Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 26

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ed inespugnabili; e quando conobbe di non poter esservi sforzato, si
diede a molestare i nemici che tenevano i castelli circonvicini, con
frequenti ed ardite fazioni, per le quali venne presto in grandissimo
grido, ed ottenne il favore della Signoria e dell'universale.
A questi giorni egli aveva scritto a' signori Dieci, esponendo
minutamente il disegno di nuove imprese che avea in animo di fare: e
fra l'altre, quella di S. Miniato al Tedesco, allora occupato dagli
Spagnoli. Domandava ajuti di cavalli, ed a quest'effetto Amico d'Arsoli
e Jacopo Bichi ebbero l'ordine di cavalcare alla volta d'Empoli con
100[48] uomini d'arme, tra i quali per la ribalderia di Troilo, venne
compreso anche Lamberto, che seco trasse Fanfulla e Selvaggia nel modo
narrato nell'antecedente capitolo.
Quando giunsero in piazza S. Spirito, trovaron la compagnia già a
cavallo, ordinata in battaglia su due file, volta la fronte alla
chiesa, la destra un pò in disparte, quattro trombetti, ed innanzi
sullo spazzo, i due condottieri Jacopo Bichi ed Amico d'Arsoli, coi
loro banderai e due sergenti. Lamberto ed i suoi compagni erano gli
ultimi a giungere, e mentre attraversavan la piazza di buon trotto per
andar a porsi in fila cogli altri, Amico d'Arsoli gridava loro dietro:
--Animo, animo! perdio!--col dolce modo che conosce chi nel mestier
dell'armi ha dovuto ubbidire ad uno di que' vecchi soldati, rigidi
sulla disciplina, che hanno in orrore soprattutto la specie, detta dai
Francesi _trainards_.
Radunata così la compagnia, e fatto dal sergente _l'appello_ per veder
se nessuno mancasse, l'Arsoli, tratta la spada, volse il cavallo, dando
ad alta voce l'ordine del muoversi.
--Per due dalla destra.... Avanti!--
E così alla sfilata, pel Fondaccio, vennero al ponte alla Carraja, ed
alla porta al Prato, d'onde uscirono alla campagna, procedendo verso
Signa.
La notte era serena, l'aria sottile e rigida, e splendeva uno
stellato scintillante come accade sovente in inverno. I soldati co'
loro mantelli di panno oscuro camminavano di buon passo formando due
lunghe file brune sullo sterrato della strada leggermente imbiancato
dalla brina, ed il silenzio non era interrotto che da poche parole
bisbigliate tratto tratto fra vicini, o da qualche bestemmia scagliata
quando un cavallo sdrucciolava, ed il cavaliere lo puniva con un buon
pajo di spronate.
Lamberto, giunto all'ultimo in piazza, s'era posto alla sinistra della
compagnia, e secondo l'ordine della mossa, si trovava ora alla coda.
Questa, per un curioso fenomeno, osservato senza dubbio da quanti tra
miei lettori ebbero a militare, debbe sempre, ove voglia tenersi unita
alla testa, camminar più veloce di essa. Egli era perciò costretto
ogni tanto, cogli altri soldati del retroguardo, a levar il trotto,
finchè giungessero alle groppe di quelli che li precedevano: e poi di
nuovo a poco a poco restavano addietro, e di nuovo pungendo i cavalli
racquistavano la perduta distanza: ma per durare in questa alternativa
un po' a lungo sarebbe stato necessario ch'egli avesse avuto il capo a
ciò che faceva, e non istesse, come in effetto stava, col pensiero a
Firenze.
In ogn'altra occasione, quella partenza notturna, per una fazione
pericolosa e d'importanza sarebbe stata per esso una vera festa; ma
a quel punto (e chi sarebbe tanto severo da condannarlo?) egli si
sentiva invece pieno il cuore d'un lutto, d'una mestizia indefinibile,
parendogli vedere in quest'improvviso impedimento l'infallibile indizio
d'una fatalità che lo perseguitasse: per sè solo poco l'avrebbe curata,
ma oramai come separare dal suo destino quello di Laudomia?
