Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 31

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senza capitano, a calare agli accordi.
Egli dunque scrisse una lunga lettera alla Signoria con parole e
ragioni oscure ed avviluppate (chè di chiare e schiette non ne avea)
sforzandosi mostrare aver egli onoratamente e con fede adempiuto
all'ufficio di capitano, e dato ogni opera affinchè la città si
liberasse di quell'assedio, il fatto aver dimostrato che il suo
consiglio di non uscire a combattere era stato buono, ed a quello più
che mai volersi attenere, ora che per le tante perdite erano sceme le
forze de' cittadini, e di troppo inferiori a quelle degl'inimici; non
potergli patir l'animo di concorrere egli alla rovina di così nobile
città, seguendo l'opposta opinione, e dacchè pure le loro Signorie
avean deliberato mandarla ad effetto, voler piuttosto domandar buona
licenza, lasciar l'ufficio, e partirsi.
Stefano Colonna, al quale Malatesta molto umilmente si raccomandò quel
giorno onde non gli facesse contro e l'ajutasse, s'accomodò piuttosto
a favorirlo, o perchè così gli fosse stato commesso dal re di Francia,
del quale era soldato, o per qualsivoglia altra cagione: il fatto sta
che a questa protesta anch'egli appose la sua firma, ed appena scritta
la mandarono in Palagio.
L'indegnazione e lo sdegno che si destò tra' Signori nel leggerla, e
nel veder ormai tanto aperto il vituperato animo di quel traditore, è
cosa impossibile a dirsi; e senza frapporre indugio, tutti bollenti
d'ira, posero il partito, ed a tutte fave nere lo vinsero, che
s'accettasse la licenza di Malatesta; venne tosto scritta una risposta
nella quale, senza scendere a recriminazioni ed a lagnanze, che mal
poteano stare colla dignità della repubblica, gli si accordava però
la sua domanda con parole troppo più onorevoli che egli non avrebbe
meritate.
Andreolo Niccolini e Francesco Zati, ambedue commissarj, ebbero il
carico di portar questo scritto a Malatesta, e condussero con loro Leo
Paolo da Calignano, notajo, chè ne facesse pubblica fede.
Il popolo, che aspettava impaziente il fine di quelle pratiche, vide
accostarsi al portone del palazzo tre muletti condotti dai tavolaccini
della Signoria, e poco stante comparvero i Commissarj sopraddetti,
e montati a cavallo s'avviarono con due mazzieri innanzi, tra il
bisbiglio della folla, ove già correva la voce dell'importante e
strana commissione alla quale venivan mandati. Giunsero al capo di
via Maggio, ov'eran le prime guardie di Malatesta, che s'aprirono
per lasciarli passare, ma con brutte parole ed occhiate in cagnesco
davan loro indizio dell'accoglienza ch'eran per ricevere dal capitano.
Scavalcati finalmente in cortile, salirono, e lo trovarono nella sala
ove era solito dar le udienze, seduto su un seggiolone, circondato
dalle sue lance spezzate, con un viso stravolto ed altiero, che non
mutò al giungere de' Commissarj, ed appena con un piccol moto del capo
corrispose al loro saluto.
Se questi non si sbigottirono trovandosi nelle mani di tanti, che a
quel punto ben potean dirsi nemici, vedendo i visi di que' suoi ribaldi
tanto volti al male, e sapendo qual messo arrecavano, convien dire, che
assai fossero d'animo sicuro. Si disposero ad adempiere arditamente
al loro ufficio, ed il Niccolini, cavato fuori lo scritto, cominciò a
leggerlo ad alta voce.
