rimise in via.
La compagnia, che gli aspettava a S. Donato, s'era intanto congiunta
con loro, senza strepito o voce nessuna, e quei poveri popolani,
stimandosi beati di poter difendere e condurre in salvo Niccolò,
venivan di buon passo, senza curarsi del disagio, nè del pericolo,
finchè, dopo quattr'ore di viaggio, giunsero a Prato. Girate le mura
e ritrovata la strada di Pistoja, volle Niccolò fermarsi e lasciare
che chi veniva a piedi si riposasse, ma costoro non lo soffersero,
e fattisi in molti intorno al suo cavallo, lo pregarono riprendesse
pure il viaggio (chè ogni ritardo poteva esser pericoloso) affermando
non esser in verun modo stracchi, ed in fatti non eran uomini che
facilmente si lasciassero vincere dalla fatica.
Così camminando tutta la notte si trovarono verso l'alba presso la
porta di Pistoja, ed oramai bisognava agli uomini ed alle bestie
conceder cibo e riposo. Prendendo a destra per certi tragetti,
riuscirono al di là della terra verso la montagna, sulla via di Modena,
ove, mettendosi pe' campi, trovarono un seno del poggio assai ben
nascosto da cespugli e da gruppi foltissimi di castagni, tra i quali
entrati in quella appunto che si faceva loro il dì chiaro addosso,
scavalcaron tutti, e per cura de' giovani e di Fanfulla vennero presto
disposte in terra coltri e mantelli, tantochè alle donne ed al vecchio
facessero un poco di letto.
Quivi si riposarono tutto quel giorno, e rinfrescatisi il meglio che
potettero, verso sera parve a Niccolò riprendere il viaggio. Prima però
di avviarsi, chiamati intorno a sè quelli che gli avean sin qui servito
così amorevolmente di guardia e di compagnia, e pe' quali non pochi
aveano in animo di passare innanzi, disse loro:
«Figliuoli miei, è giunta l'ora che noi ci dobbiam lasciare. Che posso
io dirvi se non che io vi ringrazio e vi porto meco nel cuore, e non
mai ne' pochi giorni che m'avanzan di vita mi scorderò della cortesia,
dell'amore che m'avete dimostro? Se e vero che la benedizione d'un
vecchio venga raffermata da Dio, io ve la do questa benedizione, ed
egli sa con che cuore! io, povero vecchio, non posso in altro modo
rimeritarvi.... Ora tornate alle case vostre.... a quella patria
venerata e santa ch'io non debbo riveder più, e che voi certamente
rivedrete un giorno libera e felice.... la sera, quando farete
l'orazioni co' vostri figliuoli, pregate anche per Niccolò, pregate pe'
miei figliuoli morti in questa guerra.... io sarò sotterra, in paesi
lontani.... ma la mia memoria sarà tra voi, sarà viva in questa patria
per la quale non venni fatto degno di poter morire.... ecco l'ultimo
mio desiderio, l'ultima speranza che mi rimane.... E Dio vi benedica
tutti, e addio per sempre.»--
Queste parole vennero pronunziate da Niccolò con voce vacillante per
la commozione che provava, mentre già era a cavallo con tutti i suoi;
finito il dire allentò la briglia, volse un'ultima occhiata a quelli
che rimanevano, e che immoti ed attoniti fissavano in esso gli sguardi,
ed alzando la mano in segno di saluto, o forse accennando il cielo,
prese la via tra gli alberi, e si tolse dagli occhi loro.
Ritrovata la strada maestra, principiarono a salire, sinchè scavalcato
il giogo si trovarono nella valle del Reno, dalla quale, dopo breve
tratto, volgendosi a mano manca, e venuti sulle cime dell'Oppio, s'aprì
loro d'avanti la bella valle ove giace S. Marcello e Gavinana, e che
può dirsi il cuore della montagna di Pistoja.
