Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 35

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hanno in dispregio e ci chiamano poi traditori, codardi.... e se in
cambio d'ajutarli aveste ajutato i vostri fratelli, credete voi che
il guadagno fosse minore? E lo fosse anco!.... la gloria, l'onor
della vostra nazione, non siete voi sicuramente tali da averlo in
dispregio... E quanti son poi i nemici che abbiam a combattere?....
Son forse milioni d'uomini, che sien dieci contro uno di noi?.... Son
poche migliaja. E non siete qui voi? Le bande italiane non son esse
quasi la metà di questo campo.... e se gl'italiani che son dentro
le mura s'uniscono a voi, non basterete a sterminar una volta questi
saccomanni assassini? Per quest'effetto, io e questi miei compagni, e
qui Fanfulla, che è l'onore della nostra professione, vi ci siam vanuti
ad offerire per combattere, e vincere o morire con esso voi, e quando
avremo attaccata la mischia, usciranno dalle porte i nostri a percuoter
per fianco ed alle spalle i nemici, e sì che una volta abbiamo a far
casa pulita di questi ladroni.
--Ora, col nome di Dio, chi ha core in petto, chi ci vuol stare a quel
ch'io propongo, alzi la mano; e chi non vi vuoi stare.... faremo senza
esso. Evviva le bande italiane! Evviva Firenze!--
Lamberto, nel cacciar questo grido, sguainava la spada, e sollevandola
sul capo la faceva guizzare in cento rapidissimi mulinelli, ed in
tutta la folla che gli stava a piedi, e che sin allora era stata come
un musaico di visi, ora non si vedeva se non mani che s'agitavano,
e molte brandivano spade, picche ed archibugi, ed al tempo stesso
s'alzavan grida feroci di viva Italia! morte agli Spagnoli!....
tantochè mostrandosi così pronto ed espresso il consenso di quelle
genti, Lamberto saltava a terra tutto allegro da quel gabbione, ed
insieme co' cognati, con Fanfulla e con quanti eran seco venuti di
Firenze, s'andavano a porre attorno allo stendardo della compagnia
per formar l'ordinanza, mentre i capitani e gli altri ufficiali delle
bande sollecitavano a radunare e disporre i loro uomini, che con gran
prestezza e senza disordine nessuno (all'uso de' vecchi soldati) si
rannodavano ognuno intorno alla propria bandiera.
Ma che faceva intanto il Vitelli, capo di queste genti? che faceva D.
Ferrante Gonzaga, capitano dell'esercito, vedendo questo moto, udendo
questi rumori, che davan segno d'un'imminente sedizione, e forse
d'un'aperta ribellione?
Facevano all'incirca come, con certe mandre di cavalli e puledri mezzo
salvatici delle campagne di Roma usano i loro guardiani; i quali
le guidano e se ne fanno ubbidire alla meglio che possono nei casi
ordinarj; ma quando talvolta, qualunque ne sia la cagione, il diavolo
entra in corpo a quelle bestie e si scompigliano a un tratto, correndo
e sbuffando, colle nari aperte ed a coda ritta, e s'azzuffano tra loro
a morsi, a calci, con mille strani guizzi e mille volate, allora il
guardiano s'ingegna colla voce, col gesto di rimettere un po' d'ordine,
sempre però girando attorno, e tenendosi ad una prudente distanza da
quella mischia, e quando poi vede che tutto è inutile, sta a vedere, ed
aspetta che abbian finito.
Così appunto fece D. Ferrante: ed ai capitani di quel secolo accadeva
assai sovente di voler comandare e di esser comandati colla peggio
de' poveri popoli presso i quali si guerreggiava, cui, oltre i mali
ordinarj ed indispensabili, venivan poi addosso cento malanni eventuali
cagionati dalla sfrenatezza e dall'indisciplina delle milizie.


CAPITOLO XXXII.

