Gli eretici d'Italia, vol. I - 37
suggerirgliele i bicchieri. Anche l'insigne Girolamo Accolti, che poi fu
cardinale, da amico di Erasmo divenuto avversario, ne dipinse
sinistramente il carattere. Altrettanto fece il Sadoleto, che fu detto
il Fénélon italiano.
Primo Conti milanese, uno dei primieri discepoli di san Girolamo Miani,
andato in Germania per opporsi alla propagantesi eresia, si lusingò di
convertire Erasmo, al quale scrisse firmandosi _Primus Comes
mediolanensis_. Il dotto credette questo il titolo di qualche gran
signore, e gli si fece incontro con molta cerimonia; poi vistolo
arrivare senza nemmanco uno stalliere, rise dello sbaglio, pur
protestando veder più volentieri sì valente letterato che qualsifosse
grande. Ma il Conti non fece alcun profitto col tepido.
L'Aleandro da Brusselle, il 30 dicembre 1531, scrive al Sanga che
Ecolampadio a Basilea assicurò aver molti fautori in Fiandra,
Inghilterra, Francia, Italia: in Ispagna pochi per le diligenze
dell'Inquisizione; ma soggiunge che gli Ebrei s'industriano di farvi
penetrare il luteranismo, sol per danneggiare la fede nostra. E che
colà, non osandosi parlare liberamente di Lutero, perchè già condannato,
mettono in cielo Erasmo, e fanlo «adorare in quel paese, dove ci sono
de' suoi libri assai, già tradotti in quell'idioma; dico di quelli
pericolosi: di modo che, trattandosi là per la Inquisizione di
condannare le sue opere, per favori diversi fu fatta inibizione che non
procedessero. Ed ora che è condannato a Parigi, costoro impazziscono,
perchè ben vedono che la Chiesa universale seguiterà quella sentenza
parigina in questa parte. E già undici anni, io lo dissi ad Erasmo in
questa propria terra, pregandolo che mutasse alcune cose ne' suoi
scritti ed alcune altre mitigasse, altramente tenesse per certo che, lui
vivo o morto, sarieno condannati detti luoghi.... E ben si sa che, se
non fosse per irritarlo a far peggio, già la sede apostolica avria
condannato molte delle sue cose, non ostanti i favori che gli si usano
etiam per li nostri summati, e da quelli che fanno il santo, per essere
laudati da lui in un'epistola: e così _abnegat Christum minimæ gloriolæ
causa_»[466].
Erasmo vedea benissimo d'avere insegnato quanto or insegnava
Lutero[467]: diceasi proverbialmente, _aut Erasmus luterizat, aut
Lutherus erasmizat_; ma egli è un altro esempio del quanto potesse
spingersi innanzi la critica sopra la Chiesa, pur senza rompere il
legame della carità; e ci spiega la franchezza di quelli, che a torto i
Riformati vollero considerare come loro precursori, e la speranza che
lungamente si nutrì di riconciliare i dissidenti colla Chiesa
universale[468].
Disgustato da quel gran movimento, a cui avea dato di sprone, ma non
valeva a mettere il freno; aborrendo la scostumatezza e i disordini
soliti dei fuorusciti[469], incapace di essere capitano, insofferente di
servir da gregario; conculcato, come sogliono essere tutti i precursori,
dalla folla che li trascende; invano ricredendosi, e fin ritrattandosi
su molte parti di quel suo ghigno letterario, ch'era stato il lampo ai
tuoni della calunnia e della negazione, moriva in Basilea, dopo provato
quanto facilmente un popolo tramuti i suoi idoli dall'altare al
dimenticatojo. E un altro retore, capoameno, che aveva egli pure fatto
un elogio della pazzia, il bizzarro milanese Ortensio Lando, ne
canzonava la fine col _Dialogo lepidissimo_[470]. Così era beffato il
beffardo; il quale rimarrà tipo di quel torbido d'indifferenza, che
fattosi una gloria della propria perplessità, si attribuisce a merito il
risparmiare qualche tradizione; che posa principj, e non ardisce tirarne
le conseguenze; che non applaudisce all'errore ma lo titilla; che vede
la verità, ma non osa abbracciarla, come Pilato dondolandosi fra la
giustizia e la popolarità, fra Cristo e Barabba.
Pure Erasmo avea toccato un punto principalissimo della controversia
allorchè intimava: «Voi vi riferite tutti alla parola di Dio, e ve ne
credete gl'interpreti veraci; ebbene, mettetevi d'accordo tra voi, prima
di volere dar legge al mondo».
In quella vece il disordine dagli intelletti trasfondeasi alle volontà e
da queste alla vita e privata e sociale: e prima ne risentì la Germania,
volta tutta a capopiede. Le quistioni religiose, per quanto pajano
astratte, non può farsi che non penetrino nelle viscere della società, e
in un sistema teocratico quale avealo introdotto il medioevo, non si
tocca la fede senza scompaginare lo Stato. Il cristianesimo avea dato
soluzioni, non negative come la scienza d'oggi, ma positive alle
quistioni capitali dell'uomo e della società, e conduceva a conseguenze
effettive nella religione, nella morale, nella politica, nell'arte;
donde istituzioni e leggi certe e un andamento storico sociale. Ora il
protestantesimo lo sovvertiva, rivocando in dubbio i canoni
fondamentali. Tendendo esso non tanto a condur l'uomo alle azioni più
benefiche, quanto a trasformare i moventi dell'essere suo, ruppe
nell'economia religiosa e sociale dell'umanità i due legami a cui si
attiene la suprema nozione del diritto; il legame intimo che stringe
l'uomo a Dio nell'eternità, mediante la coscienza; e il legame imperioso
universale che lo sottomette ad una legge objettiva, ad una autorità
esteriore nel tempo; e presumendo sistemare la vita umana senza riflesso
al dogma, non surrogò all'antico un nuovo sovrano di diritto, ma
abbandonò la società alle potestà temporali, sovrane di fatto;
all'autorità che persuadeva surrogò il comando che costringe; trasferì
l'infallibilità dall'intelligenza e dalla rivelazione alla forza e ai
decreti. L'individuale interpretazione toglieva l'universalità dei
principj, e i canoni accettati come senso comune; non era più la Chiesa
che giudicasse gl'individui, ma essi lei; e l'individuo era nel bivio di
rinunziare a credere, di compaginarsi da sè la propria credenza. I figli
dunque dissentivano dal padre; i fratelli ai fratelli contraddicevano,
le mogli ai mariti; la scossa domestica si propagava alla società
civile, dove ciascuno pretendeva operare a proprio senno, dacchè a
proprio senno pensava; al diritto, alla morale, fin là unicamente
piantati sulla religione, mancava ogni appoggio al mancar di questa; e
ribellato il pensiero alla fede, gli uomini trovarono spento il faro che
gli avviava, allora appunto che imperversava la procella. Ognuno fonda
una Chiesa nuova, che domani cessa per mancanza d'accordo e d'autorità:
ogni predicante del minimo villaggio credesi autorizzato a divenire
fondatore di una religione, senza che alcuno valga a mettervi ordine. I
vulghi sorgevano domandando ai nuovi apostoli «Che cosa dobbiamo fare?»
Ma è appunto in tempi siffatti che i guidapopoli non sanno quel che
fare, e una mano scassina quel ch'è posato dall'altra.
Il fedele, trovatosi sacerdote e papa, volle anche esser re; possedendo
le doppie chiavi, ne' dubbj non ricorreva all'autorità, ma al proprio
giudizio; l'indagine dal sistema ecclesiastico si voltò sul laico,
ch'era tanto peggiore, e ne cominciarono rivoluzioni e il predominio
della forza. Erasi elevato il potere spirituale affine di impacciar il
temporale; ora si volle restituire ai re la dittatura pagana: sempre
l'eccesso.
