Niccolò de' Lapi; ovvero, i Palleschi e i Piagnoni - 23

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nessuno rispondeva, spinse la porta ed entrò; la camera era vuota.
Quantunque vi fosse stato parecchie volte, gli parve questa la prima,
si sentì correr per le vene un leggier fremito non mai provato sin
allora, e rimase un momento girando intorno lo sguardo sulle pareti,
sul mobile tutto nitido, ordinato e ben disposto, che assai mostrava da
qual gentilmano ne fosse tenuta cura. L'aria della stanza era profumata
d'un certo misto dell'odor de' fiori che ornavano l'immagine della
Vergine, e della fragranza delle biancherie di bucato che coprivano
il letto. La luce del giorno ormai presso all'imbrunire, cadeva
languida sul pavimento sotto le finestre; e la sua tinta azzurrina si
sfumava nel chiarore rossiccio diffuso dalla lampada che ardeva sopra
l'inginocchiatojo.
Lamberto fattovisi dappresso fissava gli sguardi su quella Madonna,
che non gli era mai sembrata di bellezza cotanto divina; considerava
a minuto quel, per dir così, santuario de' pensieri più ascosi della
sua Laudomia, que' fiori, que' libri di preghiere, que' cuscini
che mantenevan l'impronta della persona ne' luoghi ove si soleva
appoggiare. Tutte queste cose, che per ogni altro sarebbero state mute
e senza vita, per esso in quel punto aveano e senso e voce, che dolce e
potente al tempo stesso, gli scendea ne' segreti del cuore.
Tutto immerso ne' suoi appassionati pensieri, Lamberto, quasi
senz'avvedersene, piegò le ginocchia innanzi all'immagine, appoggiando
al cuscino un braccio, sul quale posava la fronte. Le troppe celeri e
potenti vibrazioni del suo cuore si venivan rallentando, e si perdevano
in un indefinibile e placido assopimento dell'intelletto, quando sentì
sulle sue spalle il posarsi d'una mano ed all'orecchio suonarsi dolce
la voce di Laudomia, che gli diceva:
--Tu qui, Lamberto? E per chi preghi?--
Il giovane alzò il capo volgendosi, e che cosa provasse in quel punto,
come rimanesse incontrando lo sguardo di quelle pupille umide che tanto
pietosamente lo guardavano, si può immaginarlo, ma non esprimerlo.
Senza mutar luogo, prese tra le sue mani quella di Laudomia, e
posandovi le labbra tutto tremante, rispose:
--Io veniva per pregar te; e di qual preghiera, e con che cuore, lo sai
Laudomia!--
--Sì, lo so--disse la giovane, ma gli occhi suoi diedero più piena
e più dolce risposta: senz'aggiunger altra parola, s'inginocchiò
anch'essa al fianco di Lamberto, che sempre le teneva la mano, ed
affissati gli occhi nel volto della Nostra Donna, dopo breve silenzio,
diceva:
--Oh, Maria! Se il cuor di Lamberto dovesse venirmi mai tolto, fammi
prima morire!....--
E ambedue tacquero, chè il parlare era impossibile a quel punto, ed
inutile tra due cuori trasfusi a un tratto l'uno nell'altro, colla
rapidità di due fiamme che vengan poste a contatto.
Quando riebbero entrambi, dopo lunga pausa, la facoltà di discernere
e di parlare, Laudomia impotente a reggersi più sulle ginocchia si
lasciò andare su un seggiolone che avea vicino; un appassionato ed
onesto languore le velava gli sguardi, che cadendo teneri e lenti sul
suo caro, pur tuttavia inginocchiato a' suoi piedi, gli narravano la
sua felicità colla sicurtà confidente e ingenua d'un amore innocente.
Pareva ad ambedue esser nati ad una nuova vita, trovarsi in un mondo
diverso, sto per dir quasi, aver mutato natura ed essenza; nessuna
memoria del passato, nessun affanno dell'avvenire; un intendersi
scambievole, senza parlarsi, ed al tempo stesso un bisogno di parlarsi,
e dirsi tratto tratto l'uno all'altra «Ma tutto ciò non è un sogno?....
