Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 36

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e dagli Spagnoli, che al giunger dell'inaspettato ajuto avean ripreso
le offese, si vennero accostando ad Arno, con animo di guadarlo sotto
M. Uliveto, e farsi forti sull'altra riva nelle ville di Fiesole.
La corrente, che in codesta stagione si riduce quasi sempre umile e
bassa in un lato del letto, lasciandone asciutte e biancheggianti le
rimanenti ghiaje, s'era non poco accresciuta pel temporale della notte,
e scendeva torbida e gonfia, ma non tant'alta però, che vietasse il
passo del tutto, tanto più ad uomini forti, arditi, e che sopraffatti
da troppo esorbitante numero di nemici, non avean altra via per
ritirarsi.
Lamberto, Fanfulla e i capitani, che ancora eran vivi, scelti
prestamente i migliori soldati, li disposero in modo che, sostenendo
l'impeto degli assalitori, dessero tempo a' compagni di tentare il
guado e condursi sicuramente all'opposta riva.
Se le genti uscite di Firenze per ordine di Malatesta fossero state
invece quelle che i nostri aspettavano, era giunto il momento di
percuoter alle spalle lanzi e Spagnoli, e potea forse quest'assalto
ristabilir le cose e ricondurre la vittoria; vedendole rimanersi
immobili, senza dimostrazione nessuna di voler venir avanti, si
disperavan Lamberto ed i suoi compagni, e pur sempre combattendo,
badavan a far cenni, ordinando al banderajo di sventolar lo stendardo,
e gridando--_A noi Italia! a noi!_ Finchè accortisi che alla testa di
quelle bande era Cencio Guercio, cagnotto di Malatesta, conobbero come
stava la cosa, e caddero affatto d'ogni speranza.
La corrente d'Arno s'era intanto già ripiena di soldati, i quali
trapassavano puntando nel fondo le picche, per reggersi contro l'impeto
dell'acqua, che gorgogliando giallastra, spumante e veloce, aggiungeva
loro al petto ed al collo in molti luoghi, cosicchè non pochi ne
venner travolti, alcuni a stento s'ajutarono, e n'annegarono parecchi,
tutti poi tempestati dalla riva da una spessa grandine d'archibusate.
Tuttavia il maggior numero giungeva salvo all'opposta sponda, e non
avanzavano oramai che i nostri amici, con que' pochi che ne avean fatto
testa per proteggere il varco del fiume, e la moltitudine de' nemici
gli avrebbe certamente oppressi se fossero stati di minor valore che
non erano, o se gli Spagnoli ed i lanzi non si fossero in gran parte
staccati dal combattere per correre a svaligiare i voti alloggiamenti
degl'Italianj, che vennero mandati a sacco, arsi, e distrutti con
avidità e furore incredibile.
Ciò non ostante, quelli ne' quali più la rabbia poteva che l'avarizia,
ed eran pur troppi a fronte del piccol numero de' nostri, non potendo
patire che una mano d'uomini non tanto fosse riuscita ad arrestarli, ma
soprappiù li bravasse, moltiplicando le ingiuriose parole e l'offese,
si serrarono con nuovo impeto addosso a questi prodi che, fattisi
morti, a guisa di fiere racchiuse si difendevano. In quel momento,
trapassato da un'asta, il povero Vieri cadde morto; Averardo, che solo
de' fratelli se n'accorse, si avventò furioso contro l'uccisore, ma
toccata al tempo stesso un'archibusata, che gli ruppe la gamba destra
in tronco, cadde sulle ginocchia presso il cadavere del fratello, ad un
palmo dalla ripa che scendeva scoscesa nel fiume. Nel vedersi impedita
così la vendetta, quel suo viso, già tanto feroce, si vestì di una così
terribile espressione, arrotando i denti e fulminando fuoco espresso
dagli occhi, che l'omicida di Vieri rimase colla spada in alto come
affascinato, senza calare il colpo, ed Averardo, non potendo giungerlo,
gli lanciò la spada, che coll'elsa, lo percosse nel petto e lo fe'
traballare. Rimessosi tosto, e visto il ricco arnese del caduto, pensò,
avendolo prigione, guadagnare una grossa taglia, e si fece avanti
credendo, disarmato com'era, mettergli le mani addosso senza contrasto.
