Gli eretici d'Italia, vol. I - 44

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Il tuo buon successor, ch'alta cagione
Dirittamente elesse, e cor e mano
Muove sovente per condurla a porto.
Ma contro 'l voler suo ratto s'oppone
L'altrui malizia; onde ciascun s'è accorto
Ch'egli senza il tuo ajuto adopra invano.
Adduconsi principalmente il _Pianto della marchesa di Pescara sopra la
passione di Cristo_, e l'orazione sopra l'_Ave Maria_[547] onde provare
come ella aderisse alle dottrine nuove. Noi però osserveremo come ella
assoggetti la sua ragione alla cristiana umiltà:
Parrà forse ad alcun che non ben sano
Sia 'l mio parlar di quelle eterne cose,
Tanto all'occhio mortal lontane e ascose,
Che son sovra l'ingegno e il corso umano.
Non han, credo, costor guardato 'l piano
Dell'umiltade, e quante ella pompose
Spoglie riporti, e che delle ventose
Glorie del mondo ha l'uom diletto invano.
La fe mostra al desio gli eterni e grandi
Obblighi, che mi stanno in mille modi
Altamente scolpiti in mezzo al core.
Lui che solo il può far prego che mandi
Virtù, che sciolga e spezzi i duri nodi
Alla mia lingua onde gli renda onore.
E ancor meglio in quest'altro sonetto:
Quel pietoso miracol grande, ond'io
Sento per grazia le due parti estreme
Il divino e l'uman, sì giunte insieme,
Ch'è Dio vero uomo, e l'uomo è vero Dio,
Erge tant'alto il mio basso desio
E scalda in guisa la mia fredda speme,
Che 'l cor libero e franco or più non geme
Sotto l'incarco periglioso e rio.
Con la piagata man dolce e soave
Giogo m'ha posto al collo, e lieve il peso
Sembrar mi face col suo lume chiaro.
All'alme umili con secreta chiave
Apre il tesoro suo, del quale è avaro
Ad ogni cor d'altere voglie acceso.
Fu essa a Ferrara nel 1537 al tempo della duchessa Renata, che vedremo
calda fautrice di Calvino, e forse per mezzo di essa legò relazione con
Margherita regina di Navarra, corifea de' Riformati in Francia, e le
diresse una lettera di questo tenore:
«Le alte e religiose parole della umanissima lettera di vostra maestà mi
dovriano insegnare quel sacro silenzio, che invece di lode si offerisce
alle cose divine. Ma temendo che la mia Riverenza non si potesse
riputare ingratitudine, ardirò, non già di rispondere, ma di non tacere
in tutto, e solo quasi per inalzare i contrapesi del suo celeste
orologio, acciocchè, piacendole per sua bontà di risonare, a me
distingua ed ordini l'ore di questa mia confusa vita, fintantochè Dio mi
concederà di udire vostra maestà ragionare dell'altra con la sua voce
viva, come si degna di darmene speranza. E se tanta grazia l'infinita
bontà mi concederà, sarà compiuto un mio intenso desiderio, il quale è
stato gran tempo questo, che, avendo noi bisogno in questa lunga e
difficil via della vita, di guida che ne mostri il cammino, con la
dottrina e con le opere insieme ne inviti a superar la fatica. E
parendomi che gli esempj del suo proprio sesso a ciascuno siano più
proporzionati, ed il seguir l'un l'altro più lecito, mi rivoltai alle
donne grandi d'Italia per imparare da loro e imitarle; e benchè ne
vedessi molte virtuose, non però giudicava che giustamente l'altre tutte
quasi per norma se la ponessero. In una sola fuor d'Italia s'intendeva
esser congiunte le perfezioni della volontà, insieme con quelle
dell'intelletto..... Certo non mi sarà difficil viaggio per illuminare
l'intelletto mio e pacificare la mia coscienza; e a vostra maestà penso
che non sia discaro per aver dinanzi un subjetto ove possa esercitar le
due più rare virtù sue; cioè l'umiltà, perchè s'abbasserà molto a
insegnarmi, e la carità, perchè in me troverà resistenza a ricever le
sue grazie.... Potessi io almeno servire per quella voce che nel deserto
delle miserie nostre esclamasse a tutta Italia di preparar la strada
alla venuta di vostra maestà! Ma mentre sarà dalle alte e reali sue cure
differita, attenderò a ragionar di lei col reverendissimo di Ferrara, il
cui bel giudizio si dimostra in ogni cosa, particolarmente in riverir la
maestà vostra. E mi godo di vedere in questo signore le virtù in grado
tale che pajono di quelle antiche nell'eccellenza, ma molto nuove agli
occhi nostri, troppo omai al mal usati. Ne ragiono assai col
reverendissimo Polo, la cui conversazione è sempre in cielo, e solo per
l'altrui utilità riguarda e cura la terra: e spesso col reverendissimo
Bembo, tutto acceso di sì ben lavorare in questa vigna del
Signore»[548].