Ma è proprio vero?» Ed intanto la mano candida di Laudomia sfuggendo ai
troppo ardenti baci del giovane, gli si posava sulla fronte, e facea
debol forza per tenerlo lontano.
Poi, ravviando a poco a poco le idee, e rannodando i pensieri, i
casi della vita passata colla felicità presente, ricordavano mille
inezie della fanciullezza, i primi pensieri, i primi moti del cuore
nell'adolescienza, si chiedevano e davano spiegazioni scambievoli di
parole rimaste oscure, d'atti, di sguardi, e di cento minuzie passate
molt'anni addietro, ma vive sempre e presenti alla memoria del cuore: e
nel tener questi cotanto intimi ragionamenti, Lamberto frammetteva ad
ogni frase nomi d'amore dolcissimi, coi quali chiamava Laudomia in modi
sempre diversi: nomi che non si possono ripetere, profanati come furono
e resi ridicoli dai poeti arcadi, buona memoria, e dagli sciocchi, ma
che perciò non son meno un bisogno, uno sfogo dell'anima quando essa
prova troppo più che non può esprimere colle parole consuete.
--O mia Laudomia, diceva il giovane, mio dolce, mio solo pensiero, tu
ora mi fai accorto del mio errore passato... io, che credevo d'aver
provato che cosa fosse amore!.... Oh! non pensavo mai potesse giungere
a tanto.... vedi.... soltanto un'ora fa, io mi struggevo pensando,
che avea potuto volgermi alla Lisa.... mi parea d'aver fatto troppo
gran torto al tuo amore.... che fu il primo, il solo della mia vita,
ora me n'avvedo degno di un tal nome.... ora conosco che credetti
amar altri.... ma non fu vero.... Oh! quanto mi conforta questo
pensiero.... non fu vero!.... non amai se non te sola, di quell'amore
che sola tu meriti, che solo è tuo, e lo è stato sempre nell'intimo
del cuor mio, e sempre lo sarà finchè viva!.... Ma puoi tu comprender
quanto quest'idea mi ridoni la vita?... Pensar ch'io non son macchiato
di quella colpa che mi faceva indegno dell'amor tuo? Che lo sguardo
celeste della mia Laudomia può scendere su me sereno, il suo pensiero
posarsi sul mio cuore senza cader troppo basso?--


CAPITOLO XXII.

Durante questi ascosi colloquj, s'era fatto notte chiusa, e la
camera rischiarata soltanto dal lumicino della lampada, era in una
semi-oscurità che in tutt'altro momento avrebbe avvertito i due giovani
a provvedersi di maggior lume, ma in quel momento non se n'avvedevano.
La famiglia s'era già radunata al pian terreno nella stanza di Niccolò
per le orazioni della sera, e mancando Lamberto e Laudomia, Vieri
s'era fatto a piè di scala per chiamarli; la sua voce si fece udire, e
risuonò per tutta la casa, ma non all'orecchio de' due chiamati, che
non s'accorsero di nulla, e Vieri, non dandosene maggior pensiero,
ritornò al fuoco cogli altri, mentre Lamberto proseguiva:
--Oh cara! non sai in quanto travaglio vivessi per queste
immaginazioni!.... ora vo' dirti tutto.... chè nulla vi debb'essere in
me che non ti sia palese....-- E qui le narrava di Selvaggia, della
memoria che glie n'era rimasta, della pietà che pur ancor ne sentiva, e
mentre parlava, veniva osservando attento e pauroso, qual impressione
producesser le sue parole sul volto di Laudomia. Quando non gli rimase
nulla ad aggiungere, diceva:
--Ora sai tutto, amor mio. Ti par egli ch'io avessi motivo di tenermi
immeritevole del tuo celeste amore? Ti sembro io degno ancora d'un tuo
pensiero? Oh, non tardar a rispondere, Laudomia mia!--
Ed aspettava coll'ansia d'un reo che dubiti udire la sentenza del capo.
