Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 09

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almeno rassegnata alle ragioni del figlio. Essa era povera, non avea
lettere, ma era capace di que' pensieri generosi che germogliano in una
bell'anima anche senza l'ajuto de' libri. Passato quel primo sgomento,
e considerando più pacatamente la cosa, le piacque l'idea di Lamberto
di non accettare una tanta ventura prima d'essersene reso degno.
Sentì un nobile orgoglio pensando che il figlio diverrebbe genero
d'uno de' primi cittadini di Firenze, senz'esserne obbligato soltanto
alla sua umanità: che a quell'uomo dal quale s'eran ricevuti continui
beneficj senza mai poterli menomamente ricambiare, si potrebbe pur alla
fine render merito in qualche modo, o mostrare almeno d'avervi posto
ogni studio, onde se v'era difetto s'attribuisse alla fortuna e non
a viltà di pensieri. Insomma la partenza di Lamberto venne risoluta
d'accordo.
Mentre segretamente si metteva in ordine di panni, d'arme e dell'altre
cose che gli bisognavano, parte spendendo de' suoi danari, parte di
quelli della madre, che in questo suo bisogno gli volle donare tutt'i
risparmi fatti in tanti anni; una parola uscita di bocca alla Lisa lo
confermò sempre più nelle sue risoluzioni, e ne affrettò l'esecuzione.
L'udì un giorno, parlando co' fratelli d'un giovane loro parente che
attendeva allo studio delle leggi, dire: «Quanto a me non mi pare
uomo chi non vedo a cavallo colla corazza sul petto.» Queste parole
suonarono all'orecchio di Lamberto come gli avesse detto «_Ora se vuoi
avermi tu sai quel che hai a fare_».
Due giorni dopo sulla prim'alba il giovane coperto di tutte arme
picchiava all'uscio della Nunziata, per abbracciarla e domandarle la
benedizione. Il lettore potrà facilmente immaginare gli atti e le
parole d'ambedue senza che prendiamo a descriverli minutamente. Al
momento di dividersi, la povera vecchia preso tra le mani scarne e
tremanti il capo del figlio, che avea posto in terra le ginocchia,
lo baciò in fronte, lo benedisse, e ponendogli al collo un crocifisso
d'ottone gli disse «Questo non lo lasciar mai, figlio mio, ti porterà
ventura» e Lamberto partì.
Ma prima d'avviarsi alla porta S. Gallo ov'era il suo cammino, volse
il cavallo e lo fermò al portone di casa i Lapi. Mai gli era bastato
l'animo di parlar proprio schietto ed aperto alla Lisa; ma ora il
momento del distacco, la risoluzione presa, lo facevano animoso;
quell'arme stesse che lo coprivano, già gli pareva sentire l'avessero
mutato in tutt'altro uomo, e forse (era così giovane!) godeva mostrarsi
alla Lisa tutto lucente di ferro, e pensava: quando sarò lontano e si
ricorderà di me, mi vedrà colla spada e la rotella, e non con quel
maladetto braccio e quei maladetti broccati.
Smontò da cavallo, e su per le scale risolutamente giunse alla
loggia dell'ultimo piano. Lisa alzatasi pur allora era uscita con un
infrescatojo ad annaffiare i suoi fiori prima che levasse il sole.
Le parole furon pronte e brevi.
--S'io ritorno, disse Lamberto tenendosi a due passi dalla giovane, e
colle mani giunte in atto di preghiera, s'io ritorno sarò degno di voi,
s'io non ritorno... vorrà dire che Lamberto vostro avrà perduta la vita
per meritarvi. Ove ciò sia, avrete memoria di me? Se Iddio mi serba a
miglior fortuna, sarete contenta aspettarmi?--
Lisa s'era appoggiata al muricciuolo della loggia, chè quella comparsa
improvvisa, quell'arme, le parole del giovane gravi e tenere al tempo
stesso, le aveano messo in cuore siffatto turbamento, che le ginocchia
le tremavano.
