Gli eretici d'Italia, vol. I - 08

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sublimità della religione cattolica, il mistero che gli angeli
contemplano e le potenze infernali paventano, dov'è il monarca che possa
con una sola parola creare il corpo e il sangue di Cristo? Chi dunque
dubiterà che l'autorità del pontefice non sovrasti a quella del re?
Quegli non cerca che le cose di Dio, e vive austero fra le vanità della
terra; questi si occupa solo del proprio interesse, e opprime i fratelli
a danno della propria salute. Quegli è membro del corpo di Cristo;
questi dell'angelo della menzogna. Quegli rinnega i suoi appetiti,
macera il corpo per regnar un giorno con Dio: questi regna quaggiù per
esser in eterno schiavo di Satana. Appena qualcuno ne troviamo che sia
stato virtuoso e prudente. Chi di loro ebbe il dono de' miracoli come
Antonio, Benedetto, Martino? Ma la santa sede conta da Pietro in poi
cento vescovi ascritti alla milizia celeste, ecc.». [59] L'agosto 1098
tenevasi un concilio a Roma, e 8 cardinali, 4 vescovi, 4 preti, fautori
dell'antipapa, firmarono una lettera sinodale «a tutti quelli che temono
Dio ed amano la salute della repubblica», per premunirli contro le
eresie introdotte o rinnovate da Ildebrando; le quali erano il celibato
de' cherici e il divieto delle investiture laicali.
[60] La condizione a cui si sarebbe ridotta l'Europa se la spada fosse
prevalsa al pastorale, può argomentarsi da quella d'un paese che ora fa
molto parlare, per la speranza di riunirla alla Chiesa nostra, la
Bulgaria. Il Turco lascia eleggere il clero ai Cattolici, ma vende le
più alte dignità. Il patriarca che comprò per 400,000 lire l'alto suo
seggio, rivende i vescovati fin per 50,000; questi fan mercato coi
papassi o curati, che possono accumulare fin 15 o 20 cure. Così tutto va
all'incanto, e quello cui meno si bada è il merito o il servizio delle
anime. Chi compra cerca rimborsarsi con tutti i mezzi. Uno de' mezzi è
il divorzio, pel quale richiedesi una dispensa costosa, onde non
l'ottengono che i ricchi. Pei poveri ci son altri ricavi. Se per qualche
sopruso si fa appello al patriarca, il vescovo ne compra la connivenza;
se le plebi minacciano diventar cattoliche, il patriarca punisce, cioè
cambia di posto il vescovo: e così la tirannia del sultano vien a pesare
fin sugli infimi: e i vescovi, invece di rivelare al popolo i diritti
che acquistò cogli ultimi atti del Tanzimat, del Hatti-Scerif, del
Hatti-Humayum, glieli nascondono attentamente.
[61] Quelle false decretali, che per lungo tempo si dissero inventate a
Roma, diffuse in Ispagna, e di là nel mondo, introducendo nuovi canoni e
diritto nuovo per consolidare l'autorità dei papi a scapito di quella
dei vescovi, apparvero tutt'altro a leali cercatori, protestanti e
cattolici. La prima indagine avrebbe dovuto cadere sul corpo del
delitto, e si provò che tutti aveano discorso senza conoscerle sia nei
testi, sia nell'unica informe edizione fattane da Merlin nel 1530.
Un'esatta descrizione ne porse il dottore Philipps: poi l'abate Migne le
stampò nel vol. CXXX della sua _Patrologia_, con una dissertazione del
dottore Denzinger professore a Wurtzburg.
Risulta di là che la Spagna non le conobbe mai; che fino al secolo XI
uscente non ebbero mai autorità in Italia: a tal segno che nel 1085 il
cardinale Otto, il quale fu poi Urbano II, incontrandone primamente
alcune in un concilio tedesco, le ripudiò con disprezzo: che l'opera fu
compilata in Germania, probabilmente da Benedetto Levita, cherico
dell'arcivescovo di Magonza Autcario, verso l'834.
Quanto al fondo, le decretali non toccano pur un punto che già non fosse
stabilito; e scopo loro è di sorreggere i diritti de' prelati a fronte
de' metropoliti, cioè sostenere l'indipendenza de' vescovi, anzichè
ringrandire il potere pontifizio.
[62] Al contrario de' nostri, la quistione eterna della libertà e della
predestinazione fu la prima che i teologi maomettani dibattessero: e i
Kadariti, sostenitori della libertà, e i Giabariti, o Predestinaziani,
precedettero le discussioni sugli attributi di Dio.
