Gli eretici d'Italia, vol. I - 34

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potesse condiscendere sul celibato dei preti, sulla comunione d'ambe le
specie ed altri simili; sempre coll'autorità del pontefice: ma non pare
n'avesse il consenso[416]. Bensì è meraviglioso come riuscisse ad
accordare i congregati in quattro articoli essenziali, della natura
umana, del peccato originale, della redenzione, della giustificazione
per mezzo della fede viva e operosa. «Quand'io vidi questa concordia
d'opinioni (scriveva al cardinale Polo) sentii riempiermi di supremo
gaudio, non tanto pel buon fondamento gettato alla pace, quanto perchè
qui consiste tutta la dottrina cristiana».
Anzi l'elettore di Brandeburgo assentiva al primato del pontefice,
trovandolo necessario colà dove una era la fede, una la chiesa[417]:
Bucero stesso confessava che la disciplina dei Protestanti era molto
scadente, e convenire che i vescovi esercitassero il loro potere
spirituale in ordine gerarchico, benchè pensasse che il celibato, i
digiuni, le penitenze non potessero affarsi coi tempi[418].
Ma le conciliazioni mal possono sperarsi in tempi turbinosi: e Lutero
protestò che era la coda del diavolo che conduceva questo tentativo di
pace[419]; le Corti mal gradivano la concordia; i principi di Germania
temeano che coll'unità religiosa non s'aumentasse la potenza
dell'imperatore; gli entusiasti voltavano in beffa la moderazione; il re
di Francia, con ipocrito zelo pel papa e per la Chiesa, biasimava il
Contarini come freddo e ligio all'imperatore. Ne restò questi
scoraggiato, secondo scrive Girolamo Negro che l'accompagnava, vedendo
«il corpo, infermo talmente e indebolito, che nè dieta, nè medicina gli
può giovare...... e intertenimenti secreti di principi, li quali non
vorrebbero vedere che Cesare con questa unione si facesse patrono di
queste provincie..... e i Protestanti far grande istanza contro le messe
private, il celibato, i voti monastici, le invocazioni de' santi ed
altre ordinazioni nostre non istituite da Cristo nè dagli
apostoli»[420], e così l'opera fu mandata in fumo. Gli Italiani, al
solito, ne versarono la colpa sul Contarini, il quale, se si dolse che
«di tal moneta pagassero le sue fatiche», più dovette piangere
dell'imminente disastro della Chiesa. La solita genìa dei buffoni facea
scene a suo carico, e il Beccatelli racconta che, mentre tornava in
Italia, un vecchio amico a Brescia domandogli: «Come stanno, monsignor
reverendissimo, que' capitoli che ai Luterani avete sottoscritto tanto
esorbitanti?» E avendo il Contarini risposto che le erano baje da
Pasquino, l'amico gli mostrò lettere da Roma ove se ne parlava. Sicchè
il Contarini dovette scrivere al papa di sospendere il suo giudizio
finchè gli avesse chiarito il vero, come poi fece così splendidamente,
che il papa stesso l'esortò a non vi badare, citandogli quel d'Ovidio,
_Summa petit livor, perflant altissima venti_[421].
Colla _concordia_ di Ratisbona sarebbesi conservata l'unità nella
nazione germanica, senza temere le usurpazioni di Roma; ma Lutero
ripudiò ogni conciliazione; non potere l'opera di Dio ravvicinarsi a
quella di Satana. Anche a Roma se ne prese scandalo; temendo che
l'imperatore, capo di tutta Germania, divenisse onnipossente, Francesco
I di Francia si oppose: e il Contarini scrive al cardinale Farnese che
Granuella, ministro di Carlo V, «mi affermò con giuramento avere in mano
lettere del re cristianissimo, il quale scrive a questi principi
protestanti che non si accordino in alcun modo, e che lui avea voluto
vedere l'opinioni loro, le quali non gli spiacevano»[422].
