Gli eretici d'Italia, vol. I - 12

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combattè gli eretici, non solo colla parola, ma coi miracoli. Perocchè
una volta, dice la legenda, non badandogli gli uomini, furono veduti i
pesci venir su per la Marecchia, e a bocca aperta collocarsi ad
ascoltarlo; un'altra, un giumento, da lungo tempo digiuno, si prostrò
davanti all'ostia consacrata, benchè il padrone patarino gli porgesse il
truogolo dell'avena.
Martello degli eretici fu detto san Tommaso d'Aquino, che nella _Summa
theologica_ espose tutti gli argomenti contro gli errori di essi, come
dicemmo: nè men fervoroso apparve san Bonaventura. Contro gli eretici di
Prato aveva proferito sentenza il vescovo di Worms, legato
dell'imperatore Enrico VI nel 1194[120], confiscandone i beni, ordinando
di disajutarli in ogni modo, e vietando di dar loro consiglio od ajuto,
nè di mettere ostacolo a lui quando li facesse carcerare. Nel resto
della Toscana troviam pure nominati fra gli eretici Guido da Cacciaconte
di Cascia in Valdarno; il prete del Ponte a Nieve, Migliore da Prato,
uno di Poggibonzi, due donne di Poppi, Andrea di Fede, una Meliorata con
suo padre Albese, un'altra fiorentina. Gherardo, dottore e cavaliere di
Firenze, fu scoperto eretico solo allorchè, morendo, non volle attorno a
sè che Patarini.
A Firenze, come negli altri Comuni, v'erano statuti _de hæreticis
diffidandis et baniendis; omnes hæreticos cujuscumque hæresis diffidare
et exhaurire debeant rectores civitatis, etc_. La prima e la seconda
domenica dell'avvento, il vescovo, celebrando in Santa Reparata, solea
richiedere i rettori della città che perseguitassero e sbandissero gli
eretici. E vescovo dal 1205 al 1230 vi fu Giovanni da Velletri, il
quale, vedendo propagarsi l'eresia, pensò ripararvi seriamente, e fece
catturare alcuni che si tenevano celati. Costoro vescovo era Filippo
Paternon, che avea fatto di molti proseliti. Gregorio IX papa, nel 1227,
ordinò a frà Giovanni da Salerno, compagno di san Domenico e priore di
Santa Maria Novella, che procurasse l'arresto del Paternon: il quale
côlto, abjurò i suoi errori, ma ben presto tornò ai conciliaboli, e la
potenza de' suoi settarj lo assicurava d'impunità. Quando la prudenza il
consigliò a mutar paese, gli furono surrogati nel ministerio Torsello,
indi Brunetto, infine Jacopo da Montefiascone, che, con un Marchisiano e
con un Farnese, da prima gli servivano di ministri. Farnese predicava
cogli occhi chiusi come chi dorme, ed asseriva che egli e i compagni
suoi talvolta in abiti preziosissimi assistevano alla maestà divina.
Contemporaneamente a frà Giovanni, il vescovo di Siena Bonfili ricercava
gli eretici nella sua diocesi, ajutato da altri Domenicani.
Il nuovo vescovo di Firenze Ardingo Feraboschi fece contro i Patarini,
varj decreti confermati da Gregorio IX, e vide stabilita regolarmente
nella sua città l'Inquisizione, con tribunale nel convento di Santa
Maria Novella, e pubblici notari. Frà Ruggero de' Calcagni, uscito da
famiglia di mercanti in Vachereccia, ne fu primo inquisitore, ed eresse
processo nel 1243, per trovare l'origine, il seguito e l'estensione di
tanto male, e servendosi dei processi fatti già prima in convento,
principiò cause terribilissime, e fin allora non più sentite nella
città. Il tribunale per lo più si teneva in quel monastero, e alle volte
nel luogo di Santa Reparata, assistendovi sempre l'inquisitore, il
priore di Santa Maria Novella, e due o tre altri frati de' principali.