Chi visita ai dì nostri codesto paese non vi trova se non amenità di
luogo, pace, ricchezza e cortesia tra gli abitanti. Il tempo, che tante
cose guasta, taluna pur ne migliora, ed ha quivi spento del tutto
gli antichi furori di parte, e cancellatane persin la memoria[68].
Le braccia che avanzano all'agricoltura trovano come adoperarsi nel
lavorìo delle cartiere stabilite da una casa che rammenta uno de' primi
nomi delle lettere italiane[69], ed impiega le sue ricchezze nel modo
il più nobile, perchè il più utile all'universale. Quest'industria, ed
i varj traffici, rendono codesti popoli operosi ed agiati, e perciò
felici e tranquilli.
Troppo diversamente andavan le cose all'epoca della nostra istoria, e
non avrà dimenticato il lettore le dolorose e crudeli vicende di S.
Marcello, nè la furibonda rabbia da' Cancellieri. Dopo quel fatto,
rotto il Ferruccio, eran mutate le parti e le fortune, e con impeto
e rabbia altrettanta, e maggiore, aveano i Panciatichi sopraffatti,
perseguitati e distrutti i loro nemici, rovinandone, ardendone persino
le case e le messi, ed i nostri viaggiatori, benchè fosse notte, presto
scopersero i segni di quelle devastazioni.
Qua eran viti sbarbate, alberi fruttiferi rovesciati, o segati al
pedale; là un campo ov'era stato messo il fuoco, nero, arsiccio,
coperto di ceneri; ora un tugurio arso, e del quale non avanzavano
che i quattro muri, ora qualche casa di gente più agiata depredata da
saccomanni, parte rovinata, colle porte sconfitte, sgangherate; rotte
l'invetriate, scontorte e pendenti le imposte, se pur taluna ve n'era
rimasta, tutto poi desolato, silenzioso, voto d'abitatori; e questi,
Dio sa che fine avean fatta! se erano stati morti, se avean potuto
scampare, se eran abbruciati, o sepolti sotto lo rovine a caso, e
forse racchiusivi a bella posta onde sentissero lunga lunga la morte.
Lamberto riconobbe i luoghi, le case che avea pochi giorni innanzi
vedute, passando, in buon essere, e diceva a Niccolò:
--Ecco la vendetta di S. Marcello! La non s'è fatta aspettare.--
Mentre diceva queste parole, passavano appunto innanzi ad una casa
peggio ridotta dell'altre, ed in molte parti diroccata, tantochè i
mattoni, le travi, i calcinacci caduti, mezzo ingombravan la via,
quando udirono da una buca a fior di terra d'una cantina, 'o legnaja
che fosse, uscire un lamento fioco d'una voce che chiedeva misericordia
per Dio!
Si fermaron tutti al momento. Scavalcaron Fanfulla, Lamberto e Bindo, e
cacciandosi tra que' rottami, e chiamando spesso per potersi dirigere,
ed udendo rispondersi quell'istesso lagno debole e spento, mentre
Niccolò e le donne con aspettazione grandissima li stavan guardando,
s'accorsero alla fine d'una figura umana che, strascinandosi a stento
carpone fuor della buca, disse con voce che fece aggricciar le carni a
tutti.
--Oh, bene, ammazzatemi! ch'io non reggo più a questi tormenti, ma
prima un po' d'acqua per Dio.... Oh, l'acqua fresca, e poi morire!--
Presero quel disgraziato a braccia e lo portarono in mezzo alla
strada, e Bindo corse al torrente Limestra, al quale eran vicini, e
tornò coll'acqua, che quegli bevve avidamente, e lasciandosi cader
il vaso delle mani alzò la fronte il meglio che potette, e disse per
ringraziamento:
--Ora più non vi temo, ammazzatemi, e l'avrò caro.... che maladetti
siate con tutta la parte Panciatica!--
E Lamberto, raffigurandolo, esclamò:
--Tu sei il capitan Melocchi!.... Oh! come sei tu qui?--
--Ah! rispose il moribondo (che tale oramai si potea dire), io v'avea
tolto in iscambio, v'ho creduti una mano di Panciatichi.... La casa
mia (proseguiva con tanta quanta la rabbia che potea esprimere in
uno stato di tanta debolezza) la parte cancelliera è disfatta.... io
ferito, tutto rotto e pesto, da quattro giorni vivo costà nascosto...