Il viso di Laudomia, sul quale dapprima era apparsa una leggiera nube,
si rasserenò, mentre con un pò di sospiro (forse pensando che il cuor
di Lamberto non sempre era stato di lei sola) rispondeva:
--Dimmi, caro, se codesta donna non fosse stata cotanto vile, se tu
potessi amarla senza vergogna, l'avresti cara più di Laudomia tua?--
Lamberto si cacciò le mani a' capelli non trovando parole per esprimere
l'orrore che provava d'un cotal dubbio, ma l'atto ed il volto dissero
assai, onde la giovane proseguiva:
--Ora dunque, Iddio accetta pure i cuori che prima non eran suoi!
Egli pur si contenta di succedere ad altro amore! Ed io, inferma e
debol creatura, non dovrei contentarmene? Dovrei levar più alte le mie
pretese? Ah no! Lamberto. L'orgoglio mio non giunge a tanta pazzia....
Non mi dolgo del passato, neppur n'avrei motivo.... ma l'avessi anco,
più non vi penso.... Ma l'avvenire! Oh Lamberto! l'avvenire!--
E qui giunse le mani in atto d'umil preghiera, dicendo:
--Vedi, Lamberto, io sono una timida, una debol creatura, che tutta
s'affida all'amor tuo; per esso io saprò trovar forza ed ardire in
ogni caso della vita travagliosa cui ci facciamo incontro, in questi
tempi d'ire e di sangue: nessun pericolo, nessuna sventura potrà mai
ridurmi a tale che tu debba arrossir di me.... tanto promisi a Dio, al
babbo.... e tanto saprò mantenere.... ch'io mi sento d'esser cristiana,
nata d'un popolo libero, e figlia di Niccolò.... Ma, Lamberto, d'una
sola cosa ti prego.... non amar mai che me sola!... io, vedi, mi sento
di poter esser forte contro ogni sventura, ma contro questa!.... oh,
non lo sarei! La vita di noi donne è tutta nel cuore, sai.... Per noi
l'amore non è un trastullo.... non un sollievo da cure maggiori! Quel
cuore che mi donasti è oramai il mio solo tesoro, l'unico mio pensiero;
non rapirmelo, Lamberto, fin che son viva!--
Quel che sentì in cuore il giovane a queste tenerissime parole,
non potè esprimerlo fuorchè baciando mille volte quella mano che,
abbandonata tra le sue, oramai più non gli fuggiva. Dopo un poco,
rialzando a un tratto il capo e cercandosi in seno, ne cavò la lettera
della madre, che sempre avea seco, e, fattala leggere a Laudomia, che
la bagnò di lagrime di tenerezza, la riprese, e disse:
--Tu vedi qual cuore avesse per te la povera mamma mia; tu vedi
com'essa mi benedisse all'ultima ora; ora dunque ascoltami, se mai io
potessi esser tanto sciaurato da farti torto sol d'un pensiero, questa
benedizione si volga....--
Ma non potè finir la parola, chè la mano di Laudomia gli si posò sulle
labbra vietandogli di più parlare.
--Oh! Lamberto, non dir di queste parole, Iddio le riprova.... mi basta
leggerti in cuore.... oh! sì, vi leggo che il nostro amore non finirà
neppure in cielo, ove ci ameremo pur sempre, immersi nell'amor santo di
Lui che ci creò per farci in eterno beati.--
E gli occhi suoi si levarono al cielo con quello sguardo di paradiso,
che nacque talvolta sotto il gentil pennello di Guido Reni.