Citavano i rei a comparire, sotto intimazione, prima di pena pecuniaria,
poi di censure: ed un'infinità d'eretici sì uomini come donne bisognò
venissero ad esibirsi, perchè i signori di palazzo da lettere papali
erano stati obbligati a dare i rei nelle mani degli ecclesiastici, onde
non v'era campo di poter esentarsene[121]. In fatto, Pietro e Andrea
furono mandati a Roma, ove abjurarono.
Non per questo cessavano gli eretici, e Gherardo di Ranieri Cavriani,
figlio d'eretico, davasi attorno apostolando, e spesso tornava in
Lombardia, e andava nelle case a dar la consolazione ai morenti. Altri
caporioni erano Baron del Barone e Pulce di Pulce, famiglia calabrese,
appoggiati dalla fazione imperiale, e secondati dai Cavriani, da Chiaro
di Manetto, da Cante di Lingraccio, da Uguccione di Cavalcante, dalle
famiglie Saracini e Malapresa, e da molte signore, fra cui Teodora
moglie del Pulce, un'Aldobrandesca, una Contrelda, un'Ubaldina erano
sempre le prime a dar impulso alle collette apertesi a favore de' poveri
e de' predicanti.
I quali insegnavano che Maria non era donna, ma un angelo: che Cristo
non prese carne da lei; che non si trovano il corpo e il sangue sacro
nell'eucaristia. Teneano loro adunanze in Firenze nella casa del
Manetto, del Lingraccio, e massime de' Baroni, che, come rilevanti
dall'impero, rimanevano esenti dalla giurisdizione comunale, e che
edificarono una torre a San Gaggio, fuor di città, apposta per ricettare
gli eretici; oltrechè aveano conciliaboli in una villa sul Mugnone. Frà
Ruggero, unito a frate Aldobrandino Cavalcanti, ne fe carcerare
alquanti; ma i Baroni, gelosi delle loro immunità, per forza li
rimessero in libertà. Con ciò venne la città a dividersi in due fazioni,
una avversa, l'altra favorevole all'Inquisizione, e bande prezzolate
insultavano per la via i fautori di questa e i Domenicani.
I Serviti, ordine allor allora istituito sul monte Senario, che prima
per la straordinaria pietà erano sospettati eretici, vennero ad
obbedienza dell'inquisitore, faticandosi a ribattere gli eretici; al che
valse pure il miracolo che allora si divulgò, d'Uguccione prete di
Sant'Ambrogio presso Firenze, il quale, detta messa, non asciugò bene il
calice, e al domani vi si trovò sangue vivo.
De' processi allora eretti, alcuna cosa fu pubblicata dal Lami, e parte
si conserva nell'archivio di Stato fra le carte di Santa Maria Novella,
e di là traemmo le notizie che precedono[122]. Le deposizioni sono la
maggior parte di donne, e principalmente di Lamandina Pulce, avversa
agli eretici quanto v'erano propense le sue consanguinee. Non appare vi
si usasse tortura, e quando l'esortazione uscisse inutile, i rei
venivano abbandonati al braccio secolare.
Il papa, che aveva confortato la Signoria a conservar forza alle leggi,
per appoggio inviò frà Pietro da Verona. Questi era nato da genitori
patarini, e resosi domenicano, spiegò zelo straordinario contro gli
eretici in Lombardia. Di là trasferitosi a Firenze nel 1244, predicava
nella piazza di Santa Maria Novella, la quale trovandosi angusta alla
folla accorrente per udirlo, ad istanza di lui fu fatta ampliare dalla
Signoria. Istituì egli la società de' Laudesi, che cantava Maria e il
Sacramento, quasi a sconto degli oltraggi dei Patarini.
Ma questi, non che rimanessero allibiti, opponevano la forza; lo perchè
Pietro sistemò alquanti nobili, che volonterosi si esibivano per guardia
al convento dei Domenicani, ed altri che eseguissero i decreti di
questi: donde originò la «sacra milizia dei capitani di Santa Maria».