Eran già quasi due ore di sole quando le bande del Vitelli, alle quali
s'erano accostate tutte l'altre italiane del campo, si trovarono in
punto di prender le mosse per condursi ad affrontar gli spagnoli.
Il cielo spazzato dal temporal della notte splendeva d'un bel turchino
diafano e netto, che si sfumava all'orizzonte in una tinta dorata e
vaporosa sulla quale spiccavano lunghe strisce di nuvole leggermente
posate sulle creste de' monti: pe' fianchi di queste, le ombre portate
dalle nubi, si stendevano in aspetto di macchie turchino-scure, mentre
le parti percosse dai raggi del sole si vestivano di caldi e variati
colori onde si tinge la campagna in sul finir della state. L'atmosfera
tutta era come un mare di luce candida e purissima, che lasciava
minutamente discernere anco gli oggetti lontani, tantochè gl'italiani
radunati a Giramonte eran veduti distintamente da tutti i punti del
campo, d'onde i soldati concorrendo sui luoghi alti, sulle trincee, su
ogni sporto della collina, stavano ad osservare quel movimento, come
spettatori ad una festa, tutti curiosi ed allegri di veder un qualche
bel fatto.
Sulla spianata della Torre del Gallo, che a poca distanza domina
Giramonte, era D. Ferrante Gonzaga, Alessandro Vitelli, il conte Pier
Maria e molti de' primi dell'esercito, e considerando, tutt'altro che
allegri, la gravità di quel disordine, stavan goffi ed attoniti nella
forma appunto di quel mandriano che ci servì poc'anzi di paragone.
Vedevan come cominciava la cosa, ma non potean prevedere come sarebbe
finita, e sapevan ch'egli è de' soldati come de' puledri (anche qui la
similitudine combina) cominci uno a far il matto, e coll'esempio ne fa
scatenar cento.
Dall'altra parte, le bande spagnole alloggiate per la costa sotto
Bellosguardo e M. Uliveto, avvisando quel che a loro danno si
preparasse, sollecitavano ad allestirsi, armarsi, e mettersi in ordine;
quantunque assai di mala voglia si trovassero al punto d'azzuffarsi
cogl'italiani, non per viltà di animo, ch'erano ardita ed ottima gente,
ma perchè invece di far quistione, avrebber preferito mettersi tutti
d'accordo per entrare a forza in Firenze e metterla a sacco.
Non potendo risolversi a rinunziare alla speranza di questo
benedetto sacco, stabilirono mandare a D. Ferrante due de' loro
capitani, pregandolo ad interporsi, e rimettendosi in lui per quelle
soddisfazioni che, salvo il loro onore, avessero a dare agli italiani
per rappacificarli, e cancellar ogni passata ingiuria. Si mossero i due
messi, e, giunti alla Torre del Gallo, esposero al capitano la loro
ambasciata; egli l'ascoltò di mal umore, colle braccia intrecciate sul
petto, ed alla fine diceva adirato:
--Chi volete voi che possa far capir la ragione a quei demonj!.... siam
proprio in tempo, alla fediddio!.... Guardate!--
E difatti in quel momento appunto, s'empieva l'aria delle grida di
costoro, della voce de' capitani che ordinavan la mossa, del batter
fragoroso e celere de' tamburi, dell'acuto fischiar de' pifferi... Si
vedeva quelle profonde e serrate battaglie (chè non si usava allora
l'ordine sottile delle moderne fanterie) tutte ispide e lucenti
d'alabarde e di picche, all'incirca come il pettine d'uno scardassiere
volto sott'insù, si vedevano, dico, dar que' primi crolli gravi ed
ondulati d'uno squadrone che prende la mossa, s'udiva il sordo e
regolare percuotere di tanti piedi, e per dir il vero, l'aspetto di
quelle genti non dovea dar molta speranza che s'avessero a poter
frenare o volger come si volesse colle sole parole.