Stati così un momento, risorse nel cuor di Laudomia il pensiero di
Selvaggia: i suoi rimorsi, la sua miseria l'avean commossa, volle
udirne i casi più a minuto, ed alla fine diceva, quasi sbigottita:
--Oh poveretta!.... oh, che scellerati si trovano!.... che orrende cose
succedono a questo mondo!.... che cosa non ha dovuto soffrire, e non
dovrà forse soffrire ancora quella poverina! Oh! sì... amarti, caro, e
non aver ombra di speranza!.... dev'esser orrendo! Ma almeno si potesse
saper dov'è! rintracciarla, recarle qualche conforto.... farle provare
una volta la dolcezza d'essere amata, se non d'amore, d'affetto,
d'amicizia almeno!--
--Dov'ella sia ora, Dio solo lo sa.... (non lo direi con altri.... ma
con te, Laudomia mia, posso dir tutto....) mi sta in mente ch'ella non
abbia a perder la mia traccia.... che vuoi? s'io non corrisposi al
suo amore, le parlai almeno con riguardo, e mostrandole compassione,
avvezza, come era, a trovarsi sempre tra insulti o scherni, le parve
d'aver una volta incontrato chi avesse viso e viscere d'uomo.--
--Oh, quanto l'avrei caro se la ritrovassi!.... io, vedi, son fatta
così.... saper che la mia felicità rende cotanto infelice una
povera creatura.... mi stringe il cuore... avrei bisogno, in certo
modo, di farmelo perdonare.... di risarcirla in qualche maniera. Oh
Lamberto!.... troviamola! Io le sarò amica! non avrà più a dire che
nessuno al mondo non le ha voluto mai bene!--
--Un angelo come te non c'è neppure in paradiso!--disse Lamberto fuor
di sè, e sulla fronte di Laudomia, soave e puro come il petto d'una
colomba, fu colto dal giovane il primo bacio dell'amore.
Niccolò in quella, vedendo che Lamberto e Laudomia non comparivano,
mezzo s'addette di ciò ch'era dovuto accadere. E per chiarirsi,
rattenne Vieri, che s'era mosso per chiamarli di nuovo, e volle andar
per essi egli stesso. Salì, ed al primo venne all'uscio di Laudomia,
che era socchiuso, tantochè potè entrare senz'esser sentito, udir
l'ultime parole, e veder l'atto di Lamberto.
Fu così contento il buon vecchio vedendo adempirsi il suo maggior
desiderio che, contro la natura sua, posto per un momento sullo
scherzare, fe' risentire i due giovani, ripetendo le parole che
nell'ultimo colloquio gli avea detto Lamberto.
--Oh, io non merito l'amor di costei! Io non son degno dell'amore di
quell'angelo!.... Povero Lamberto! anch'io principio a dubitare non
abbi ragione!--
Poscia, ripreso il suo solito viso, pieno però di dolcissimo affetto,
strinse in un solo abbraccio i due giovani che, sorridenti e parte
arrossiti, si eran levati in piedi, e tenutili così un poco, li trasse
presso l'Immagine, e fattili inginocchiare, pose ad entrambi le mani
sul capo, dicendo:
--Oh, figliuoli miei! voi che foste sempre buoni, ubbidienti; che siete
la dolcezza e l'onore della mia vecchiaja, io vi benedico. Benedico
il vostro amore, i vostri figliuoli sin d'ora, e chi verrà da essi!
Quand'io non sarò più con voi.... e sarà presto.... rammentate Niccolò
padre vostro, ricordate l'amore ch'egli vi portava, la benedizione
ch'egli oggi vi diede, e se volete che Iddio la confermi dal cielo,
amatevi sempre come ora v'amate.... ma prima ancora amate Iddio, la
patria vostra, e così ci verrà concesso alla fine d'esser per sempre
riuniti tutti nella celeste.--
Tacque, nè dai due giovani venne per alcuni minuti profferita parola,
compresi, com'erano, da un senso di religiosa venerazione e di tenera
gratitudine per le parole udite. Alla fine, Niccolò, il primo, si
mosse, dicendo:
--Ora andiamo chè ci aspettano.--E scesi insieme vennero nella sua
camera, ove gli altri individui della famiglia, che avean dalla Lisa
udito che cosa si trattasse, sorridendo, notarono una tinta più
accesa del solito sulle guance di Laudomia, e sul volto di Lamberto,
abitualmente mesto, una cotal effusione d'allegrezza tutta espansiva,
che appariva eguale, e parea ancor più nuova sulla severa fronte del
vecchio. Mentr'egli era uscito per cercar di loro, eran comparsi i
soliti amici che venivan a veglia, e Fanfulla tra gli altri, chè era
ormai fatto di casa come la granata.