Ma non ebbe appena profferite le prime parole, che Malatesta alzandosi
furibondo gli corse addosso, e sguainato il pugnale lo ferì malamente
in più parti, e l'avrebbe ucciso se le sue lance stesse, considerando
l'enormità del caso, e temendone forse ancor più le conseguenze, non
gliel'avessero levato di mano; ovvero, se la debolezza del suo braccio
non avesse reso i colpi mal sicuri e di poca offesa. Allo Zati, veduto
il compagno a questi termini, fallì un momento l'ardire, e domandò la
vita a Malatesta, che accecato dall'ira, anche a lui s'avventava, e che
pur si rattenne dal manometterlo.
A quel tumulto si levò il rumore grandissimo per tutta la casa,
nel cortile ed in istrada, e dai soldati (che in quell'età ad ogni
poca d'occasione, pensavano subito a far bottino) venner tolte le
mazze d'argento de' mazzieri, le mule, e perfin la cappa del ferito
Commissario, che tolto di là da Alamanno De' Pazzi fu amorevolmente
soccorso e fatto medicare. Intanto Malatesta, che il furore, la rabbia,
il sospetto di dover in un punto rinunziare a tante speranze, avean
tratto di senno, s'aggirava fulminando; e gridava «Non esser Firenze
stalla da muli, e voler egli salvarla a dispetto de' traditori.»
Il disordine e le grida duravano grandissime, ed era ormai palese
ad ognuno esser le cose condotte a tal estremo, che la forza sola
avrebbe deciso chi dovesse rimaner signore di Firenze, il Palagio o
Malatesta; e questi non ebbe tanto offuscato dall'ira l'intelletto da
non comprendere ch'era tempo non di parole e braverie, ma di pronto ed
animoso operare.
Erano intanto ritornati in piazza lo Zati, il notajo, co' mazzieri
svaligiati, e tutti disordinati ne' panni e nella persona, ed il
popolo maravigliato li vide passare per entrare in Palagio, e saputo
appena l'accaduto, si levò un ruggito d'ira e grida di vendetta tanto
smisurate che ne rimbombaron i monti e la valle dell'Arno, ed il
gonfaloniere insuperbito, e giurando di voler vendicar a ogni modo
l'offesa repubblica, gridava a' suoi sergenti gli venisser arrecate
l'armi e preparato il cavallo, onde, alla testa di tutto il popolo,
andar contro Malatesta, e veder, com'egli diceva, se un traditore
potesse star solo contro tutta Firenze. L'ordine fu eseguito in
un baleno: venner l'arme, venne al portone un gran palafreno da
lancia, bardato, e tutto sparso de' gigli fiorentini; ed il popolo a
quest'apparecchi si metteva in ordine anch'esso a furia, e si vedeva la
turba agitarsi, dividersi, ravvolgersi in sè stessa, correndo ognuno
a schierarsi sotto il suo gonfalone, preparando l'armi, accendendo,
gli uni dagli altri, le funi degli archibusi, ed a quest'armeggio
s'udiva un fremer cupo ed incalzante di voci che rassomigliava alla
romba sotterranea foriera del terremoto. Ad accrescer e superar tanto
frastuono s'aggiungevano a un tratto i tocchi della campana grossa,
che in pari circostanze aveva molte volte battute l'ultime ore de'
traditori; le sonore, profonde oscillazioni del bronzo percosso,
piovendo dall'alto sulla turba, vibravano in ogni cuore, v'accendevan
nuove faville, come suole fare ai cavalli in battaglia lo squillar
delle trombe, chè quel suono, in così fatto punto, ed in così estremo
pericolo, non pareva se non la voce stessa della patria che chiamasse i
suoi figli, e implorasse ajuto.
Fra i gonfaloni de' quartieri che disposti intorno alla piazza a larghe
distanze ondeggiavano al vento, si notava il Lion d'oro di S. Giovanni,
e nella prima fila era Niccolò co' suoi giovani. Il feroce vecchio,
sordo a mille preghiere, al pianto delle figlie, allo sconfortar degli
amici, aveva voluto quel giorno trovarsi cogli altri ove eran per
decidersi l'ultime sorti di Firenze. Se non col braccio, pensava, ed a
ragione, giovar coll'esempio; e qual piede avrebbe potuto arretrarsi,
qual cuore vacillare, alla presenza sicura e veneranda d'un tant'uomo?