La regina Margherita rispondendo la ringrazia delle lodi datele,
protestando di ben poco meritarle. «Per il di dentro io mi sento sì
contraria alla vostra buona opinione, che io vorrei non aver vedute le
vostre lettere se non per la speranza che ho, che, mediante le vostre
buone preghiere, elle mi saranno uno sprone per uscire dal luogo ov'io
sono, e cominciare a correre appresso di voi.... alla qual cosa è
necessaria la continuanza delle vostre orazioni e le frequenti
visitazioni delle vostre utili scritture...... Vostre lettere più che
giammai desidero di avere, e ancor più di essere così avventurosa, che
in questo mondo possi da voi udir parlare della felicità dell'altro».
Le espressioni della devota marchesa sentono la cortigianeria d'allora,
più che un assenso ai pensamenti della regina. E nelle sue poesie
troviam invocati e Maria e gli Angeli e i Santi, nominatamente Caterina
e «Francesco, in cui, siccome in umil cera, con sigillo d'amor sì vivo
impresse Gesù l'aspre sue piaghe»: e manda in regalo un Redentore, e
altra volta:
L'immagin di Colui v'invio che offerse
Al ferro in croce il petto, onde in voi piove
Dell'acqua sacra sua sì largo rivo.
Ma sol perchè, signor, quaggiuso altrove
Più dotto libro mai non vi s'aperse
Per lassù farvi in sempiterno vivo.
Il Boverio, annalista de' Cappuccini, ci racconta come a Ferrara la
Colonna tolse a proteggere i Gesuiti, introdotti di fresco, e assistette
anche di denaro i Cappuccini, a favor de' quali (egli racconta) s'adoprò
acciocchè potesse raccogliersi il loro capitolo generale del 1535,
sollecitatavi da frà Bernardino Ochino, che poi apostatò; a tal uopo
essere ella andata anche al papa, ed espugnatone l'ordine di adunarlo.
Noi potremmo opporre che ad essa è dedicata _la Nice_ di Luca Contile,
opera tutt'altro che casta, sebben l'autore fosse secretario del
cardinal di Trento.
Ritirata, come dicemmo, nel convento di santa Caterina a Viterbo, la
Colonna v'avea frequenti colloqui col cardinale Polo ivi residente e col
Flaminio[549], col Carnesecchi ed altri amici di lui, studiosi della
Scrittura. Non è superfluo l'addur questa lettera di essa al cardinale
Cervini, che fu poi papa Marcello II:
Da Viterbo il 4 dicembre 1542.
«Illustrissimo e reverendissimo monsignore,
«Quanto più ho avuto modo di guardar le azioni del reverendissimo
monsignor d'Inghilterra, tanto più mi è parso veder che sia vero e
sincerissimo servo di Dio. Onde, quando per carità si degna risponder a
qualche mia domanda, mi par di esser sicura di non poter errare seguendo
il suo parere. E perchè mi disse che gli pareva che, se lettera o altro
di frà Bernardino (Ochino) mi venisse, la mandassi a vostra signoria
reverendissima, senza risponder altro se non mi fosse ordinato, avendo
avuto oggi la alligata col libretto che vedrà, ce le mando: e tutto era
in un plico dato alla posta qui da una staffetta che veniva da Bologna,
senza altro scritto dentro. E non ho voluto usar altri mezzi che
mandarle per un mio di servizio; sicchè perdoni vostra signoria questa
molestia, benchè, come vede, sia in stampa, e Nostro Signor Dio la sua
reverendissima persona guardi con quella felice vita di sua santità che
per tutti i suoi servi si desidera.
«PS. Mi duole assai che, quanto più pensa (_l'Ochino_) scusarsi, più si
accusa, e quanto più crede salvar altri da un naufragio, più gli espone
al diluvio, essendo lui fuor dell'arca che salva e assicura».