ora i tormenti!.... la sete! Ho detto m'ammazzino, ma bere! Ah, che non
l'hanno avuto il gusto que' cani di veder morire il Bravetto!....--
E rise. L'affanno dell'agonia cresceva.
--Oh.... se è vivo, mio cugino.... Giovanni... ditegli che è stato
Piero che m'ha dato.... E.... si ricordi....--
Qui non si potè più capire che cosa dicesse, parve però pronunciasse la
parola _ammazzarlo_, che gli si spense tra le labbra insieme colla vita.
Il cadavere venne tirato da canto, tanto che non venisse calpestato da'
muli e da' cavalli che passassero. E la brigata riprese il suo viaggio,
funestata, come può credersi, da questa brutta e disperata fine, e
Lamberto disse:
--Tu non meritavi altra morte che codesta!--E Niccolò:
--Abbia Iddio, se è possibile, pietà di quel forsennato.--
Nè Lamberto, nè alcun altro di loro non conoscevano questo Giovanni
nominato dal Melocchi: ma l'avessero anche conosciuto, sarebbero, come
si può credere, stati poco disposti a fargli la perversa ambasciata.


CAPITOLO XXXIV.

Poco mancava alla mezzanotte quando la cavalcata giunse finalmente in
Gavinana, alla casa che per contratto nuziale avea Niccolò concessa a
Lamberto a titolo di dote, ed ove era giunto, un'ora prima, uno de'
cavallari che gli accompagnavano affinchè, precedendo, destasse il
fattore, facesse aprire ed apparecchiare tutto quanto bisognava.
Questo fattore dabbene, che era poco più d'un contadino, persona
affezionata alla casa i Lapi, cui serviva sin da giovinetto; tenendo,
com'è naturale, per la parte cancelliera, era stato a que' giorni
offeso in varj modi dalla setta nemica, e salvatosi il meglio che
avea potuto, viveva in continua paura; cosicchè ce ne volle prima che
rispondesse, si persuadesse che realmente i suoi padroni stavan per
giungere, e si fosse risoluto d'aprire, temendo d'una qualche trappola
per entrargli in casa a svaligiarlo. Persuaso finalmente, aperse, e si
diede con fretta grandissima ad ammannire una cosa, disporne un'altra,
ajutato dalla moglie e da un garzonaccio tutto sonnacchioso, tantochè
finalmente udì lo scalpitar de' cavalli, e corso giù per le scale trovò
che i viaggiatori scavalcavano in un cortiletto, posto tra la casa e la
pubblica via, separato da questa con un muro non troppo alto.
Quella sorridente ed officiosa premura che si dipinge sul volto d'ogni
fattore nell'atto di far riverenza al padrone che giunge, sul viso di
Matteo (chè così avea nome costui) era volta in altrettanta mestizia.