Ai 15 giugno 1540 Nicolò Ardinghelli, a nome del papa scriveva ad esso
cardinale Contarini[423] come fosse ormai impossibile la tolleranza,
«essendo gli articoli che restano controversi tanto essenziali alla
fede, che, senza procura di Gesù Cristo Nostro Signore, noi quaggiù non
possiamo pigliarne sicurtà; anzi abbiamo la legge che non _sunt facienda
mala ut veniant bona_; perchè essendo la fede indivisibile, non la può
accettare in parte chi non l'accetta in tutto, quanto al potersi dire
cristiano e fare un corpo medesimo nella Chiesa. E però nostro signore
con tutto il collegio, _nemine discrepante_, ha risoluto di non poter
dare orecchio in alcun modo a quella tolleranza che si domanda, nè, per
quel che toccherà a sua beatitudine, macolare quella sincerità della
fede, che i suoi predecessori hanno fin qui conservata, comprovando con
segni che questa è la cattedra di san Pietro, per la fede del quale
pregò Gesù Cristo Nostro Signore».
Ciò che v'avea di troppo reale era il disordine gettatosi nelle
intelligenze come nella vita, al moltiplicarsi di tanti discepoli,
ognuno dei quali era un dissidente. Nella _Confessione_ d'Augusta gli
eterodossi aveano preteso raccogliere ciò che di comune aveano la loro e
la cattolica fede, a tal uopo ricorrendo a termini ambigui, che la
Chiesa non accettava perchè poteano, come esprimere la verità, così
ratificar l'errore. Carlo V nel 1548 decretò l'_interim_, pel quale
convenivasi che «interinalmente gli Stati erano liberi in religione,
salvo a renderne conto a Dio e all'imperatore»: ma nulla attribuivasi
alla Chiesa cattolica, la quale, oltre che emanato dall'autorità
secolare incompetente, trovava lesivo quell'atto, dacchè ella erasi già
pronunziata sui capitali dissensi. Fra' Protestanti medesimi fu chi lo
disgradiva, e designavano gli accettanti col nome di _rilassati,
adiaforisti, indifferenti_.
Ed ecco, al rumore della nuova dottrina, all'annunzio che i predicanti
rompono la catena storica della tradizione, e ognuno può a suo senno
interpretare la Scrittura, sorgono veggenti in ogni parte; i meno atti
al ministero pretendono avervi più evidente vocazione; la Bibbia diviene
stromento alle passioni; e i villani, lettovi che gli uomini sono
eguali, scatenano l'irreconciliabile ira del povero contro il ricco,
bandendo guerra all'ordine come tirannia, alla proprietà come
usurpazione, alle scienze come distruggitrici dell'eguaglianza, alle
arti belle come idolatria.
Ne gemeva Lutero, e diceva: «Appena cominciammo a predicare il nostro
vangelo, fu nel paese uno spaventevole stravolgimento; si videro scismi
e sêtte, e dapertutto la rovina dell'onestà, della morale, dell'ordine:
la licenza e tutti i vizj e le turpitudini trascorrono, peggio che non
facessero sotto il papismo: il popolo, dianzi tenuto in dovere, non
conosce più legge, e vive come un cavallo sfrenato senza pudore nè
freno, a grado di materiali desiderj. Dacchè noi predichiamo, il mondo
diventa più tristo, più empio, più svergognato: i demonj s'avventano a
legioni sugli uomini, che alla pura luce del Vangelo mostransi avidi,
impudichi, detestabili peggio che non fossero sotto il papato: dal più
grande al più piccolo non v'è dapertutto che avarizia, disordini
vergognosi, passioni abbominevoli. Io stesso son più negligente che non
fossi sotto il papismo, e vengo meno alla disciplina e allo zelo che
dovrei avere più che mai. Se Dio non m'avesse celato l'avvenire, non
avrei mai osato propagare una dottrina, da cui doveano conseguir tante
calamità, tanto scandalo»[424].