Melantone, che tanto aveva procurato prevenirle, allora gemeva sulle
sconcordie, e ne presagiva di peggiori da quella sfrenatezza, da quel
rinnegamento d'ogni autorità, e «Tutte l'acque dell'Elba non mi
basterebbero a piangere le sventure della religione e del paese».
Il cardinale Sadoleto, nell'orazione ai principi tedeschi esclamava:
«Quest'anni passati vedemmo di voi quel che giammai avremmo creduto.
Dianzi vivevate in pace e concordia tra voi, ora siete nel dissenso più
atroce. Dio e i celesti tutti con somma pietà veneravate; ora, estinta
la pietà, gli studj della vera religione per la più parte abbandonaste;
stavate alle leggi, che per la sobrietà e l'astinenza dagli avi vostri,
santi personaggi, e dagli antichi padri erano state fatte, poi accettate
e comprovate dall'osservanza di tutti i secoli; ora, sovvertite le
leggi, tolta la distinzione delle cose, lentati i freni della
continenza, tutto voleste libero e sciolto».
E continua a deplorare questo scapestrarsi delle ire, questo togliere
ogni rispetto alle leggi divine e umane, ogni divario di superiori e
inferiori, non accordandosi che nel vituperare il sacerdozio e straziare
la romana Chiesa, che n'è capo. «Eppure in questa città di Roma, per
reprimere e moderare i vizj urbani, e principalmente l'avarizia di cui
più si pecca, e revocarla al costume antico, casto e modesto, furono dal
sapientissimo e ottimo pontefice invitati da ogni parte del mondo
personaggi, e posti nel sommo grado di onore, acciocchè con maggiore
autorità e diligenza attendano a quest'uopo»[471].
E ben tosto tutta Europa fu in fuoco, e un secolo e mezzo di fierissime
guerre minacciarono una nuova barbarie. E un'altra ne sovrastava.
I papi erano stati motori e centro della resistenza contro i Turchi.
Oggi, che vediam questo popolo in quell'ultima decadenza dove più non lo
sostiene che la volontà dei forti, l'Europa vanta la sua tolleranza nel
rispettare fino il Musulmano, la sua indifferenza fino a sorreggere un
governo che ha per canone politico il fratricidio, per canone domestico
la poligamia, per canone economico la pirateria. Ma ai giorni di Lutero
i Turchi minacciavano una conquista senza pietà, una preponderanza senza
freno: si trattava ancora di decidere se l'Europa sarebbe di Cristo o di
Maometto; se si progredirebbe col Vangelo fino al pieno trionfo della
democrazia, o si retrocederebbe fino ai serragli, agli eunuchi, alla
legge incarnata in un uomo. E appunto allora i Turchi, comandati da
principi eroi, avendo conquistate le coste dell'Adriatico e alcune
isole, minacciavano l'Italia, corseggiavano a baldanza le nostre marine,
tentarono fin sorprendere in una villeggiatura Leon X e la famosa Giulia
Gonzaga. Pio II aveva evocato tutta la cristianità a questa tardiva
crociata, ed egli stesso andava a porsene a capo, quando morì. I
successori proclamarono sempre la guerra santa, e fervorosamente Leon X.
Ma che? Ulrico di Hutten gridò alla sua Germania non gli si desse
ascolto: sotto quel pretesto il papa vuole squattrinare il popolo
ignorante, munger il latte delle genti, inebbriarsi alla mammella dei
re[472]. E Lutero argomentava: «Noi dobbiamo volere non solo quel che
Dio vuole che noi vogliamo, ma assolutamente tutto ciò ch'egli vuole.
Ora egli vuol visitarci col mandare i Turchi; il respingere questi è un
resistere alla sua volontà». E ripeteva: «No, Cristiani; tutti io vi
scongiuro a pregare per i nostri poveri principi tedeschi, acciocchè non
un soldato, non un soldo diano al papa contro i Turchi; meglio i Turchi
e i Tartari che la messa. La guerra, ve lo canto chiaro, mi spiace
contro il turco, non men che contro il cristiano[473]. I Turchi empiono
il cielo di beati: il papa empie l'inferno di Cristiani. Se il Turco
arrivasse a Roma, non sarei io che ne piangesse»[474].
I Cattolici, è vero, continuarono a tener testa ai Turchi; ma dacchè la
cristianità fu divisa in due campi, non bastò più a cacciarli[475]; le
forze doveano logorarsi nelle lotte interne, gl'ingegni s'aguzzavano
nello scassinare la fede romana. Anche per convertire i paesi infedeli
scemavano i mezzi: missionarj non partivano più che da Roma, e in mezza
Europa trovaronsi distrutti i frati, che n'erano i principali stromenti.
NOTE
[430] I _Ep. ad Corinthios_, XIV, 33.
[431] Già san Vincenzo di Lerino diceva: _Nullusne ergo in Ecclesia
Christi profectus habebitur intelligentiæ? Habebitur plane et maximus,
sed ita tamen ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio_.
Commonitorium, c. 29.
[432] Vedi nel Discorso XI.
[433] _Ep._ 2, II, 2.
[434] _Ep._ 4, JOANN. II, v. 12, e III, v. 13.
[435] _Ep. B. Petri_ II, cap. I, 20.
[436] _E._ II, cap. III, v. 16.
[437] II _ad Thess._ v. 14.
[438] _Catholici tenent unum esse principium fidei: verbum Dei ab
Ecclesia propositum_ (WALLENBURG). _Illud omne et solum est de fide
catholica quod est revelatum in verbo Dei, et propositum omnibus ab
ecclesia catholica, fide divina credendum_ (VERONIUS, _Regula Fidei
cath._).
[439] Il parigino Francesco Véron (1575-1649), nella _Regula Fidei_, e
nel _Metodo di trattar le controversie_, espose con chiarezza e
precisione le verità di fede canonicamente decise, distinguendole da
altre che sono opinioni teologiche. È noto come ciò abbia pur fatto
Bossuet, a segno che i Protestanti di buona fede domandaronsi in che
cosa diversificassero essenzialmente dai Cattolici. Capitale in queste
senso è la _Esposizione delle antitesi dogmatiche fra Cattolici e
Protestanti_ di G. A. MOEHLER, 1840.
[440] A quanto dicemmo sulla cattolicità di Dante aggiungiamo ch'egli fe
di Maria Vergine il centro di tutta la sua visione: ritrasse in questa
tutto quanto la Chiesa crede, insegna o pratica ad onore di Colei che a
Cristo più s'assomiglia, e «in cui s'aduna quanto in creatura è di
bontade»: simboli, immagini, canti vi rappresentano il culto di lei
colla scienza del teologo e la legenda del popolo, e la figurano in
«cielo qual meridiana face di caritade, e giuso intra i mortali qual di
speranza fontana vivace». Sant'Antonino scrisse: _Qui petit sine ipsa
duce, sine pennis, sine alis tentat volare_. E Dante avea cantato:
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
Che, qual vuol grazia e a te non ricorre,
Sua desianza vuol volar senz'ali.
[441] Sulla mitologia cattolica, Giuseppe De Maistre scrive ad un amico
(_Lettres_, tom. I, 235).
«Sans doute toute religion pousse une mythologie. Mais n'oubliez pas que
celle de la religion chrétienne est toujours chaste, toujours utile, et
souvent sublime, sans que, par un privilège particulier, il soit jamais
possible de la confondre avec la religion même». Écoutez un exemple: «Un
saint eut une vision, pendant laquelle il vit Satan debout devant le
trône de Dieu, et ayant prêté l'oreille, il entendit l'esprit malin qui
disait: Pourquoi m'as-tu damné, moi qui ne t'ai offensé qu'une fois,
tandis que tu sauves des millières d'hommes qui t'ont offensé tant des
fois?» Dieu lui répondit: «M'as tu demandé pardon une fois?»