[63] _Epistola_ 243.
[64] _Pantheon_ 464.
[65] Arnaldo è diventato un mito, e in conseguenza la storia di lui fu
oscurata peggio che mai, principalmente a' nostri tempi: e chi lo
difendesse viene stampato eretico dagli esagerati d'una parte,
gesuitante dagli esagerati dell'altra chi l'incolpasse: arti abituali
colle quali il secolo nostro pretende arrivare alla verità. Metter nè un
Lutero nè un Ciciruacchio al XII secolo è anacronismo, quanto il metter
all'età nostra un san Pietro o un san Francesco d'Assisi. I nostri
Ghibellini che volevano umiliare il papa, non per questo erano ligi
all'imperatore germanico; che se a questo si attaccavano i tirannelli
per prepotere nelle città e per uccidere la libertà comunale, i
pensatori volevano, o almeno ideavano, un imperatore romano che stesse
in Italia. Lo dice chiaro anche Dante, che pure si appassionò per Enrico
VII; perchè sempre gli Italiani, da Narsete sino a Felice Orsini,
sperarono liberarsi dagli stranieri per mezzo degli stranieri. Forse i
Romani, e Arnaldo con essi, avevano sperato di sbalzar il papa
coll'opera di Federico, il quale, come se ne vanta il suo cugino e
storico Ottone di Frisinga, qui portò _pro auro arabico teutonicum
ferrum; sic emitur a Francis imperium_: ma il prefetto della città, che
in occasione delle prediche di Arnaldo era stato insultato e peggio, fe
prendere questo bresciano, e giustiziare.
Il contemporaneo Geroldo di Reichersperg (nel libro I _De investigat.
Antichrist. ap._ GRETSER, _Prolegomena ad scriptores adversus
Waldenses_, _cap._ 4) dice: _Quam ego vellem pro tali doctrina sua,
quamvis prava, vel exilio vel carcere, aut alia pœna præter mortem
punitum esse, vel saltem taliter occisum, ut romana Ecclesia sive curia
ejus necis quæstione careret! Nam, ut ajunt, absque ipsorum scientia et
consensu a præfecto urbis Romæ, de eorum custodia in qua tenebatur
ereptus, ac pro speciali causa occisus ab ejus servis est. Maximam
siquidem cladem ex occasione ejusdem doctrinæ idem præfectus a romanis
civibus perpessus fuerat; quare non saltem ab occisi crematione et
submersione ejus occisores metuerunt quatenus a domo sacerdotali quæstio
sanguinis remota esset. Sed de his ipsi viderint, sane de doctrina et
nece Arnaldi idcirco inserere præsenti loco volui, ne vel doctrinæ ejus
pravæ, etsi zelo forte bono, sed minori scientia prolata est, vel ejus
necis perperam actæ videar assensum prœbere_.
Del resto, in quei giorni il papa ed i cardinali erano affatto in
arbitrio del Barbarossa, che giunse fin a portarli via: e il suddetto
Ottone di Frisinga dice: _Mane facto, quia victualia nobis defecerant,
assumpto papa et cardinalibus cum triumpho victoriæ læti discessimus_
(p. 989 dell'edizione del Muratori).
Meglio del Tamburini e d'altre meschinità dei Giansenisti del secolo
passato, vedi H. FRANKE, _Arnold von Brescia und seine Zeit_. Zurigo
1852.
[66] Questo fatto è vero? Lo negano i più, quasi un'insolenza, a torto
imputata al papa: sì poco conoscono i tempi! lo sostenne il benedettino
Fortunato Olmo in un curioso opuscolo: _Historia della venuta a Venetia
occultamente nel 1177 del papa Alessandro III e della vittoria ottenuta
da Sebastiano Ziani doge_. 1629. Ripigliò questo assunto Carlo Lodovico
Ring nel _Saggio storico per illustrare un fatto finora messo in dubbio,
della vita di due contemporanei, entrambi aspiranti alla Signoria del
mondo_ (tedesco). Stuttgard 1835.
[67] Son passi dei documenti raccolti da Huillard Bréolles nella _Vie et
correspondance de Pierre de la Vigne, avec une étude sur le mouvement
reformiste du XIII siècle_, Parigi 1865. E per non citare i cattolici,
vedasi _History of Frederick the second_, by T. L. KINGTON. Londra 1862,
2 vol.
[68] Col nome di _Questioni siciliane_ furono trovati nella biblioteca
di Oxford, e li pubblicò Michele Amari nel _Journal Asiatique_, 1853, p.