Per verità, abbattuta l'autorità ecclesiastica, per non abbattere anche
tutto l'ordine sociale si richiedeva un'incoerenza, un rifuggire dalle
conseguenze necessarie; sicchè, più non dirigendo i venti che avea
scatenati, Lutero rinnega il proprio canone della ragione individuale, e
agli esagerati oppone la sacra scrittura e i libri simbolici[425]: poi
scostandosi dal popolo, di cui s'era fatto un appoggio, tende a
ingagliardire il principato: e di qui comincia l'azione politica della
Riforma, qual fu d'attribuire ai principi l'autorità anche in materie
ecclesiastiche, talchè ogni suddito dovesse credere e adorare come
voleva il sovrano; _cujus regio ejus religio_; e i principi più non
conobbero ritegno da che diressero anche le coscienze[426].
E d'una direzione queste aveano bisogno, quando i fratelli uterini della
Riforma pugnavano tra loro. Indarno Lutero s'arrovella contro ogni fede
diversa dalla sua[427]: Melantone, Carlostadio, Ecolampadio, Engelhard,
Brenzio modificano i dogmi, ciascuno a suo senno o a norma della
costituzione del proprio paese; sbranamento inevitabile là dove a
ciascuno è libero l'interpretare.
Contemporaneamente a Lutero, e senza sapere di lui, Ulrico Zuinglio, che
aveva militato in Italia come cappellano di Svizzeri assoldati, insorse
(1518) a Zurigo contro le indulgenze, che ivi erano predicate da
Francesco Licetto bresciano, generale dei Minori, poi da frà Bernardo
Sansone milanese, e dietro a ciò sostenne che bisogna fondare la fede
sulla sacra scrittura, non su dettati clericali, e repudiando i quindici
secoli della Chiesa per ricorrere alle fonti, studiò il greco, si mise a
mente le epistole di san Paolo, riprovò i pellegrinaggi che al santuario
di Einsideln si faceano; il pane e il vino della Cena essere meri
simboli del sacrosanto corpo e sangue, e altri asserti che furono
accolti in molta parte della Svizzera. Mentre sosteneva che il dogma
della libertà conduce al panteismo, perchè facendo gli uomini
indipendenti li pareggia a Dio, egli rendeasi vero panteista, asserendo
che unica essenza è quella di Dio; tutto ciò che è, è Dio e proprio Dio.
Veramente egli ha un'importanza storica piuttosto che dottrinale, non
avendo lasciato opere di rilievo; e fu assorbito nell'azione di Giovanni
Calvino, francese. Questi, a Bourges studiando sotto il famoso nostro
leggista Alciato, deplorò i disordini derivati dalla Riforma, e pensò
emendarli coll'andare più innanzi, venire a un assoluto distacco. Ancora
si conservavano altari e crocifissi: pregavasi in ginocchio; si facea la
lavanda dei piedi. Calvino proclama un antagonismo perpetuo alle
tradizioni stabilite. Così nella dogmatica parte da un'idea preconcetta,
da un partito preso: perfin Zuinglio erasi piegato alla sacra scrittura;
Calvino si ispira da essa, ma la fonde nel suo pensiero. Zuinglio oppone
la Scrittura alla tradizione; Calvino si spinge più avanti, non è solo
esegetico, ma dogmatico: in faccia alla tradizione non vuol solo
appurarla, ma distruggerla.
Ginevra avea cominciato il suo risorgimento dal rivoltarsi contro al
duca di Savoja, che la supremazia feudale volea ridurre a signoria
assoluta. N'era seguita la solita disordinata prepotenza dei riottosi,
per rimediare alla quale Calvino ricorse al despotismo. Lutero aveva
abbattuto la monarchia cattolica per favorire i vescovi tedeschi,
Calvino sagrifica questa aristocrazia luterana alle idee repubblicane di
Ginevra; e se i Luterani alzavano il principato per opporlo al papa,
egli lo deprime per sottoporlo ai rivoluzionarj[428]. Posta la scure
alla radice, impugna il mistero, colloca la certezza nella rivelazione
individuale: l'arbitrio non è libero, e per iscegliere il bene fa duopo
d'una Grazia necessitante, e questa sola produce la giustificazione,
senza che v'abbia parte la volontà dall'uomo; Iddio è padrone assoluto
delle sue creature, e _ab eterno_ ha destinato queste al paradiso,
quelle dell'inferno, qualunque siano le loro azioni. Il fedele dee
mirare principalmente a tenere per sicura la propria salute: e per
acquistare una tale sicurezza, crederla non fondata su opere od elezioni
umane, ma sulla volontà suprema ed eterna.