Niccolò, senza entrar seco in molte parole, andò innanzi colla sua
brigata in una saletta terrena ov'erano accesi i lumi, e che malgrado
le cure del fattore serbava evidenti tracce di disordini recentemente
accaduti. Al tanfo di racchiuso, solito alle stanze poco abitate,
s'univa un odor di mosto o di vino: in terra macchie d'umido, rottami
di stoviglie, chè il buon Matteo colto improvviso, non avea avuto tempo
a spazzare: e sulla più larga parete, ov'era nel mezzo rozzamente
dipinta l'impresa di Firenze, scudo bianco col giglio rosso, si vedean
disegnate malamente col carbone le forche in modo, che il detto scudo
occupasse il posto dell'impiccato. Sovr'esso, nell'atto di manigoldo,
era figurato un uomo con una corona di imperatore sul capo, ed accanto,
sulla scala ove suoi porsi il frate confortatore del giustiziato, un
altro fantoccio che dal triregno si capiva dover rappresentare un
papa, con chè l'ingegnoso artista avea voluto figurar l'imperatore
Carlo V e papa Clemente VII, che d'accordo davan lo spaccio alla città
di Firenze, ed in quest'opera, alla nobiltà del pensiero, corrispondeva
pienamente quella del disegno. Attorno pe' muri era tutto imbrattato
di parole scritte parimente col carbone in modo e con ortografia
villanesca, e che dicevano--Viva le Palle!--Moja el marzocho--Parte
Chancelliera, te porta el diavollo e la versiera ec.--
E mentre il vecchio accortosi di quest'insolenze le guardava con
notabile alterazione di volto, il fattore diceva, tutto spaventato
ancora, e quasi piangendo:
--Lo vedete, messere, que' ribaldi vituperati, come v'hanno conciata
la casa?.... E s'io son vivo, è stato miracolo espresso di Dio....
chè abbiam vedute le gran cose a questi giorni!.... io credevo che
fosse il finimondo!.... Prima, la rotta del Ferruccio, che in paese
l'archibusate eran come gragnuola fitta.... poi, que' traditori
Panciatichi a far il resto, e non c'è casa in Gavinana che non pianga;
non c'è casa che non abbian rubata.... con ferite e morti di tanti
poveretti.... già, credo io, non saranno rimaste qui insieme cento
persone, chi è fuggito, chi è morto,.... e chi rimane sta in paura
di peggio. Io non volli fuggire.... egli è pur obbligo mio guardarvi
la roba vostra; e son venuti qui dentro a far gozzoviglia, ed hanno
dato fondo a quanto ben di Dio c'era in casa.... e poi, ubbriachi
come majali, picchiate a me, alla Caterina, e queste porcherie su pe'
muri.... e sapete che mi hanno detto? «Quando tornerem qui, se troviamo
che punto punto tu abbi tocco codesto muro, noi t'impiccherem per la
gola dov'è questo scudo.» E però io, poverello, non son stato ardito di
ripulirlo.
--Se tu non lo fosti, ben io lo sarò--disse Bindo dando di piglio con
istizza ad una granata ch'era in un angolo, e disponendosi a cancellare
quelle sozze figure, ma Niccolò lo rattenne dicendo:
--Noi partiamo, Bindo, e quest'uomo dabbene rimane; chi lo difenderebbe
se que' ladroni venissero per fargli dispiacere?.... Ai vinti, gli
oltraggi.... È questo il nostro pane oramai.... a non volerli patire
bisognava saper vincere.... e noi non abbiam saputo.--
Il fattore ringraziò con uno sguardo Niccolò, e col cuore Iddio, chè
veder Bindo colla granata in aria, ed aversi già lo spago al collo gli
parea tutt'una cosa.
Era intanto comparsa la Caterina con qualche cosarella per cena: e chi
non avesse saputo che la casa era andata a sacco, l'avrebbe indovinato
vedendo quell'imbandigione, chè tutta consisteva in un'insalata, un
pezzetto di cacio, e due pan neri, che l'uno neppur era intero. La
povera donna, scura e macilenta in viso, cogli occhi gonfi e rossi
apparecchiava, senza parlare, e metteva ogni tanto lunghi sospiri; e
dopo quelle prime e brevi parole nessuno aprì più bocca, e rimaser
pensosi sedendo su una spalliera che era tutt'in giro confitta nel
muro; e questo silenzio parea tanto più mesto, chè nessuna voce,
nessuno strepito s'udiva neppure al di fuori, benchè fossero nel cuor
della terra, poco lontani di piazza. Il canto d'un gallo, o l'abbajar
d'un cane avrebber almeno dato segno di cosa viva, ma quel desolato
borgo aveva aspetto di cimitero; e tanto più parea tale, che il vento
entrando per le finestre aperte portava un puzzo di sepoltura, del
quale spiegò Matteo la cagione, dicendo:
--Dopo la battaglia eran in piazza meglio che 1200 morti: per non durar
fatica a portarli fuori, gli hanno sotterrati costà dov'erano.... ma
per far presto, non avranno indosso tre dita di terra.... Dio faccia
che que' morti non ammazzino ora i pochi vivi, e non ci si metta la
morìa!--
--E tra costoro, domandò Niccolò con impeto, sarebbe mai confuso il
gran Ferruccio?--
--No, messere, egli è stato sepolto in disparte sotto la gronda del
fianco della chiesa.