Sentì velarsi la vista da una nube dì lagrime, e rispose sotto voce
volgendo il capo in altra parte:
--Sì, povero Lamberto!--
Stesa poi la mano ad un vaso di rose tutto in fiore, ne colse una, la
diede a Lamberto, e fuggì nelle sue camere.
Lamberto in un momento fu in istrada: il moto del salire a cavallo
sfrondò la rosa, ed un po' di vento che soffiava ne disperse le foglie.
Lamberto tutto sbigottito le guardava volare tremolanti e spandersi
all'intorno.
Si pose in seno, sospirando, il gambo e le fronde verdi che rimanevano,
e spronò al suo viaggio col cuore stretto ed il pensiero a quella rosa
che tanto poco era potuta durare intera.
Non lo deridiamo, povero giovane! quando il cuore si trova a questi
passi, un'inezia basta ad affliggerlo come a consolarlo.
La Lisa intanto aveva narrato il successo alla sorella, e presto
Niccolò ed i fratelli seppero anch'essi la partita di Lamberto. Saliti
nella sua camera trovaron, lasciata sulla tavola, una lettera per
Niccolò: in essa il giovane dopo avergli rese le grazie ch'eran dovute
al tanto bene che avea avuto da lui, dopo avergli chiesto perdono
s'egli partiva senza toglier commiato, e senza aver da Niccolò, come
da padre, la benedizione, gli si apriva interamente, dichiarandogli che
nonostante il grande amore nutriva per la Lisa, non ostante le benigne
parole del padre, egli non era però tanto cieco da non conoscere
quanto la persona sua fosse inferiore alla ventura che gli si voleva
far sperare: che gli sarebbe parsa gran villania, e troppa indegna
riconoscenza dei tanti beneficj, il valersi sul momento della generosa
profferta che Niccolò gli faceva per effetto di sua buona natura: che
andava a porre in opera tutte le virtù dell'animo e le forze del corpo
per mostrare almeno al mondo che s'egli era persona umile e povera avea
però spiriti e pensieri meritevoli di miglior fortuna. Pregava poi la
Lisa ad aver qualche memoria di chi tanto fedelmente l'amava, e ad
aspettarlo un pajo d'anni, sperando potere, prima che fosser trascorsi,
farle udir tali novelle che avesse a dire: _Lamberto è divenuto un
uomo_.
E ciò lo scrisse con un frego di sotto, volendo riferirsi alle parole
della Lisa.
Niccolò per la sua fiera natura amante de' caratteri forti,
rimase ammirato del partito preso da Lamberto; e quantunque molto
glien'increscesse non si sapeva saziare di lodarne l'alta cortesia.
E la Lisa considerando che il giovane soltanto per amor suo andava
incontro a tante fatiche e a tanti pericoli, colta nel lato debole del
cuore, crebbe agli occhi suoi proprj, e sentì che potea andar superba
d'un tale amante.
Per ogni donna che sia del carattere della Lisa, è ben raro che l'amor
proprio appagato non ischiuda la porta all'amore: ed in quei primi
momenti udendolo desiderare e lodare da tutti le parve amarlo e forse
l'amava realmente. Interrogata da Niccolò in quel primo calore, rispose
ch'era contenta aspettarlo, e nella sua inesperta semplicità, già le
pareva vederlo tornare signore d'un reame.
Ora vuoi sapere, o lettore, chi aveva posto in animo a Niccolò il dire
ciò che disse a Lamberto? Era stata la buona Laudomia, che accortasi
del suo amore, e stimandolo gran ventura per la sorella, avea con
quella sua celeste bontà, cancellato tosto, o rinserrato almeno nel più
profondo del cuore, ogni pensiero di se stessa, per occuparsi soltanto
del bene della Lisa e di Lamberto, che da quel punto amò sempre come
gli fosse stato fratello.