Sulla facciata dell'uffizio del Bigallo, rimpetto a San Giovanni, due
sbiaditi affreschi di Taddeo Gaddi figurano il miracolo di quando un
cavallo infuriato si lanciò contro le turbe che ascoltavano la predica,
ma passò sovra le loro teste senza nuocere ad alcuno; ed esso Pietro,
quando a dodici nobili fiorentini consegna lo stendardo bianco colla
croce rossa per tutela della fede: il quale stendardo conservasi in
Santa Maria Novella, e si spiega nel giorno di quel santo.
Crebbero allora processi ed esecuzioni, e varie donne di Poppi furono
messe a morte. Frà Ruggero citò al suo tribunale i Baroni, i quali,
dichiarando quelle esecuzioni inumane ed illegali, s'appellarono
all'impero: e il podestà Pace da Pesannola, bergamasco, li tolse in
tutela, protestando contro le sentenze, e intimando si rilasciassero i
detenuti. Perciò dagli inquisitori fu messo con solennità
all'interdetto, onde ne nacque parte e tumulto: una domenica nel 1245,
mentre i fedeli ascoltavano la predica nella cattedrale, gli eretici gli
assalgono e feriscono: Pietro si pone alla testa de' suoi; sono di
sangue contaminate piazza Santa Felicita e il Trebbio, finchè i
Cattolici riescono superiori. La croce del Trebbio rammenta anche oggi
quel macello; e vuolsi che allora cominciasse l'uso di porre croci e
madonne sui crocicchi, onde tosto vedere chi le dileggiasse o riverisse.
Segnalato per tanto zelo, Pietro muove a farne prova sui Cremonesi e sui
Milanesi, i quali, esacerbati dalle battaglie mal riuscite contro
Federico II, bestemmiavano il Cielo, insultavano ai riti, e sospendevano
capovolti i crocifissi. Cominciò egli le processure; e predicando a
Milano sulla piazza di Sant'Eustorgio diceva: «So che gli eretici hanno
tramato la mia morte; che è già depositata la somma onde retribuire il
sicario. Sia quel che vogliono, s'accorgeranno ch'io farò contro loro
dopo morte più che non facessi da vivo». In fatto Stefano de'
Confalonieri di Agliate e Manfredi da Olirone congiurarono, e lo fecero
uccidere mentre il sabato _in albis_ passava da Milano a Como. Egli
trafitto intrise il dito nel proprio sangue, scrisse per terra _credo_,
e spirò[123]. Subito venerato col nome di Pietro Martire, ebbe un tempio
sul luogo dove cadde, e in Sant'Eustorgio a Milano una magnifica arca,
ch'è uno dei primi monumenti della scultura, con epitafio scritto da san
Tommaso:
_Præco, lucerna, pugil Christi, populi, fideique_
_Hic silet, hic tegitur, jacet hic mactatus inique_
_Vox ovibus dulcis, gratissima lux animorum,_
_Et verbi gladius, gladio cecidit Catharorum, etc._
D'egual moneta aveano i Patarini pagato frà Rolando da Cremona, mentre
sulla piazza di Piacenza predicava: Pietro d'Arcagnago, frate Minore,
scannato in Milano presso Brera per opera di Manfredo da Sesto,
caporione de' Patarini lombardi, con Roberto Patta da Giussano; frà
Pagano da Lecco, trucidato coi compagni mentre andava a stabilire
l'Inquisizione in Valtellina, e così altri. Nel 1279, avendo
gl'inquisitori condannata al fuoco una tedesca in Parma, i cittadini
insorsero, saccheggiando il convento de' Domenicani, alcuni anche
ferendone, talchè essi a croce alzata partirono. Ma il podestà e gli
anziani e i canonici li seguirono, e gl'indussero a tornare, promettendo
rifarli dei danni e punire gli offensori[124].
A san Pietro Martire successe come inquisitore in Lombardia frà Ranerio
Saccone, che più volte menzionammo, il quale spianò la Gatta, ritrovo
degli eretici, e fece bruciare i cadaveri di due loro vescovi, Desiderio
e Nazario, tenuti in venerazione; nè si rallentò finchè Martin Torriano,
signore del popolo, nol fe cacciare.