Così l'umiltà salvava da quegli eccessi, a cui talvolta trae la
soverchia concentrazione, sia pure ne' sentimenti più autorizzati. Molto
ella ammirava il cardinal Contarini, e quando morì a Bologna il 24
agosto 1542, compiangeva perchè
Potean le grazie e le virtù profonde
Dell'alma bella, di vil cose schiva
Ch'or prese il volo a più sicura riva
Vincendo queste irate e torbid'onde,
Rendere al Tebro ogni sua gloria antica;
E all'alma patria di trionfi ornata
Recar quel tanto sospirato giorno
Che, pareggiando il merto alla fatica,
Facesse quest'età nostra beata
Del gran manto di Pier coperta intorno.
Nella qual occasione a suor Serafina Contarini dirigeva condoglianze,
ricordandosi «delle sue pie e dolci lettere, quando convitava quello
amatissimo fratello a desiderar di ritrovarsi con lei alla vera patria
celeste, e della domanda che gli fe di esponer certi salmi, che dinotava
aver la morte, passione e resurrezione di Cristo sempre impressa nel
cuore». Ed enumera i meriti del defunto, e «l'ottimo e divino esempio
che dava a ciascuno, e la molto importante utilità alla Chiesa, alla
pace e al quieto viver nostro. Ma dovemo esser sicuri che l'infallibil
ordine de re, signore e capo di tutti noi, sa il migliore e più atto
tempo di tirare a sè le membra sue. Rimane solo la perdita della sua
dolcissima conversazione, e il profitto di santissimi documenti suoi...
Or altra spiritual servitù non mi resta che questa dell'illustrissimo e
reverendissimo monsignor d'Inghilterra (Polo), suo unico, intimo e
verissimo amico e più che fratello e figlio: qual sente tanto questa
perdita, che 'l suo pio e forte animo, in tante varie oppressioni
invittissimo, par l'abbia lasciata correre a dolersi più che in altro
caso che gli sia occorso giammai».
Ma il suo affetto principale restava pel cardinale Polo: e quand'esso
partì pel Concilio di Trento, minacciato sempre dagli assassini, essa il
raccomandò caldissimamente al cardinale Morone, e nel processo fatto poi
a questo trovammo varie lettere, per verità oscure e dubbie[550]. Eccone
una da Viterbo il 30 novembre:
«Con molti servizj etiam che da Dio mi fossero date potenti occasioni,
non potrei mostrare alla signoria vostra la mia volontà di servirla, nè
esplicarle le securtà che mi dette allorchè, umanamente e con tanta
cristiana affezione, mi disse che, in Cristo fondando ogni mia fede,
credessi che la signoria vostra reverendissima faria per monsignor
d'Inghilterra quel che gli fosse possibile, e che sperava andasse e
tornasse come si desiderava da tutti li servi del Signore. Ed avendo poi
inteso che continua in vostra signoria reverendissima questa
sollecitudine, dimostrandola ogni ora con evidentissimi segni, mi
allegra tanto e mi conferma sì nella presa speranza, che non ho potuto
lasciar di molestar vostra signoria con questa mia, ringraziando Dio in
Lei che si sia degnato legar in tanta unione col vincolo della vera pace
due suoi sì cari amici, e di costituirmele serva in modo, che, absente
da loro, senta consolazione della divina carità che si fanno insieme,
massime che la mia estrema indignità mi toglie l'impedimento che suol
dare l'invidia, ancora fosse santa e buona; e mi lascia umilmente godere
che Cristo, unico signore capo e ogni ben nostro, abbia voluto che
insieme conferiscano gli ampli tesori e inestimabili divizie sue, e gli
abbia eletti ad un tanto e sì importante effetto. E qui non si manca da
queste purissime spose di Cristo pregarlo che tolga ogni impedimento e
ogni dilazione a perficere le ottime aspirazioni delle signorie vostre,
sempre conformi, e rimesse alla sua suprema e rettissima volontà così in
man della signoria vostra di comandarmi al mezzo di monsignore, che per
troppa sua umiltà o per mia troppa indegnità non vuol che pensi pur di
servirla, sia da me servito in lei, che certo non potrà fare maggior
carità che essere occasione che io non mi alleviassi tanto peso di
obbligo che ho con vostra signoria reverendissima che è di prezzo tanto,
quanto per me vale l'anima mia quando la riguardo in Cristo, ove lui,
come suo istromento, me la fa vedere e sentire ogni momento la
grandissima verità che Iddio gli ha posto nel cuore, riguardato e
conosciuto da quel di vostra signoria reverendissima con altro lume che
non fo io. Piaccia al Signore di aumentarli in grazia sua, e favorirli
quanto per sua gloria gli bisogna».