Intanto la testa della compagnia, varcato già da un pezzo il ponte a
Signa, era giunto ove la strada prende pel poggio verso Malmantile,
e serpeggia per un buon tratto chiusa tra gli scoscendimenti della
collina vestita di folte boscaglie. Quando Fanfulla s'accorse che
stavano per entrare in quelle gole, passo pericoloso, e molto a
proposito per tendervi agguati, previde, siccome pratico, che i
capitani avrebber voluto prima di porvi il piede rannodare la
compagnia, e far precedere esploratori.... Non trovandosi accanto
Lamberto, si volse, e lo vide che veniva molto lontano. Torse la
briglia, e di galoppo gli si fece incontro, gridandogli:
--Lavorate di sproni, messer Lamberto, se non volete sentirne quattro
dall'Arsoli.... in quella bocca di forno dove siam per metterci, non è
muso da patire che gli uomini suoi si sbandino....--
Si scosse Lamberto, spinse il cavallo, raggiunsero la compagnia, e
con essi Selvaggia, che era rimasta sempre a fianco del giovane senza
mai trovar modo e coraggio di scoprirsegli, o dirgli pure una parola.
Si rodeva ora d'aver perduta quell'occasione, che s'era procurata con
tanto studio e tante fatiche, ripromettendosi di non esser un'altra
volta cotanto timida e dappoco: e mentre appunto giungeva a mettersi in
fila coi compagni, la truppa, al comando dell'Arsoli, fece alto.
Egli avrebbe avuto mestieri di fanti spediti, onde ricercar le
soprastanti macchie, ed assicurarsi il passo:, ma non avea se non
uomini d'arme carichi di ferro, che mal potevano arrampicarsi per
quell'erte. Gli convenne dunque contentarsi di far precedere otto
barbute a guisa d'antiguardo, e quando pensò che potessero aver oramai
varcato i passi di maggior pericolo, si mosse col resto delle sue genti
ed entrò fra quegli scoscesi gioghi, che nell'oscurità apparivano a
modo di masse opache, addentellate in cento bizzarri contorni ove le
vette spiccavano sullo stellato del cielo.
La compagnia saliva di buon passo serrata insieme, ed ogni soldato
s'era sciolto dal mantello per aver le mani libere e pronte; l'Arsoli
ed il Bichi precedevano francamente colla lancia alla coscia, e l'eco
ripeteva lo scalpito de' cavalli, e l'urtarsi a minuto delle staffe e
degli stinieri.
Il conversar sommesso, ma tranquillo, che s'udiva qua e là tra le file,
mostrava la sicurtà di quelle genti nell'occasione che suol mettere a
maggior prova l'animo de' soldati; cioè quando sovrasta un pericolo
oscuro, indefinito, e contro il quale non valgon l'armi o le difese,
qual era appunto in quest'occasione, ove una debol mano di nemici
avrebbe potuto dall'alto col solo rotolar sassi disfarli senza rimedio.
Ma costoro avean da un pezzo promesso alla patria il sacrificio della
loro vita, e la promessa l'attennero quasi tutti a Gavinana, ove l'ossa
loro onorate non sono ancora a' nostri giorni, ridotte in polvere
affatto, ed arrestano talvolta ne' campi la marra del contadino, che
non sa quanta virtù, quanta gloria calpesti.
La fortuna che colà gli aspettava, vergognandosi forse di dar loro
quivi una morte tenebrosa e senza vendetta, non avea condotto agli
agguati nemico veruno, onde passaron liberi; e varcati sotto l'antico
castello del Malmantile, scesero su M. Lupo e si trovarono presto fuori
di quelle foci, ove incomincia il Pian d'Empoli, allargandosi il Val
d'Arno fra più lontane e men aspre colline.