Deposto il lucco, egli vestiva un lucente giaco di maglia, aveva
accanto la spada, in mano una picca, ed invece del cappuccio un
cappello di ferro, di sotto al quale gli usciva l'onorata canizie, e
coprivagli il collo, mentre sul petto gli scendeva, ugualmente candida
e folta, la barba. Il suo busto non più curvo dagli anni, stava eretto
sulle reni, e si piantava saldo su due gambe, alquanto aduste ma di
valida e bella proporzione: il suo sguardo lampeggiava d'un fuoco di
gioventù, ed un insolito vampo gli coloriva le guancie. Malgrado il
tumulto e i diversi pensieri che occupavan le menti, molti avevano
fissi gli occhi in esso, e se lo mostravan gli uni agli altri, con
parole d'affetto, di maraviglia e venerazione mentr'egli immobile
volgeva in giro l'occhio tranquillo ed altero nel quale si leggeva un
irremovibil proposito, ed intanto l'ombra errante del gonfalone che gli
sventolava sul capo, ora lo copriva spegnendo il lampo delle sue armi,
ora guizzando lontana le lasciava scintillar di nuovo ai raggi del sole.
Sulla ringhiera di Palagio era intanto comparso il gonfaloniere coperto
di tutte armi; e montato a cavallo, si mosse, preceduto dal grande
stendardo del popolo, che con bell'ordine, quartier per quartiere, si
veniva mettendo in fila per tenergli dietro: le trombe della Signoria
sonavano; sonavan le campane di Palagio, e quelle di molte chiese;
spesseggiavan le grida di _Viva il marzocco! viva il Palagio! Morte
ai traditori! Morte a Malatesta!_ e pareva la terra tremasse percossa
da tanti passi, le mura si scuotessero al rombo di tante voci, al
suono di ferri che s'urtavano nella calca, al grave rotolare de' carri
d'artiglierie che venivan avviati per Vacchereccia, onde abbattere al
bisogno le mura e le porte del palazzo di Malatesta.
Ma prevedendo questi la rovina che stava per venirgli addosso,
s'era oramai provveduto dell'ultima e più scellerata difesa che gli
avanzasse, ed al tempo stesso della più terribile e sicura che si
potesse immaginare, contro la quale il popolo di Firenze non ne avea
rimedio. Il traditore avea fatto entrare Porro Stipicciano da Castel di
Piero ne' bastioni con le sue genti, e mandato Margutte da Perugia alla
Porta a S. Pier Gattolini, che ruppe e spezzò a furia, cacciandone il
capitano Altoviti che l'aveva in guardia, e volgendo al tempo stesso
verso la città le artiglierie collocate sul torrione della porta
medesima.
Il campo imperiale, avvertito da Malatesta di questi accidenti,
s'era intanto levato in arme e si apparecchiava, ad un suo segnale,
a scendere ed entrare nella città, e le feroci bande tedesche e
spagnuole, agitando le picche, mandavan grida d'allegrezza stimando
imminente il sacco di Firenze, i guadagni, le rapine, le uccisioni, gli
stupri, la meta infine delle loro lunghe e contrastate speranze.
Rassicurato così Malatesta alle spalle, e forte oramai di tutto
l'esercito imperiale, poteva, quanto a sè, ridersi della furia del
popolo, ma una gravissima cagione lo sforzava a non spinger le cose
all'estremo, e far sì che il popolo si ritraesse senza opporgli gli
ajuti di fuori, e pel solo timore de' medesimi. Questa cagione era il
dubbio, anzi la certezza, che entrando tumultuariamente in Firenze le
bande del campo, ed appiccando la zuffa in città non venisse questa
saccheggiata e distrutta, contro la mente espressa del papa, che la
voleva invece intera e piena delle sopravanzate ricchezze.