Le battaglie intanto venivan scendendo la costa ora di fronte ed
intere, ora piegandosi e rompendosi talvolta, e poi tosto rannodandosi
secondo volevano i luoghi o la giacitura del suolo, ma sempre ordinate.
Innanzi, ed ai fianchi del grosso d'alabardieri ond'eran formate,
venivan più radi buon numero d'archibusieri, reggendo colla manca
il calcio della loro arme appoggiata sulla spalla, e colla destra
portando la forcina e la corda accesa: alcuni invece d'archibusi
tenean ritti colla punta all'insù grandissimi spadoni a due mani, di
quelli che, appesi in oggi per ornamento nelle nostre sale, cavan di
bocca a chi per la prima volta li vede, quella novissima esclamazione:
«Che braccio dovevano avere i nostri vecchi!».... I capitani ed i
sergenti, camminando in atto bravo innanzi alla fronte colle spade
sguainate, e con targhette o rotelle al braccio, tutte intarsiate e
miste d'oro, con una frangia intorno all'estremo lembo, ed un'acuta
punta nel centro, vestivan corsaletti e cosciali d'acciaio, sotto i
quali scendevano in larghe pieghe sino al ginocchio calzoni raccolti
pel lungo da strisce di panno, mentre le gambe coperte d'una calza
stretta alla carne mostravan tali muscoli da non lasciar sospetto
che potessero mai venir meno a nessuno sforzo. Non parliamo de' visi
abbronzati, fieri, veramente marziali, dalle barbe, da' baffi ridotti
a non mostrare se non occhi e naso, nè dello strano atteggiarsi, del
muoversi da bravaccio che era ne' modi de' soldati di quella età....
per dare una idea di così minuti particolari, non meno che del modo
d'ordinarsi degli eserciti d'allora, val più il pennello che la penna,
ed un' occhiata alle pitture del Vasari in Palazzo Vecchio, o a qualche
incisione del secolo XVI, spiegherebbe assai più d'ogni descrizione.
Mentre queste genti si movevano così sicuramente all'assalto, parve
però a D. Ferrante non ci stesse dell'onor suo lasciar seguire un tanto
disordine senza pur muovere un dito per impedirlo; e non curandosi di
compromettere la sua autorità, che pur sapeva non esser molta sopra
l'esercito, salito su un suo muletto, e seguito da Vitelli e da pochi
ufficiali, scese ad incontrare gli ammutinati. Giunto vicino ad essi,
alzò la mano, accennando ai tamburi di sostare, e mostrando voler
parlare, ma nè i soldati gli badavano, tirando pur innanzi, e piuttosto
guardandolo in cagnesco, e così i capitani, nè i tamburi cessavano dal
battere, ond'egli alzando la voce procurava superar quel frastuono,
ma soltanto qualche parola, qualche sillaba senza senso potè, per dir
così, sormontare e salvarsi dal generai naufragio del suo discorso.
Ma potè ben egli udire invece di molte ed ingiuriose parole che gli
vennero scagliate di mezzo alle file da polmoni che sapean dirla con
vantaggio co' tamburi e co' pifferi, ed una voce di toro fu udita
gridare fra le altre: «Levati, levati, mangia ranocchi!» alludendo ai
molti che si trovan negli stagni di Mantova, patria di D. Ferrante.
Visto alla fine ch'egli dava in nonnulla, si levò di quest'impresa
disperata, e volto dispettosamente il muletto, ritornò di donde
era partito non senza un poco cortese accompagnamento d'urli, di
schiamazzi e di fischiate.
Giunte le bande sul piano di Baroncelli, luogo nel quale sorge in oggi
Poggio Imperiale, d'onde con poca via erano per iscender ove vedean
gli spagnoli apparecchiati ad aspettarli, si fermarono un momento per
ristringere l'ordinanza.