A Milano poco dopo comparve una Guglielmina, che diceasi oriunda di
Boemia e di stirpe regia, e che, a guisa de' Montanisti, non ammetteva
Cristo come ultimo termine del progresso morale e religioso, ma come un
progresso, che doveva essere sorpassato da una nuova missione: in lei lo
Spirito Santo essersi incarnato per redimere Giudei, Saracini e mali
Cristiani: averla Rafaele arcangelo annunziata a sua madre Costanza,
moglie del re di Boemia, il dì della Pentecoste: nata un anno dopo
quell'annunciazione: era vero Dio e vero uomo nel sesso femminile, come
Cristo nel maschile, e dal sacrosanto suo sangue resterebbero salvati i
miscredenti: come Cristo, secondo la natura umana, non secondo la
divina, dovea morire, risorgere, e alla presenza de' discepoli e dei
devoti salire al cielo per elevare l'umanità femminile. Quanto visse, il
popolo la venerò; morta nel 1282, fu tumulata splendidamente a
Chiaravalle, casa de' Cistercensi presso Milano, e tenuta in conto di
santa, e il suo sepolcro frequentato da devoti, illuminato giorno e
notte da ceri e lampade, e vi si celebravano tre feste annue, a san
Bartolomeo, all'Ognisanti e a Pentecoste, distribuendosi da que' monaci
pane e vino in commemorazione di lei, della quale si enumeravano la
virtù e i miracoli: e ceri ardevano davanti alla effigie di essa,
dipinta in Santa Maria Maggiore, in Santa Eufemia, alla Canonica e
altrove.
Come Cristo lasciò in terra san Pietro per suo vicario, affidandogli da
reggere la Chiesa, così la Guglielmina lasciò vicaria sua nel mondo
Mainfreda, monaca dell'ordine delle Umiliate di Santa Caterina in Brera.
Essa teneva adunanze de' fedeli, predicava, componeva litanie; e la
Pasqua del 1299, vestitasi d'abiti pontificali come altre compagne,
celebrò una messa in casa di Jacopo da Ferno, ove Albertone da Novate
recitò l'epistola, e Andrea Saramita una lezione di vangelo da lui
composto. Tempo verrebbe ch'essa Mainfreda più solennemente celebrerebbe
sul sepolcro dello Spirito Santo incarnato; indi nel duomo di Milano,
poi in Roma predicherebbe dalla sede apostolica; diverrebbe vera
papessa, colle autorità del pontefice odierno, il quale sarebbe abolito
e surrogato dalla Mainfreda, che battezzerebbe le genti ancor sedute
nelle tenebre. I quattro vangeli darebbero luogo a quattro altri, stesi
per ordine della Guglielmina. Il visitar la tomba di questa era
meritorio come il visitar quella di Cristo, onde da tutte le plaghe
s'accorrerebbe a Chiaravalle, ma i seguaci di essa sarebbero esposti a
tormenti e supplizj; non mancherebbe qualche Giuda che li tradisse, e li
desse nelle mani de' nemici, cioè dell'Inquisizione.
Tali opinioni vulgari apparvero dai loro processi[125], dai quali non
risultano però le turpitudini di che sono imputate queste deliranti; che
la Guglielmina rompesse a vergognoso commercio con Andrea Saramita; che
la Mainfreda, al termine delle congreghe, comandasse di spegnere i lumi,
e abbandonarsi senza distinzione di persone o di sesso. Fatto è che,
sparsesi tali voci, il vulgo, colla consueta versatilità, mutò il culto
in esecrazione, gl'inni in bestemmia, e l'Inquisizione colse la
Mainfreda, il Saramita, Jacopo da Ferno ed altri (20 luglio 1300), e ne
cominciò il processo. Jacopo abjurò; la Mainfreda e il Saramita furono
mandati al rogo sulla piazza della Vetra, il 6 d'agosto, insieme colle
reliquie della Guglielmina.