«Voilà la mythologie chrétienne. C'est la vérité dramatique, qui a sa
valeur et son effet indépendamment même de la vérité littérale, et qui
n'y gagnerait même rien. Que le Saint ait ou n'ait pas entendu le mot
sublime que je viens de citer, qu'importe? Le grand point est de savoir
que le pardon n'est refusé qu'à celui qui ne l'a pas demandé».
L'osservazione è argutissima; ma perchè fosse del tutto vera
bisognerebbe un fatto assolutamente contrario all'indole della
mitologia, cioè che esistesse qualche autorità, la quale scegliesse, tra
i mille parti delle fantasie e dell'ignoranza, le favole che sono caste,
morali, sublimi. Vero è che la più parte di quelle che furono foggiate
da Cristiani recano onore al genere umano e profitto alla virtù, e
attestano una vittoria della debolezza sopra la violenza, del bene sopra
il male.
[442] Bridgewater lasciò una grossa somma perchè si facessero otto
trattati in cui, secondo le varie scienze, si dimostrasse la verità
della rivelazione. Fra queste scienze non figurava la matematica, e dopo
che Chalmers ebbe trattato della morale natura dell'uomo, Buckland della
geologia, Whewell dell'astronomia ecc., Babbage volle far un _Nono
trattato_ per dimostrare che colla matematica e la meccanica pure si
potea dimostrarla ancor meglio. È facile capire come un intelletto che
si ribella a tutto ciò che non è algebra, e che fa dipender la
rivelazione tutt'affatto da testimonianze umane, cozzi spesso
coll'ortodossia, e confondasi con quelli, che, abbassando il Creatore
alla propria misura, pretendono nel sopranaturale ciò che sta solo nel
naturale. Ma è bello vederlo raccoglier tanti argomenti, da svergognare
coloro che ridono d'ogni miracolo. Nella famosa sua macchina da calcoli
mostrava potersi introdurre anche una legge arbitraria, per un periodo
più o men lungo, dopo il quale essa n'addotterebbe un'altra, impostagli
dall'inventore sin da principio: potersi anche disporne il meccanismo in
modo che, a un dato tempo, ricomparisse la prima o un'altra legge: o che
durante l'azione di una, questa potesse esser sospesa per far luogo a
un'altra che opererebbe solo in quell'occasione, o tornerebbe a
determinati intervalli.
Al modo stesso Iddio, nella creazione, prevedendo le necessità avvenire,
potè provedere a tutte le eventualità: imporre alla natura leggi che
operassero per un tempo, indi cedessero ad altre, o che bastassero per
deviazioni temporarie. Se il sole s'arrestò alla voce di Giosuè, tal
fatto poteva esser compreso nei disegni primitivi del Creatore, e
prodotto dall'azione transitoria d'alcuna legge acconcia. Se morti
resuscitarono, fu effetto d'una forza che opererebbe solo a rari
intervalli, benchè compresa nel piano primordiale del creato. Più facile
è l'applicar tale ragionamento alle epoche geologiche, segnate
dall'apparir di nuove specie animali e vegetali.
Secondo il nostro matematico, può dunque ammettersi che Dio previde
tutte le circostanze contingibili che potrebbero reclamar un'effimera o
durevole alterazione nell'economia del creato, e proveduto ai mezzi di
farle arrivare. Così chi facesse un oriuolo che andasse sempre, che
sospendesse i movimenti a un dato tempo per un minuto, che a un momento
assegnato tornasse indietro le lancette, attesterebbe un'abilità
stupenda, ma le variazioni sarebbero dovute a un disegno primitivo, a
una legge grande e unica: e l'intelletto capace di abbracciar d'un colpo
tutte le combinazioni possibili, è superiore a quello che intervenisse
periodicamente a cambiare meccanismo o a invertire le proprie regole.
Tutto ciò può ispirare a una mente colta un sublime concetto della
sapienza che presedette alla creazione, e sventa il sofisma di coloro
che trovan indegno dell'Ente Supremo l'interromper le proprie leggi e
cambiar il corso della natura per qualche bisogno dell'uomo, per qualche
preghiera: o per coloro che dicono che il venir d'un'altra età geologica
attesta l'imperfezione della precedente, e che il mondo fu fatto alla
bell'e meglio. Pure bisogna confessare che c'è qualcosa di arido in
questo mondo che va per puro meccanismo: lo spirito può contentarsene,
il cuore no. Direbbesi che all'Onnipotente costi il mantener il mondo in
buona condizione, il presedervi in persona, anzichè per mezzi secondarj,
il governare per atti diretti di volontà, anzichè rimettersi a leggi
inviolabili. L'Onnipotente può del pari e far un miracolo a dato tempo,
e averlo preparato centomila anni prima; perchè dunque c'invidieremmo la
consolazione di vederlo operar ad ogni caso direttamente, anzichè per un
prestabilito meccanismo?
Il cardinale De La Luzerne, nella dissertazione sui miracoli, li
stabilisce appunto sull'autorità dei testimonj umani e i fondamenti
della certezza; e sol dopo fissate le regole della critica storica ne fa
l'applicazione ai racconti evangelici. Anche Frayssinoux, volendo
difendere la verità de' miracoli evangelici, consacra un'intera
conferenza sull'autorità de' testimonj umani; stabilendo che un
miracolo, anzitutto, è un fatto; e bisogna provarlo o distruggerlo,
invece di costituir sistemi _a priori_.
[443] _Vocavit discipulos et elegit duodecim ex ipsis, quod et apostolos
nominavit_. MATT. X, MARC. III, LUCA VI.
[444] _Quæcumque ligaveritis super terram, erunt ligata et in cœlo,_
etc. MATT. XVIII.
[445] _Qui vos audit me audit: qui vos spernit me spernit_. MATT. X,
LUCA X, JOANN. XIII.
[446] _Data est mihi omnis potestas in cœlo et in terra. Euntes ergo
docete omnes gentes, baptizantes eos_, etc. MATT. XXIII. _Euntes in
mundum universum, prædicate evangelium omni creaturæ. Qui crederit et
baptizatus fuerit, salvus erit_, etc. MARC. XVI.
[447] _Accipite Spiritum Sanctum. Quorum remiseritis peccata,
remittuntur eis, et quorum retinueritis, retenta sunt_. JOANN. XX.
[448] _Ego vobiscum sum omnibus diebus, usque ad consummationem sæculi_.
MATT. XXVIII.
[449] _Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam_.
MATT. XVI.
[450] _Tibi dabo claves regni cœlorum_. Ib.
[451] _Pasce agnos meos... pasce oves meas_. JOANN. XXI.
[452] _Ego rogavi pro te ne deficiat fides tua; et tu conversus confirma
fratres tuos_. LUCA XXII.
[453] _Portæ inferi non prævalebunt adversus Ecclesiam_. MATT. XVI.
[454] Vedi il Discorso XVI, pag. 314.
[455] Ne' manuscritti della Magliabecchiana, D. 743, è una raccolta di
sonetti contro le varie eresie. Per esempio
_Wittemberga ed in lei la setta luterana_.
Qual Pentapoli in fiamme od in faville
S'erghino l'alte torri e vasti campi:
Nelle tue cieche vie piede non stampi,
Ma l'onde sol di Stige a mille a mille....
Fonte de' prischi e de' novelli errori.
Che nel tuo sen disseminò Lutero
Contro alla fede, all'opre, al maggior duce.
E a Ginevra:
Crudele arpia che t'eleggesti in prova
D'impietà asilo, acciò ch'ogni alma pera...
Del tuo lago infernale il ciel commova
L'onde sovra di te chi al tutto impèra...
Geneva d'eresie l'eletto albergo
Di Farello empia sede e di Calvino
Ove Anticristo l'ampie vie disserra...