In una delle prime file eran Averardo e Vieri, armati di due lunghe
partigiane, ed accanto a questi, venivan, cogli archibusieri, Lamberto,
Fanfulla e Bindo. Mentre ognuno osservava e metteva in punto le
sue armi, l'uno affibbiandosi più stretta una correggia, un altro
allacciandosi meglio il morione, soffiando taluno sulla corda onde non
si smorzasse, ed i capitani rivedendo le file e facendo mutar di luogo
ora questo ora quello, secondo parea loro venisse meglio, riguardo
alle stature ed alle forze d'ognuno, Lamberto veniva osservando
l'aspetto degli spagnoli attellati in fondo alla piccola valle, al di
là della strada Romana che pel lungo la divide. Vedeva que' serrati
squadroni d'uomini di mezzana statura, è vero, ma robusti, tarchiati,
invecchiati nelle guerre, e i migliori fanti che fossero allora in
Europa, e prevedendo quanto terribile sarebbe stato lo scontro, sentiva
grandissima apprensione per Bindo, che gli stava innanzi a tutti e
non trovava luogo, come un barbero alle mosse, smanioso d'attaccar
la battaglia. Volerlo ritrarre?.... neppur pensarci. Lamberto fece
d'occhio a Fanfulla, e senza parlare, per non esser udito dal
giovanotto, espresse così chiaramente col volto e col gesto l'idea
«stiamogli vicino e difendiamolo» che Fanfulla l'intese benissimo,
ed accennò due o tre volte di sì col capo, con tale espressione, che
valeva assai più delle parole.
Contento così Lamberto, si volse ai soldati, che, per tacito consenso,
avendolo udito così animosamente parlare, lo tenevano in quella fazione
quasi in conto di capitano, ed alzando la voce, per esser udito da
quanti più si poteva, disse con volto pieno d'una nobile e fiera
allegrezza:
--Orsù, fratelli, ci siamo.... Ci siamo una volta a poter combattere
non per chi ci paga, e ci dispregia insieme, ma per noi finalmente,
per la nostra nazione, per decidere, viva Dio, se veramente meritino
gl'italiani d'essere il bottino di tutti i popoli, il ludibrio e lo
scherno di tutto il mondo. Sia benedetto Iddio, che per una volta mi
è toccato combatter contro genti, tra le quali non vedo un sol volto
italiano! Ora, non vi dico altro... Firenze ci guarda.... ci guarda
tutto il campo, il fiore di tutti i bravi d'Europa.... chi si pentisse
è a tempo.... vada con Dio.... chi ama la patria, l'onore, la gloria,
mi segua, e se do addietro m'ammazzi.--
I tamburi batterono la marcia, ed al grido di _viva Italia!_ che
scoppiò ripetuto mille volte, si mossero tutte insieme le bande,
e scendendo velocemente colle picche spianate giunsero al basso,
attraversarono la strada e si serrarono addosso agli spagnoli che,
immobili, e rispondendo viva _Espana_, ad arme parimente abbassate,
gli aspettavano; colle bandiere gialle e vermiglie ondeggianti, con
un rumor di tamburi, di pifferi e d'altri militari istrumenti che
andava al cielo, ed al quale rispondevan l'eco e le grida lontane di
tutto il campo. Prima che le due truppe nemiche si congiungessero era
già incominciato il tempestar dell'archibusate, e vedevi or qua or là
i soldati fermarsi, calar veloci l'archibuso sulla forcina, sparare
e rimettersi tosto in via ricaricando; e quegli squadroni che poco
innanzi si discernevano così splendidi e netti, cominciavano or qua or
là ad esser velati, ed interrotti da globi di fumo che comparivano a un
tratto, si ravvolgevano candidi e densi, e si sfumavan tosto diradati e
dispersi dal vento.
Ma quando la prima fila delle bande italiane, coll'impeto suo proprio,
e con quello che le aggiungeva da tergo la profondità delle battaglie,
venne a dar di cozzo nelle genti di Spagna, sorse un nuovo e più alto
fragore di ferri, d'arnesi, d'armi percosse, simili a quel cupo e
sonante ruggito del mare quando rompe lontano in una lunga scogliera,
o piuttosto allo scroscio tremendo di due grosse navi da guerra che
s'urtano gettate l'una contro l'altra dalla tempesta.