L'ordine tenuto nel tratto di strada ov'era sospetto di pericolo, si
rallentò di nuovo a poco a poco quando la truppa si trovò in luoghi più
sicuri ed aperti, e Selvaggia, che non s'era mai spiccata da Lamberto,
veniva a bello studio rattenendo la briglia, sperando che il cavallo
di lui, lasciato in balìa di sè dal cavaliere, venisse per naturale
istinto anch'esso a rallentare il passo, e potesse così di nuovo
trovarsi sola col giovane, risoluta questa volta a dirgli.... che cosa?
Neppur lo sapeva la poveretta, chè ora mai conosceva troppo lo stato di
Lamberto per poter conservare ombra di speranza; e palesare la tremenda
passione che la consumava a chi non potea corrisponderle se non con una
sterile ed umiliante pietà, era pur cosa dura. Ma l'amore, che viene a
patti coll'orgoglio, dovrebbe piuttosto dirsi amor proprio, e tale non
era quel di Selvaggia.
--Troverò parole, pensava, e se non ne trovassi, vedrà il mio pianto,
la mia disperazione:.... mi getterò a' suoi piedi, a quelli del suo
cavallo, che mi calpesti.... ma ch'io esca una volta di questa vita
d'inferno.--
In cotali infermi pensieri le era intanto venuto fatto a poco a poco
di rimaner addietro col giovane com'era suo disegno. L'alto silenzio
della notte, appena interrotto dal romper lontano dell'acque d'Arno, o
dal sordo abbajar de' cani ne' circostanti casali, le lasciava udire
il frequente respiro di Lamberto, che venendole a paro, senza mai
schiudere le labbra, neppur forse s'avvedeva di averla accanto. Essa
lo veniva guardando colla speranza che volgesse una volta il viso verso
lei e nascesse così occasione di dir una qualunque parola tanto per
principiare; ma la speranza fu vana. Eppure parlare bisognava.
Per fissare a sè stessa un termine a quest'incertezze che le facean
balzare il cuore in modo ora mai da non potervi reggere, notò un albero
un po' lontano piantato accanto alla strada, e disse «quando sarem là
dovrò dir la prima parola.»
Ma giunse all'albero con un battito di cuore che pareva le volesse
scoppiare nel petto, aprì le labbra, ne uscì un suono inarticolato,
ma non potè formar parola o frase nessuna, e fu cotanto potente il
contrasto che l'agitava in quel momento, tanta la smania che l'invase,
che non trovando l'inferma natura altro scampo le s'innondarono
gli occhi di lagrime, con uno scoppiar di singhiozzi tant'alto,
che Lamberto distolto da' suoi pensieri si volse presto pieno di
meraviglia, che tenendo il suo compagno un uomo d'arme, come gli altri,
gli pareva il caso assai strano.
--Oh! che cos'è questa? disse tenendo un poco la briglia, e fissando
con tanto d'occhi in volto di Selvaggia, che mal potea discernere in
quell'oscurità, quantunque avesse la visiera alzata. Ripetè due o tre
volte la sua interrogazione senza ottener risposta, e mezzo in sospetto
non fosse data la volta al cervello del suo compagno, quando alla fine
udì dirsi con voce tutta ansante, e della quale era impossibile non
riconoscesse la terribile verità.
--E s'io non ho difesa contro te.... ch'io t'ho fuggito come
volesti!.... Se non ho potuto morire.... ed ho dovuto pur ritornarti
dinanzi, che colpa n'ho io?.... Io ti seguivo zitta, senza darti
noja.... senza aver ardire di dirti una parola.... e mi pareva pure di
non esser più sola sulla terra.... e se questa smania ora m'ha vinta,
se non ho potuto pianger tanto basso che non mi sentissi, che colpa
n'ho io?.... Oramai so tutto.... ho veduto con quest'occhi.... So quel
che tocca ad una disgraziata mia pari... ma pensa!.... è l'ultima
volta!.... io vorrei.... ti domando....--
E qui non trovando neppur essa che cosa potesse volere o domandare, nè
venendole parola nessuna per terminare la frase incominciata, riprese
a singhiozzare colla fronte bassa, curva sul collo del suo cavallo,
appoggiate le mani al pomo della sella.