Tanto è vero che a questo mondo, vivon talvolta nascoste in qualche
angolo ignoto, anime di eroi, a petto alle quali Alessandro, Cesare, e
tanti altri simili a questi, son pure la povera e la meschina razza!
e la differenza è presto capita. I secondi tormentaron gli altri per
giovare a sè. I primi tormentan se stessi per giovare agli altri.
Faceva l'anno dacchè Lamberto era partito, nè, da una prima lettera
in poi ove diceva essere agli stipendj del sig. Filippino D'Oria e
militare sulle sue galee, s'era potuto saper altro sul fatto suo. Si
cominciava a dubitare non fosse capitato male, e nel cuor della Lisa la
sua immagine s'andava cancellando per la lontananza, per l'incertezza
dell'evento, e più di tutto perchè l'immagine di Troilo veniva
occupandone il luogo. Si può pensare se alla buona Laudomia, recasse
dolore veder quel Lamberto che il suo cuore avea saputo così bene
conoscere e pregare, cui avea però rinunciato con tanta virtù per farne
felice la sorella; quel Lamberto che avea lasciato patria, parenti, agi
ed amici, ed avea mostrata tanta altezza di pensieri per amor di essa,
vederlo, dico, posto in obblìo così presto per un pazzarello, per un
cortigiano scannapane, per uno di quella parte dalla quale erano venute
addosso a Firenze, e sulla sua casa cotante sventure. Laudomia era
gelosa dell'onor di Lamberto, e non potea patire di vedergli fare un
così gran torto; questa era la più potente cagione per la quale tanto
l'offendevano i portamenti della sorella.
Nè potendo più reggere alla passione e tacere, una sera sull'imbrunire,
in quell'ora che più di tutte può dirsi l'ora della confidenza,
trovandosi sola con essa in camera, le prese le mani e le disse quasi
piangendo--Oh Lisa! ed il povero Lamberto!.... la sua fede!.... il suo
amore!.... l'hai proprio dimenticato del tutto?.... Alle quali parole
Lisa ne rispose poche e brevi, ma amare e superbe. Laudomia tacque,
uscì di camera, e trovatasi sola pianse dirottamente, come si piange
quando, sulla virtù, sui pregi di persona che s'ami si è costretti a
dire: «Io m'era ingannato!»
Ma venne ben presto il tempo in cui quella freddezza che sentiva per
essa scomparve e si cangiò in compassione, in premura più calda, più
tenera che mai. Verso il finir di maggio Niccolò si condusse colla
famiglia ad un podere ch'egli aveva presso il Poggio a Cajano, villa
de' signori Medici. Egli ed i figli venivano di continuo a Firenze
per loro faccende, onde spesso le due sorelle rimanevan sole con una
vecchia fante detta Mona Fede, buona, ma credula e di corto ingegno che
non si potea trovar peggio.
Una mattina Laudomia che soleva dormire colla sorella, svegliatasi
a levata di sole, non se la trovò più allato. Pensando fosse scesa
in giardino per goder l'ore fresche, v'andò; ma non v'era, e neppure
la fante, tantochè non sapea che pensare. Dopo un pezzo comparvero
ambedue, ma come sbigottite e scompigliate, e pareva parlassero e
rispondessero a sproposito. Laudomia cominciò a tremare, e condottasi
in camera la sorella, le domandò affannata che cosa l'avesse così per
tempo condotta fuor di casa, e che volesse dir quel suo sbigottimento.
Diede, l'incauta giovane, in uno scoppio di pianto, e buttandosele al
collo disse: «Sono sua moglie!».... Laudomia all'udir quelle terribili
parole che suonarono al suo orecchio come la profezia d'interminabili
sventure, rimase senza respiro: e coprendosi il viso colle mani
potè dir solo «Ah sciagurata, che cosa hai fatto!» Visto poi che in
quel momento non avrebbe potuto ricavar altro dalla sorella, corse,
per chiarirsi, alla fante, e con parole affannose ora pregando,
ora sgridandola, pur alfine fece parlare quella povera vecchia, che
maravigliandosi molto di veder tanto turbata la Laudomia per questo
fatto, non restava di dire che Troilo era un gran gentiluomo, e molto
onorato partito per la Lisa, e che se avea voluto far le cose così in
segreto, co' signori non bisognava guardarla tanto pel sottile, avendo
anch'essi le loro fantasie, e che Niccolò alla fine si sarebbe poi
trovato contento, ed altre simili sciocchezze.