«PS. Non lascerò di dire a vostra signoria questo a mia confusione, che,
quando il senso talor, imitando la madre del giovane Tobia, mormora de'
timori per le insidie fatte a monsignor, subito lo spirito gli risponde,
_Satis fidelis est vir ille cum quo dimisimus eum_. Sicchè vostra
signoria vede che fa l'officio dell'angelo».
Più tardi lo ringraziava di quanto fece per esso monsignor
d'Inghilterra, e «quando riguardo vostra signoria reverendissima e
monsignor Polo insieme in una medesima stanza, non mi ammiro se, da una
stessa virtù riscaldati, non si saziano d'accendersi l'uno l'altro: ed
io sola fredda ed inferma, scrivo consolata della certezza che pregano
il Signor nostro per me, e che vostra signoria si degni servirsene, che
certo più che mai si rinforzano qui da queste buone madri l'orazioni per
lei».
In altra lettera gli ha invidia della «sua molta umiltà, sapendo quanto
è differente il concetto che ne hanno quelli che in Cristo il conoscono;
e rimpiange la conversazione che avea con lui «massime quando le
ragionava di quel libro che sì bene apre spesso»[551]. Confesso a vostra
signoria che mai a persona fui più obbligata che al Polo, e ora in tanto
spirito che nelli suoi scritti non si degna nominare altro che Gesù,
come poi la signoria vostra vedrà con grazia di Dio, qual si degni
sempre mandarlo di consolazione in consolazione, finchè sia abbracciato
dalla vera e eterna in quella patria, dove solo guardando, si fa ogni
faticoso peregrinaggio felice».
Le tribulazioni che il Polo soffre, e fatiche e calunnie «niente mi
molestano, chè troppo saldo è il suo fondamento, e troppo ben compatto e
stagionato l'edifizio con mille ferme colonne di esperienza, in modo che
tutte le tribulazioni son sicuri testimonj della sua fede invittissima:
ed ogni vento contrario accende il lume della sua speranza: e quanta
opposizione gli può dar il mondo nelle opere che fa, vedo sempre al fine
che son della sua divina carità, arsa ed estinta di maniera, signor mio,
che ardisco dire che me ne ha presa, per Dio grazia, qualche scintilla,
sicchè non serbo la metà dell'amaritudine che sentirei in tutte le
difficoltà e molestie che mi occorsero: e con certi suoi amorosi e dolci
modi cristiani ha fatto che, in due anni, io non ho saputo dove mi tener
la testa... ma in questo caos mi fece sentire che doveva alzare gli
occhi in un altro modo a quel lume, che poteva illuminare lui secondo li
miei bisogni, e non secondo la mia volontà. E così fo, ogni cosa
reputando egualmente venir da Cristo, pigliando sommo piacere delle
consolazioni quando Dio per suo mezzo le manda a me.... Quando non
vengono, non quanto solevo mi doglio, ma mi umilio, o a dir meglio cerco
di umiliarmi».
«Sto bene in questo silenzio (di Viterbo) e quanto più, per grazia di
Dio, il gusto, più compassione ho alla signoria vostra reverendissima:
ma il Signore con tanta pace le parli dentro, che non senta li strepiti
di fuora, come la mia debilità li sentiva..... Considerando lo stato di
vostra signoria reverendissima, non so se più compassione gli debbo
avere o quando è con le turbe servendo Cristo nelli suoi fratelli, o
quando è solo con Cristo, vedendo i fratelli di lui: massime che,
essendo il corpo in fatica, e la mente desiderando la solitudine, mi fa
chiaro il copioso fonte d'ogni grazia non gli lascia tanta sete senza
dargli spesso qualche dolce poto, acciocchè o col desiderio o
coll'effetto sostenga la sua cristianissima vita».