Alla voce, e più ancora alle appassionate parole, Lamberto riconobbe
Selvaggia, e sentì darsi una botta al cuore, ben prevedendo in quale
impaccio fosse per trovarsi. Non avendo ad offrirle nessuna specie di
conforto, avrebbe comprato ad ogni prezzo il poterla sanare di quel
pazzo ed inutile amore, e per la pietà appunto che sentiva di lei, non
v'era cosa che non avesse fatta per ritornarla in pace con sè stessa, e
vederla tranquilla e felice. Già prima di quest'incontro, prevedendolo
tra le cose possibili, era venuto fra sè stesso considerando quale
condotta gli convenisse tenere venendo il caso, pel meglio di
quell'infelice; ed avea ragionato così: «S'io le lascio vedere la pietà
che m'inspira, e prendo a consolarla con modi amorevoli ed umani, quel
suo cuore cotanto ardente, serberà sempre nell'intimo una qualche
speranza: tenendomi buono e generoso, m'amerà più che mai. Mi trovi
invece duro, superbo, incredulo al suo patire (il rimedio sarà amaro,
doloroso per essa ed altrettanto per me!) ma passato quel momento la
stima si cangerà forse in dispregio, l'amore in odio.... non penserà
più a me dopo qualche giorno, e potrò dire d'averle fatto il solo bene
ch'era in mia mano.»
Non vorremmo asserire che questo ultimo risultato non destasse un po'
di rammarico nel giovane, senza ch'egli stesso se lo confessasse, ma
comunque fosse, egli era incapace di quel puerile e brutto sentimento
che i Francesi chiamano coquetterie, e che non germoglia soltanto nel
cuor delle donne; tutto ben ponderato, stabilì dunque di seguire questo
suo divisamento, e la botta al cuore che accennammo più sopra fu quella
appunto che sente chi, avendo fermata da un pezzo una risoluzione
spiacevole ad eseguirsi, vien sorpreso all'improvviso dalla necessità
d'adempirla.
--Orsù, Lamberto, disse per rinfrancarsi mentre Selvaggia parlava,
pensa al vero bene di questa poveretta, e non a te ed al tuo piacere.--
Quand'ebbe finito, benchè sentisse lacerarsi l'anima da que' suoi
disperati singhiozzi, prese a dirle, simulando, quanto poteva,
freddezza ed ironia:
--Ma non sai tu, Selvaggia, che è proprio peccato non sii nata ai
tempi del re Arturo, e della Tavola Rotonda?... chè quest'incontri di
notte, questi amori infelici, sarebbero stati molto meglio nella selva
Ardenna, presso qualche fontana incantata, che non sulla strada maestra
d'Empoli, in mezzo a questi campi ancora pieni di fusti di saggina.--
A queste parole il singhiozzar della giovane s'era fermato a un tratto.
Lamberto ne prese buon augurio per la riuscita del suo disegno, e
proseguiva:
--Siamo nel 1529, Selvaggia mia cara, ed io sono un povero soldato,
alla buona, come tutti gli altri, e non un cavalier errante, e non mi
chiamo nè Amadigi, nè Galaor, che son morti e sotterrati da un pezzo,
Dio gli abbia in pace. Oh! che domin ti metti in capo.... ben inteso,
volendo esser persuaso che tu non vogli la baja del fatto mio....
non sai tu ch'io già sono come avessi moglie, e mi convien tenere il
cervello a casa e star pe' fatti miei, e non aver il capo a queste
avventure da paladini e da romanzi?--
--Io credevo, da quella sera in poi, là in Lombardia, in riva al Po, ti
fossero usciti codesti grilli, e pensavo avessi trovata buona ventura,
e, a dirti il vero, ero lungi mille miglia dal pensare al fatto tuo....