Ma appena gli fu a portata, Averardo, con un possente sforzo, rizzatosi
sulla gamba che avea illesa, gli s'avvinghiò, e, giammai orso facendo
alle braccia, non piantò così forti gl'unghioni nel dorso del suo
nemico, e tirandolo e tenendolo stretto, si lasciò cader riverso nella
corrente. L'acqua s'aperse e rimbalzò in mille spruzzi, e si richiuse
tosto sui caduti, i quali, essendo ivi le grotte assai ben alte, venner
rotolando nella melletta del fondo, e, soltanto dopo lungo tratto,
tornarono, ravvolgendosi sottosopra, e sempre strettamente ghermiti, a
galla un momento, poi, di nuovo affondatisi, più non ricomparvero.
Lamberto e Bindo, avvedutisi del fatto, e scorgendo Vieri disteso a
terra, mandarono un furibondo grido, e volendo disperatamente gettarsi
tra mezzo i nemici, al sicuro si facevano ammazzare, chè quantunque,
per un vero prodigio, non avesser toccata nessuna ferita d'importanza,
avean tuttavia in varie parti offesa la persona, e cominciavan loro a
venir meno le forze, chè da più ore combattevano sotto la sferza del
caldo, ed erangli arnesi pressochè arroventati dal sole: ma Fanfulla,
che mai non si perdeva, pel lungo uso di cotali strette, conosciuto che
non era tempo di pensare a vendicare i morti, ma piuttosto di ridurre
in salvo i vivi, trovò il modo di far che i due superstiti uscissero
di quella disperata mischia. E cogliendo il momento che i nemici
(maravigliati anch'essi del feroce atto d'Averardo) avean fatta un po'
di sosta, stando a vedere come finivan i due caduti nel fiume, disse
prestissimamente a Lamberto:
--Salviamo Bindo, chè qui è affar finito; voi di là, io di qua,
tiriamolo in Arno e passiamo, se si potrà.--
A Lamberto, che offuscato il lume dell'intelletto dal dolore della
rovinata impresa, e della morte dei due cognati, s'era risoluto affatto
di voler morire quivi ancor esso, sovvenne a un tratto di Niccolò, di
Laudomia, e gli parve troppo enorme l'idea che il povero vecchio avesse
a perder anco quel fanciullo, senza utile nessuno per la città, e,
detto fatto, preso Bindo per un braccio, mentre Fanfulla l'afferrava
dall'altro, lo costrinsero, benchè s'opponesse e facesse forza, a
saltar con essi nel fiume.
Egli era tempo; chè, rimasti pressochè soli, ogni poco che avesser
tardato, doveano o morire od arrendersi.
Gl'Italiani intanto, che passati già all'opposta riva vi s'erano
schierati, appena ebber veduti costoro saltati in Arno, e perciò
più bassi della linea de' loro tiri, cominciarono cogli archibusi a
bersagliare i nemici, con che fattili arretrar dalla sponda, ebber
campo i nostri di condursi finalmente salvi tra la loro gente, che
fatta un'ultima scarica di tutte l'arme, si mosse pianamente ed in
ordine, a tamburi battenti ed insegne spiegate, onde non avesse
apparenza di fuga, e lasciandosi Arno alle spalle si drizzò lungo le
mura verso i colli di Fiesole.
Giuntevi, s'alloggiarono in luoghi ove non potessero venir facilmente
sforzati, e gli Spagnoli ed i lanzi, dal canto loro, rimasero in arme
ed in sospetto, temendo che i loro nemici, meglio ordinando il fallito
disegno, rinnovassero con miglior fortuna l'assalto; questo loro
timore rendendoli docili ed obbedienti a' capitani, che a suo tempo
li condussero a tribolare ed esser tribolati altrove, fu la salute di
Firenze; e la morte di tanti che, vivi avrebber voluto esser pagati,
recò non piccol sollievo alla camera apostolica, che ottenne questo
ribasso sul prezzo di Firenze, grazie al sottile ingegno di Baccio
Valori.