Malatesta dunque spedì all'incontro delle torme del popolo alcuni suoi
uomini, che le trovarono sul Ponte Vecchio, e dissero al gonfaloniere
ed ai signori, che se venissero avanti d'un passo, l'intero esercito
imperiale sarebbe messo dentro le mura, e da alcuni cittadini, che
eran stati testimonj dell'occupazione di porta S. Pier Gattolini,
fu confermata la verità del fatto, ed esser oramai in potestà di
Malatesta il mandare ad effetto le riferite minacce; ed al tempo
stesso, entrando costoro tra i Signori e tra que' primi del popolo
che seguivano, e prendendo le mani or degli uni or degli altri, ed
esortando, e pregando, e piangendo, confortavano la turba a ritirarsi,
e non voler tentar Iddio e la fortuna in un'impresa ormai disperata,
e che non poteva partorire se non la rovina e l'eccidio universale.
Ma in que' petti cotanto accesi non potè lo sdegno dar così tosto
luogo alla ragione, ed il messo di Malatesta, eccitando più che mai
la generale indegnazione accrebbe la sete di vendetta, e la voglia
di muovere all'assalto, più che non la frenasse:, ma furon tante e
tali le parole di que' cittadini che s'erano messi di mezzo, e tanta
l'evidenza, che ormai nessuna forza al mondo non poteva salvare quello
sventurato popolo, che alla fine il Gonfaloniere e la Signoria, dolenti
e disperati d'ogni ajuto, e maledicendo la sorte, la crudeltà del papa,
ed i traditori che n'erano stati strumento, diedero pure al popolo il
comando di tornar addietro, e sciogliere l'ordinanza.
Quella fermata della testa del popolo sul Ponte Vecchio produsse in
tutta la folla un rigurgito, per dir così, nel senso opposto alla
direzione che prima seguiva, e si vide correr per essa a mano a mano
quel moto ondulato che si comunican tra loro le anella ond'è composto
il corpo de' bruchi, ed al tempo medesimo correva addietro, di bocca
in bocca, la voce dell'ostacolo incontrato, e sul primo era ripetuta
senza variazioni o commenti, ma poi andando avanti, soffriva di strane
trasformazioni, ed alla fine tra un bisbiglio pieno di terrore, e che
sempre più incalzava, si veniva da tutti affermando, esser entrati dal
lato opposto i nemici in Firenze, e tutto l'Oltrarno venuto già in
potere degli imperiali, che avean dato principio all'uccisioni ed al
sacco.
Dall'estremo ardire suol facilmente la moltitudine passar all'estremo
scoramento, tanto più quando si vede minacciata da un pericolo oscuro,
contro il quale non conosce difese, e che perciò appunto viene dalla
fantasia fatto maggiore della verità. Alla cura dell'utile comune,
succede allora quella delle private cose, e da que' cittadini che
disperavano ormai salvar la patria, occorse più vivo alla mente il
pensier delle mogli, de' figli, della famiglia, ad ognuno sovvenne
de' suoi cari lasciati inermi tra le domestiche mura; ognuno già se
li figurava manomessi da tedeschi e dagli spagnoli del campo: correre
tosto alla loro difesa fu il pensiero che invase ciascuno, e sciolse in
brevi momenti quell'ordinanza cotanto calcata.