Niccolò diede alla brigata la nuova del parentado concluso, e seguirono
gli abbracci, i rallegramenti, gli augurj, la festa insomma che si suol
fare in cotali occasioni. Il contratto venne fissato pel domani a sera
nella chiesa di S. Marco, secondo l'antico costume fiorentino; chè agli
sposi, non meno che al padre, non pareva di frapporre maggior indugio.
Egli disse a tutti quanti eran presenti, che gl'invitava ad un pò di
cenetta, che si sarebbe fatta tornando di chiesa, non quale, diceva,
avrebbe voluto in quest'occasione, ma quale le presenti calamità lo
concedevano. Voltosi a Fra Benedetto da Faenza, lo pregava fosse
contento benedir egli questo matrimonio, che si sarebbe fatto tra tre
giorni nella chiesa medesima.
--Oh Lisa! Che n'è di Troilo, che non è qui stasera?--disse volgendosi
alla figlia che stava lavorando presso una tavola in disparte.
Lisa rispose, ch'egli s'era scritto quel giorno stesso alla buca di S.
Girolamo, e v'era andato, nè potrebbe ritornare che sul tardi.
--Bene sta--disse Niccolò, che non era in quel momento disposto a dar
ascolto a sospetti, nè inclinato a male interpretazioni, e godendosi
nell'allegrezza di trovarsi fra suoi cari, in quel momento non pensò
più a Troilo, nè ad altro, e così venne passando quella sera.
Ma Troilo pur troppo pensava bene a loro.
Ritornando a casa con quel suo fardelletto, e rimessosi in buona colla
moglie, che, poveretta! era rimasta tutta sbigottita ed in grandissimo
travaglio, dandosi tutta la colpa di quel bisticcio, il primo nato fra
loro dacchè erano insieme, aspettò che imbrunisse, e messosi indosso
l'abito di fratello si mosse verso porta S. Gallo, ov'era l'oratorio
della confraternita. Giuntovi, e fattosi conoscere alla porta
dall'anziano di guardia, fu messo dentro, e scese per molti gradini in
una chiesuola, che per esser sotterra veniva chiamata buca. Si trovò
sotto una vôlta bassa, lunga, partita in croce da grosse e rilevate
spine di pietra rozza ed affumicata dal lungo arder delle torce. Il
pavimento di lastre larghe, era sparso d'avelli, sui quali stavan
scolpite l'effigie di guerrieri, di cittadini, vestiti con lunghe
tonache, ed il basso rilievo era quasi spianato pel lungo stropiccio
de' piedi. Sull'altare, in fondo, ardevan alcune candele dinanzi
all'immagine di S. Girolamo, dipinta su un trittico d'antica maniera,
tutto pieno di dorature e d'intagli: e moltissimi voti che, secondo
l'uso del tempo, consistevano in fantocci grandi al vero rappresentanti
figure di divoti d'ambo i sessi coi loro abiti al naturale, pendevan
nel vano appiccati alla vôlta. Questa popolazione aerea, simile in
tutto, fuorchè nel moto, a quella che le stava sotto i piedi, avea
un non so che di strano, e, vista in massa scura contro il chiarore
dell'altare, pareano fantasmi evocati dalle sottoposte tombe. Voci
basse e nasali e strascinate cantavan le ore canoniche dietro l'altare,
e per la chiesa, inginocchiati muro muro contro una spalliera di legno,
oravano molti fratelli chiusi nell'abito, e colla buffa calata sugli
occhi.