Questi, da una torre delle case de' Bini, ov'era salito con Troilo,
Malatesta ed il Nobili, avea osservata tutta la fazione, e come la vide
succeduta cotanto a seconda de' suoi desiderj, disse, tutto allegro,
fregandosi le mani, mettendo un--Oh!--con libero e lungo respiro:
--Ora è finita davvero e del tutto!--e siam padroni di Firenze.--
Il Nobili, che giorno e notte si vedeva innanzi gli occhi come fantasmi
le casse di Niccolò piene di fiorini e di ducati, disse allora, con
cert'occhietti tutti voglia ed impazienza, guardando ora Baccio, ora
Troilo:
--Oh! per amor d'Iddio, facciamo presto, che non ci fugga!--
--E che non mi fugga Laudomia, quel fiore, quel giglio, quella
bellezza delle bellezze! soggiunse Troilo ridendo, e pensando: fosse
qui Selvaggia direbbe anch'essa «che non mi fugga Lamberto!...» se
non altro, non avremo a far quistione, chè in questo bottino ognuno è
contento della sua parte.--
L'allegrezza che provava Baccio lo metteva in tanto buon umore, che,
preso, scherzando, Troilo per un de' baffi, e tirandolo, diceva:
--Una ne fa e cento ne pensa il ribaldone!.... sentiamo!... Che cos'è
quest'altra pazzia.... questa Laudomia.... me ne dicesti non so che....
mi pare... ma avevo altri pensieri pel capo.... sentiamo: animo! Già,
un qualche amore!--
Ed aggrottando gli occhi, così per baja:
--Non ti vergogni tu? con moglie e figli!....--
--Messer Baccio, rispose Troilo ritirando pianamente il suo baffo dalle
dita del Valori, io, vedete, son fatto tutt'a rovescio del popolo di
Firenze, egli ora muta lo stato di molti in quello d'un solo, ed io
invece dallo stato d'una sola passo allo stato di molte.... che volete?
è effetto di costellazione... e, ringraziate Iddio che mi frulli per
questo verso... se non era la speranza di beccarmi alla fine quella
bella figliuola, aspetta! che volevo starmi a seccare tutto questo
tempo....--
--Bene, bene; ma ora raccontaci la cosa.---
--È presto raccontata: mi piace costei perchè è bella, e le belle donne
son fatte per i bei giovanotti, se non erro. Sin ora non c'era da far
il matto, con Niccolò alle coste e tutta la brigata.... e volete che ve
la dica? Ho anche capito che sarebbe stata fatica sprecata. Figuratevi!
un giorno le volli dire una parolina, farle così uno scherzo.... niente
di male veh!... mi fece due occhi!.... e mi disse, con quel suo bocchin
di mole.... «questi non sono modi nè di cristiano nè di gentiluomo!»
Pazienza! pensai io, se questo modo non ti piace, ne troveremo un
altro.--


CAPITOLO XXXIII

--E quale sarà quest'altro modo?--domandò Baccio, chè prendeva piacere
alle costui ribalderie, ed alla buffonesca maniera con cui le narrava.
--Eccolo. Ma torniamo un passo addietro. Dai discorsi fatti in casa ho
ritratto, che Niccolò disegna fuggirsene a Genova, al signor Andrea
Doria, passando per Pistoja e la Montagna, e dormendo ad un podere
ch'egli ha presso S. Marcello. Se farete a mio modo lo lascerete
partire, chè, a volerlo pigliare in Firenze, non vorrei giurare che
non nascesse qualche grave scandalo tra 'l popolo. Bisognava vedere
jer notte in S. Marco tutti que' suoi straccioni d'operaj, come gli
offerivano di morir per lui!... Lasciamolo dunque andare, anch'io farò
le viste di fuggire con esso loro.... e basta che mi diate cinque
o sei uomini d'arme, che ci vengan seguitando alla lontana, ed a
questi s'accompagnerà una persona che so io.... e non dovrebb'essere
inutile.... Basta, questo sarà pensier mio..... questi soldati però
converrà trovare uno che li guidi e sia uomo sicuro....--
--Anderò io!--esclamò il Nobili, che tremava non gliel avessero a
ficcare in qualche modo.