Insemina, per dirla in una parola, la cosa era fatta, ed il turpe
modo, il lettore lo conosce: ma nessuna di quelle povere donne lo
conosceva, anzi la fante per vieppiù rassicurare la Laudomia, narrava
particolarmente la cerimonia esaltando la cortesia dello sposo ed
affermando essersi eseguito il tutto colle debite regole in chiesa col
prete, i testimonj ec., tantochè l'animosa giovane conosciuta niuna
cosa esser più vana ed inutile, che disperarsi quando il male non ha
rimedio, prese il savio partito di volger tutte le cure a prevenirne le
tristi conseguenze. Il suo primo pensiero, ed il consiglio che diede
alla Lisa fu gettarsi tosto a' piedi di Niccolò e confessargli il
tutto, ma non le bastò l'animo di seguirlo. Rade volte chi ha bisogno
di un tal consiglio è capace di mandarlo ad effetto. Si spera coprire
colla simulazione un primo fallo, ma quel male che conosciuto tosto
amine Merebbe rimedj, ignoto si fa incurabile. Se Lisa avesse dato
retta alla sorella, avrebbe avuta ad incontrare senza dubbio la prima
furia di Niccolò, ma poi volendo questi aver in mano le prove della
validità del matrimonio si sarebbe scoperta la vile ribalderia che
v'era sotto; diveniva facile, ed in tempo il rimedio, e la misera Lisa
non sarebbe finita.... Ma narriamo le cose per ordine.
Il cuore umano è talmente impastato dell'amore di se stesso, che
le anime più nobili anch'esse, in parte almeno gli vanno soggette.
Laudomia udito il caso della sorella non potè non pensar subito «Dunque
Lamberto è libero!» Ma fu tanto dolente di aver avuto un tal pensiero
quasi per primo, le parve cosa tanto abbominevole e vile aver potuto
trovar bene a se stessa nella colpa della sorella, che nell'innocente
sua semplicità già si teneva per una perversa, e piangeva amaramente.
Raddoppiò le premure per Lisa, e le pareva quest'aumento di tenerezza
le alleggerisse il cuore, stimandolo quasi un risarcimento del torto
che credea averle fatto. Colla speranza che il tempo offerisse poi una
qualche occasione favorevole di dare miglior piega alle cose, scelse
per partito migliore (dacchè a ogni modo era pur moglie di Troilo)
ajutarla a tener quest'unione celata ed agevolarle i modi onde talvolta
segretamente potesse trovarsi con suo marito.
La cosa andò così innanzi più mesi con poca soddisfazione però della
povera Lisa che potea vederlo ben rare volte per la soggezione in cui
vivea: costretta poi a premere i suoi dispiaceri e vivere in continuo
sospetto, s'era dimagrata, avea perduto il fiore giovanile, e non
pareva più quella di prima.
L'appassire della sua bellezza le era di tanto maggior dolore, quanto
le era parso avvedersi d'un certo raffreddamento per parte di Troilo,
ch'essa amava invece ogni giorno più ciecamente. Prima, quando non gli
riusciva accostarsele, si mostrava però a lei in istrada, in chiesa,
ovunque potesse: poi le era sembrato che piano piano andasse rimettendo
di queste premure. La povera giovane si sentiva, com' è naturale,
pungere da' sospetti; pensieri di gelosia tanto più tormentosi quanto
meno era in grado di saperne il vero, le pullulavano in cuore;
tutt'insieme menava vita meschina e malcontenta, e coglieva pur troppo
presto gli amari frutti dell'errore commesso.