Tra quelli che miravan dall'alto questo terribile spettacolo cessarono
a un tratto le grida, cessò ogni voce, guardando tutti intenti e
maravigliati quelle due masse d'uomini combaciati e prementesi l'una
contro l'altra, così che non ne formavano oramai che una sola; le
vedevano ondeggiare, ora perdendo, ora riguadagnando il terreno,
piegandosi or innanzi ora indietro quella selva di picche per mezzo la
quale, seguendone i moti, sventolavan tra i lampi del ferro, pennoni,
stendardi, pennacchi di mille colori; vedevan nel mezzo ove era più
stretto e furibondo il combattere, guizzar rapido, errante e confuso il
luccicar dell'armi, che maneggiate velocissimamente, riflettevano in
mille modi i raggi del sole; vedean tratto tratto in quella calca farsi
dei vani pel cader repentino de' feriti o de' morti, ma in un baleno si
riempivan i voti, chè altri calcando i caduti senza guardar se fossero
amici o nemici, n'occupavano il luogo, e spesso per cader loro sopra
dopo pochi momenti. Quando il fumo sorgendo a caso più denso in qualche
parte, spandeva l'ombra sua sui combattenti, apparivano i tiri degli
archibusi più spiccati in quello scuro, con un saettar fitto e lucente
di lingue di fuoco, che impallidivano poi o sparivano affatto ove a
quell'ombra succedesse la luce del sole.
Malgrado l'enorme e discordante fracasso prodotto dall'incessante
scarichìo di moschetti, dal batter celere de' tamburi, dagli urti,
dalle percosse scambievoli, ed anzi vincendo questo frastuono, s'alzava
tratto tratto un terribil grido di vittoria da quella delle due parti
cui pareva ottener sull'altra un qualche vantaggio, ed ora il grido
d'_Italia_, ora quello di _Espana_ risuonava per l'aria ed era accolto
dagli spettatori con altrettante grida e schiamazzi, e batter di
mani come usavano gli antichi stando nel circo a veder i giuochi de'
gladiatori.
Ma questo spettacolo, che veduto in distanza appariva splendido, ed
aveva in se, sto per dire, un non so che di gajo pel lustrar dell'armi,
la ricchezza de' colori e de' fregi, e per la bellezza del cielo che
lo rischiarava, veduto d'appresso era oltre ogni dire terribile e
doloroso. L'accanimento della mischia, pel quale i soldati si lasciavan
trapassare dall'alabarde piuttosto che cedere un palmo di terra,
facea sì, che ai caduti era maggior ventura venir a terra morti che
non feriti: a questi toccava una fine più disperata mentre spiravan
l'anima nell'ultime angosce calpestati da tanti piedi; e s'udiva tra
le gambe de' combattenti (chè vedere non si poteva per la gran calca)
urli rabbiosi, bestemmie, gemiti, grida dolenti, e talvolta qualche
voce pietosa invocare Iddio. Il sangue, per essere il suolo un poco
in pendìo, veniva qua e là uscendo a piccioli rigagnoli dalle file
raccogliendosi in pozze ne' luoghi concavi e bassi, tante eran già
state le morti da un'ora o poco più che si combatteva, senza che si
potesse ancora in verun modo prevedere a chi dovesse rimaner l'onore
della giornata.
Ma non era possibile che una così furiosa battaglia durasse a lungo
indecisa; e stava oramai per traboccar la bilancia.