In Milano si formò poi un Ordine che pretendeva esser equestre,
intitolato della fede di Gesù Cristo, o della croce di san Pietro
martire: portavano una croce inquartata di nero e bianco; obbligavansi
ad esporre anche la vita per la diffusione della fede e la distruzione
dell'eresia, e realmente non erano che familiari della santa
Inquisizione. Forma eguale adopravasi da altri nelle diocesi d'Ivrea e
di Vercelli; e v'aveva indulgenze e privilegi a quei che crociavansi tra
costoro[126].
Inquisizione è una delle tante parole, attorno a cui suol levarsi tale
rumore, da impedire s'oda la voce del tempo; ma anche spogliata delle
esagerazioni, desta giusto raccapriccio o rammarico ad ogni buon
cristiano. Quanto narrammo non ci lascia dire cogli scrittori
dell'Enciclopedia francese, che l'Inquisizione di Spagna trascese
«nell'esercizio d'una giurisdizione, in cui gl'Italiani suoi inventori
usarono tanta dolcezza». Vero è che, oltre essere all'unisono co' tempi,
ed assai meno orribile, che non si sparnazzi dai soliti organi
passionati e di malafede, essa proponevasi un fine morale, a differenza
della Polizia moderna che sottentrò nelle sue veci, dalla quale si
procede e castiga spesso nell'interesse d'un principe, o per mantenere
un dominio costituito sulla forza o sull'intrigo: se restringeva il
pensiero, facealo, o credea farlo, per salvezza delle anime, non per
mero vantaggio d'un potere, d'un ministero, d'una consorteria dominante:
nè quegli spaventi tolsero che sorgessero grandi e robusti pensatori.
Noi avremo a riparlarne quand'essa diventerà un organo importante delle
società nuove: intanto avvertiamo come oggi di nuovo si risveglino
quelle antiche dottrine a proclamare la comunanza de' possessi,
l'abolizione della proprietà e dell'organamento civile: e la società
costituita arma tre milioni d'uomini in Europa contro siffatte teoriche,
le quali allora denominavansi eresie. Domandiamo se ciò deva
qualificarsi intolleranza; e se il secolo che così adopera possa
maledire a quelli che fecero altrettanto: e non comprendere che
l'odierna libertà della bestemmia non potè acquistarsi che
coll'introdurre altre feroci repressioni, eserciti innumerevoli,
tirannesche Polizie.
L'intolleranza è per avventura inseparabile dalle profonde credenze; e
la fede suppone l'esclusione di ciò che da essa differisce. Quando poi
la fede è considerata come il necessario legame fra i cittadini, chi la
intacca lede la società. L'Inquisizione proferì la pena di morte: ma la
proferiscono anche i nostri giurati. Le pene odierne sono destinate a
far rispettare istituzioni stabilite: e così era per quelle
dell'Inquisizione, verso istituzioni che la coscienza avea consacrate, e
che difendeansi pel diritto che alla società non si negò giammai. Forse
la repressione ci desta fremito perchè il delitto era religioso? Ma il
diritto positivo è meramente convenzionale; la sua autorità dipende
dalla confidenza che ispira. Oggi si puniscono colpe differenti; ma ciò
prova solo che gl'interessi sociali non sono sempre identici: quelli
d'oggi hanno il vantaggio d'esser attuali; quelli d'allora lo svantaggio
d'esser passati. Benediciamo Iddio d'averci fatti vivere in tempi,
quando ogni vero cattolico professa altamente la tolleranza, che non è
la parificazione della verità coll'errore, bensì l'applicazione della
carità nel mondo del pensiero, e che esclude l'intervenzione della forza
nell'ordine spirituale, neppure a servizio della verità.

NOTE
[97] _Ad abolendam diversarum hæresum pravitatem quæ in plerisque mundi
partibus modernis cœpit temporibus pullulare, vigor debet ecclesiasticus
excitari, etc_. LABBE, _Concilia_, tom. X, pag. 1737.
[98] Ap. RAYNALDI _ad ann._ 1226, n. 26.