Ma l'infelice era appena in principio de' suoi guai. S'accorse in modo
da non poterne dubitare che presto non sarebbe più sola a portar la
pena del suo fallire.
Quel momento aspettato bensì, ma pure pieno di tanto nuova allegrezza,
di tanta trepida sollecitudine per le spose novelle, fu per la povera
Lisa come l'annunzio d'una sventura. E qui nuovi motivi e nuove
difficoltà per celarsi; aumento di patimenti pel presente, aumento di
timori per l'avvenire.
È inutile distendersi nel minuto racconto dei modi tenuti da ambedue le
sorelle per celare in quegli ultimi giorni d'angoscia e di dolore prima
la madre, poi il bambino. L'esperienza ha più volte mostrato poter
passar segreti ed inosservati fatti simili a questo anche in famiglie
nelle quali vegli l'occhio materno: in casa i Lapi poi fu cosa agevole
celarsi a Niccolò, lontano le mille miglia da cotali sospetti, tutto
avvolto ne' pensieri della città e della mercanzia, spesso fuor di
casa, e, quando vi era, sempre racchiuso nelle sue stanze terrene.
Ma questo segreto custodito con tanto studio, e per tanto tempo,
per poco non si venne a scoprire per cagione della Lisa medesima.
Per quanto Laudomia e la fante la scongiurassero, non vi fu verso a
persuaderla si separasse dal suo bambino per confidarlo ad una balia.
In un carattere più docile codesto amore, quantunque bello e virtuoso,
si sarebbe però piegato sotto la quasi assoluta necessità, ma essa
volle: e trovata opposizione volle con tal impeto, con tali smanie, che
facendo dubitare della sua vita in quei momenti di sfinimento, bisognò
pure arrendersi e contentarla. Ma allora fu indispensabile aprirsi ad
altra donna. Sotto colore che pel governo de' panni bisognasse una
fante di più, fu presa in casa una giovane d'un sesto assai lontano, la
quale venutavi col bambino della Lisa ne fu creduta madre e si teneva
l'allattasse.
Per non esser in casa altro che uomini i quali avean il capo a
tutt'altro, anche questa andò bene.
Bensì, Niccolò e taluno de' figli udendo talvolta su in alto i vagiti
del bambino dicevano alle giovani «Che domin siete andate cercando di
metterci in casa questa tristizia! Mancan eglino donne in Firenze?» Ma
la cosa tosto si quietava.
Gli uomini la dicevano, e le donne la facevano a modo loro: come
accade per lo più nelle famiglie quando tra uomini e donne si discute
circa le cose domestiche.
Troilo intanto malgrado la cacciata de' Medici, e l'abbassamento
della parte Pallesca, era rimasto in Firenze con buon numero de' suoi
consorti, e vi s'andava mantenendo per trovarsi a portata, ove gli
venisse fatto, di giovare ai suoi signori ed alla parte.
Quando poi i capitani di Carlo V rupper guerra a' Fiorentini
apertamente, cresciuti i sospetti nel governo pei quali si mostrava
ognora più rigido verso i fautori della famiglia sbandita, parve a
molti di questi tempo oramai di fuggirsi. Il seduttore della Lisa
partito anch'esso segretamente, si condusse al campo degl'imperiali,
che facean la massa a Fuligno: non potè, o non volle far motto alla
figlia di Niccolò, prima di lasciar Firenze: le scrisse però in modo di
consolarla e racquetarla alquanto. Non essere, scriveva, atto di leale,
e d'onorato gentiluomo romper fede a' suoi signori, ed abbandonarli
nella mala fortuna; stesse di buon animo, avesse cura di se, del loro
piccolo Arriguccio; sperasse tempi migliori; poi proteste di amore,
giuramenti di non esser giammai per mancarle ecc....