Correvan qua e là i cittadini per le strade, per le piazze, pe'
chiassi, parendo a tutti mill'anni riveder l'uscio di casa, e tremando
trovarlo già sconficcato, trovar già dentro i soldati imperiali; avean
i volti bassi, i petti ansanti, gli occhi lagrimosi, e ciascheduno,
secondo la natura sua, o si volgeva a Dio, e con pregare interrotto
ne implorava l'ajuto, o l'imprecava con tremende bestemmie; e chi
si scagliava contro il papa, chi contro Fra Girolamo, chiamandolo
ciurmadore, e maledicendolo per averli ingannati. Ed a poco a poco
spargendosi per le case e per le famiglie lo spavento, si levava per
tutto un pianto, un lamento di donne, di bambini, e quelle che si
trovavan sole in casa, nè vedean ricomparire i loro uomini, avvisandosi
d'ogni peggior danno, e che già fossero stati morti, ed insieme
udendo le grida ed il pianger delle vicine, uscivan di senno affatto
e, tolti a furia in braccio i piccoli bambini, trascinandosi dietro
i più grandicelli, che tutti sbigottiti afferravan loro la gonna,
venivan fuori delle case, e vagando per le strade, cercavan d'una
qualche chiesa per ripararvisi; e deposti sulle predelle degli altari
i bambini, colle braccia in croce, e parendo loro ogni tratto sentirsi
ne' capelli le mani de' soldati, gridavano a Dio misericordia.
Nè a tutte le famiglie, che pur l'avrebber voluto, riusciva ripararsi
intere ne' luoghi santi, chè in molte, come suoi accadere, erano
infermi da malattie o da ferite, inchiodati ne' letti, o vecchi ridotti
dagli anni ad una eguale impotenza di muoversi od ajutarsi, ed allora
sorgeva un nuovo e più doloroso contrasto tra il desiderio di porre in
salvo chi potea fuggire, e l'ambascia di abbandonar soli ed indifesi
quelli che sarebbe bisognato trasportar con molte braccia e molto
tempo: e da questa varietà d'accidenti ne nacquero atti stupendi di
fortezza, di carità, di pietà filiale, ove la prontezza dell'anima
aggiunse forze soprannaturali a persone deboli e languenti, e si videro
giovani donne riuscire a levarsi in collo o padre, o madre cadenti, e
giungere tutte affannate e sfinite a deporli sulle scalee di qualche
chiesa, ove da pietose braccia eran raccolti e trasportati a piè degli
altari. A fronte di cotesti atti virtuosi, altri se ne videro brutti e
nefandi, ed in molte madri lo spavento e la cura de' figli spegnendo
ogni altro affetto, lasciavan le case aperte, ed entrovi abbandonati
quelli che non avean forza a seguirle, e talvolta accadde che non da
soldati nemici, ma dalla feccia de' ribaldi della città venisser
commesse ruberie ed assassinamenti su quei miseri derelitti.
Ora quelli tra' cittadini che ritornando in casa la trovavan vota, e
fuggita la sbigottita famiglia, si davano a domandarne pel vicinato,
a cercarne qua e là per le strade, e ritrovatala, parte rampognando,
parte compiangendo l'improvvida fuga, la riducevano di nuovo d'onde
s'era partita; chè la città s'era per cura della Signoria un poco
rassicurata quanto all'imminenza del sacco, ed era stato posto ad
ogni ponte un gonfalone di guardia, per difendersi da chi venisse
d'Oltrarno, onde nel cuor di molti l'improvviso terrore avea già
dato luogo ad una nuova speranza, e tra'l popolo radunato in piazza,
quantunque nè tanto nè così ardito come prima, s'udivan pure di molte
voci che di nuovo chiedevan battaglia. Ma ve n'eran anco non pochi
chiedenti gli accordi; poi tra cittadini alcuni, che più la patria e la
libertà stimavano, che non la vita, concorrendo al marzocco che era sul
canto di Palagio, s'abbracciavano a que' ruvidi macigni che gli servon
di base, gli innondavan di lacrime, li coprivan di baci, giuravan voler
difender fino all'ultimo quella venerata repubblica, voler morir mille
volte prima che disertarla.
Dove potea esser Niccolò se non quivi, se non il primo ed il più
infiammato di questi? Poteva egli anche a quest'estremo, ammettere
il solo dubbio che Firenze avesse a cadere? Poteva egli credere Fra
Girolamo un impostore, le sue profezie una menzogna?