e invece eccola qui lei un'altra volta, fresca com'una rosa, e rieccoci
da capo!--
La povera giovane, quasi insensata pel dolore all'udir questo amaro
parlare, taceva cupa col capo basso, e Lamberto, col cuore anch'esso
come si può pensare, pure, facendosi forza, soggiungeva:
--Orsù, Selvaggia, è tempo di far senno; e già tant'è, se non vuoi
farlo tu, lo farò io. Tutte queste scene, queste commedie non si sa in
che diano, e se vorrai che questa sia stata l'ultima, io l'avrò caro
assai. Io non ti posso far bene nessuno.... lasciami dunque in pace,
che Dio ti benedica mille volte, e addio.--
--Sì, addio, e per sempre, rispose fuor di sè la giovane, nel cui cuore
lo sdegno e l'orgoglio offeso per un momento, sopraffecero l'amore; ma
sappi prima.... anima di serpe, chè altro non sei.... sappi che Iddio
è giusto.... e ti pagherà colla moneta che meriti, e ti domanderà
conto di me, che non m'avea messa al mondo perch'io fossi il tuo
trastullo.... ed anch'io, per Dio eterno! ho un cuore, ho un'anima,
ho forma umana, e non sono una biscia, un demonio. Sappi che nessun
re, nessun principe ha mai posseduto tesoro che valesse il cuore di
quest'infelice, che era tuo, e che non meritavi, disgraziato! e non
ti bastava respingerlo, hai voluto avvilirlo, insultarlo.... insulti?
oltraggi? a me? e credi esser da tanto? credi poter rider di me cui
devi la vita? Sì, sappilo, io, e non altri.... là sulla capitana di
Spagna, alla battaglia di Salerno... io ricevei nel petto il ferro di
quella picca che dovea passarti il cuore.... io, per salvar la tua
vita, vissi ne' dolori, nella miseria, nella disperazione.... ed ora
credi che possa un tuo oltraggio salire tant'alto che mi tocchi? Io
t'ho compassione, chè Iddio ti prepara quel che tu meriti, e prima di
quel che pensi.... e son io che te lo dico, e sappi che quella tua
donna, ora, in questo momento, mentre ti parlo, è forse già dove tu non
vorresti.... e t'hanno fatto partire solo per aver agio di tortela,
e tu, pazzo, non hai saputo scoprire la trappola, ed io conosco chi
te l'ha tesa, e so tutto, e non te lo voglio dire, chè ove ti fossi
portato con me in altro modo sarei stata da tanto d'avvisarti di tutto,
e persino, vedi, disgraziato, che cuore ha Selvaggia! sì, persin
d'ajutarti; ed ora, se mi facessi a pezzetti minuti come teste d'aghi
non lo saprai. No, no, non lo saprai, e quella tua Laudomia, nè Dio, nè
diavoli non la potrebber salvare. Dì, sciagurato, te lo senti ora anche
tu l'inferno nel cuore? ve lo senti una volta? Ebbene, abbivilo per
sempre, e ora anch'io ti dico addio.--
E voltar il cavallo, cacciargli furiosa gli sproni ne' fianchi, e
partir di carriera rapidissima verso Firenze, fu quanto il dire, Iddio
m'ajuti, e dopo due secondi neppur più s'udiva lo scalpitar del cavallo.
Lamberto agitatissimo per le parole udite, per l'oscuro pericolo
minacciato a Laudomia, si volse a furia anch'esso per raggiugnerla
e fermarla, ma quando il suo cavallo ebbe dato due o tre slanci,
conosciuto la cosa impossibile, ed anco rattenuto dal pensiero, ch'egli
non poteva in modo nessuno disertar la bandiera, rattenne il freno, e
tutto doloroso riprese il suo cammino.