Troilo lo squadrò da capo a piedi con un certo suo ghigno, poi disse:
--Be'.... verrete voi.... e costoro potranno vantarsi d'aver avuto un
capitano, chè prima di trovarne un altro!.... Quando dunque siam nella
montagna, coll'ajuto di parte Panciatica, se i nostri non bastassero,
te li rimeniamo zitti zitti a Firenze, o, dirò meglio, qui, messer
Benedetto, vi rimenerà Niccolò, e scavalcheranno al bargello. Io,
quando siam verso Prato, prendo a man manca colla giovane e cert'altra
brigata, e me ne vo' alla villa di messer Baccio Valori a far i saldi
col fattore, ed assaggiare un bicchier di buon vino, e messer Baccio
mi darà una lettera affinchè, se avessi bisogno d'una camera, e di
buttarmi sul letto un momento, non mi uscisser fuori che non han le
chiavi.--
--E t'ho anche a tener la scala, birbone?--
--L'altro giorno, quando messer Benedetto qui vi si raccomandava pei
fiorini di Niccolò, che per poco non si metteva a piangere, che vi
diss'io? Ch'io non mercantavo a danari, e che un'altra cosa volevo...
la cosa è questa.... e del resto non v'è nulla di male.... fo come gli
antichi romani con quelle belle ragazze de' Sabini....non vollero per
amore? le ebbero per forza......
Ma quando avessimo riferito sin all'ultima sillaba il dialogo di questi
birbi saremmo poi certi d'aver fatto cosa molto grata al lettore
che n'ha già inteso quel tanto che basta alla chiarezza del nostro
racconto? Lasciamoli dunque far le loro combriccole, chè non a tutti,
se piace a Dio, toccherà cantare troppo allegramente vittoria; e
vediamo che cosa avvenisse intanto in casa i Lapi, ove era ritornato
Niccolò, ed avea già ricevuto la trista nuova della rotta delle bande
italiane.
Appena gli venne recata da chi era stato dalle mura testimonio del
fatto, allontanò da sè le figlie, che gli stavano attorno timide e
piangenti, e che a stento ubbidirono ad un assoluto e ripetuto comando;
e chiuso ch'egli ebbe l'uscio neppur se ne scostarono, origliando
piene di sospetto e di timore, e pregando Iddio reggesse in quel
momento l'animo e le forze del misero vecchio. Egli, rimasto solo, si
lasciò andar ginocchioni appiè della nicchia, e poi venendogli meno
ogni vigore, cadde colla fronte a terra e le mani giunte in atto di
preghiera. Stimiamo inutile dir dello stato di quell'anima desolata,
alla quale (vacillando persino in essa a momenti la luce della fede)
parve esser derelitta oramai dagli uomini e da Dio; mandando un
doloroso gemito, e volgendosi col cuore a chieder l'intercessione del
martire, del maestro, dell'amico, che era certo potesse ascoltarlo dal
Cielo:
--Oh! Padre santo, disse, tu in terra m'amasti.... perchè m'hai
abbandonato? Oh! serba in me la fede, e toglimi la vita.... ch'io
muoja, Dio mio! ch'io muoja, ch'io non posso regger più.... non posso
più...--
E rimase muto, immobile, affranto sotto il peso d'un dolore, che
essendo tanto ormai da ottenebrare e render confuse le operazioni
dell'intelletto, fu in certo modo rimedio a sè stesso, togliendo per
poco a quell'anima afflitta la facoltà di sentirlo; ma a un tratto
si scosse da quel letargo, parendogli udirsi all'orecchio una voce
sovrumana che gli diceva: chi è costui che vuol la mercede prima che
il sol tramonti? che chiede riposo prima della fine del giorno? Chi
t'ha detto sii oramai istrumento inutile, che non possa la patria aver
bisogno di te? Gli antichi tuoi tante volte cacciati non ritornaron
forse? Chi dispera mai della patria, se non i codardi?--