--Sapresti tu insegnarmi dove?--
--Io so quando voi vogliate; chè anch'io fui comandato con un monte di
marrajuoli, ed ajutai cavar la fossa.--
--Menamici tosto. Venite figliuoli, che noi facciamo questo poco
d'onore al maggior uomo che nascesse mai in Firenze.--
Rizzatosi il vecchio arditamente e senza mostrare stanchezza, uscì co'
suoi e colle due giovani, chè anch'esse, benchè non richieste per
riguardo alle fatiche sofferte, vollero venir a prostrarsi sull'onorata
sepoltura. Matteo precedeva per la via stretta, con una lanterna, che
mostrava col piccolo e vacillante chiarore, molte case, e forse la
più parte, aperte, abbandonate dagli abitatori, e di alcune gli usci
eran divelti, e giacean buttati a terra lungo le mura. Disse Fanfulla,
riconoscendosi a un tratto:
--Qui toccai quella nespola sull'orecchio, e in questo poco spazio, a
veder che danza era quel giorno!... e qui, vedete.... qui proprio! il
Commissario con quella fila di capitani si cacciò a capo sotto tra'
lanzi!...--
Niccolò, raccogliendo con avidità le parole di Fanfulla, non si
stancava di domandargli di tutti i particolari, non tanto della
battaglia, quanto del Ferruccio; chè appunto allora erano sboccati in
sulla piazza e si trovavan nel luogo delle sue più mirabili prove.
Trattenutisi così un buon poco, senza curarsi del puzzo che qui, più
che mai, gli ammorbava, proseguirono attraversandola per condursi alla
chiesa, e nel camminare sentivano la terra tutta smossa, e talvolta
affondarvisi un poco l'orme, e le donne rabbrividivano pensando che
cosa calcassero.
Matteo finalmente si fermò rasente il fianco dell'antica chiesa e,
deposta in terra la lanterna, disse:
--Qui è stato posto quel bravo signore.--Si vedeva sul suolo uno
spazio lungo e largo quanto un corpo umano di alta statura, ove la
terra difatti appariva rivoltata di fresco, e dall'impronta che
serbava di suole di scarpe, e di piedi nudi, si conosceva che l'avean
diligentemente pigiata. Niccolò, vedendosi proprio sotto gli occhi
quella terra inzuppata ancora del sangue del suo amico, dell'uomo che
per esso era l'ideale, il sublime di quanto vi può esser al mondo di
virtuoso e di grande, cadde ginocchioni su quella fossa, preso da un
tremito in tutta la persona, e chinandosi col capo baciò quel terriccio
umido, e v'appoggiò poscia la fronte, rimanendovi immobile; e tutti
quanti i suoi fecero lo stesso. Si sentiva il povero vecchio gemere,
sospirare, ed alla fine si sciolse in pianto. Racquetatosi poi un poco,
alzava il volto e le mani al cielo, dicendo:
--Oh! se dai santi e beati luoghi, ov'è ora gloriosa quella
grand'anima, essa non isdegna calar uno sguardo su questo tenebroso
mondo, essa vedrà forse questo mio pianto... vedrà che di quella città
per la quale sparse il suo sangue sino all'ultima stilla, siam pur
venuti, noi profughi almeno, a fargli quest'ultimo onore, quel solo
che per noi si potesse nella nostra presente miseria.... Ferruccio,
Ferruccio, ha ad esser questa dunque la tua sepoltura? Ed i Medici,
omicidi della patria, l'avranno cotanto onorata in S. Lorenzo? Si
vergogneranno essi di lasciarti quivi? Porranno almeno una croce sulle
tua ossa? una pietra che dica: _Qui giace Ferruccio_?--
Così parlava Niccolò, ed il tempo ha mostrato s'egli avesse una
giusta idea della generosità medicea che lasciò le ossa del Ferruccio
dov'erano: non pose loro sopra nè croce, nè sasso, e non l'ebber mai
sino ad oggi, tantochè, neppur per tradizione, si serba memoria del
luogo preciso ove giace il fortissimo e virtuosissimo tra i toscani.