Ritto a piedi del Leone, circondato da' suoi e da molti cittadini, egli
veniva tratto tratto con gravi ed infiammate parole comunicando ad ogni
cuore quella fede, quella costanza, che nel suo rimanevano inconcusse,
e neppure quando il sole cominciò a declinare all'occidente, e quando
alla fine, calato sotto l'orizzonte, cominciarono a comparir le
stelle, non volle lasciar quel luogo malgrado le istanze de' suoi, che
non potevan patire avesse a sopportar tanti disagi, e temendo nella
notte avessero a succeder nuovi accidenti, od i Palleschi cogliesser
l'occasione di far novità e levar il rumore, ricusò ostinato di
andarsene a casa, e tratti dal suo esempio, molti cittadini passarono
anch'essi in piazza l'ore del sonno. È facile immaginare quali poteron
essere per l'universale, quanto dolorose, piene di sospetti, di
spavento per i mali estremi che s'aspettavano dall'indomani, e quando,
dopo la mezzanotte, un alto silenzio era succeduto a tanto rumore, e
non s'udiva in piazza se non i passi delle sentinelle, il lamento de'
gufi appollajati in cima della torre, e di quando in quando il batter
delle ore. Niccolò, cedendo alla stanchezza, cominciò a declinar la
fronte su un letto composto de' mantelli de' suoi figli, e s'addormentò
col capo basso alla base del marzocco, mentre essi muti e pensosi
vegliavano al suo fianco. Due ore prima di giorno, la luna che era
in sul finire, venne a poco a poco mostrandosi pallida e scema sugli
edifizj verso oriente, ed illuminò d'una luce alabastrina il volto del
vecchio addormentato. Lamberto gli avea tolto pianamente il cappello
di ferro, e, per difenderlo dall'umido rezzo della notte, gli avea
tirato sul capo il lembo d'uno di que' mantelli, e l'augusta e placida
serenità sparsa sui lineamenti di Niccolò, il suo respirar largo e
profondo mostravano che sulla nuda terra, nell'estreme sventure, e tra
i maggiori pericoli è pur concesso trovar sonno e riposo all'uomo forte
ad incontaminato.... Resta a saper se in quella notte, in quelle ore
medesime, l'avranno trovato uguale ne' loro letti di piuma, di seta e
d'oro, Carlo V e Clemente VII.
Un nuovo disordine, preparato però da lunghe macchinazioni, sorgeva
intanto ad affrettare e render più dolorosa l'agonia della repubblica.
La setta de' grandi, risolutasi affatto a staccarsi dal resto del
popolo, concorse armata alla prim'alba sulla piazza di S. Spirito,
in numero di quattrocento giovani delle prime case di Firenze,
«sprezzando» secondo le proprie parole del Varchi «la religione del
sagramento, tante volte ed in tanti modi fatto da loro.»
Scelsero codesto luogo per esser prossimo alle case di Malatesta, e
poter così soccorrerlo all'uopo, e venire soccorsi: sforzare il Palagio
agli accordi, ed averli tali che potessero salvare il loro grado e le
loro ricchezze, era il fine al quale tendevano. Corse a questo rumore
Bernardo da Verrazzano, Commissario della milizia del quartiere, e si
studiò con buone parole ricondurli al dovere, mostrando loro di quanta
importanza fosse che in quel pericolo si mantenessero unite le volontà
di tutto il popolo, che potrebbe così ottenere capitoli più ragionevoli
e confacenti alla comune utilità, ove all'opposto le scissure e le
disunioni, dando maggior animo a' nemici, gli avrebber resi meno
trattabili e più insolenti.
Ma furono sparse al vento le sue parole, chè anzi ributtato e
minacciato villanamente, mancò poco non venisse ammazzato dal Morticino
degli Antinori, che toltolo di mira coll'archibuso, già appressava al
draghetto la fune accesa, ed avrebbe dato fuoco, se da' circostanti non
fosse stato rattenuto e ripreso.