«Avendomi detto che non lo laudi mai, mi bisogna tacere. Che se in
questa materia avessi potuto allargarmi, vostra signoria reverendissima
avria visto il caos d'ignoranza ove io era, e il labirinto di errori
ov'io passeggiava sicura, vestita di quell'oro di luce, che stride senza
star saldo al paragone della fede, nè affinarsi al fuoco della vera
carità: essendo continuo col corpo in moto per trovare quiete, e con la
mente in agitazione per aver pace. E Dio volle che da sua parte mi
dicesse _Fiat lux_, e che mi mostrasse esser io niente, e in Cristo
trovare ogni cosa».
«.....Sapendo io il credito che monsignor ha alla signoria vostra e la
reverenza che monsignor Luisi (_Priuli_) e monsignor Marcantonio
(_Flaminio_) le hanno, la supplico a tenerli spesso ricordati che
attendano con ogni possibil diligenza alla sua guardia, lasciando in
questo a sua signoria la guardia severissima della sua intrepida fede,
considerando che Dio gli ha eletti fra tanti altri suoi servi a
custodire questo membro suo, il qual a me pare che faccia sempre male,
come che si muova o a dextris secondo lo spirito suo, a sinistris
secondo la carne mia.....»
E al cardinale d'Inghilterra:
«Sa il Signor nostro che per altro non desidero eccessivamente di parlar
con vostra signoria se non perchè vedo in lui un ordine di spirito, che
solo lo spirito lo sente: e sempre mi tira in su a quell'amplitudine di
luce, che non mi lascia troppo fermare nella miseria propria: anzi con
sì alti sostanziosi concetti mi mostra la grandezza di lassù e la
bassezza e nichilità nostra, che, vedendo noi stessi e tutte le cose
create servirci a questa, bisogna trovarci soli in Colui che è ogni
cosa. E quanto più ho bisogno di parlare alla vostra signoria, non per
ansia nè dubbj nè molestia che abbia o tema d'avere per bontà di colui
che mi assicura, ma perchè ogni volta che la vostra signoria parli di
quel stupendissimo sacrificio, della eterna destinazione, dell'esser
preamati, e di quel pane ascondito trovato su quelli monti e fonti che
scrive....., fa star l'anima sull'ali, sicura di volar al desiderato
nido; sicchè tanto è per me parlare con vostra signoria come con un
intimo amico dello Sposo che mi parlerà per questo mezzo, e mi chiama a
lui, e vuol che ne ragioni per accendermi e consolarmi».
Chi ha letto santa Teresa e la beata di Chantal non istupirà
dell'affetto, che del resto, in donna, radamente si scompagna dalla
venerazione. E forse il Priuli ne faceva appunto a Vittoria, la quale
gli rispondeva: «La cosa è sì perfetta, l'affezione mia sì giusta,
debita e santa, così utile all'anima mia, sì cara e grata a Dio, che mi
andrei solo ritirando, come si suol ritirare la mente dalla troppo fissa
orazione e dolcezza dello spirito, acciò ritorni a servir gli altri
prossimi per esercitar la carità, perchè con monsignor esercito più la
fede, ricevendo assolutamente da Dio quanto lui fa: sicchè sempre sono
obbligatissima al dolcissimo mio e reverendissimo Morone, che in tutti i
modi mi fa consolata».
Chi poi, in questi ultimi anni, ha potuto assistere in Parigi ai
convegni della signora Swetchine, e attorno a questa intelligente russa
vedere raccolti Lacordaire, De Falloux, Montalembert, Dupanloup ed altri
caporioni della scuola cattolica, nell'intimo bisogno di dirsi un
all'altro il proprio pensiero sulle quistioni supreme, e di accomunar le
melanconie della gioja e l'istruzione dei dolori, nel penoso rispetto
del diritto e nel disgusto delle defezioni e delle debolezze; e
riconoscere che, per arrivare all'oasi, bisogna attraversare il deserto;
assicurarsi che, quando non si prenda la vita dal lato di Dio, non si
sbriga questa matassa arruffata; e scontenti del mondo e di sè, contenti
di Dio, con amabile semplicità accattare la solenne espiazione, e
sostenersi vicendevolmente a soffrire, nella persuasione superna che Dio
sa quel che fa, e nella mondana che, senza i colpi dell'avversità, ci
sarebbe ancora del ferro ma non dell'acciajo; chi gli ha veduti, dico,
gode immaginarsi che qualcosa di simile avvenisse attorno alla marchesa
poetessa, fra quelle pie persone, cupide di sottrarsi al doloroso
supplizio dell'incertezza. Deh, perchè in tanti studj di drammatizzar il
passato, nessuno toglie a ravvivar quelle sante e dotte confabulazioni,
che allora dovettero passare a Viterbo fra queste anime pie, nel mentre
in Germania straziavansi e a vicenda si bestemmiavano i predicatori del
disenso?