Un momento di riflessione bastò tuttavia a tranquillarlo sull'imminenza
del pericolo: in Firenze, in casa di Niccolò, Laudomia non avea che
temere, e si persuase che (fosse pur vera la trama scopertagli da
Selvaggia) non poteva mai produrre effetto così pronto, e che queste
minacce erano state usate da essa per effetto di sdegno soltanto,
per fargli dispiacere e metterlo in sospetto: ed in ciò s'apponeva.
Tuttavia, pensò tosto, ad ogni buon riguardo, di trovar modo onde
far sapere a Laudomia ed al padre quel che avea udito, stessero in
sull'avviso, e cercassero se fosse possibile di chiarire il fatto, e
risolse, appena giunto ad Empoli, spedire un uomo apposta a Firenze a
tal effetto.
Con questi pensieri parte si rassicurava, e seguendo la sua via, sempre
riflettendo a quanto aveva udito, finiva col calmarsi interamente,
persuadendosi ognor più della vanità delle costei parole; così di
pensiero in pensiero venne considerando quanto compassionevol fosse il
fatto di quell'infelice che egli avea cotanto aspramente ributtata, pel
suo meglio, è vero, ma pure, gli pareva ora che il modo fosse stato
troppo crudele; temeva che con quella natura così sfrenata facesse,
Dio sa, che cosa: e non poterlo impedire, non poter nemmeno sapere,
per lungo tempo forse, dove, come fosse capitata! e se le accadesse
qualche disgrazia, doverne aver poi l'eterno rimorso! Stette in due un
momento di chieder all'Arsoli licenza di tornare addietro, ma ci stava
dell'onor suo il domandarla? Eran questi gli insegnamenti di Niccolò,
di porre innanzi a tutto il pensiero della patria?
Costretto da queste riflessioni a tirar innanzi, si volse a pregar Dio,
vietasse per sua misericordia, che quell'infelice fuor di senno venisse
a qualche rovinoso partito.
Mentre il buon Lamberto veniva formando questi voti, il cavallo di
Selvaggia tormentato dagli sproni che gli lavoravano nelle carni vive,
atterrito dall'agitarsi furioso del cavaliere che si sentiva sul dorso,
divorava la via colle nari aperte e sanguigne, la coda tesa, l'occhio
spaventato, sperando sottrarsi a chi tanto fuor d'ogni misura lo
maltrattava: la povera bestia crebbe la rapidità del suo correre fin
dove gli giunsero le forze, ed in pochi minuti si trovò di nuovo tra'
que' poggi ove la strada è più ripida e malagevole: qui, non potendone
più, si parò sulle quattro zampe tutta molle di sudore ed ansante, e
si pose imbizzarrita e feroce a giocar di schiena per torsi di dosso
questa insopportabile tribolazione.
Cominciò allora combattersi la più pazza, la più ostinata disfida
che si vedesse mai tra cavaliere e cavallo. Il primo colle ginocchia
serrate, saldo in arcione come vi fosse legato, dovea pur seguire
l'impulso che gli comunicavano le violenti scosse dell'animale, che
lo gettava qua e là, come accade ad un albero di salde radici e di
pieghevol cima quando il vento l'investe. Erano slanci, saltimontoni,
impennate, e lanciandosi il cavallo a un tratto ora in questo, ora
in quel lato, teneva tutta la via, e andò a un pelo più volte di non
traboccare fuori del muricciuolo che sorge sul ciglio della strada ove
il dirupo si scoscende a perpendicolo. Nessuno era spettatore di questa
strana battaglia, che durò un buon poco, finchè per istracchi vi poser
fine.
Il cavallo tutto trafelato si fermò a un tratto, agitate le ginocchia
da un tremito che pareva ogni momento avesse a cadere. Selvaggia si
pose la mano alla fronte, che grondava di sudore, e riprendendo fiato
anch'essa, si guardò intorno ed in alto, vide che l'alba già tingeva le
vette de' poggi d'una luce azzurra, e nello spazio di cielo che avea
sul capo trapassava intanto un volo di corvi, crocitando sull'ale.