Venuta la nuova in Palagio di questo ammutinamento, la Signoria, che
oramai navigava per perduta, ed in tanti e così diversi pericoli che
la minacciavano non sapeva più che farsi, nè come riparare, spedì pure
per tentare ogni prova, il Rosso de' Buondelmonti, Commissario della
milizia di S. Maria Novella, a pregarli che non volessero l'ultimo
strazio della repubblica, colle ragioni medesime addotte già senza
frutto dal Verrazzano, e che pur senza frutto furono udite per la
seconda volta, rispondendo costoro non voler per l'innanzi riconoscere
altra signoria nè altro signore che Malatesta.
Disperatosi allora il Buondelmonti di potere svolger costoro, a lui
si condusse pregandolo, per parte della Signoria, volesse colla sua
autorità far partire que' giovani da S. Spirito, e se questa domanda
gli venisse accordata, lo può immaginare il lettore; chè anzi già avea
mandato Malatesta a que' cittadini abbindolandoli colle solite promesse
d'uno stato di pochi, quale essi desideravano, e profferendosi pronto
ad ajutarli e sostenerli, ed al Commissario della Signoria, disse alla
fine aperto, ch'egli stava con quelli di S. Spirito e non conosceva
altri che loro.
Questa ribellione de' grandi, quantunque pel loro scarso numero non
paresse cosa di tanta importanza, fu però il colpo che dopo altri mille
decise finalmente la caduta della repubblica di Firenze; nel modo
istesso che ad abbattere un'antica e ben radicata quercia, quando pel
lavoro di molte scuri tentenni già recisa sul calcio, basta alla fine
un urto leggero.
Vennero in piazza i giovani di S. Spirito fatti oramai sicuri, e
crescendo d'insolenza, e s'attelarono in arme sotto la tettoja de'
Pisani, guardando in cagnesco i Piagnoni che avean dirimpetto,
schierati sotto la ringhiera, e se, come parve probabile, avessero
attaccata la zuffa, sa Iddio a qual rovina sarebbe stata condotta la
città: ma l'ordinanza di questi s'era d'assai assottigliata, chè alla
sfilata s'eran partiti molti, conoscendo oramai che il più contrastare
alla fortuna sarebbe stato di puro danno, e volere, non morire essi per
la patria, ma che la patria perisse per loro o per la loro ostinazione.


CAPITOLO XXIX.

Conoscendosi costoro padroni oramai di Firenze, vollero per prima cosa
che la Signoria rilasciasse que' cittadini Palleschi, che fin dal
principio dell'assedio erano sostenuti in Palagio; e la Signoria, che
dovea ubbidire, non potendo più comandare, li fece tostamente porre in
libertà, onde presto furon veduti uscire di Palagio ringraziando i loro
liberatori, come poco dopo ringraziaron Malatesta, recandosi a fargli
riverenza.
Il Busini, che era presente a quel fatto, e stava con que' pochi
Piagnoni superstiti, desideroso più di morire che di vivere, narra,
in una delle sue lettere al Varchi, che costoro avendo, durante la
prigionia, trasandata ogni cura della persona, apparvero con lunghe
barbe, e rassomigliavano ai romiti della Falterona.
Ora dunque i Signori, non conoscendovi più rimedio, sforzati dalla
necessità, dalla violenza dei nobili, e rimasti oramai abbandonati
a se soli, dovettero alla fine risolversi a cedere; e, radunato il
consiglio degli Ottanta nella sala grande di Palagio, in quella
stessa, che per opera di Fra Girolamo era stata disposta pel consiglio
maggiore; in quella, ove alcuni anni dopo il Vasari dipinse in tante
storie le battaglie che ribadiron poi la servitù fiorentina; radunato,
dico, il consiglio, pieno di quel lutto, di quel dolor tacito e
profondo che assai si può immaginare, elessero quattro ambasciadori
a Don Ferrante colla commissione d'accordarsi, salva però sempre la
libertà fiorentina.