D'ogni altra la peggior, Sodoma in terra.
E meglio in altro all'Eresia:
Da chi vieni? da chi? rea, da qual banda
Senza patente aver teco o missione?
Se 'l tuo spirto privato n'è cagione
Adunque non è Dio quel che ti manda.
Più sfacciata di Flora e più nefanda,
Se miracol non fai: dunque a ragione
O vien da facoltà che ha successione,
O di' che 'l diavol è quel che t'arranda, ecc.
[456] SADOLETI _Epp._ 11 e 12, lib. XIV.
[457] _Lettere vulgari_.
[458] _Monumenta Vaticana_, LXXXI, LXXXII.
[459] ALBERTI PII CARPORUM, _comitis illustrissimi et viri longe
doctissimi, præter præfationem et operis conclusionem, tres et viginti
libri in locos lucubrationum variarum D. Erasmi Roterodami quos censet
ab eo recognoscendos et retractandos_. Venezia 1531.
[460] Lo riprodusse poi ne' _Colloquj_ col titolo di _Exequiæ
seraphicæ_, cambiandone il nome in Eusebio, ma lasciando le allusioni a
colui, _ex principe privatum, e privato exulem, ex exule tantum non
mendicum, pene addideram sycophantem_.
[461] _Ubicumque regnat lutheranismus, ibi literarum est interitus_. Ep.
1101 del 1528. _Evangelicos istos, cum multis aliis tum hoc nomine
præcipue odi, quod per eos ubique languent bonæ literæ, sine quibus quid
est hominum vita? Amant viaticum et uxorem, cœtera pili faciunt. Hos
fucos longissime arcendos censeo a vestro contubernio_. Ep. 946
dell'anno stesso.
[462] Ep. 736.
[463]
Roma, 15 gennajo 1521.
«Caro figlio, gratissima ci fu la tua lettera, poichè ci chiarì di
quello su cui ci davano a dubitare non solo l'asserzione di pie e
prudenti persone, ma alcuni tuoi scritti stessi, che tu conservi buona
volontà verso noi e la santa sede, e per la pace e concordia cristiana:
il che perfettamente conviensi e all'egregio ingegno che Dio ti ha
donato, e alla pietà che sempre professasti. E noi che, sebben lontano,
ti avevamo sempre in memoria, e pensavamo dar qualche premio alle esimie
tue virtù, se eravamo stati smossi da questo pensiero, lietamente ci
vedemmo dalla tua lettera restituiti alla primiera intenzione. E deh
come ora è certo a noi, fosse così agli altri, la benevolenza tua verso
questa sede apostolica e la comune fede di Dio! No, mai non vi fu tempo
più opportuno o causa più giusta di opporre l'ingegno e la dottrina agli
empj, nè alcuno sarebbe di te più adatto a tale offizio, al quale pur
s'adoprano molti in fama di pietà e scienza somma. Ma Iddio diresse i
loro cuori, e alla tua prudenza vuolsi ciò rimettere. Noi, contro le
contumelie degli uomini sediziosi, armati di pazienza e del soccorso
divino, siamo viepiù dolenti che colla zizania molta buona messe si
corrompa; ed ogni danno del gregge a noi commesso ne affligge, non
potendo non dolerci del veder le buone menti tratte in errore, mentre
desidereremmo salvi anche gli autori dell'empietà. Ma nè Dio mancherà a
noi, nè noi al nostro dovere. Quanto alla tua lettera, essa ci assicura
della tua ottima intenzione, e la tua venuta qui, quando ch'ella sia,
riceveremo volentierissimo.»
Nella _Biblioteca Vaticana, Nunziatura di Germania_. Vol. I, pag. 40.
[464] Sul suo epitafio fe scrivere: _Ex diuturno studio hoc didicit,
mortalia contemnere, et ignorantiam suam non ignorare_.
[465] _Ep._ 601.
[466] _Monumenta Vaticana_ LXIX.
[467] _Videor mihi fere omnia docuisse quæ docet Lutherus, nisi quod non
tam atrociter, quodque abstinui quibusdam ænigmatibus et paradoxis_. Ep.
a Zuinglio.
[468] Più tardi il nome di Erasmo sonò ereticale. Nella biblioteca di
San Salvadore a Bologna, l'inquisizione, sotto Paolo IV, ne portò via le
opere; e le traduzioni di Ecolampadio ch'erano postillate da Erasmo,
furono lavate con acqua di calce per farle scomparire; al qual modo fu
pure guasta un'edizione di san Girolamo, postillata dallo stesso, e
confiscato uno Svetonio che portava il nome di Erasmo.
[469] _Civitates aliquot Germaniæ implentur erroribus, desertoribus
monasteriorum, sacerdotibus conjugatis, plerisque famelicis ac nudis;
nec aliud quam saltatur, editur, bibitur ac cubatur, nec docent, nec
discunt; nulla vitæ sobrietas, nulla sinceritas. Ubicumque sunt, ibi
jacent omnes bonæ disciplinæ cum pietate_. ERASMI ep. 902 del 1527.
[470] _In Erasmi funus dialogus lepidissimus_. Basilea 1540.
[471] Anche il cardinale Comendone veneziano alla dieta germanica nel
1561 insisteva sui disordini d'intelletto e di fatti, venuti dietro alla
riforma. _In quos, Deus bone, et quam devios anfractus deflexistis!
quibus vos erroribus implicuistis! quibus mentes vestras tenebris
mersistis! at etiam iniquo animo ferri ad principibus vestris nuper
dicebatis quod nos varia ac multiplici religione agitari impellique
Germanos vobis adjecimus, idque inficias ire verecundia non fuit. An
potest clarius, an evidentius esse quidquam, vestris esse inter vos de
tota cœlestium rerum ac divinarum cæremoniarum ratione dissidiis et
concertationibus? Una est vestrum omnium consensio et conspiratio
adversus nos, Ecclesiamque a qua defecistis; cætera nihil dissimilius,
nihil disjunctius, nihil discrepantius. An vero id non testatum omnibus?
an non omnis referta libris Germania est, contraria et propugnantia
docentibus? an adeo hebetes nos ac rudes germanicarum rerum esse
putatis, ista ut ignoremus? at Lutherus quidem ipse, Paulus alter ut vos
vultis, qui præceps se ex Ecclesiæ navi in mare dejecit, a quo jactata a
vobis Augustana formula conflata est, quando sibi, aut in quo satis
constitit? an istam ipsam formulam non quotannis quamdiu vixit
commutatam, diversasque in sententias contortam edidit? An qui postea
ipsum secuti sunt, non æque licenter trahendo eam, quo cujusque libido
rapuit totam aliam fecerunt? Sed quod jam vixæ inter vos de dictis
sententiisque Lutheri? Et quotus quisque est, qui quæ placita illi sunt
probet? quot Melanchthon? quot Œcolampadius? quot Zuinglius? quot
denique Calvinus trahit? quot alii sexcenti, qui omnes de summis rebus a
Luthero, atque inter se dissentiunt? Non modo civitas, aut municipium,
sed ne domus quidem in Germania et ulla horum certaminum expers. Cum
viro uxor, cum parentibus liberi, de fide sacrorum, de divinarum
literarum intelligentia altercantur. Fœminæ, pueri in circulis, in
cauponis, inter pocula ludosque, quod miserandum est, de religione
constituunt. A vobis denique ipsis, hoc ipso in conventu, quanto
laboratum est opere ut aliquam uniusmodi mentis speciem præferre
possetis? Quod assequi tamen nequivistis; scilicet ut discrepare inter
se vera, ita conjungi et convenire falsa non possunt etc_. GRATIANI, _De
vita Johannis Fr. Commendoni card_. Parigi 1669, pag. 92.