Alzò la fronte, stette sulle ginocchia, si rizzò alla fine Niccolò
tutto mutato da quel di prima, la sua fiera natura, a guisa d'una
valida e ben temperata molla d'acciajo che un soverchio peso può
piegare, ma non rompere, risorse potente ed intera; e disse:
--Fuggiamo Firenze per ora, ed andiamo altrove a prepararle giorni
migliori.... Io non li vedrò, morrò sulla terra d'esilio.... li
vedranno i miei figli.... se me n'è rimasto alcuno.... li vedrà
la patria.... E potei sciagurato! desiderar di morire?.... dopo
novant'anni di vita, dovette venire il giorno ch'io avessi pensiero di
me più che di essa?--
Udì in quella molti passi suonar nella camera vicina: immaginò fosser i
suoi tornati dalla battaglia, pensò «E vi saran poi tutti?» e ponendo
la mano alla chiave aprì, e con volto grave, mesto ma sicuro, accolse i
giovani, ed accortosi dei due che mancavano, stette un momento sopra di
sè, poi disse:
--Si può giovar loro? ajutarli ancora? E Lamberto rispose:
--Essi potran giovarci.... chè pregano ora per noi in paradiso.--
Niccolò, a voce bassa, rispose _Amen_; volse altrove il viso, e tacque
per alcuni momenti, durante i quali dal moto delle labbra si potea
conoscere ch'egli pregava; disse finalmente:
--Io non mi dolgo della loro morte incontrata per la patria.... io
gli aveva allevati per questo... ma ben mi dolgo che l'incontrarono
invano!.... Ma Iddio ha giudicato Firenze, e le sue iniquità furon
trovate troppe!.... Ursù, figliuoli, l'ora dell'esilio è sonata per
noi. Ricordiamoci quante volte gli antichi nostri si trovarono a questo
passo; imitiamo la loro fortezza, la costanza colla quale vivendo anni
ed anni sbanditi sepper preparare il loro ritorno, ed il trionfo della
libertà: saremmo da men di loro?... Già vi parlai del mio disegno....
Andremo a Genova al sig. Andrea.... a quell'uomo che potè sottometter
la patria, e pur la lasciò libera e di sua ragione. Egli accoglierà
chi soffre per la libertà. Preparate tutto l'occorrente; a notte chiusa
ci leveremo di qui, io, per non più tornarvi, voi, per ritornarvi, se
piace a Dio, in tempi migliori.--
E volgendo l'occhio in giro ai muri e sul mobile della camera ove
abitava da cinquanta e più anni, disse:
--Addio dunque per sempre, povera casa mia... avevo sempre creduto
che in codesto letto avrei potuto morir in pace, in mezzo a' miei
figliuoli.... che le mie ossa avrebber potuto riposarsi con quelle
de' miei maggiori, nel nostro avello di casa, in S. Marco!.... Come
Dio vuole!.... ovunque giacciano, il suono della tromba nel dì finale
giungerà sino ad esse.... ed allora, troverò il compenso degli affanni
presenti, se gli avrò saputi virtuosamente portare.--
Durante il discorso di Niccolò i giovani e Fanfulla erano stati co'
volti bassi e compunti, Laudomia, dopo aver pianto amaramente la morte
dei fratelli, avea tacitamente, ed all'orecchio, domandato a Lamberto
se fosse ferito, od avesse male nessuno, ed egli coll'accennar del
capo (per non interrompere il vecchio) e con amorevoli sguardi l'avea
rassicurata. E Lisa, appena eran comparsi, non vedendo con essi
Troilo, n'avea domandato, tutta spaventata, a Fanfulla, che sottovoce
anch'esso, e con brevi parole, la tranquillò sul fatto suo, dicendole
che sicuramente sarebbe stato poco a comparire; onde le due donne
se n'andarono ad attendere agli apparecchi del viaggio, pei quali,
mancando oramai poche ore al calar del sole, non avean tempo d'avanzo.