A Troilo, avvezzo ai balli, alle cene, ai sollazzi d'ogni maniera, e
che ai suoi giorni non era stato forse dieci volte in chiesa, parve
proprio, scendendo quivi, d'essersi calato in sepoltura. Venne avanti
con riguardo di non sdrucciolare, chè il pavimento era grommato d'una
muffa umidiccia, a modo delle cantine, e, fermatosi, diceva guardandosi
intorno:
--A pensar che per andar in paradiso e' convien pigliare questa razza
di scorciatoje!... Pazienza!.... anche questa tocca a te, messer
Troilo!.... Ah, Baccio cane!... ci rivedremo, se piace a Dio!... E ora,
come si fa a riconoscere quel poltrone di messer Benedetto in mezzo a
que' sacchi di carbone tutti compagni?.... Lasciami un pò guardare....
Quello costà tutto rannicchiato che par che covi?... Sì.... le zucche
marine!.... è più alto un braccio... Oh! quell'altro là con quel
groppone trionfale, come un cavallo da giostra?.... È lui senz'altro.--
Fattosegli dappresso s'inginocchiò al suo fianco, e, dato e ricevuto il
segno combinato fra loro, trovò ch'egli s'era apposto, e cominciarono a
voce bassa a bisbigliare insieme. Troilo, per ottenere più sicuramente
e più presto il suo intento, venne al primo a mezza spada, e, senza
preamboli, disse a messer Benedetto, che in nessun modo egli non si
sentiva più di rimanere in Firenze a far quella vita di frate, ch'era
una seccaggine, che non sarebbe stato vivo dopo una settimana, e però
ne facesse avvertito messer Baccio, ch'egli si voleva partire a ogni
modo.
E messer Benedetto, a dirgliene quante sapeva per persuaderlo, e fargli
mutar proposito, e l'altro sempre più duro: pure, alla fine, dopo molto
disputare, si lasciò fuggir di bocca, ch'egli si sarebbe contentato di
rimanere, ma ad un patto «Qualunque sia, purchè cosa fattibile, vi sarà
accordato» rispose tosto il Nobili.
--Ora dunque ascoltatemi, disse Troilo. Voi vi avete ad adoperare in
modo col sig. Malatesta che dentro domani Lamberto, quell'uomo d'arme
della compagnia del signor Amico d'Arsoli, che è alloggiato in casa di
Niccolò, sia mandato fuor di Firenze colle bande di contado, o dove
vogliono, chè poco m'importa, purchè mi si levi d'innanzi.--
--Se non vuoi altro, figliuolo, e' sarà subito fatto,--rispose il
Nobili cui parve averne bonissimo mercato.
--Anzi, proseguiva, mi vien in mente, dacchè siamo mascherati a questo
modo, la meglio sarà che andiamo insieme da Malatesta, come sia finito
l'uffizio. Ora taci, e fatti in costà per non dar sospetto.--
Troilo, tutto contento, si rise in cuore della costui sciocchezza, nel
credere avesse intenzione daddovero di torsi da un'impresa alla quale
cominciava invece a prender gusto: e tiratosi un po' lontano si pose
il capo fra le mani, fingendo di pregare, e ruminando invece le sue
ribalderie.
Passò così un pajo d'ore, che per la posizione incomoda, e pel dolor
delle rotelle, cui toccava per la prima volta di portar tutto il peso
del corpo, gli parvero quattr'ore almeno. Alla fine s'accorse che le
candele dell'altare si spegneano una ad una. Alzò il capo, e vista
scomparir l'ultima fiamma sotto lo spegnitojo, rimase nelle tenebre, se
non che, dietro l'altare, un lumicino mandava appena un debole albore.
S'accorse allora come d'un'ombra, che andando in volta lungo il muro
si fermava, ed ogni fratello facendo l'atto di porgerli non so che, si
fece più presso a messer Benedetto per domandargli che volesse dire
codesto, quando, giunto a lui l'uomo che andava in giro, gli pose in
mano un certo negozio di legno lungo due palmi, che allo scuro non
potè conoscer che cosa fosse: ma al tatto, sentendo certe funicelle
a nodi che pendevano dall'un dei capi, scoprì d'aver fra le mani una
disciplina.