[472] _Verum sub hoc prætextu, per hanc fictam pietatem, sub hoc umbrato
cardinale, da amico di Erasmo divenuto avversario, ne dipinse
sinistramente il carattere. Altrettanto fece il Sadoleto, che fu detto
il Fénélon italiano.
Primo Conti milanese, uno dei primieri discepoli di san Girolamo Miani,
andato in Germania per opporsi alla propagantesi eresia, si lusingò di
convertire Erasmo, al quale scrisse firmandosi _Primus Comes
mediolanensis_. Il dotto credette questo il titolo di qualche gran
signore, e gli si fece incontro con molta cerimonia; poi vistolo
arrivare senza nemmanco uno stalliere, rise dello sbaglio, pur
protestando veder più volentieri sì valente letterato che qualsifosse
grande. Ma il Conti non fece alcun profitto col tepido.
L'Aleandro da Brusselle, il 30 dicembre 1531, scrive al Sanga che
Ecolampadio a Basilea assicurò aver molti fautori in Fiandra,
Inghilterra, Francia, Italia: in Ispagna pochi per le diligenze
dell'Inquisizione; ma soggiunge che gli Ebrei s'industriano di farvi
penetrare il luteranismo, sol per danneggiare la fede nostra. E che
colà, non osandosi parlare liberamente di Lutero, perchè già condannato,
mettono in cielo Erasmo, e fanlo «adorare in quel paese, dove ci sono
de' suoi libri assai, già tradotti in quell'idioma; dico di quelli
pericolosi: di modo che, trattandosi là per la Inquisizione di
condannare le sue opere, per favori diversi fu fatta inibizione che non
procedessero. Ed ora che è condannato a Parigi, costoro impazziscono,
perchè ben vedono che la Chiesa universale seguiterà quella sentenza
parigina in questa parte. E già undici anni, io lo dissi ad Erasmo in
questa propria terra, pregandolo che mutasse alcune cose ne' suoi
scritti ed alcune altre mitigasse, altramente tenesse per certo che, lui
vivo o morto, sarieno condannati detti luoghi.... E ben si sa che, se
non fosse per irritarlo a far peggio, già la sede apostolica avria
condannato molte delle sue cose, non ostanti i favori che gli si usano
etiam per li nostri summati, e da quelli che fanno il santo, per essere
laudati da lui in un'epistola: e così _abnegat Christum minimæ gloriolæ
causa_»[466].
Erasmo vedea benissimo d'avere insegnato quanto or insegnava
Lutero[467]: diceasi proverbialmente, _aut Erasmus luterizat, aut
Lutherus erasmizat_; ma egli è un altro esempio del quanto potesse
spingersi innanzi la critica sopra la Chiesa, pur senza rompere il
legame della carità; e ci spiega la franchezza di quelli, che a torto i
Riformati vollero considerare come loro precursori, e la speranza che
lungamente si nutrì di riconciliare i dissidenti colla Chiesa
universale[468].
Disgustato da quel gran movimento, a cui avea dato di sprone, ma non
valeva a mettere il freno; aborrendo la scostumatezza e i disordini
soliti dei fuorusciti[469], incapace di essere capitano, insofferente di
servir da gregario; conculcato, come sogliono essere tutti i precursori,
dalla folla che li trascende; invano ricredendosi, e fin ritrattandosi
su molte parti di quel suo ghigno letterario, ch'era stato il lampo ai
tuoni della calunnia e della negazione, moriva in Basilea, dopo provato
quanto facilmente un popolo tramuti i suoi idoli dall'altare al
dimenticatojo. E un altro retore, capoameno, che aveva egli pure fatto
un elogio della pazzia, il bizzarro milanese Ortensio Lando, ne
canzonava la fine col _Dialogo lepidissimo_[470]. Così era beffato il
beffardo; il quale rimarrà tipo di quel torbido d'indifferenza, che
fattosi una gloria della propria perplessità, si attribuisce a merito il
risparmiare qualche tradizione; che posa principj, e non ardisce tirarne
le conseguenze; che non applaudisce all'errore ma lo titilla; che vede
la verità, ma non osa abbracciarla, come Pilato dondolandosi fra la
giustizia e la popolarità, fra Cristo e Barabba.
Pure Erasmo avea toccato un punto principalissimo della controversia
allorchè intimava: «Voi vi riferite tutti alla parola di Dio, e ve ne
credete gl'interpreti veraci; ebbene, mettetevi d'accordo tra voi, prima
di volere dar legge al mondo».
In quella vece il disordine dagli intelletti trasfondeasi alle volontà e
da queste alla vita e privata e sociale: e prima ne risentì la Germania,
volta tutta a capopiede. Le quistioni religiose, per quanto pajano
astratte, non può farsi che non penetrino nelle viscere della società, e
in un sistema teocratico quale avealo introdotto il medioevo, non si
tocca la fede senza scompaginare lo Stato. Il cristianesimo avea dato
soluzioni, non negative come la scienza d'oggi, ma positive alle
quistioni capitali dell'uomo e della società, e conduceva a conseguenze
effettive nella religione, nella morale, nella politica, nell'arte;
donde istituzioni e leggi certe e un andamento storico sociale. Ora il
protestantesimo lo sovvertiva, rivocando in dubbio i canoni
fondamentali. Tendendo esso non tanto a condur l'uomo alle azioni più
benefiche, quanto a trasformare i moventi dell'essere suo, ruppe
nell'economia religiosa e sociale dell'umanità i due legami a cui si
attiene la suprema nozione del diritto; il legame intimo che stringe
l'uomo a Dio nell'eternità, mediante la coscienza; e il legame imperioso
universale che lo sottomette ad una legge objettiva, ad una autorità
esteriore nel tempo; e presumendo sistemare la vita umana senza riflesso
al dogma, non surrogò all'antico un nuovo sovrano di diritto, ma
abbandonò la società alle potestà temporali, sovrane di fatto;
all'autorità che persuadeva surrogò il comando che costringe; trasferì
l'infallibilità dall'intelligenza e dalla rivelazione alla forza e ai
decreti. L'individuale interpretazione toglieva l'universalità dei
principj, e i canoni accettati come senso comune; non era più la Chiesa
che giudicasse gl'individui, ma essi lei; e l'individuo era nel bivio di
rinunziare a credere, di compaginarsi da sè la propria credenza. I figli
dunque dissentivano dal padre; i fratelli ai fratelli contraddicevano,
le mogli ai mariti; la scossa domestica si propagava alla società
civile, dove ciascuno pretendeva operare a proprio senno, dacchè a
proprio senno pensava; al diritto, alla morale, fin là unicamente
piantati sulla religione, mancava ogni appoggio al mancar di questa; e
ribellato il pensiero alla fede, gli uomini trovarono spento il faro che
gli avviava, allora appunto che imperversava la procella. Ognuno fonda
una Chiesa nuova, che domani cessa per mancanza d'accordo e d'autorità:
ogni predicante del minimo villaggio credesi autorizzato a divenire
fondatore di una religione, senza che alcuno valga a mettervi ordine. I
vulghi sorgevano domandando ai nuovi apostoli «Che cosa dobbiamo fare?»
Ma è appunto in tempi siffatti che i guidapopoli non sanno quel che
fare, e una mano scassina quel ch'è posato dall'altra.
Il fedele, trovatosi sacerdote e papa, volle anche esser re; possedendo
le doppie chiavi, ne' dubbj non ricorreva all'autorità, ma al proprio
giudizio; l'indagine dal sistema ecclesiastico si voltò sul laico,
ch'era tanto peggiore, e ne cominciarono rivoluzioni e il predominio
della forza. Erasi elevato il potere spirituale affine di impacciar il
temporale; ora si volle restituire ai re la dittatura pagana: sempre
l'eccesso.