Narrò allora Fanfulla dell'incontro del frate la mattina a porta S.
Giorgio, mentre stavano per uscir di Firenze, e della taglia posta
addosso a Troilo, e si mostrava in sospetto, non avendolo trovato
in casa, avesse avuto a capitar male, ed il buon Niccolò entrando
anch'esso in travaglio per quel traditore, che meno che mai credeva
tale in quel momento, veniva tutto inquieto e pensoso dicendo se non
convenisse mandarlo cercando; ma da chi? e dove? e poi pei cittadini
conosciuti per Piagnoni era un brutto girar per Firenze in que' giorni;
e pel bene incerto d'un solo doveasi arrischiar la libertà e forse la
vita de' pochi rimasti?
Ma a toglier dubbi e timori comparve Troilo in quella, venendo di dove
s'era fatto mercato del sangue, dell'onore, dell'avere di Niccolò, e
presi quegli ultimi concerti che dovean compier l'esterminio di quella
virtuosa ed infelice famiglia.
Il ribaldo venendo quivi s'era studiato, per quanto poteva, vestir il
suo volto d'un'apparenza mesta e travagliata: ma un occhio accorto,
e non prevenuto in favor suo, avrebbe di leggieri scoperto sotto
quell'ipocrita maschera, la scellerata e mal repressa allegrezza che
tratto tratto gli balenava negli occhi, parendogli d'esser giunto già
già a por la mano al crine della fortuna, ed anticipatamente pascendosi
col pensiero degli onori, de' tesori, delle variate ed incessanti
delizie onde vedeva ripiena oramai la sua vita, cui dovea intanto
servir di principio l'acquisto di quella donna cotanto bella e pura, e
per la quale s'era lungamente consumato in inutili desiderj.
Venne accolto con un abbraccio da Niccolò..... e gli resse pur il cuore
di riceverlo e di corrispondervi! Conoscendo poi che conveniva dar
qualche spiegazione sul modo onde avea passata quella giornata, disse,
avviluppando mille bugie, che s'era affaticato a lungo per sollevare le
bande di città, e narrò degli sforzi fatti, e dell'impedimento trovato
alla fine per le disposizioni prese da Malatesta onde tener in freno le
milizie fiorentine, ed in ultimo molto lamentandosi, e deplorando la
comune disgrazia, disse, esser venuto per vivere o morire con Niccolò
ed i suoi, e far quello ch'egli fosse per fare.
Il buon vecchio, che per quella frottola della taglia lo stimava
martire della libertà, ed esposto più di tutti al pericolo della vita,
gli disse, che a notte l'avrebbero, in mezzo a loro, condotto fuor di
Firenze, e difeso contro chi lo volesse offendere, insino all'ultimo
della vita, ed abbracciandolo, e nominandolo figliuolo, e facendogli
animo l'accommiatò cogli altri, onde potessero trovarsi pronti ed a
cavallo all'ora stabilita.
Mentre nelle diverse parti della casa s'attendeva con sollecitudine
ai preparativi del doloroso viaggio, tenteremo, penetrando nel cuore
d'ognuno, scoprirne, se pur si potrà, gl'intimi pensieri, descriver
l'angosce di quell'intime ore che precedettero la partenza.