Niuna efficacia dunque rimane al battesimo, i figli degli eletti
appartenendo per nascita alla società redenta; niuna alla penitenza,
poichè chi una volta fu eletto non può ricadere; nella santa cena non
sono transustanziate le specie, ma sotto que' simboli il Signore
comunica Cristo, per nutrire la vita spirituale. Abolito l'episcopato,
le comunità religiose scelgonsi un ministro, distinto dagli altri
soltanto per l'abito nero; ne' tempj nudi null'altro che il pulpito e
una tavola su cui esporre il pane e il vino; allontanato tutto ciò che
era proprio de' Cattolici, il culto resta non solo semplice ma nullo.
Con quest'odio Calvino rendesi onnipotente, e stabilisce un ordinamento
vigoroso, sotto il governo de' pastori, ma uniti cogli anziani; tolta
ogni separazione fra ecclesiastici e laici, fra la Chiesa e il coro.
Questi dogmi austeri, dove erano negate la bontà e la libertà dell'uomo,
sosteneva egli con inesorabile intolleranza, non presentando la sua come
una dottrina che ammette la discussione, o cerca accordo con altre
credenze. I Calvinisti, come eletti di Dio, sono autorizzati a
schiacciare tutto ciò che si oppone alla loro esclusività; come
ispirati, abborrono il ragionamento. Calvino ha il rigore del Vecchio
Testamento, più che la mitezza del Nuovo: esigente, dittatorio,
all'amministrazione ecclesiastica subordina la civile; moltiplica
regolamenti fin sul vestito e sulla mensa, proscrivendo il lusso, gli
ori, ogni squisitezza d'arti, per raffaccio alle frivolezze di Parigi e
alle magnificenze di Roma. Divieto di sposare papisti; stampatori e
libraj non si prestino a questi, nè pittori e scultori, vetraj, orefici,
avvocati; non tengansi a fitto beni di Chiesa, per cui si devono offrire
cera o incenso, che favorirebbero l'idolatria. Una fanciulla che si
vestì da uomo; un proprietario che maltrattò i suoi lavoranti, lenti
all'aratro; fanciulli che all'Epifania giocarono alla fava; uno che avea
letto le Facezie del Poggio...... erano puniti, e più chi dicea male de'
fuorusciti, martiri della verità. Così profondato l'abisso fra il credo
antico e il nuovo, Calvino sbigottì le anime timide, e disingannò coloro
che ancora fantasticavano un accordo; e quella risolutezza, quel
sarcasmo, quell'irosa eloquenza contro Roma e la Sorbona e tutto il
clero, trascinava, come tutto ciò che è violento. Allora parve la
protesta avesse trovato l'ultimo suo termine; colla predestinazione
rimetteasi tutto agli ineluttabili decreti di Dio; annichilamento
dell'uomo, che causava una contentezza austera; che formava dei martiri,
e che dovea piacere a coloro che si trovavano perseguitati.
Novatore così radicale, pure Calvino volea conservare molti articoli
primitivi; anzi spiegava fierezza contro chi li intaccasse; quasi che la
trinità, la rivelazione, l'incarnazione, il peccato originale,
l'espiazione di Cristo non si fondassero sulle stesse basi che gli altri
dogmi cattolici.
Più tardi la critica, nata dalla filologia, dovea scassinare le idee
tradizionali sopra l'origine e l'autorità dei libri sacri. Ma già allora
gli Anabattisti gl'impugnarono; gli Unitarj, che vedremo prevalenti in
Italia, escludeano la Trinità; insomma si ripudiava il cristianesimo,
riducendosi a negazione sistematica dei dogmi della Chiesa.