Ciò sia detto per incidenza, e queste parole vadano a chi debbono
andare[70].
Poi, a un tratto, dolendosi d'aver formato un tal desiderio,
aggiungeva, quasi riprendendo se stesso:
--Ma che dico? Esco io di cervello? Quasi avessi tu bisogno de'
costoro onori!.... se l'abbiano.... li serbin pure per le loro ceneri
scellerate, chè anco sotto i monumenti di marmo saprà ben trovarle nel
dì finale la vendetta di Dio! E tu intanto, se puoi udirmi, spirito
valoroso, goditi questo nostro umile omaggio, e sappi che di tanto non
potran mai vantarsi le tombe de' tuoi e de' nostri nemici!.... sappi
che insin che duri il mondo sarà più onorata pe' generosi la terra di
quest'umil fossa, che non l'insolente ricchezza de' loro sepolcri!....
Sappi, che quell'onta, che avran creduto farti lasciandoti in
quest'angolo inonorato, si volgerà per essi in altrettanta infamia appo
i secoli e le generazioni future, chè a sottrarsi all'infamia non han,
viva Dio, trovato ancora i tiranni forza che basti!--
Mentre Niccolò con passione grandissima ed in modo quasi ispirato,
profferiva queste parole, che la sua famiglia inginocchiata e riverente
udiva, tutta intenta a lui solo, s'avventaron di sotto il portico della
chiesa sei uomini d'arme colle spade sguainate, seguiti da forse 50
contadini armati di picche, falci o bastoni, e prima che i sorpresi
potesser pure avvedersi di quest'assalto, si trovarono in terra sotto
un monte d'uomini, colle punte delle spade o delle picche sul viso, od
appuntate alla gola ed al petto, presi e tenuti da cento mani; oppressi
sotto le ginocchia ed i piedi di molti; ed una voce, alzandosi di mezzo
gli assalitori, gridò:
--Chi si muove è morto. Voi siete prigioni del papa!--
Ed intanto quegli sgherri avean violentemente strappate le spade e
l'altr'arme ai giovani, ai quali non sarebber certamente falliti nè
l'animo, nè il volere di difendere Niccolò, colla certezza ancora
d'esser tagliati a pezzi; ma la rovina che cadde loro addosso
improvvisa tolse loro materialmente il poter muover un dito, non che
venisse lor fatto di valersi dell'arme e della persona.
Le donne avean levato un grido, che da mani villane venne tosto
soffocato, non meno che da bestiali minacce; e prima che un solo di
que' ribaldi si fidasse a levarsi di dosso agli uomini che si teneano
sotto, altri ficcandosi tra mezzo quel viluppo di gambe e di braccia,
con funi di che s'eran provvisti, ebber presto legati i prigioni, così
validamente, che ben appariva in qual conto gli avessero; legati che
gli ebbero, lasciaron che si rizzassero.
Chi potrebbe dir l'ira, lo sbalordimento, il terrore di que' miseri
perseguitati, vedendosi così fuor d'ogni aspettazione venuti in podestà
de' loro nemici, quando appunto tenevano oramai più sicuro lo scampo?
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