I nostri giovani, che insieme con Fanfulla avean combattuto tra' primi
con quell'ardire e quell'impeto che si può immaginare, chè combattevan
sempre stretti allo stendardo, tutti trafelati, pieni di sudore e di
sangue, tra mucchi di cadaveri, pei quali male potean maneggiarsi ed
appena trovavano ove fermare i piedi, chè il suolo, anco ne' luoghi
scoperti, non era se non una mota sdrucciolevole e sanguigna, vedean di
fronte tra un folto di nemici sorgere lo stendardo maggiore delle bande
spagnole retto da un banderaio, uomo di terribile aspetto, e, cosa rara
tra loro, di statura altissima e di colossale struttura.
Lamberto, conoscendo esser venuto quel critico momento dal quale nelle
battaglie viene decisa la vittoria, che riman sempre a chi lo sa
cogliere, fatto un cenno a Fanfulla, che in quel momento tirava a sè
con forza la spada, per riaverla dal corpo d'uno spagnolo che aveva
abbattuto, dicendo:--Han' sett'anime e un'animuccia come i gatti! e
finchè non battono il muso, non c'è verso che vogliano morire!--
Lamberto, dico, gridav'ai suoi:
--Alla bandiera, valentuomini, a terra quella bandiera, e la giornata è
nostra!...--
E lanciandosi tutti insieme come leoni verso la parte accennata, egli
il primo, con quella sua incredibil prestezza e bravura, senza che da
nessuno de' nemici si trovasse modo di ripararlo, mise una stoccata nel
ventre al banderajo, e seguitando innanzi, coll'elsa della spada lo
spinse in terra, e con esso lui la bandiera, che essendo grandissima
e spiegata, pel vento, coperse di molti soldati, i quali, impedita
così la vista, nè potendo maneggiarsi e combattere, si posero, mentre
cercavano di sottrarsi a quell'impaccio, in qualche confusione; come
sul cassero d'una nave accade alla ciurma, ove fiaccando l'albero la
copra, cadendo colle vele tutt'in fascio.
I nostri non perdettero un momento, e spingendosi sotto, quali colle
daghe, quali co' coltelli, fecer sì che pochi di codesti impacciati
poteron liberarsi, e caddero quasi tutti trapassati da cento ferite
gli uni sugli altri in un monte, tantochè, fattasi un poco di piazza,
Lamberto, afferrata la bandiera, la capovolse ficcando in terra la
punta dorata che avea sulla cima, e rattenendo pel braccio Bindo, che
si gettava su' nemici sopravvegnenti d'ogni parte, gli disse:
--Tieni forte questa bandiera, chè, viva Dio, noi abbiam vinto!--
Conobbe il buon Lamberto, che intorno a quell'insegna stava per sorgere
l'ultimo e più terribil contrasto, e dando al giovinetto l'onore di
tenerla, veniva sotto questo colore a porlo nel centro de' suoi, e nel
luogo meno esposto della battaglia.
Difatti si strinsero d'ogni parte in questo luogo gli Spagnoli, veduta
a terra la loro bandiera, ma da ogni parte ugualmente vi concorsero
gl'Italiani, con tremende e lietissime grida di vittoria, in modo
che si fece un gruppo d'uomini tanto stretto e calcato intorno a
Bindo, rimasto a formarne il centro, che riusciva oramai impossibile
usar l'aste o le spade, ed a stento, co' pugnali, venivan a corto, ma
con rabbia e sforzi grandissimi, gli uni sugli altri, per dir così,
succhiellinando per ferirsi; e spingendosi e lottando crocicchiavan
piegati gli uni contro gli altri i bracciali, gli scudi, i petti di
ferro, sentendosi ognuno sul viso il frequente ed infocato anelito
del nemico che si trovava a fronte; e la vita o la morte dipendeva
dall'aver il primo la fortuna di trovar di sotto, ed alla cieca, al
pugnale la via d'entrare; onde talvolta accadeva, tra due che a denti
serrati, co' visi accesi e furibondi, stesser così frugando per darsi
la morte, veder a un tratto spegnersi il vampo d'un di quei volti,
illividire, errare, stravolte le pupille, e cadere arrovesciato il
capo, mentre il cadavere imprigionato in quella stretta tardava spesso
a venire a terra più d'un momento.