[99] _Fredericus Magdeburgensi archiepiscopo, comiti Romaniolæ, et
totius Lombardiæ legato, dilecto principi suo gratiam suam, et omne
bonum_.
_Cum ad conservandum pariter, et fovendum Ecclesiasticæ tranquillitatis
statum ex commisso nobis imperii regimine defensores simus a Domino
constituti, non absque justa cordis admiratione perpendimus, quod
hostilis invaleat hæresis, proh pudor! in partibus Lombardiæ, quæ plures
inficiat. Eritne igitur dissimulandum a nobis, aut sic negligenter
agemus, ut contra Christum, et fidem catholicam ore blasphemo insultent
impii, et nos sub silentio transeamus? Certe ingratitudinis et
negligentiæ nos arguet Dominus, qui contra inimicos suæ fidei nobis
gladium materialem indulsit, et plenitudinem contulit potestatis.
Quapropter in exterminium, et vindictam actorum sceleris tam nefandi,
complicum et sequacium hæreticæ pravitatis, quocumque nomine censeantur,
utriusque juris auctoritate moniti, dignos motus nostri animi
exercentes, præsenti edictali constitutione nostra, in tota Lombardia
inviolabiter de cætero valitura, duximus faciendum, ut quicumque per
civitatis antistitem vel diœcesanum, in qua degit, post condignam
examinationem fuerit de hæresi manifeste convictus, et hæreticus
judicatus per potestatem, consilium et catholicos viros civitatis, et
diœcesis earundem, ad requisitionem antistitis illico capiatur,
auctoritate nostra ignis judicio concremandus, ut vel ultricibus flammis
pereat, aut, si miserabili vitæ ad coercitionem aliorum elegerint
reservandum, eum linguæ plectro deprivent, quo non est veritus contra
ecclesiasticam fidem invehi, et nomen Domini blasphemare. Ut autem
præsens hæc edictalis constitutio nostra debeat in hæreticorum
exterminium firmiter observari, circumspectioni tuæ committimus,
quatenus hanc constitutionem nostram per totam Lombardiam facias
publicari, amodo per imperialis banni censuram ab omnibus universaliter
observandam. Dat. Cathaniæ, anno Dominicæ Incarnationis MCCXXIV, mense
martii, undecimæ indictionis_.
[100] Constitutio _Inconsutilem_: Const. _de receptoribus_, Lib. I. Il
professore Höffler a Monaco pubblicò (_Kaiser Friedrich II, ein Beytrag
u. s. w._ 1844) alcune nuove lettere di Federico II, fra cui la seguente
a papa Gregorio IX, relativa all'inquisizione ereticale:
_Celestis altitudo consilii, que mirabiliter in sua sapientia cuncta
disposuit, non immerito sacerdotii dignitatem et regni fastigium ad
mundi regimen sublimavit, uni spiritualis et alteri materialis conferens
gladii potestatem, ut hominum hac dierum excrescente malitia, et humanis
mentibus diversarum superstitionum erroribus inquinatis, uterque
justitie gladius ad correctionem errorum in medio surgeret, et dignam
pro meritis in auctores scelerum exerceret ultionem... Quia igitur ex
apostolice provisionis instantia, qua tenemini ad extirpandam hereticam
pravitatem, potentiam nostram ad ejusdem heresis exterminium precibus et
monitionibus excitatis; ecce ad vocem virtutis vestre, zelo fidei quo
tenemur ad fovendam ecclesiasticam unitatem gratanter assurgimus,
beneplacitis vestris devotis affectibus concurrentes; illam diligentiam
et sollicitudinem impensuri ad evellendum et dissipandum de predictis
civitatibus pestem heretice pravitatis, ut, auctore Deo, cui gratum inde
obsequium prestare confidimus, ac vestris coadjuvantibus meritis, nullum
in eis vestigium supersit erroris, ac finitimas et remotas quascumque
fama partes attigerit, inflicta pena perterreat, et omnibus innotescat
nos ardenti voto zelare pacem Ecclesie, et adversus hostes fidei ad
gloriam et honorem matris Ecclesie ultore gladio potenter accingi. Dat.