Alcuni Protestanti si vergognavano di tanti disaccordi, e voleano
negarli o attenuarli; altri invece faceansi belli delle variazioni[429],
e diceano: «Noi non abbiamo unità di credenze: ma questo è vanto;
perocchè la ragione individuale esercita così il proprio uffizio, e
procediamo a seconda dei tempi. Le continue variazioni sono naturali al
nostro principio: avvegnachè, mentre i Cattolici si ancorano
nell'autorità, noi ci atteniamo al giudizio de' singoli, al che ripugna
la dogmatica immobilità.
Le moltitudini però non erano venute alla Riforma per argomentazioni
teologiche, bensì alcuni per ismania di libertà, altri per bisogno di
coscienza e pietà; sicchè adottavano, senza troppo analizzarli, i
simboli e le confessioni, in cui i novatori formularono le loro
dottrine. E furono due principali; la Confessione Augustana o de'
Protestanti, a cui aderì la Germania; la Confessione Elvetica o degli
Evangelici, nella quale si confusero gli Zuingliani. Al 1550 le credenze
già eransi costituite decisamente ostili, e ciò ch'è notevole, nei
limiti geografici che press'a poco conservarono, restando la principale
divisione de' riformati in Luterani e Calvinisti: i primi che accettano
il senso letterale delle parole della Cena, gli altri il figurato.
Fuvvi un nostro pittore che formò un quadro in tre piani. Sul più basso,
Calvino distribuiva il pane benedetto, e pronunziava: «Questa è la
figura del mio corpo». Nel successivo, Lutero nell'atto medesimo,
diceva: «Questo contiene il mio corpo». Di sopra era il Salvatore che,
comunicando i suoi apostoli, diceva: «Questo è il corpo mio».
Vi sottopose la domanda: «A quale dei tre crederemo?» Il quadro piacque,
e dicono che molti convertisse; forse impedì si pervertissero.

NOTE
[386] Sant'Epifanio descrive le più turpi sporcizie de' Gnostici, tali
che neppur in latino oseremmo produrle. Asserisce che _uxores habuerunt
communes.... impudica fœminarum et virorum contractatio nota fuit
ejusdem professionis in religione.... Synaxim ipsam turpitudine
multiplicis coitus polluerunt, comedentes ac contingentes tum humanas
carnes, tum immunditias.... Vir quidem concedens alteri uxorem, Surge,
dixit, fac dilectionem cum fratre... Voluptatis gratia tantum, non
generationis coierunt: hanc enim aversati sunt... Si quæ prægnans facta
fuit mulier, detractum fœtum in mortario pistillo contuderunt, et
admixto melle ac pipere et aliis quibusdam aromatis ac unguentis ad
avertendam nauseam, sic congregati omnes porcorum et canum horum sodales
participes facti sunt pueri contusi... Animam dixerunt esse virtutem
menstrui sanguinis et genitalis seminis; quam colligentes et edentes,
sive carnes, sive olera, sive panem, sive aliud quod vorarent,
gratificare se creaturas dixerunt, animam ab omnibus colligentes, et ad
cælestia secum transferentes. Animam enim et in animalibus et in plantis
et in hominibus eandem esse docuerunt... Exarsere etiam in seipsos, viri
in viros, fœminæ in fœminas...._. (Hæres. XXVI). Eusebio di Cesarea
asserisce che usavano anche l'arte magica: _magicas Simonis præstigias
non clam ut ille, sed palam ac publice tradendas esse censebant_.
[387] KOCH, _Sanctio pragmatica Germaniæ illustrata_. Cap. II, § 45.
[388] A Piacenza un frate fanatico annunziò, nel 1420, che da tre anni
era nato l'anticristo in Babilonia, col che costernò i cittadini, finchè
lo confutò il vescovo Alessio da Seregno.
[389] PRATO, _Cronaca di Milano_.