Ma quando appunto sono uguali le forze, l'ardire, l'accanimento tra
i combattenti, basta bene spesso poca cosa a dar la vittoria. Questa
bandiera caduta produsse effetto grandissimo ed istantaneo sull'animo
di quelli che combatte vari lontani, togliendolo agli Spagnoli ed
aumentandolo mirabilmente agl'italiani, vieppiù infiammati dal grido
incessante che udivan ripetuto di _vittoria, vittoria_, in quel luogo
ove, per lo stendardo, era ristretta ormai tutta l'importanza della
zuffa. Si videro costì prove maravigliose, tanto nel difenderlo che
nel volerlo ricuperare, e per le molte morti, diradatasi presto quella
prima stretta, tanto che gli uomini potean raggirarsi un poco e valersi
dell'arme loro, fu visto uno spagnolo, saltando al di sopra de' corpi
morti, avventarsi alla caduta insegna e giungere ad afferrarla, mentre
Bindo, colla mano che avea libera, usando la spada, lo passava fuor
fuori, e se lo stendeva morto a' piedi: ma un altro ed un altro avean
tenuto dietro al primo, gettandosi sull'asta dello stendardo, e facendo
incredibili sforzi per istrapparlo dalle mani di Bindo e di parecchi
de' nostri, che s'eran messi ad aiutarlo, pur sempre combattendo, e
facendo forza a vicenda con ripetuti crolli e strappate, e sforzi
terribili, ora cadendo, ora rizzandosi, frementi ed affannati, finchè
Averardo, che era trascorso combattendo a qualche distanza, visto
il pericolo del fratello e de' suoi, s'avventò quivi, levando più
che poteva alto sul capo un enorme spadone a due mani, che, caduto
fischiando sul più ostinato degli Spagnoli, gli fesse la cervelliera ed
il cranio, gridando ferocemente Averardo:
--Del sacco di Firenze portati a casa questo bottino... marrano!... e
mentre così urlava n'avea, con velocità di mano e furia incredibile,
morto un altro e ferito un terzo, e seguitando a menar la spada, che
s'udiva più che non si vedesse per aria, sclamava ad ogni colpo--Al
sacco!... al sacco di Firenze valent'uomini!... al sacco, che in
Ispagna aspettati la nuova!....--
L'insegna, insomma, benchè fessa nell'asta e tutta pesta, stracciata,
lorda di sangue e di fango, pur rimase in potestà degl'italiani,
che, insuperbiti per questo onore, e vedendo così a momenti, mentre
combattevano, sulle circostanti alture gli spettatori alzar le braccia
e fare sventolar panni, quasi facendo applauso alla loro impresa,
scorgendo inoltre certe bande che uscivan dalle porte di Firenze, e
stimando fosser i loro che venissero, secondo la promessa, ad ajutarli,
levaron di nuovo più alto il grido di _vittoria_ e d'_Italia_,
_Italia_, e fu tanto unito, tanto istantaneo e potente il cozzo col
quale percossero i nemici, che in questi apparvero i primi segni del
disordinarsi, e crescendo sempre l'animo e gli sforzi degl'italiani,
cominciarono gli Spagnoli apertamente a rinculare, mantenendosi e
difendendosi però sempre in modo, che non potea dirsi fossero in rotta.
--Eccoli, eccoli, gridavano i nostri giovani, ed i capitani delle bande
italiane accennando a quelle ch'erano uscite da porta S. Friano, ecco i
nostri che vengono!...--
E così cresceva l'animo e l'impeto e l'incalzare, in alcuni per
la certezza del soccorso, in altri per non lasciar che giungesse
a dividere con essi l'onore della vittoria, e gli Spagnoli sempre
più a cedere ccl arretrarsi, cosicchè alcuni cominciavano, fuggendo
scopertamente, a sbandarsi, inseguiti alla vita dai loro avversarii,
ebbri di feroce allegrezza; e per quel movimento, venendo a mutar luogo
le genti, si venne a scoprire il posto, ove aveano combattuto, coperto
da più di 600 cadaveri.