Melantone, che tanto aveva procurato prevenirle, allora gemeva sulle
sconcordie, e ne presagiva di peggiori da quella sfrenatezza, da quel
rinnegamento d'ogni autorità, e «Tutte l'acque dell'Elba non mi
basterebbero a piangere le sventure della religione e del paese».
Il cardinale Sadoleto, nell'orazione ai principi tedeschi esclamava:
«Quest'anni passati vedemmo di voi quel che giammai avremmo creduto.
Dianzi vivevate in pace e concordia tra voi, ora siete nel dissenso più
atroce. Dio e i celesti tutti con somma pietà veneravate; ora, estinta
la pietà, gli studj della vera religione per la più parte abbandonaste;
stavate alle leggi, che per la sobrietà e l'astinenza dagli avi vostri,
santi personaggi, e dagli antichi padri erano state fatte, poi accettate
e comprovate dall'osservanza di tutti i secoli; ora, sovvertite le
leggi, tolta la distinzione delle cose, lentati i freni della
continenza, tutto voleste libero e sciolto».
E continua a deplorare questo scapestrarsi delle ire, questo togliere
ogni rispetto alle leggi divine e umane, ogni divario di superiori e
inferiori, non accordandosi che nel vituperare il sacerdozio e straziare
la romana Chiesa, che n'è capo. «Eppure in questa città di Roma, per
reprimere e moderare i vizj urbani, e principalmente l'avarizia di cui
più si pecca, e revocarla al costume antico, casto e modesto, furono dal
sapientissimo e ottimo pontefice invitati da ogni parte del mondo
personaggi, e posti nel sommo grado di onore, acciocchè con maggiore
autorità e diligenza attendano a quest'uopo»[471].
E ben tosto tutta Europa fu in fuoco, e un secolo e mezzo di fierissime
guerre minacciarono una nuova barbarie. E un'altra ne sovrastava.
I papi erano stati motori e centro della resistenza contro i Turchi.
Oggi, che vediam questo popolo in quell'ultima decadenza dove più non lo
sostiene che la volontà dei forti, l'Europa vanta la sua tolleranza nel
rispettare fino il Musulmano, la sua indifferenza fino a sorreggere un
governo che ha per canone politico il fratricidio, per canone domestico
la poligamia, per canone economico la pirateria. Ma ai giorni di Lutero
i Turchi minacciavano una conquista senza pietà, una preponderanza senza
freno: si trattava ancora di decidere se l'Europa sarebbe di Cristo o di
Maometto; se si progredirebbe col Vangelo fino al pieno trionfo della
democrazia, o si retrocederebbe fino ai serragli, agli eunuchi, alla
legge incarnata in un uomo. E appunto allora i Turchi, comandati da
principi eroi, avendo conquistate le coste dell'Adriatico e alcune
isole, minacciavano l'Italia, corseggiavano a baldanza le nostre marine,
tentarono fin sorprendere in una villeggiatura Leon X e la famosa Giulia
Gonzaga. Pio II aveva evocato tutta la cristianità a questa tardiva
crociata, ed egli stesso andava a porsene a capo, quando morì. I
successori proclamarono sempre la guerra santa, e fervorosamente Leon X.
Ma che? Ulrico di Hutten gridò alla sua Germania non gli si desse
ascolto: sotto quel pretesto il papa vuole squattrinare il popolo
ignorante, munger il latte delle genti, inebbriarsi alla mammella dei
re[472]. E Lutero argomentava: «Noi dobbiamo volere non solo quel che
Dio vuole che noi vogliamo, ma assolutamente tutto ciò ch'egli vuole.
Ora egli vuol visitarci col mandare i Turchi; il respingere questi è un
resistere alla sua volontà». E ripeteva: «No, Cristiani; tutti io vi
scongiuro a pregare per i nostri poveri principi tedeschi, acciocchè non
un soldato, non un soldo diano al papa contro i Turchi; meglio i Turchi
e i Tartari che la messa. La guerra, ve lo canto chiaro, mi spiace
contro il turco, non men che contro il cristiano[473]. I Turchi empiono
il cielo di beati: il papa empie l'inferno di Cristiani. Se il Turco
arrivasse a Roma, non sarei io che ne piangesse»[474].
I Cattolici, è vero, continuarono a tener testa ai Turchi; ma dacchè la
cristianità fu divisa in due campi, non bastò più a cacciarli[475]; le
forze doveano logorarsi nelle lotte interne, gl'ingegni s'aguzzavano
nello scassinare la fede romana. Anche per convertire i paesi infedeli
scemavano i mezzi: missionarj non partivano più che da Roma, e in mezza
Europa trovaronsi distrutti i frati, che n'erano i principali stromenti.
NOTE
[430] I _Ep. ad Corinthios_, XIV, 33.
[431] Già san Vincenzo di Lerino diceva: _Nullusne ergo in Ecclesia
Christi profectus habebitur intelligentiæ? Habebitur plane et maximus,
sed ita tamen ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio_.
Commonitorium, c. 29.
[432] Vedi nel Discorso XI.
[433] _Ep._ 2, II, 2.
[434] _Ep._ 4, JOANN. II, v. 12, e III, v. 13.
[435] _Ep. B. Petri_ II, cap. I, 20.
[436] _E._ II, cap. III, v. 16.
[437] II _ad Thess._ v. 14.
[438] _Catholici tenent unum esse principium fidei: verbum Dei ab
Ecclesia propositum_ (WALLENBURG). _Illud omne et solum est de fide
catholica quod est revelatum in verbo Dei, et propositum omnibus ab
ecclesia catholica, fide divina credendum_ (VERONIUS, _Regula Fidei
cath._).
[439] Il parigino Francesco Véron (1575-1649), nella _Regula Fidei_, e
nel _Metodo di trattar le controversie_, espose con chiarezza e
precisione le verità di fede canonicamente decise, distinguendole da
altre che sono opinioni teologiche. È noto come ciò abbia pur fatto
Bossuet, a segno che i Protestanti di buona fede domandaronsi in che
cosa diversificassero essenzialmente dai Cattolici. Capitale in queste
senso è la _Esposizione delle antitesi dogmatiche fra Cattolici e
Protestanti_ di G. A. MOEHLER, 1840.
[440] A quanto dicemmo sulla cattolicità di Dante aggiungiamo ch'egli fe
di Maria Vergine il centro di tutta la sua visione: ritrasse in questa
tutto quanto la Chiesa crede, insegna o pratica ad onore di Colei che a
Cristo più s'assomiglia, e «in cui s'aduna quanto in creatura è di
bontade»: simboli, immagini, canti vi rappresentano il culto di lei
colla scienza del teologo e la legenda del popolo, e la figurano in
«cielo qual meridiana face di caritade, e giuso intra i mortali qual di
speranza fontana vivace». Sant'Antonino scrisse: _Qui petit sine ipsa
duce, sine pennis, sine alis tentat volare_. E Dante avea cantato:
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
Che, qual vuol grazia e a te non ricorre,
Sua desianza vuol volar senz'ali.
[441] Sulla mitologia cattolica, Giuseppe De Maistre scrive ad un amico
(_Lettres_, tom. I, 235).
«Sans doute toute religion pousse une mythologie. Mais n'oubliez pas que
celle de la religion chrétienne est toujours chaste, toujours utile, et
souvent sublime, sans que, par un privilège particulier, il soit jamais
possible de la confondre avec la religion même». Écoutez un exemple: «Un
saint eut une vision, pendant laquelle il vit Satan debout devant le
trône de Dieu, et ayant prêté l'oreille, il entendit l'esprit malin qui
disait: Pourquoi m'as-tu damné, moi qui ne t'ai offensé qu'une fois,
tandis que tu sauves des millières d'hommes qui t'ont offensé tant des
fois?» Dieu lui répondit: «M'as tu demandé pardon une fois?»