Niccolò, rimasto solo, sedette per riprender gli spiriti e riposarsi un
momento; poi, alzatosi in piedi con un certo sforzo risoluto, pensò,
prima d'ogni altra cosa, al modo di portarne seco le reliquie del
Savonarola. Salito, non senza stento, su una sedia, spiccò la tonaca
e tolse la ricca borsa, ov'erano le ceneri del frate, e le depose,
non senza lagrime, in una cassetta, dicendo: «Almeno queste ch'io le
abbia meco ov'io morrò.» Aperto poscia il suo priorista, che, per esser
troppo grosso volume, pensò lasciare, insieme a molt'altre masserizie
di casa, vi scrisse le seguenti parole:
«Ricordo che addì.... agosto anno 1530. Io, Nicholò di messer Clone,
nella mia età di novant'anni, tre mesi, et quattro giorni, dovetti
uscire di casa mia et della ciptà di Forenza venuta in potestà de'
Palleschi et di Sua Santità papa Clemente VII, inimici di questo
popolo, quale si defendette insino all'ultimo virtuosamente et
justamente, et havendo perduta la libertà, sia raccomandata almeno
la sua fama agli huomini honesti, _quae semper vivat_. Et il nostro
Signore Iddio habbia pietà de' nostri peccati. _Amen_.»
Raccolte poi molte carte, e lettere, che trovate dal nuovo reggimento
avrebber potuto nuocere a più d'un cittadino, ne fece un mucchio sotto
il cammino, v'appiccò il fuoco, e mentre la fiamma le consumava,
pensava: «A momenti il tuo focolare sarà spento per sempre, Niccolò!»
Ed a coloro, cui è noto il senso, sto per dir religioso, che desta
nell'anima il focolare della casa paterna, sarà pur noto qual fosse in
quel momento il cuore del povero vecchio.
Dal cammino, accostatosi al letto, spiccò da una delle colonne un
crocifisso d'argento, lo baciò, e per un cordone che v'era attaccato se
lo infilò al collo. Esso stesso l'avea posto tra le mani irrigidite di
sua moglie morente; esso ne l'avea ritolto prima che venisse portata
alla sepoltura, e gli rammentava quella donna che forte ed umile,
prudente ed insieme ingenua ed innocente, era stata l'allegrezza della
sua gioventù, l'onore ed il conforto della sua vecchiaja; quella che
avea passato seco tant'anni, ignota, per dir così, a tutto il mondo
fuorchè al solo suo cuore. E Niccolò l'avea imperterrito e forte, ma
non duro nè sconoscente, e nel prender ora quest'ultima memoria della
donna sua, lo sentì commosso da mille giovanili rimembranze che avea
credute egli stesso cancellate per sempre.
--Oh! quanti dolori ti risparmiava Iddio chiamandoti a sè prima
di questi tempi di sventura!.. la morte di tanti figliuoli.... la
rovina di Firenze... il caso della Lisa.... ed ora l'esilio....la
fuga.... i disagi.... la morte in terra straniera. Oh Dio! tu fosti
misericordioso!... io piansi allora.... mi lamentavo... Tu sapevi qual
era il mio meglio! Ora ti ringrazio Iddio, io non soffro che per me
solo.--
Dato poi sesto a varie cosucce, per uso della sua persona, e
racchiusele in una valigetta, cavò da una cassa alcuni denari che vi
tenea riposti pei casi improvvisi, ed erano il solo tesoro in monete
che egli avesse; chè quelle cantine piene d'oro eran la solita favola
che in ogni paese ed in ogni tempo corre tra il popolo sul fatto delle
persone stimate ricche. Ricco difatti potea dirsi Niccolò, ma nè avaro,
nè inclinato ad ammucchiare inutilmente il danaro, che invece teneva
vivo girandolo pe' banchi di Venezia, di Lione, di Genova, e delle
principali città d'Europa, per la qual cosa nel suo esilio, non dovea,
se non altro, temere la povertà.