E perchè tardavan le bande uscite poco innanzi della città? Perchè
invece d'esser, come aveano stimato i combattenti, venute per unirsi
con loro, giungevan mandate da Malatesta, che le avea composte di côrsi
e de' suoi perugini a lui fidatissimi, per veder soltanto come la cosa
finisse, e tener in rispetto intanto que' soldati che avessero avuto
in Firenze pensiero di levar il rumore, ed uscir in ajuto della loro
nazione. Cotal frutto avea prodotto il foglio scritto da Troilo in S.
Marco.
Pure, anche senza questi rinforzi, la vittoria era ormai decisa per la
parte italiana; ma era scritto in cielo, che anche in quell'occasione,
il sangue di tanti onorati e generosi italiani si versasse a torrenti e
senza profitto nessuno.
I lanzi, che sommavano a più migliaja d'uomini, ottima gente,
invecchiata in sulle guerre, considerando questa fazione, come una
lite privata tra nazione e nazione per fatto d'onore, avean promesso
non intromettersi o parteggiare ne per l'una nè per l'altra, ed eran
rimasti in arme, e pronti bensì, ma oziosi spettatori della zuffa, ne'
loro alloggiamenti. Quando D. Ferrante conobbe che gl'italiani avean
la meglio, e seguivano cotanto arditamente il loro vantaggio, temè non
riuscissero a rompere allatto e distruggere i loro nemici, e quantunque
non fosse istrutto appunto del disegno ordinato da' Piagnoni per
sollevare i soldati chiusi in Firenze in favore de' loro compatrioti
del campo, ebbe il sospetto ciò non venisse naturalmente a succedere,
e vide quanto gran danno ne potrebbe avvenire al campo imperiale ed
all'impresa, condotta ormai a così prospero termine. Venuto prestamente
ov'erano i lanzi, e trovato Tanusio loro capitano, gli disse, simulando
saper certissimo ciò che soltanto dubitava, essersi gl'Italiani,
di dentro e di fuori le mura, accordati per dare addosso a quanti
forestieri militavano in quella guerra; aver cominciato dagli Spagnoli,
e se li lasciava loro tempo di romperli affatto, esser per piombare
tutti insieme sui lanzi; onde attendessero alla loro salute, e non
dicesser poi che non gli aveva avvertiti. E mentre parlava, mostrava a
Tanusio le bandiere che uscivan di Firenze, aggiungendo:
--Quegli intanto escono... con qual proposito, lo sa Iddio.... e tra
poco lo saprete anche voi...--
L'arte di D. Ferrante (e in parte pur s'apponeva) ebbe pienissimo
effetto:, e, pochi minuti dopo, dodici bandiere di lanzi, col loro
capitano alla testa, scendevano serrate e di buon passo, minacciando
alle spalle gl'Italiani stanchi, scemati di numero, e non troppo in
ordine, per la lunga battaglia, e per la sicurezza d'esser oramai
vincitori.
Fanfulla che, secondo aveva detto la notte innanzi in S. Marco,
descrivendo le qualità de' vecchi soldati, avea sempre un occhio al
gatto e l'altro alla padella, com'egli diceva, s'accorse il primo di
questa mossa; e ne fece accorti i compagni che stavan tra il sì e il
no, non potendo indovinare ancora qual fosse il disegno de' lanzi.
Ma parecchie archibusate sparate da loro, dalle quali alcuni venner
tocchi, tolsero tosto ogni dubbio, ed i poveri Italiani, presi in mezzo
ed assassinati, gridarono, _ai traditori_, ma al tempo stesso dovettero
pensare a togliersi da quel luogo ove, percossi da ogni lato, non era
più in verun modo possibile che facessero testa.
Con un movimento sulla destra, serrati, e difendendosi sempre da' lanzi
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