La Vittoria morì poi a Roma uscente il febbrajo 1547, e udimmo come la
compiangesse Michelangelo, il quale doleasi d'una cosa, di non averla
baciata quando la vide cadavere.
Proseguendo, noi avremo a indicare altri, per malizia o per leggerezza
imputati di eresia: oltrechè questa era divenuta l'accusa che
paleggiavasi fra avversarj, con troppo solita slealtà: onde il cardinale
di Ravenna scrive al cardinale Contarini: «Sendo questa città
parzialissima, nè vi rimanendo uomo alcuno non contaminato da questa
macchia delle fazioni, si van volentieri, dove l'occasion s'offerisce,
caricando l'un l'altro da nimici»[552].
Federico Fregoso genovese, dottissimo in greco ed ebraico, fu involto
nelle vicende della sua patria e della sua famiglia e nelle guerre
contro i Barbareschi, adoprato in negozj scabrosi, caro ai migliori
d'allora, riordinatore della diocesi di Gubbio, e autore del _Pio e
cristianissimo trattato dell'orazione_. Eppure i Protestanti lo
annoverano fra i loro[553], ma per frode, avendo fintamente apposto il
suo nome all'opuscolo _Della giustificazione e delle opere_, e alla
_Prefazione alla lettera di san Paolo ai Romani_.
Il Rucellaj, nelle _Api_, esponendo la dottrina di Pitagora che tutte le
cose sian avvivate da un'anima divina, le corporee come le incorporee,
le ragionevoli come le brute, e che da quella provengano le anime nostre
e a quella ritornino, continua:
Questo sì bello e sì alto pensiero
Tu primamente rivocasti in luce,
Trissino, con tua chiara e viva voce:
Tu primo i gran supplizj d'Acheronte
Ponesti sotto i ben fondati piedi
Scacciando la ignoranza de' mortali (698-704).
Da questi versi, che io lascio lodare ad altri, s'indurrebbe che il
poeta Giorgio Trissino insegnasse l'anima del mondo; ma invece di negare
ciò, come altri fece[554], poteasi vedervi l'abitudine, allora
abbastanza estesa, di discutere e sostenere le opinioni anche le più
lontane dall'ortodossia, come chiarimmo parlando della scuola di Padova,
dove appunto predicavasi la dottrina d'Averroè sull'universalità
dell'anima. Quanto all'altra parte, vorrebbe dire che il Trissino
togliesse la paura dell'inferno, disnebbiando gli intelletti; ma ognuno
vi riconosce un'infelice imitazione di Virgilio[555].
Il Trissino, placido ingegno, ch'ebbe onori e incarichi fin di
ambascerie da due papi, nell'_Italia Liberata_, poema che tutti
conoscono e nessuno legge, s'avventa contro i preti, i quali «spesse
volte han così l'animo alla roba, che per denari venderiano il mondo», e
da un angelo fa vaticinare a Belisario in quanta corruzione cadrebbe la
Corte romana, sicchè i papi non penserebbero che a rimpolpare i loro
sterponi con ducati, signorie, paesi; conferire sfacciatamente cappelli
ai loro mignoni e ai parenti delle loro bagasce; vendere vescovadi,
benefizj, privilegi, dignità, o collocarvi persone infami; per denaro
dispensare dalle leggi migliori, non serbare fede, trarre la vita in
mezzo a veleni e tradimenti, seminare guerre e scandali fra principi
cristiani, sicchè i Turchi e i nemici della fede se n'ingrandiscano: e
conchiude che il mondo ravvedutosi correggerà questo sciagurato governo
del popolo di Cristo.
Non era il concetto medesimo, per cui, nel secolo precedente, alcuni pii
aveano fantasticato la venuta d'un papa angelico? Del resto il dire che
la Corte romana era corrotta, venale la dateria, ribalda la sua
politica, non curare le scomuniche, ridere dei frati, disapprovare il
mercimonio delle indulgenze, impugnare le decretali, vedemmo
consuetissimo in Italia: e il Trissino non facea che seguitare la moda;
nè cotesta sua libertà pruova altro se non ciò che altrove mostrammo,
quanto fossero tollerate le declamazioni contro di abusi, che si
confessavano anche quando non si provedeva a correggerli.