Fu per lanciarla dietro a quello che glien'avea fatto dono, pure si
trattenne; ed il Nobili, che lo tenea d'occhio, gli disse sottovoce:
«Fa come fo io.» Troilo badava a guardare: vide messer Benedetto che,
spogliatisi uno ad uno tutti i panni sopra la cintura, rimase colle
braccia e le spalle nude, e presa la disciplina cominciò a battersi, e,
si può credere, con più strepito che danno, e tutti gli altri fratelli
facendo lo stesso venivano intanto recitando il _Miserere_.
Troilo si sentì montar una tale stizza d'essersi lasciato cogliere a
questa baratta, della quale messer Benedetto non gli avea fatto parola,
che, presa la disciplina, senza spogliarsi altrimenti, disse: «ora me
la paghi senza aspettar domani.» E datosi a picchiare all'impazzata per
le panche e pei muri, n'appoggiò un pajo delle cattive sulle spalle di
messer Benedetto, che lo fecero accorto quanta differenza passi dal far
la disciplina colle proprie mani, o con quelle d'altri. Il percosso
si volse come una vipera, e Troilo, ridendo sotto i baffi, si scusò
sull'oscurità e sulla poca pratica ch'egli avea di cotali esercizj.
Alla fine, verso le quattr'ore di notte, dato fine all'uffizio ed al
picchiare, cominciarono i fratelli a partirsi alla sfilata; e quando
la chiesa fu vuota anche i nostri due ribaldi, risaliti in istrada,
s'avviarono verso il palazzo di Malatesta al Renajo dei Serristori.
Giacchè ci è dato di fornire d'un salto, ed in un attimo, quella
strada, che per costoro richiese una mezz'ora di tempo e di molti
passi, li precederemo col nostro lettore alla meta della loro via, e
ci poseremo, aspettandoli, in certe camerette a pian terreno, delle
quali, per una scaletta segreta, si comunicava colla stanza da letto
di Malatesta, abitate da maestro Barlaam, suo medico ed astrologo, del
quale speriamo non si sia dimenticato il lettore, quantunque da un
pezzo non glien'abbiamo fatto parola. Un ospite nuovo, già comparso
esso pure nel nostro racconto, s'era presentato ventiquattr'ore innanzi
in questo quartiere: ma prima d'occuparci de' suoi fatti presenti, è
necessario riempire la lacuna che lasciammo nel racconto de' suoi casi
passati.
Quando Selvaggia, dalla prora della galera di D. Ugo di Moncada, ove
combatteva per difender Lamberto, fu travolta nel mare ferita e mal
condotta, (il lettore l'avrà, senza dubbio riconosciuta in quel soldato
dal morione) dopo la prima impressione del freddo dell'acqua, non sentì
più nulla, perdè la memoria ed i sensi; e quando rinvenne, si trovò
racchiusa in un luogo oscuro, angusto e fetente, stesa sulla paglia e
stivata tra feriti e moribondi. Le venne in mente d'esser uscita dal
mondo e trovarsi nelle pene dell'inferno: ma raccolte a poco a poco le
forze mentali, ed ascoltando il rumore sordo e confuso che si faceva
sopra il suo capo di passi risuonanti su un tavolato, e lo strepito
a scosse uguali e prolungate, prodotto dall'andar e tornar de' remi,
s'accorse d'esser nel fondo d'una galera, le ritornò la memoria della
passata battaglia, ed obbliando il suo stato, le sue ferite, gli acuti
dolori che soffriva, corse colla mente a Lamberto, e disse sospirando:
--Oh! me l'avranno ammazzato!....--
La ferrea tempra di questa donna non potè stare contro un tal pensiero:
poveretta! si mise a piangere come un bambino. Dopo aver pianto un
pezzo, diceva fra sè, in un momento di terribile disperazione:
--Come deve essere spietato!... astuto!.... quel demonio che da
quando nacqui mi è sempre stato sopra accanito!.... e mi seguita
dappertutto!.... in pace.... in guerra.... fin nel profondo del
mare.... non c'è modo a fuggirlo!.... Ma io voleva morire questa
volta.... domandavo tanto? Morire!.... ma per Lamberto, ma per
salvargli la vita.... Oh sì!... appunto! anche questa era troppa gioja
per Selvaggia! Una gioja!.... una che è una! non l'ha da provare....
mai.... mai! Ma chi sono io? diceva alla fine dando in uno scoppio
di pianto dirotto e sconsolato. Chi sono io?.... sono un serpe? una
fiera?... Che cosa ho fatto prima di nascere? che delitto commisi?...