Quanto fosser sincere queste espressioni è difficile giudicarlo, poichè
non sempre anche gli effetti contrarj, sono sufficiente argomento per
asserire sieno state usate con animo di mancarvi.
Il fatto stà però, che da quella lettera in poi o Troilo non volesse
farsi sospetto ai suoi con mostrare di tener pratiche in Firenze, o
realmente fosse già spenta del tutto nel suo cuore ogni idea di virtù,
d'onore, di compassione per la sua vittima, essa non ebbe più nè
lettera nè riscontro veruno che le desse nuova de' fatti suoi: e se
ne vivesse malcontenta e sconsolata vel potete immaginare. Soltanto
dopo parecchi mesi, quando già i nemici erano a campo sotto Firenze,
venne a sapere pel canale di certi prigioni, che Troilo era in campo, e
militava fra i gentiluomini del principe d'Orange.
Allora cominciò la meschina ad aprire gli occhi ed a tener per certo
che Troilo fosse a lei traditore come lo era alla patria. «Esser così
vicino, pensava, e non farmi aver una linea di scritto, non farmi dir
una parola? Ah fossi io dov'è egli! fossi ne' suoi panni! saprei ben io
trovare i modi!»
Laudomia che aveva concepiti gli stessi sospetti anche prima della
sorella si sforzava però di nasconderli, e di scusare il creduto
cognato; e talvolta trasportata dal desiderio non si potea risolvere a
crederlo ribaldo e sciagurato a quel segno.
Quantunque s'ingannasse, poichè è impossibile immaginare più vile
ribalderia di quella colla quale avea tradita la Lisa, pure non era
forse nato per esser uno scellerato, ed avrebbe per avventura avuti
i semi di molte virtù se non gli avesse soffocati un vizio più di
tutti pericolosissimo, la vanagloria. Questa passione la più credula
ed al tempo stesso la più fallace conduce l'uomo direttamente al
fine opposto di quello che gli promette, soprattutto s'appiglia ai
cervelli leggieri. Troilo per sua disgrazia se l'era dato vinto fin da
fanciullo: e trovandosi presto in compagnia d'uomini tra i quali il
vizio fruttava onore, la virtù dispregio, si diede a quello non tanto
per propria inclinazione quanto per vanagloria.
Il tradimento fatto alla Lisa venne da lui ordito e condotto a fine per
potersi vantare d'aver vinta una prova. Vero è ch'egli in principio
l'amava, o piuttosto (per non profanare una tal parola) gli era
piaciuta la sua bellezza: forse lasciato ai propri pensieri, non si
sarebbe mai condotto a farle cotale inganno: ma uccellato da compagni,
che lo deridevano avesse tanti rispetti ad una popolana, figlia d'un
Piagnone sagrificò barbaramente ad una meschina vanità l'onore di
quell'infelice, e la pace d'una famiglia onesta e dabbene.
Ora che il lettore ne conosce le tristi vicende, torniamo ove Niccolò
sedeva fra suoi nella forma descritta al principio del capitolo
antecedente.


CAPITOLO X.

Posto fine al ragionamento ch'egli avea tenuto sotto voce col
Castiglione, il conversare divenne generale, e si ravvolgeva sugli
affari del Governo, e sui partiti da prendersi, che quivi sotto
l'influenza de' Frati di S. Marco, e di Niccolò, quasi in anticipazione
delle pubbliche discussioni, si concertavano.
Come accennammo al capitolo V, era stato mozzo il capo al Cocchi per
inconsiderate parole a pro de' Medici. Messer Ficino Ficini, caduto
nello stesso errore, fu preso, posto al tormento, e condannato alla
medesima pena. La sentenza doveva eseguirsi appunto in quell'ora, nel
cortile del bargello, a lume di torchj, ed il discorso tenuto da messer
Bernardo con Niccolò s'era aggirato sul caso di costui. Poco stante
un tavolaccino della Signoria bussò alla porta di casa i Lapi; fu
introdotto, entrato, si volse a Niccolò e disse:
--Il magnifico gonfaloniere vi fa sapere che in questo momento è stato
mozzo il capo a messer Ficino; è morto molto da buon cristiano.--
--Stà bene, rispose il vecchio senza scomporsi, ed il tavolaccino uscì.