Tarenti XXVIII febr. indict. IV_.
In un'altra lettera, esso Federico insiste con nuovo fervore per la
repressione degli eretici. _Ut regi regum, de cujus nutu feliciter
imperamus, quanto per eum hominibus majora recipimus, tanto
magnificentius et devotius obsequamur, et obedientis filii mater
Ecclesia videat devotionem ex opere pro statu fidei christiane, cujus
sumus, tamquam catholicus imperator, precipui defensores, novum opus
assumpsimus ad extirpandam de regno nostro hereticam pravitatem, que
latenter irrepsit tacite contra fidem. Cum enim ad nostram audientiam
pervenisset, quod, sicut multorum tenet manifesta suspicio, partes
aliquas regni nostri contagium heretice pestis invaserit, et in locis
quibusdam occulte latitant erroris hujusmodi semina rediviva, quorum
credidimus per penas debitas extirpasse radices, INCENDIO TRADITIS quos
evidens criminis participium arguebat; providimus ut per singulas
regiones justitiarias cum aliquo venerabili prelato de talium statu
diligenter inquirant, et presertim in locis, in quibus suspicio sit
hereticos latitare omni sollicitudine discutiant veritatem. Quidquid
autem invenerint, fideliter redactum in scriptis, sub amborum
testimonio, serenitati nostre significent, ut per eos instructi, ne
processu temporis illic hereticorum germina pullulent, ubi fundare
studemus fidei firmamentum, contra hereticos, et fautores eorum, si qui
fuerint, animadversione debita insurgamus. Quia vero supradicta vellemus
per Italiam et Imperium exequi, ut sub felicibus temporibus nostris
exaltetur status fidei christiane, et ut principes alii super his
Cesarem imitentur; rogamus beatitudinem vestram quatenus ad vos, quem
spectat relevare christiane religionis incommodum, ad tam pium opus et
officii vestri debitum exequendum diligentem operam assumatis, nostrum
si placet efficaciter coadjuvandum propositum, ut de utriusque sententia
gladii, quorum de celesti provisione vobis ac nobis est collata
potentia, subsidium non dedignatur alternum, hereticorum insania
feriatur, qui in contemtum divine potentie extra matrem Ecclesiam de
perverso dogmate sibi gloriam arroganter assumunt. Messine XV jul.
indict. VI_.
[101] _Item statuimus et perpetuo sancimus, quod omnia eorum mobilia et
immobilia publicentur; et domus quæ nunc destructæ sunt, et eorum domus
in quibus steterint vel ante recepti fuerint, vel se congregaverint,
destruantur et ulterius non liceat alicui eas reædificare_.
[102] _Late patet Dei clementia, qui, pulso infidelitatis errore,
veritatem fidei suis fidelibus patefecit: justus enim ex fide vivit, qui
vero non credit, jam judicatus est. Nos igitur, qui gratiam fidei in
vanum non recipimus, omnes non recte credentes, qui lumen fidei
catholicæ hæretica pravitate in imperio nostro conantur extinguere,
imperiali volumus severitate punivi, et a consortio fidelium per totum
imperium separari; præsentium tibi auctoritate mandantes, quatenus
hæreticos Valdenses et omnes qui in Taurinensi diœcesi zizaniam seminant
falsitatis, et fidem catholicam alicujus erroris seu pravitatis doctrina
impugnant, a toto Taurinensi episcopatu imperiali auctoritate expellas;
licentiam enim, auctoritatem omnimodum, et plenam tibi conferimus
potestatem, ut, per tuæ studium sollicitudinis, Taurinensis episcopatus
area ventiletur, et omnis pravitas, quæ fidei catholicæ contradicit,
penitus expurgetur_. Ap. GIOFFREDO, Storia delle Alpi Marittime al 1229.
[103] LABBE, T. XI, p. 334, 335.