[390] JACOBI SADOLETI _cardinalis, De Christiana Ecclesia, Ad Johannem
Salviatum cardinalem_.
... _Majores nostri sapientissimi homines, optimis illis temporibus,
quibus ecclesiastica vigebat disciplina, quæ nunc tota pæne nobis e
manibus elapsa est, tales eligebant et consacrabant sacerdotes, quos
doctrina vitaque eximios, egregie et posse et velle intelligerent docere
populum publice, habere conciones, præcipere plebibus quæ facienda
cuique essent.., Solis tum presbyteris et sacerdotibus Dei hæc
concionandi et dicendi provincia in templis et sacris locis erat
demandata; reliquis omnibus de populo, etiam ex ea vita quam monasticam
vocamus, quamvis doctis et prudentibus ab hoc omni munere penitus
exclusis_.
[391] BELLARMINO, _Concio XXVIII_ in dom. _Lætare_.
[392] Lettera 19 agosto 1532 nelle _Cartas al emperador Carlo V escritas
por su confesor_. Berlino 1848.
[393] Proposizione 71.
[394] Proposizione 31.
[395] Quando gli Anabattisti e gli altri fanatici spinsero all'eccesso
l'interpretazione individuale, Lutero sosteneva verità oppostissime a
quelle che tennero poi i suoi seguaci. «Il dogma della presenza reale
non fu inventato dagli uomini, ma è fondato sul vangelo e sulle precise
irrefragabili parole di Cristo, e fin dal principio fu uniformemente
predicato e creduto. In mancanza d'altre prove basterà la tradizione di
tutte le chiese per respingere i sofismi de' settarj: poichè è
pericoloso il dar ascolto a cosa alcuna contro la testimonianza unanime
della Chiesa e la dottrina ch'essa c'insegnò da quindici secoli. Chi
mette in dubbio questo dogma, nega la santa Chiesa cristiana. Ora negar
la Chiesa è condannar Gesù Cristo, gli apostoli e i profeti. Se Dio non
può mentire, la Chiesa non può errare». E prosegue a sviluppar le idee
stesse. Vedasi la sua lettera ad Alberto di Prussia. E dice anche: «Noi
riconosciamo che nel papismo vi è molto di buono, anzi tutto il buono
cristiano, il vero battesimo, il vero sacramento dell'altare, le vere
chiavi, il vero perdono de' peccati, la vera predicazione, il vero
catechismo. Io dico che sotto il papa vi è il vero cristianesimo, o a
meglio dire il fior del cristianesimo».
[396] Lo dice Pascal, ne' cui Pensieri se ne vede una stupenda
spiegazione e giustificazione.
E Lutero e Melantone riteneano anche l'assoluzione: perocchè il primo
nella disputa del 1518, e l'altro nell'apologia della Confessione
Augustana, sostennero, _absolutionis ministrum, etiamsi contra
prohibitionem superioris absolvat, vere nihilominus absolvere a culpa,
et coram Deo_. Lutero dice: _Occulta confessio, quæ modo celebratur,
etsi probari ex Scriptura non possit, miro modo tamen placet, et utilis,
imo necessaria est, nec vellem eam non esse; imo gaudeo eam esse in
ecclesia Christi_. De Captivitate Babylonis, tom. II, pag. 292.
E negli articoli smalcaldici, p. III, c. 8: _Nequaquam in ecclesia
confessio et absolutio abolenda est, præsertim propter teneras et
pavidas conscientias, et propter juventutem indomitam et petulantem, ut
audiatur, examinetur et instituatur in doctrina christiana_. La
confessione fu conservata lungo tempo dai Protestanti, e il famoso
Spener fondatore de' Pietisti, nel 1686 era confessore dell'elettor di
Sassonia: ma allora appunto Schaden trovò che quell'atto fosse fonte di
superstizione, ingannandosi i penitenti sull'effetto dell'assoluzione:
ne nacque gran disputa, e Spener riuscì ad acquetarla, facendo decidere
fosse libero ai fedeli premettere o no alla sacra cena la confessione.