Ma gli astanti, e le donne più di tutti, si scossero a quest'annuncio,
e premurosamente tutt'insieme domandarono per qual causa si fosse fatta
cotal uccisione.
--Un nemico di meno a questa città, rispose Niccolò; egli fu tanto
ardito di dire pubblicamente che Firenze era stata meglio sotto le
palle che a popolo: chi si mostra traditore colle parole sarà da
aspettare venga ai fatti?
Tutti abbassato il viso e lo sguardo, tacquero. Fra Benedetto alzò gli
occhi al cielo con un sospiro raffrenato. Le due giovani colle due mani
abbandonate sul lavoro guardavan sgomentate or gli uni or gli altri. Il
Ferruccio scostandosi dal cammino e buttandosi su una sedia diceva:
--Così avessimo stiacciato il capo al serpe, come ora si cerca di
stiacciargli la coda, e la città non sarebbe a questi termini,... ma
gli uomini pagano spesso i loro errori colla vita, ed i popoli colla
libertà. Se alla calata di re Carlo nel 94, Piero e' suoi consorti, e
tre anni sono Ippolito ed Alessandro si fossero non cacciati ma spenti,
si risparmiava il sangue di molti con quello di pochi.... I Pisani ci
dicon ciechi per via delle colonne di S. Giovanni! Han ben altre e più
potenti cagioni di chiamarci tali!.... Non abbiam saputo vedere che
per i Medici il più sicuro confino e in S. Lorenzo!....[21].
Alle rigide parole del Ferruccio, che pur troppo avevano in se una
parte di vero, tutti rimasero pensosi e muti per qualche minuto. Era
venuta intanto l'ora in cui per costume della famiglia si faceva in
comune la preghiera della sera. Alzossi Niccolò, si volse a Bindo, il
quale inteso il cenno uscì e poco dopo introdusse una brigata di operai
e di fattorini del fondaco di Niccolò che avean costume ritrovarsi
a queste preghiere, e che s'inginocchiarono taciti e riverenti in
sull'uscio. Il vecchio trasse d'un forziere un libro di preci, e
porgendolo a Fra Zaccaria gli disse:
--Più d'una volta in tempi men tristi il nostro glorioso Fra Girolamo
fece l'uffizio che state per far voi;.... quanto sovente qui in questa
camera ci diceva: «figliuolo, verranno i flagelli, converrà patire,
combattere, ma poi _Florentia renovabitur_»!.... La prima parte della
profezia è avverata, preghiamolo ora c'impetri da Dio l'adempimento
della seconda; ottenga pace e libertà questo popolo, e chi combatte per
esso incontri gloriosa vittoria, od onorata morte.
--_Amen_, rispose Fra Zaccaria. Prese il libro, e postosi ginocchione
sotto la nicchia ov'eran le ceneri del Savonarola, gli altri si
inginocchiarono intorno per la camera. Dopo le solite orazioni pregò
per le anime di coloro che già avean lasciata la vita nell'assedio,
e più particolarmente per quella di Baccio. Niccolò, al nome del
figliuolo, fu visto congiunger le mani in atto di fervida preghiera, ed
alzar gli occhi al cielo pieni d'una serena rassegnazione.