Questa clausola sola parrà al lettore una derisione amara, ed il
progresso del tempo mostrò, che il suo giudizio non erra: ma è
nell'indole umana l'attenersi con grandissima ostinazione alle parole
allorquando vien meno la realtà da esse significata.
Partirono gli ambasciatori, si condussero alla villa Guicciardini,
detta la Bugia, ove alloggiava Baccio Valori, e venuti a parlamento con
esso e con D. Ferrante, dopo lunga discussione, fermarono i capitoli
della resa, e tornarono con essi, che già era fatta notte, in Firenze.
Niccolò, quantunque abbandonato quasi da tutti, era sempre rimasto
in piazza, al luogo medesimo. Quando gli fu annunciato che tutto era
finito, estinta ogni speranza, e Firenze venuta finalmente alle mani
de' Palleschi, provò quel dolore che supera ogni altro dolore, e non
è da mettersi a confronto nè colla perdita de' beni, nè con quella
della vita, e neppur della libertà, nascendo da una perdita assai più
tremenda per l'uomo, quella d'una fede nutrita, tenuta infallibile
e santa pel corso dell'intera vita. Scoprir traditore l'amico
dell'infanzia, è forse il solo dolore che a questo s'avvicini.
Chi può immaginare, non che descrivere, lo sconvolgimento tremendo che
dovette operarsi nell'animo del vecchio popolano, quando a un tratto,
quasi allo squarciarsi d'un velo, sentì nascersi il dubbio che Fra
Girolamo gli avesse ingannati?
A novant'anni s'avvide l'infelice vecchio che egli ancor non conosceva
tutti i dolori della vita, e mentre i suoi gli stavano attorno
confortandolo, e notando con ansia l'istantanea e spaventosa mutazione
che appariva nei suoi lineamenti, quella sua fronte, quei suoi occhi,
già cotanto sicuri, caddero a terra, il suo volto illividito espresse
una così desolata disperazione, che gli astanti temettero un momento
non avesse a cader morto allora allora, e con quelle parole e quegli
argomenti che alla mente d'ognuno parevan migliori, si studiavano
ravvivarlo, mentre piano piano procuravano trascinarlo alla volta di
casa.
Riuscirono a condurvelo, passando taciti per quelle strade poco prima
tanto riboccanti di popolo, tanto piene di rumori e di grida, ed ora
oscure, deserte e taciturne, se non che da quando a quando s'udivan
lamenti, pianti soffocati, che sonavan per l'aria senza potersi
conoscere d'onde venissero. Quando Niccolò rivide la bruna facciata
della sua casa, ove avea vissuto libero tant'anni, e dove oramai gli
conveniva viver servo, od uscirne, sentì rinnovarsi più amaro il suo
dolore, come accade a chi rivede per la prima volta quelle mura ove
visse lungamente con una persona cara, e che la morte abbia rapita
per sempre. Nel varcare la soglia, l'androne; nell'entrare nella sua
camera sentì opprimersi il cuore come entrasse in una prigione. Trovò
le figlie piangenti, che gli si fecero incontro, ed abbracciandolo
raddoppiarono il singhiozzare, ed egli, senza nè rispingerle, nè
corrispondere a quelle loro mute condoglianze, si venne spogliando
l'arme e le gettò a terra lontane, lanciando sovr'esse un ultimo ed
amaro sguardo; un altro sguardo gettava in alto a quella nicchia
entro la quale stava appesa la tonaca, ed eran collocate le ceneri di
Fra Girolamo, e senza torcer le pupille da quelle cose che in cotal
momento dovean destar in lui tanta tempesta di pensieri, rimase un buon
pezzo fisso, ed alla fine il misero venne alla presenza de' suoi, che
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