T'ho io pregato di mettermi a questo mondo, Dio terribile che mi
creasti?....--
Queste tremende smanie, aumentando i mali fisici di Selvaggia, la
spinsero di nuovo nel primo letargo: vi stette, immemore di sè e de'
suoi dolori, Dio sa quanto tempo! Ritornandole poi l'uso de' sensi,
si vide un cappuccino inginocchiato accanto, che le andava bagnando
le tempie d'aceto. Penò un pezzo a poter parlare; appena le riuscì di
farsi intendere, domandò:
--Dove siamo?--
--Sulla santa Marta, figliuolo, rispose il buon frate, nell'acque di M.
Cristo, e diretti a Gaeta.--
--Oh! ditemi, soggiungeva ansiosa facendo forza di sollevar il capo: la
capitana spagnuola?.... sulla quale si combatteva quando fui rovesciato
in mare?--
--A picco, figliuolo; che Dio abbia in pace tante povere anime.--
--Ed anche lui?... anche Lamberto?.... anche quel bravo giovane?....
quello che tutti gli uccideva lui solo.... Oh! ditemelo? anch'esso?--
--Che volete ch'io sappia? non so di chi mi vogliate parlare, ne son
morti tanti! che a saper il nome di tutti ci vuol altro! Quel che posso
dirvi è, che la galera cadde sul fianco, chè una cannonata l'avea
sfondata sott'acqua.... e quanto dir un'avemmaria, la bandiera di
Spagna, che stava in cima all'albero maestro, scomparve nel mare.--
--Oh! me l'hanno ammazzato!--ripetè due volte l'infelice con voce
debole e profonda, e rimase muta, immobile, senza mostrar di udire o di
curare nè i conforti, nè gli ajuti del frate.
Giunta la galera a Gaeta, tenuta allora pei Francesi, vennero sbarcati
i feriti, e Selvaggia cogli altri, ed ammucchiati in certi magazzini,
sudici, malsani, del porto. Se il lettore ha veduto (e se non l'ha
veduto, meglio per lui!) un ospedal militare in tempo di guerra, se
il suo piede ha calcato la paglia trita e fetida che serve di letto a
centinaja di feriti, ravvolti in tutte le sozzure della miseria, egli
può farsi un'idea dell'orribil luogo nel quale fu ridotta la poveretta,
e tenga a calcolo che, trecento anni sono, cotali ospedali eran di
molto peggiori de' nostri.
Parrebbe che la natura, formando certe esistenze d'uomini predestinate
al patire, avesse cura (più crudele forse che provida) di rafforzarle
con una complessione ad ogni prova: al modo istesso che, il costruttor
di navi, ricuopre di rame, e rende più validi i fianchi di quelle
destinate ad affrontar le tempeste ed i ghiacci del polo.
Una tal complessione avea sortito Selvaggia, ed i dolori, le malattie,
gli stenti ne' quali venne languendo per più d'un anno, non valsero a
torla di vita. Non del tutto chiuse, dopo alcuni mesi, le sue ferite,
fu levata a braccia (chè in piedi non potea stare) dalla paglia
dell'ospedale per dar luogo ad altri feriti, e lasciata sul lastrico
d'una strada, ove sarebbe morta di fame, se da caritatevoli persone
non fosse stata raccolta, e soccorsa, finchè a gran pena, e dopo molto
tempo, non potè riacquistar forza e salute.
Finchè avea tenuto per certo di dover morire, l'idea di lasciar la vita
senza riveder Lamberto, senza saper più nulla di lui, avea reso più
grave e disperato il suo male: ma appena sentì rinascersi le forze,
appena le tornò in cuore un pò di vita, riprese la speranza ch'egli
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