E come oggi il liberalismo politico professa di volere la libertà, nel
mentre i conservatori pretendono combatterlo in nome anch'essi della
libertà, altrettanto accadeva allora del liberalismo religioso. Molti
potevano lealmente credere che, se il papato era stato necessario per
l'educazione de' Barbari, allora si poteva omai dispensarsene: che la
critica non farebbe se non appurare la Chiesa e consolidare il dogma;
non essendosi ancora veduto, come oggi vediamo, succedersi dottrine
tutte cangianti, tutte attaccabili, senza autorità nè coerenza, al punto
che gli spiriti non si inebriassero più che del dubbio. E in generale si
sapeva, o almen si sentiva, che riformare non è distruggere; che le
riforme opportune e durevoli debbono venire dall'amore non dalla
collera, dall'autorità che dirige, non dalla violenza che scompiglia.
Ma chi assiste alla turpitudine degli odierni pugillatori non si
meraviglierà che allora si accusassero di eresia i nemici. A tacere il
Muzio, l'Aretino, il Franco e simil ciurma, il Vasari imputa il Perugino
di miscredente, mentre l'indole sua e i suoi dipinti il mostrano così
diverso. Anche del gran Leonardo da Vinci egli scrive che «tanti furono
i suoi capricci, che filosofando delle cose naturali, attese a intendere
la proprietà d'elle, contemplando e osservando il moto del cielo, il
corpo della luna e gli andamenti del sole; per il che fece nell'anima un
concetto sì eretico, che non s'accostava a qualsivoglia religione,
stimando per avventura assai più l'essere filosofo che cristiano», e che
solo in punto di morte fosse istruito nella fede. In ciò il cortigiano
dei Medici non era informato nulla meglio di quando il fa spirare fra le
braccia di Francesco I; ed egli medesimo temperò quest'asserzione nella
ristampa; oltre che abbiamo il testamento, che Leonardo fece un anno
prima di morire, dove, tutto pietà, «raccomanda l'anima sua a Nostro
Signor messer Domenedio, alla gloriosa Vergine Maria, a monsignor san
Michele»: prescrive trenta messe basse e tre alte, da dirsi per l'anima
sua in tre chiese di regolari ad Amboise.
Gli stessi procedimenti della Riforma le diminuivano seguaci. Come
svegliar le coscienze addormentate con un _credo_ vago ed oscillante? La
Bibbia, la meditazione, il libero esame! Davvero mezzi opportuni per
condur a quella certezza che è suprema necessità per operare. Io uom del
popolo ho da lavorare sei giorni per settimana, quattordici ore per
giorno. Chi mi parla di Dio? della Grazia? della giustificazione? Su ciò
disputino il dotto, il ricco, la signora oziosa, e creino tanti sistemi
quante hanno teste; ma io povero, io ignorante, io nell'ospedale, io
nella manifattura! No: è impossibile che Dio abbia messa a tal prezzo la
mia salvezza. Egli non può che aver diretto moralmente e
intellettualmente l'umanità, costituendo una società istruita da lui
stesso, da lui governata, in cui un'autorità umana, esterna, visibile
sia partecipazione dell'autorità sua divina, e dove l'uomo appaja solo
stromento di Dio, annunziatore della parola del maestro eterno; sempre
intenta al cielo mentre soddisfa in noi il bisogno intellettuale della
verità, il bisogno morale del bene, il bisogno sensuale della felicità.
E il popolo nostro si tenne al credo vecchio. Oltre i pii che
riconosceanvi solo un'empietà, spiaceva il vedere sconvolto il mondo da
questa superbia del surrogare l'autorità dell'individuo a quella della
città eterna. Anche coloro che gridavano la Chiesa romana avere bisogno
di correzione, trovavano che i Protestanti la correggevano troppo male.
E che ogni giorno rivelava la moltiforme natura della Riforma: in
Germania assodatrice del principato, in Francia faziosa, in Inghilterra
dispotica e persecutrice, in Iscozia fanaticamente esagerata, regia
nella Scandinavia, repubblicana in Svizzera, deleterica in Polonia.
Intolleranti come e più di quelli da cui si erano staccati, e senza
avere come questi l'appoggio dell'autorità divina, ognuno presumeva con
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