Fra Zaccaria intanto per le parole dette poco prima dal vecchio, e
per la vista della tonaca di Fra Girolamo, nella quale fissava gli
sguardi, si sentiva ribollire in cuore più fervidi i pensieri di Dio e
della patria. Per l'uso continuo avea facile il dire all'improvviso,
chè niuno ebbe allora più di lui dalla natura l'eloquenza ardita e
concitata del tempo, e l'animo inclinato ad usarla. Nel finir la
preghiera il suono della sua voce si veniva facendo più alto; finita
che l'ebbe, senza volgersi nè interrompersi proseguiva dicendo:
--No, non saranno disperse dai venti le tue parole, o glorioso Fra
Girolamo, ed i nemici di chi confida in Dio diverranno polvere e
cenere. _Exurgat Deus et dissipentur inimici ejus_! Ecco già s'adempion
le tue profezie! La mano di Dio già s'aggrava sulla sventurata Firenze.
Ora è tempo d'esclamare al Signore, di spargersi di cenere, di correre
a penitenza. Ora è tempo d'armarsi di costanza e fortezza, onde
impetrare che s'avveri la misericordia, come s'è avverato il flagello.
Volgiamci all'unico re nostro, e nostro Signore Gesù Cristo....
Ricordati, esclamiamo, che questo popolo t'ha scelto per solo suo
re[22] Vedi che i tuoi nemici già vengono per toglierti il regno, per
porsi sul tuo glorioso trono, fatti scudo a questo popolo che non vuol
esser d'altri che tuo. Non sei tu quel Dio forte e geloso che s'adirò
contro Israele quando chiedeva un re? Non sei tu quello stesso che
al profeta Samuele diceva _Non enim te abjecerunt sed me, ne regnem
super eos_! Non sei tu quel Dio che volendo usare agli ingrati ebrei
un'ultima misericordia, dicesti loro per mezzo del Profeta:
_Et constituet sibi tribunos et centuriones, et aratores agrorum
suorum, et messores segetum, et fabros annorum et curruum suorum._
_Filias quoque vestras faciet sibi unguentarius, etc._
Son pur queste, seguiva, le tue minacce contro chi si volea sottrarre
al tuo imperio: Sii tu dunque giudice, o sommo Iddio, fra te ed il tuo
popolo, e s'egli combatte per obbedire a te solo, per non piegare il
ginocchio a Dagon ed a Belial, combatti dunque con noi, salvaci dalla
spada degli Amorrei e degli Amaleciti, _Exurge, exurge Domine_, e sian
dispersi i tuoi ed i nostri nemici.--
Queste parole dette in modo quasi profetico, potenti perchè profferite
da chi li credeva, destarono fra gli astanti un fremito d'approvazione.
Niccolò, che si sentiva ancor nelle vene il calor de' trent'anni ove
si trattasse di patria e di Palleschi, afferrò pel braccio il Ferruccio
e diceva fremendo:
--No, perdio, non c'entreranno in Firenze que' maladetti; e finchè
vivrete voi, fortissimi giovani, finch'io sarò vivo, le Palle non
cacceranno il Giglio. Co' nemici di fuori la spada, con quei di dentro
la mannaja. Ben c'insegnava il nostro Fra Girolamo nella congiura
di Bernardo del Nero, come si tolgon di mezzo i traditori. Vollero
guerra a morte, e se l'abbiano, ed il loro scellerato sangue ricada
sovr'essi!....
--Guerra a morte, ripeteva ferocemente il Ferruccio, odio e maledizione
eterna a tutti i Palleschi! Così potessi con questa (e batteva
sull'elsa) spaccare il cuore di quanti sono dentro e fuori le mura!--
Niccolò, i suoi figli ed il Castiglione risposero a queste parole di
sangue con un riso sinistro. Fra Benedetto pensò sospirando:--In che
tristi tempi mi tocca a vivere!--Fra Zaccaria ebbe appena con un primo
moto del volto mostrato d'approvare il Ferruccio, che tosto mutato viso
abbassò le ciglia e tacque.
Ma chi sentì poi adatto darsi come una coltellata nel cuore fu la
povera Lisa, e serrando le ciglia malamente verso il Ferruccio stava
per dirgli--«Si può esser buon cittadino senza aver animo e parole di
beccajo» Ma la divina Laudomia che avea letto nel suo cuore, conoscendo
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