[104] La _Maestruzza_ è una _Somma_, detta anche _Pisanella_ perchè
fatta da frà Bartolomeo da San Concordio, che serviva ad uso dei
Domenicani, e tratta de' sacramenti e de' comandamenti. La volgarizzò D.
Giovanni dalle Celle.
[105] Cap. XXXI _De Simonia_; cap. XXIV _De Accusationibus_.
[106] Cap. fin. _De Hæreticis_.
[107] _Multo gravius est corrumpere fidem, per quam est animæ vita, quam
falsare pecuniam, per quam temporali vitæ subvenitur. Unde, si falsarii
pecuniæ vel alii malefactores statim per sæculares principes justæ morti
traduntur, multo magis hæretici statim ex quo de hæresi convincuntur,
possunt non solum excommunicari, sed et juste occidi_. S. THOMAS, _Summa
theologica_, 2ª, quaestio XI, art. 3.
[108] BOLLAND., tom. X, _Vita S. Petri Parens_.
[109] _Regesta_, num. 123, 124, e pag. 130, lib. X.
[110] GIACHI, _App. alle ricerche storiche di Volterra_.
[111] RICHARDUS, _Chron. ad 1231_. RAYNALDI, _ad ann. n. 13_.
[112] _Capitula Annibaldi senatoris et Populi Romani edita contra
Patarenos_. Nel c. 123 si comanda che _Hæretici, videlicet Cathari,
Patareni, Pauperes de Lugduno, Passagni, Josephini, Arnaldistes,
Speronistæ et alii cujuscumque hæresis nomine censeantur, singulis annis
a senatore diffidentur_.
Nella vita di Cola Rienzi: «Gridavano come se fao, ha, ha, ha, a lo
Patarino». Dappoi il legato scomunica Cola, appellandolo patarino e
fantastico.
Anche gli Spoletini in guerra coi Fulignati, gridavano: _Moriantur
Patareni, Gibellini_. MURATORI, _Antiquitates Italicæ_, T. III, p. 499,
507, 143, ecc.
[113] _Noverit Universitas vestra, quod nos excommunicamus et
anathematizamus universos hæreticos Catharos, Patarenos, Pauperes de
Lugduno, Passaginos, Josephinos, Arnaldistas, Speronistas, et alios
quibuscumque nominibus censeantur, facies quidem habentes diversas, sed
caudas ad invicem colligatas, qua de vanitate conveniunt in idipsum.
Damnati vero per Ecclesiam, sæculari judicio relinquantur,
animadversione debita puniendi, clericis prius a suis ordinibus
degradatis. Si qui autem de prædictis, postquam fuerint deprehensi,
redire voluerint ad agendam condignam pœnitentiam, in perpetuo carcere
detrudantur. Credentes autem eorum erroribus, similiter hæreticos
judicamus. Item receptatores, defensores, et fautores hæreticorum
excommunicationis sententiæ decernimus subjacere. Similiter statuentes,
ut si, postquam quilibet talium fuerit excommunicatione notatus, si
satisfacere contempserit infra annum, ex tunc ipso jure sit factus
infamis; nec ad publica officia, seu consilia, nec ad eligendos aliquos
ad hujusmodi, nec ad testimonium admittatur. Sit etiam intestabilis, nec
testamenti habeat factionem, nec ad hæreditatis successionem accedat.
Nullus præterea ipsi super quocumque negotio, sed ipse aliis respondere
cogatur. Quod si forte judex extiterit, ejus sententia nullam obtineat
firmitatem: nec causæ aliquæ ad ejus audientiam perferantur. Si fuerit
advocatus, ejus patrocinium nullatenus admittatur. Si tabellio,
instrumenta confecta per ipsum nullius penitus sint momenti, sed cum
auctore damnato damnentur, et in similibus idem præcipimus observari. Si
vero clericus fuerit, ab omni officio, et beneficio deponatur. Si qui
autem tales, postquam ab Ecclesia fuerint denotati, evitare
contempserint, excommunicationis sententia percellantur, alias
animadversione debita puniendi. Qui autem inventi fuerint sola
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