Finito così ogni apparecchio sedè per riposarsi, ed alzando il capo
s'accorse che la lampada appesa dinanzi alla nicchia, oramai nuda e
vota, ardeva tuttavia. S'alzò di nuovo e con un soffio la spense:
quell'atto, in apparenza così indifferente, fu un nuovo e pungentissimo
dolore pel povero vecchio, chè dalla morte del Savonarola, da 32
anni, sempre avea mantenuto quel lume, era avvezzo a vederlo di dì e
di notte, a volgervi gli occhi mentre orava, e durante le lunghe e
solitarie veglie in che, per la vecchiaja, passava sovente l'intere
notti.... ed ora, la sua camera priva di quel solito lume, gli parve
come una cosa senz'anima, tutta nuova, morta e desolata, ripensò più
amaramente in cuore a' suoi figli uccisi, i quali tante volte erano
stati seco in codesto luogo, che gli parve ora pieno di tanta tristezza
da non potervi reggere, e gli nacque in cuore una fretta, una smania
indicibile d'uscirne, e togliersi una volta a tante dolorose memorie.
E per verità, in codesta famiglia, il più infelice di tutti era
Niccolò, che non trovava oramai nel futuro una sola speranza ove
riposarsi.
Laudomia invece, mentre s'affaccendava nella sua cameruccia, ajutata da
M. Fede, avea bensì gli occhi umidi ed il cuore trafitto pensando ai
fratelli uccisi, ai mali della patria, al dolore del padre, vedendosi
balzata a un tratto tra genti incognite e lontane, fuori di quel tetto
al quale eran congiunti i pensieri, le gioje, gli affetti di tutta la
sua vita... ma Lamberto, che sarebbe stato sempre al suo fianco lontano
da tanti pericoli, non era forse un compenso bastante, un rifugio, una
speranza? E finchè dura la speranza chi è pienamente infelice?
Una al tempo stesso ne avea in cuore la povera Lisa, che la reggeva
contro la presente sventura. Sperava, infelice! ricuperar l'amore del
marito (chè il sospetto, la certezza quasi d'averlo perduto le rodeva
il cuore con sorda e ostinata lima) quando si trovasse con lei sola,
in paesi lontani, discosto da' compagni e dagli amici ch'ella stimava
l'avesser disviato da lei: quando passandola vita fuori di tanti
pericoli, di tanti continui rimescoli, placida e tranquilla, pensava
avrebbe potuto ritornar in salute, bella e fresca come una volta....
ed in mezzo ai tanti guaj presenti, trovava nella sua ferace fantasia
mille sogni di felicità; si figurava il marito festeggiato, accolto
con ammirazione pe' suoi modi, per la sua bellezza, tornato per lei
come prima, tutto amoroso e confidente, e si godeva in questo doppio
trionfo, chè la poveretta non avea cuore, non avea pensieri se non per
Troilo, ed ogni giorno più sentiva consumarsi d'amore per quel ribaldo.
Era intanto tramontato il sole, ed a S. Maria Maggiore sonava
l'avemmaria della sera. M. Fede entrò in camera di Niccolò portando una
lucerna accesa, e, come usano i servi in Italia quando, sull'imbrunire,
arrecano il lume ai padroni, disse per abitudine «felice notte!»
senza pensare che in quel momento tali parole parean pur troppo una
derisione. Sorrise mestamente il vecchio, ed intanto entraron taciti
i giovani, le figliuole e Fanfulla, che s' era protestato non volerli
abbandonare sin che non fosser tutti ridotti in salvo.
Disse Lamberto, che ogni cosa era in pronto per la partenza, e che
consigliava affrettarla prima che la notte più s'innoltrasse, per
evitare il pericolo di esser trattenuti alla porta, d'onde dopo un'ora
di notte non s'usciva se non con grandissima difficoltà. Eran già
apparecchiati al portone due muli sui quali si stava caricando il
bagaglio, ed il famiglio di Lamberto, ajutato dalla fante, venne a
prendere intanto e portò fuori quello di Niccolò.
Gli apparecchi di quella partenza non poteron, come ben si comprende,
farsi tanto segretamente che il vicinato non se n'avvedesse, e la
voce n'era già corsa tra il popolo minuto, per mezzo il quale
trovandosi molti operaj a' servigi di Niccolò, e non pochi di quelli
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