«Voilà la mythologie chrétienne. C'est la vérité dramatique, qui a sa
valeur et son effet indépendamment même de la vérité littérale, et qui
n'y gagnerait même rien. Que le Saint ait ou n'ait pas entendu le mot
sublime que je viens de citer, qu'importe? Le grand point est de savoir
que le pardon n'est refusé qu'à celui qui ne l'a pas demandé».
L'osservazione è argutissima; ma perchè fosse del tutto vera
bisognerebbe un fatto assolutamente contrario all'indole della
mitologia, cioè che esistesse qualche autorità, la quale scegliesse, tra
i mille parti delle fantasie e dell'ignoranza, le favole che sono caste,
morali, sublimi. Vero è che la più parte di quelle che furono foggiate
da Cristiani recano onore al genere umano e profitto alla virtù, e
attestano una vittoria della debolezza sopra la violenza, del bene sopra
il male.
[442] Bridgewater lasciò una grossa somma perchè si facessero otto
trattati in cui, secondo le varie scienze, si dimostrasse la verità
della rivelazione. Fra queste scienze non figurava la matematica, e dopo
che Chalmers ebbe trattato della morale natura dell'uomo, Buckland della
geologia, Whewell dell'astronomia ecc., Babbage volle far un _Nono
trattato_ per dimostrare che colla matematica e la meccanica pure si
potea dimostrarla ancor meglio. È facile capire come un intelletto che
si ribella a tutto ciò che non è algebra, e che fa dipender la
rivelazione tutt'affatto da testimonianze umane, cozzi spesso
coll'ortodossia, e confondasi con quelli, che, abbassando il Creatore
alla propria misura, pretendono nel sopranaturale ciò che sta solo nel
naturale. Ma è bello vederlo raccoglier tanti argomenti, da svergognare
coloro che ridono d'ogni miracolo. Nella famosa sua macchina da calcoli
mostrava potersi introdurre anche una legge arbitraria, per un periodo
più o men lungo, dopo il quale essa n'addotterebbe un'altra, impostagli
dall'inventore sin da principio: potersi anche disporne il meccanismo in
modo che, a un dato tempo, ricomparisse la prima o un'altra legge: o che
durante l'azione di una, questa potesse esser sospesa per far luogo a
un'altra che opererebbe solo in quell'occasione, o tornerebbe a
determinati intervalli.
Al modo stesso Iddio, nella creazione, prevedendo le necessità avvenire,
potè provedere a tutte le eventualità: imporre alla natura leggi che
operassero per un tempo, indi cedessero ad altre, o che bastassero per
deviazioni temporarie. Se il sole s'arrestò alla voce di Giosuè, tal
fatto poteva esser compreso nei disegni primitivi del Creatore, e
prodotto dall'azione transitoria d'alcuna legge acconcia. Se morti
resuscitarono, fu effetto d'una forza che opererebbe solo a rari
intervalli, benchè compresa nel piano primordiale del creato. Più facile
è l'applicar tale ragionamento alle epoche geologiche, segnate
dall'apparir di nuove specie animali e vegetali.
Secondo il nostro matematico, può dunque ammettersi che Dio previde
tutte le circostanze contingibili che potrebbero reclamar un'effimera o
durevole alterazione nell'economia del creato, e proveduto ai mezzi di
farle arrivare. Così chi facesse un oriuolo che andasse sempre, che
sospendesse i movimenti a un dato tempo per un minuto, che a un momento
assegnato tornasse indietro le lancette, attesterebbe un'abilità
stupenda, ma le variazioni sarebbero dovute a un disegno primitivo, a
una legge grande e unica: e l'intelletto capace di abbracciar d'un colpo
tutte le combinazioni possibili, è superiore a quello che intervenisse
periodicamente a cambiare meccanismo o a invertire le proprie regole.
Tutto ciò può ispirare a una mente colta un sublime concetto della
sapienza che presedette alla creazione, e sventa il sofisma di coloro
che trovan indegno dell'Ente Supremo l'interromper le proprie leggi e
cambiar il corso della natura per qualche bisogno dell'uomo, per qualche
preghiera: o per coloro che dicono che il venir d'un'altra età geologica
attesta l'imperfezione della precedente, e che il mondo fu fatto alla
bell'e meglio. Pure bisogna confessare che c'è qualcosa di arido in
questo mondo che va per puro meccanismo: lo spirito può contentarsene,
il cuore no. Direbbesi che all'Onnipotente costi il mantener il mondo in
buona condizione, il presedervi in persona, anzichè per mezzi secondarj,
il governare per atti diretti di volontà, anzichè rimettersi a leggi
inviolabili. L'Onnipotente può del pari e far un miracolo a dato tempo,
e averlo preparato centomila anni prima; perchè dunque c'invidieremmo la
consolazione di vederlo operar ad ogni caso direttamente, anzichè per un
prestabilito meccanismo?
Il cardinale De La Luzerne, nella dissertazione sui miracoli, li
stabilisce appunto sull'autorità dei testimonj umani e i fondamenti
della certezza; e sol dopo fissate le regole della critica storica ne fa
l'applicazione ai racconti evangelici. Anche Frayssinoux, volendo
difendere la verità de' miracoli evangelici, consacra un'intera
conferenza sull'autorità de' testimonj umani; stabilendo che un
miracolo, anzitutto, è un fatto; e bisogna provarlo o distruggerlo,
invece di costituir sistemi _a priori_.
[443] _Vocavit discipulos et elegit duodecim ex ipsis, quod et apostolos
nominavit_. MATT. X, MARC. III, LUCA VI.
[444] _Quæcumque ligaveritis super terram, erunt ligata et in cœlo,_
etc. MATT. XVIII.
[445] _Qui vos audit me audit: qui vos spernit me spernit_. MATT. X,
LUCA X, JOANN. XIII.
[446] _Data est mihi omnis potestas in cœlo et in terra. Euntes ergo
docete omnes gentes, baptizantes eos_, etc. MATT. XXIII. _Euntes in
mundum universum, prædicate evangelium omni creaturæ. Qui crederit et
baptizatus fuerit, salvus erit_, etc. MARC. XVI.
[447] _Accipite Spiritum Sanctum. Quorum remiseritis peccata,
remittuntur eis, et quorum retinueritis, retenta sunt_. JOANN. XX.
[448] _Ego vobiscum sum omnibus diebus, usque ad consummationem sæculi_.
MATT. XXVIII.
[449] _Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam_.
MATT. XVI.
[450] _Tibi dabo claves regni cœlorum_. Ib.
[451] _Pasce agnos meos... pasce oves meas_. JOANN. XXI.
[452] _Ego rogavi pro te ne deficiat fides tua; et tu conversus confirma
fratres tuos_. LUCA XXII.
[453] _Portæ inferi non prævalebunt adversus Ecclesiam_. MATT. XVI.
[454] Vedi il Discorso XVI, pag. 314.
[455] Ne' manuscritti della Magliabecchiana, D. 743, è una raccolta di
sonetti contro le varie eresie. Per esempio
_Wittemberga ed in lei la setta luterana_.
Qual Pentapoli in fiamme od in faville
S'erghino l'alte torri e vasti campi:
Nelle tue cieche vie piede non stampi,
Ma l'onde sol di Stige a mille a mille....
Fonte de' prischi e de' novelli errori.
Che nel tuo sen disseminò Lutero
Contro alla fede, all'opre, al maggior duce.
E a Ginevra:
Crudele arpia che t'eleggesti in prova
D'impietà asilo, acciò ch'ogni alma pera...
Del tuo lago infernale il ciel commova
L'onde sovra di te chi al tutto impèra...
Geneva d'eresie l'eletto albergo
Di Farello empia sede e di Calvino
Ove Anticristo l'ampie vie disserra...