Ciò la fece cadere in disuso.
[397] Möhler che, nella Simbolica, diede la più bella esposizione delle
contrarietà dogmatiche fra Cattolici e Protestanti, dice «vedrebbe con
piacere l'uso del calice lasciato all'arbitrio di ciascheduno: locchè
avverrà certo allorquando il voto generale in amore e unità si pronunzii
in favore di tal pratica con tanto vigore, con quanto la avversò dopo il
secolo XII». § XXXIV.
[398] Oggi la dottrina di Lutero sopra la giustificazione è ormai
abbandonata da tutti i Protestanti.
[399] Vedi la relazione di Spalato ap. SECKENDORF II, 165.
[400] _Lettere di Principi a Principi_, vol. III, pag. 16, senza
indicazione di nome.
[401] Vedi _Monumenta Vaticana_, Num. LXIII, pag. 84. E pag. 89 dove
torna più ampiamente su questo punto.
[402] _Monumenta Vaticana_, Num. LXVIII.
[403] 31 agosto 1532, nel vol. V, 224 delle lettere della legazione di
Germania nell'Archivio Vaticano.
[404] Döllinger (_La Chiesa e le Chiese_), per mostrare ch'è illusione
l'attender l'unione de' Cattolici coi Protestanti per mezzo della
Scrittura, fa osservare che la disputa fra Luterani e Riformati sulle
parole con cui Gesù Cristo istituì l'Eucaristia, dopo infiniti colloquj
e migliaja di libri per tre secoli, non ha fatto un passo.
[405] Al testo di san Paolo sulla efficacia della fede, Lutero aggiunge
la parola _sola_: e scrivendo a Link nel 1550, dice: «Se il papista vuol
seccarci per la parola _sola_, rispondetegli chiaro: Il dottor Martino
vuol così, e dice: Papista e asino è tutt'uno. _Sic volo, sic jubeo, sit
pro ratione voluntas_. Mi rincresce di non aver messo anche
senz'_alcun_'opera d'_alcuna_ legge, che esprimerebbe più netto il mio
pensiero. Perciò voglio che questa parola rimanga nel _mio_ nuovo
Testamento, e dovessero tutti questi asini di papisti impazzirne, non
riusciranno a levarla».
[406] _Ad Galatas_, V, 6.
[407] Sessione VI, cap. VIII.
[408] _Ibid_., cap. VII.
[409] _Homo christianus, etiam volens, non potest perdere salutem suam,
quantiscumque peccatis, nisi nolit credere. Nulla enim peccata eum
possunt damnare, nisi sola incredulitas_. Lutero, _De captiv. Babyl_.
[410] Nell'epistola stessa è detto che Gesù Cristo si offre a Dio
entrando nel mondo (10,5); che si mette al posto delle vittime che a lui
non piacquero (9,24); che continua a comparire per noi davanti a Dio
(9,26), e non cessa d'intercedere per noi (7,25); senza che con ciò
l'apostolo accusi d'insufficienza l'oblazione sulla croce e
l'intercessione fatta morendo.
[411] LUTHERI _Opp. ediz. Witenberg_. Tom. II, p. 44, T. VII, p. 56.
[412] L'istituzione de' concistori per autorizzar alla predicazione è in
aperta contraddizione colla missione che vien attribuita a ciascun
fedele. Fu sancita nella Confessione Augustana, art. XIV, e in
conseguenza si dovette imporre alle Chiese d'aver un ministro e di
mantenerlo. Ma il popolo non intendeva questa campana, e Lutero se ne
lagna spesso, e «Il popolo non vuol offrire niente: la sua ingratitudine
è tanto nauseante, che, se la coscienza non mi distogliesse, gli leverei
e curati e predicanti, perchè viva da bestia, qual è in fatto».