Stette un momento guardandoli coll'occhio spalancato e fisso, poi,
fosse vacillazione di mente, od effetto convulso, diede in uno scroscio
di risa spaventoso ed alto che fece rimbombare quella solitudine.
Si ricordò in quel momento d'aver veduto talvolta sui campi di
battaglia stormi di codesti uccelli svolazzare lieti e loquaci tra i
cadaveri, e tutti in faccende, fare a loro modo festa grandissima della
ricca cena che trovavano nelle loro viscere, ed accecata dall'odio che
provava in quel momento contro tutti gli uomini indistintamente, dal
desiderio di vendetta contro quella razza spietata, cagione d'ogni suo
danno, disse, pur seguitando a ridere, tenendo dietro coll'occhio a
quegli aerei passeggeri, finchè l'ultimo si nascose dietro le rupi.
--Oh, Dio vi benedica mille volte, o corvi!--
Le venne in mente allora di scavalcare, e saltata a terra, si sdrajò
sulla ripa della strada e vi rimase immobile, colla mente in quello
stato, che potrebbe paragonarsi al crepuscolo, non oscurata al punto di
non conoscere il suo stato presente, e non tanto chiara da poterne dar
retto giudizio.
La terra, sulla quale giaceva, era coperta d'una grossa brina, che
presto si sciolse in acqua tutta attorno al suo corpo. La poveretta
ardeva di febbre.
Quel freddo, quel breve riposo, dopo un poco parvero ristorarla, e
le sembrò che la densa caligine dalla quale le veniva ottenebrato
l'intelletto pian piano si venisse diradando.
Si vide innanzi agli occhi Lamberto come fosse presente, udì il suono
delle sue parole, quasi le profferisse di nuovo, e disse, con quel riso
sinistro che non essendo in armonia coll'espressione degli occhi e del
resto del viso, sembra piuttosto uno stiramento convulso delle labbra:
--Oh, oh! rider di me!.... Anche gli scherni? Bada al fatto tuo,
valentuomo.... chè la cosa potrebbe andare a rovescio alla fine, ed
a me toccasse ridere, a te piangere!... Così m'ajutasse il demonio
come mi saprei ajutare, se nascesse l'occasione!... e vorrei vederlo
quest'uomo perfetto, colla sua gran virtù, colla sua prodezza, che par
che tutto sia fango a petto a lui, e quella sua donna, quell'angiolo,
quella gran cosa, vorrei vederli, che saprebber dire se toccasse
loro domandar pietà colle braccia in croce, a chi? a Selvaggia, alla
cortigiana! alla vile, alla pazza, alla sciagurata!--
Si morse il dito, ed alzandolo minaccioso lo scrollava, dicendo:
--Tutti contro me? Sia come volete. Io contro tutti!.... Chi ha più
lino farà più tela!.... e la vedremo. Hai veduto sin ora come tratti
l'amore?... All'odio adesso! vedrai com'io scherzo.... vedrai se me
n'intendo di vendetta.... lasciamici pensare appena due minuti.... eh!
io non voglio tener con te i modi soliti.... un par tuo, tanto dappiù
d'ogni altro, non debb'esser trattato come un del volgo....--
E col capo basso, le guance e gli occhi lividi ed infossati, stette
fissa ruminando mille progetti che, per dir così, si vedean passare
sul suo volto come su un cielo burrascoso trasvolano le nubi in cento
fantastiche e diverse forme, cacciate dal vento.
Si scosse alla fine come invasa a un tratto da una nuova idea: alzò il
capo e lo tenne immobile piegandolo un poco su un lato, nell'atto di
chi tende l'orecchio, quasi desse ascolto tutta intenta alla voce che
le parlava all'anima, poi disse:
--Questa sarebbe la maggior di tutte. Oh, mi riuscisse!.... ma avrò poi
cuore che basti a condurla sino al fine?--
E da quel petto, ove bolliva tanto furore, uscì pure un sospiro. Forse
le parve il nuovo progetto troppo doloroso ed enorme.... forse in quel
momento la memoria del suo amore le spicciò viva dal cuore, come accade
talvolta se si voglia soffocare sotto le ceneri un fuoco ardentissimo,
che una falda di fiamma si fa strada, guizza e splende un momento, e
poi scompare.