D'ogni altra la peggior, Sodoma in terra.
E meglio in altro all'Eresia:
Da chi vieni? da chi? rea, da qual banda
Senza patente aver teco o missione?
Se 'l tuo spirto privato n'è cagione
Adunque non è Dio quel che ti manda.
Più sfacciata di Flora e più nefanda,
Se miracol non fai: dunque a ragione
O vien da facoltà che ha successione,
O di' che 'l diavol è quel che t'arranda, ecc.
[456] SADOLETI _Epp._ 11 e 12, lib. XIV.
[457] _Lettere vulgari_.
[458] _Monumenta Vaticana_, LXXXI, LXXXII.
[459] ALBERTI PII CARPORUM, _comitis illustrissimi et viri longe
doctissimi, præter præfationem et operis conclusionem, tres et viginti
libri in locos lucubrationum variarum D. Erasmi Roterodami quos censet
ab eo recognoscendos et retractandos_. Venezia 1531.
[460] Lo riprodusse poi ne' _Colloquj_ col titolo di _Exequiæ
seraphicæ_, cambiandone il nome in Eusebio, ma lasciando le allusioni a
colui, _ex principe privatum, e privato exulem, ex exule tantum non
mendicum, pene addideram sycophantem_.
[461] _Ubicumque regnat lutheranismus, ibi literarum est interitus_. Ep.
1101 del 1528. _Evangelicos istos, cum multis aliis tum hoc nomine
præcipue odi, quod per eos ubique languent bonæ literæ, sine quibus quid
est hominum vita? Amant viaticum et uxorem, cœtera pili faciunt. Hos
fucos longissime arcendos censeo a vestro contubernio_. Ep. 946
dell'anno stesso.
[462] Ep. 736.
[463]
Roma, 15 gennajo 1521.
«Caro figlio, gratissima ci fu la tua lettera, poichè ci chiarì di
quello su cui ci davano a dubitare non solo l'asserzione di pie e
prudenti persone, ma alcuni tuoi scritti stessi, che tu conservi buona
volontà verso noi e la santa sede, e per la pace e concordia cristiana:
il che perfettamente conviensi e all'egregio ingegno che Dio ti ha
donato, e alla pietà che sempre professasti. E noi che, sebben lontano,
ti avevamo sempre in memoria, e pensavamo dar qualche premio alle esimie
tue virtù, se eravamo stati smossi da questo pensiero, lietamente ci
vedemmo dalla tua lettera restituiti alla primiera intenzione. E deh
come ora è certo a noi, fosse così agli altri, la benevolenza tua verso
questa sede apostolica e la comune fede di Dio! No, mai non vi fu tempo
più opportuno o causa più giusta di opporre l'ingegno e la dottrina agli
empj, nè alcuno sarebbe di te più adatto a tale offizio, al quale pur
s'adoprano molti in fama di pietà e scienza somma. Ma Iddio diresse i
loro cuori, e alla tua prudenza vuolsi ciò rimettere. Noi, contro le
contumelie degli uomini sediziosi, armati di pazienza e del soccorso
divino, siamo viepiù dolenti che colla zizania molta buona messe si
corrompa; ed ogni danno del gregge a noi commesso ne affligge, non
potendo non dolerci del veder le buone menti tratte in errore, mentre
desidereremmo salvi anche gli autori dell'empietà. Ma nè Dio mancherà a
noi, nè noi al nostro dovere. Quanto alla tua lettera, essa ci assicura
della tua ottima intenzione, e la tua venuta qui, quando ch'ella sia,
riceveremo volentierissimo.»
Nella _Biblioteca Vaticana, Nunziatura di Germania_. Vol. I, pag. 40.
[464] Sul suo epitafio fe scrivere: _Ex diuturno studio hoc didicit,
mortalia contemnere, et ignorantiam suam non ignorare_.
[465] _Ep._ 601.
[466] _Monumenta Vaticana_ LXIX.
[467] _Videor mihi fere omnia docuisse quæ docet Lutherus, nisi quod non
tam atrociter, quodque abstinui quibusdam ænigmatibus et paradoxis_. Ep.
a Zuinglio.
[468] Più tardi il nome di Erasmo sonò ereticale. Nella biblioteca di
San Salvadore a Bologna, l'inquisizione, sotto Paolo IV, ne portò via le
opere; e le traduzioni di Ecolampadio ch'erano postillate da Erasmo,
furono lavate con acqua di calce per farle scomparire; al qual modo fu
pure guasta un'edizione di san Girolamo, postillata dallo stesso, e
confiscato uno Svetonio che portava il nome di Erasmo.
[469] _Civitates aliquot Germaniæ implentur erroribus, desertoribus
monasteriorum, sacerdotibus conjugatis, plerisque famelicis ac nudis;
nec aliud quam saltatur, editur, bibitur ac cubatur, nec docent, nec
discunt; nulla vitæ sobrietas, nulla sinceritas. Ubicumque sunt, ibi
jacent omnes bonæ disciplinæ cum pietate_. ERASMI ep. 902 del 1527.
[470] _In Erasmi funus dialogus lepidissimus_. Basilea 1540.
[471] Anche il cardinale Comendone veneziano alla dieta germanica nel
1561 insisteva sui disordini d'intelletto e di fatti, venuti dietro alla
riforma. _In quos, Deus bone, et quam devios anfractus deflexistis!
quibus vos erroribus implicuistis! quibus mentes vestras tenebris
mersistis! at etiam iniquo animo ferri ad principibus vestris nuper
dicebatis quod nos varia ac multiplici religione agitari impellique
Germanos vobis adjecimus, idque inficias ire verecundia non fuit. An
potest clarius, an evidentius esse quidquam, vestris esse inter vos de
tota cœlestium rerum ac divinarum cæremoniarum ratione dissidiis et
concertationibus? Una est vestrum omnium consensio et conspiratio
adversus nos, Ecclesiamque a qua defecistis; cætera nihil dissimilius,
nihil disjunctius, nihil discrepantius. An vero id non testatum omnibus?
an non omnis referta libris Germania est, contraria et propugnantia
docentibus? an adeo hebetes nos ac rudes germanicarum rerum esse
putatis, ista ut ignoremus? at Lutherus quidem ipse, Paulus alter ut vos
vultis, qui præceps se ex Ecclesiæ navi in mare dejecit, a quo jactata a
vobis Augustana formula conflata est, quando sibi, aut in quo satis
constitit? an istam ipsam formulam non quotannis quamdiu vixit
commutatam, diversasque in sententias contortam edidit? An qui postea
ipsum secuti sunt, non æque licenter trahendo eam, quo cujusque libido
rapuit totam aliam fecerunt? Sed quod jam vixæ inter vos de dictis
sententiisque Lutheri? Et quotus quisque est, qui quæ placita illi sunt
probet? quot Melanchthon? quot Œcolampadius? quot Zuinglius? quot
denique Calvinus trahit? quot alii sexcenti, qui omnes de summis rebus a
Luthero, atque inter se dissentiunt? Non modo civitas, aut municipium,
sed ne domus quidem in Germania et ulla horum certaminum expers. Cum
viro uxor, cum parentibus liberi, de fide sacrorum, de divinarum
literarum intelligentia altercantur. Fœminæ, pueri in circulis, in
cauponis, inter pocula ludosque, quod miserandum est, de religione
constituunt. A vobis denique ipsis, hoc ipso in conventu, quanto
laboratum est opere ut aliquam uniusmodi mentis speciem præferre
possetis? Quod assequi tamen nequivistis; scilicet ut discrepare inter
se vera, ita conjungi et convenire falsa non possunt etc_. GRATIANI, _De
vita Johannis Fr. Commendoni card_. Parigi 1669, pag. 92.
[472] _Verum sub hoc prætextu, per hanc fictam pietatem, sub hoc umbrato
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