[413] Lettera di Daniel Barbaro a Domenico Venier nelle _Lettere
Vulgari_. Venezia 1542, pag. 94. Era egli a Siviglia nel 1522 quando
fece ritorno la nave _Vittoria_, che per la prima avea fatto il giro del
globo; e stupivano d'aver perduto un giorno, benchè esatto giornale
avessero tenuto. Nessuno sapeva darne ragione, ma il Contarini la
spiegò.
[414] _Bibliotheca maxima pontificia_. Roma 1698. _Ad Paulum III P. M.
de potestate pontificis in usu clavium et compositionibus, duæ
epistolæ_, pag. 179-183 del vol. XIII.
[415] Su tal punto tenne qualche opinione particolare; non accettò
pienamente quella di sant'Agostino, nè che pel peccato originale gli
uomini siano riprovati: ed esorta i predicatori a toccare con gran
riserbo tali quistioni.
[416] Il fondamento di tutto ciò è principalmente nella raccolta delle
epistole di Reginaldo Polo. Una vita del Contarini per monsignor
Lodovico Baccadelli, contemporaneo, fu stampata il 1827 a Venezia.
[417] Il Contarini scriveva al cardinale Farnese da Ratisbona, 28 aprile
1541: «Quanto al primato del pontefice, l'elettore di Brandeburgo non vi
fa una difficoltà al mondo; Imo dice che gli pare necessarissimo,
essendo fra cristiani una fede ed una Chiesa» _Ep. Reginaldi Poli_, tom.
III, pag. 254.
[418] Sua lettera del 19 gennajo 1541 al vescovo Nausea di Vienna, in
DOELLINGER, _die Reformation_. Ratisbona 1848, tom. II, pag. 49.
[419] Vedi la sua lettera all'elettore di Sassonia nella raccolta del De
Wette, tom. V, pag. 353, 377.
[420] _Lettere di Principi a Principi_, lib. III, pag. 169.
[421] Un'ampia apologia del Contarini trovasi nella diatriba del
cardinale Quirini alle epistole del cardinale Polo.
[422] QUIRINI, _Diatribæ_ III, CCLV. Le opere principali del Contarini
sono: _De immortalitate animæ_ contro il Pomponazio; _Conciliorum magis
illustrium summa_, compendio più volte ristampato e giudizioso, cui
spesso va unito il trattato _De potestate pontificis: Scolj sulle
epistole di san Paolo; Dei doveri de' vescovi;_ molte opere di
controversia.
[423] _Lettere di XIII uomini illustri_. Venezia 1564.
[424] Ediz. di Walch, V, 114. — IX, 1310. — X, 2666. — VI, 620. — VIII,
564 ecc.
[425] Libro simbolico è chiamato da' Protestanti una esposizione della
dottrina ricevuta in una Chiesa particolare, insieme coll'enunciazione
degli articoli su cui una dissente dalle altre sètte. Applicando tal
denominazione anche alla Chiesa cattolica, chiamano _primo libro
simbolico_ il Concilio di Trento, _secondo_ la professione di fede
tridentina, _terzo_ il catechismo romano.
[426] Non è fuor di tempo ricordare uno dei _Discorsi da Tavola_ di
Lutero: «Dice il proverbio che la roba dei preti va in crusca; e di
fatto quei che ghermirono i beni delle Chiese finirono per restare più
poveri. Burcardo Hund, consigliere di Stato dell'elettor di Sassonia,
soleva dire: «Noi nobili abbiamo aggiunto i beni de' conventi ai nostri,
e quelli mangiarono questi in modo, che nè gli uni ci restarono, nè gli
altri». E voglio raccontarvi una favoletta: «L'aquila rapì un pezzetto
di carne arrostita dall'altare di Giove, e lo portò agli aquilotti del
suo nido, e riprese il volo per cercare altra preda. Ma un carbone
ardente era rimaso attaccato alla carne; cadde nel nido: vi appiccò il
fuoco; e non sapendo gli aquilotti ancora volare, bruciarono col nido.
Così avviene a coloro che pigliano per sè i beni della Chiesa, i quali
furono dati per onorar Dio, o per sostenere la predicazione e il culto
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