Poco importa del resto lo scoprir ora la cagione di questo sospiro,
che probabilmente verrà palesata a chi avrà la pazienza di finir
quest'istoria; fatto sta, che dopo averlo messo dal petto due o tre
volte si chiuse il volto colle palme, e da chi in quel momento l'avesse
considerata, si sarebbe potuto supporre, dal moto delle spalle, che
piangesse. Stata così un pezzo, di seduta ch'ell'era, si lasciò andar
supina, e rimase pur sempre colle mani sul volto, immobile, finchè dopo
lungo tempo, anche le braccia, quasi perdessero ogni forza, caddero a
terra distese lungo la persona.
Apparve allora il suo viso pallido, affilato, rallentati i muscoli
dalla contrazione dell'ira, ma serbando tuttavia l'impronta della
terribil tempesta ch'era passata su quell'anima desolata. Rendeva in
un modo l'immagine d'una campagna spazzata da un tremendo turbine,
dopo il quale sulla terra solcata dall'acqua, sugli alberi divelti e
coricati, sulla natura tutta si stenda un silenzio, una calma attonita
e sbigottita.
Alla fine, lenta lenta si rimise seduta, poi a fatica, chè si sentiva
le membra tutte rotte e sfinite, s'alzò in piedi: venuta al suo cavallo
gli acconciò le briglie, ed afferrato il crine e l'arcion di dietro
mise il piede alla staffa, e, datasi l'andare due o tre volte, non
senza stento si trovò in sella.
Prese verso Firenze, curva la persona, col capo caduto sul petto, in
atto di tanto scoramento, che non parea possibile fosse quella di
prima: e neppure il cavallo, dal mutar lento e strascicato delle gambe,
dal collo e dalle orecchie cadenti, non parea quel medesimo che avea
poco innanzi menata tanta tempesta.
Alla prima giravolta della strada scomparvero ambidue, e, col permesso
del lettore li lasceremo andare al loro viaggio, chè Lamberto ci
aspetta alla porta d'Empoli colla compagnia.
Il sole levato di poco, colla sua luce radente, tingeva già di rosato
la bianca veste di brina che scintillava sul dosso delle colline,
sugli alberi e sui tetti, lasciando le parti non illuminate in una
tinta diafana ed azzurrina, quando il soldato di guardia sulla torre
sovrapposta alla porta della terra, vide venir di lontano la compagnia,
e riconosciuto il giglio nello stendardo, diede l'avviso che era
comparso l'aspettato soccorso, e la nuova ne fu tosto arrecata al
Ferruccio.
Il commissario, già in piedi da un pezzo (chè era assai difficile
trovarlo a letto a qualunque ora si cercasse) attendeva poco lontano a
far riparar non so che ad un bastione. Udita la nuova, venne sollecito
ad incontrarli, e, fatto calare il ponte, alzare la saracinesca, ordinò
s'aprisse la porta.
Entraron le genti, con le trombe sonanti alla testa, precedute dai due
capitani, che sfilando innanzi al commissario lo salutarono coll'atto
della persona e l'abbassar della lancia.
Il Ferruccio, alto di corpo e tutto nerbo, vestito d'una cappa
bruna con istivali grossi ed un berretto, che da un lato gli cadeva
sull'occhio, stava a vederli passare, piantato sulle due gambe un poco
aperte, intrecciate le braccia al petto, la fronte alta ed austera,
sotto la quale lampeggiava quel suo sguardo sicuro che pel color delle
pupille e lo sporger del sopracciglio, era simile a quello dell'aquila.
Con un rapido abbassar del capo corrispose al saluto de' condottieri,
mentre accennando colla mano ordinava loro di distendergli innanzi in
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