240.
[69] _Semper fuit nostræ voluntatis intentio, clericos cujusque ordinis,
præcipue maximos, ad illum statum reducere quales fuerunt in Ecclesia
primitiva, apostolicam vitam ducentes et humilitatem dominicam
imitantes_.
[70] Brunetto Latini dice di Federico II: «Les cuers ne hacit à autre
chose fors que a estre sires et souverains de tout le monde. Il cuidoit
bien par lui et par ses filz sousprendre tot l'empire et la terre tote,
en tel manière que ele n'issist jamais de leur subjection. _Tesoro_». L.
i.


DISCORSO IV.
I PATARINI. GLI ORDINI MENDICANTI. LA SCOLASTICA.

Sebbene i nostri non s'ingolfassero in tante sottigliezze e sofisterie
intorno alla divinità, alla natura sua, a' suoi attributi, quanto gli
Orientali, più vicini a quell'India dove pajono naturali l'ascetismo, la
contemplazione e l'idealità, pure, dall'impero greco, ove sempre vivea,
trasmetteasi anche in Italia l'eresia, proveniente dall'antica Gnosi, e
a guisa d'un vulcano dava fumo di tratto in tratto, come sentimento
però, anzichè come idea pura. Claudio, di nazione spagnuolo, in Francia
diresse la scuola istituita poco prima da Carlomagno, e predicava, e
commentava le divine scritture, onde Lodovico il Pio lo propose a
vescovo di Torino verso l'820. Quivi cominciò dal solito titolo di
correggere abusi e superstizioni; e dicendo non dover le immagini
usurpare il culto che a Dio solo è dovuto, le toglieva; spezzava le
croci; non più feste di santi; non più lampade nelle funzioni, non
pellegrinaggi a Roma; dal che passò anche a sostenere errori intorno
alla divinità del Verbo. Il popolo suo ed i vicini gliene vollero male;
Pasquale I lo disapprovò; molti scrissero sin dalle Gallie e
dall'Irlanda, per difendere l'antica consuetudine, distinguendo il culto
reso ai santi e agli angeli da quello alla divinità; adunatosi un
sinodo, Claudio ricusò intervenirvi, chiamandolo _congregationem
asinorum_. Morì del 830, e quanto riprovata dai Cattolici, tanto la sua
memoria fu poi esaltata dai Protestanti, che, per la smania di darsi
antenati, pretesero vedervi il fondatore della Chiesa valdese. Dalle
confutazioni fattene allora non appare ch'egli negasse la presenza
reale, o la transustanziazione, nè alcuno de' sacramenti, nè la primazia
de' pontefici, nè asserisse la privata interpretazione delle sacre
scritture, che sono i fondamenti del protestantismo.
A mezzo il secolo IX, Pietro vescovo di Padova scoprì nella sua diocesi
una setta che ghiribizzava sulla Redenzione, e che solo cinquant'anni
dopo fu dissipata dal vescovo Gozzelino. Nel mille, a Ravenna un
Vilgardo sosteneva che la verità sta nei detti di Orazio, Virgilio,
Giovenale, e si hanno a preferire ai dogmi cattolici[71].
Eriberto da Cantù, operosissimo arcivescovo di Milano dal 1018 al 1045,
seppe che alcuni eretici tenevano convegni nel castello di Monforte
presso Asti, e citatone uno di nome Gerardo, l'esaminò sulla loro fede.
La risposta fu: «Crediamo nel Padre, nel Figliuolo e nello Spirito
Santo, che soli hanno la facoltà di sciogliere e legare; e il Padre è
l'eterno, in cui e per cui tutte le cose sono; il Figliuolo è lo spirito
dell'uomo, cui Dio amò; lo Spirito Santo è l'intelletto delle scienze
divine, dal quale tutte le cose sono regolate: non riconosciamo il
vescovo di Roma o verun altro, fuori d'un solo che quotidianamente
visita i nostri fratelli per tutto il mondo, e gli illumina; e quand'è
mandato da Dio, presso lui si trova il perdono dei peccati. Osserviamo
la castità, benchè ammogliati; non mangiamo carne; digiuniamo
strettamente; leggiamo ogni giorno la Bibbia; molto preghiamo, e i
nostri _maggiori_ s'alternano dì e notte nella orazione. I beni teniamo
comuni; e il morir ne' tormenti ci è dolce per isfuggire i castighi
eterni».
Di quest'eresia conobbe i pericoli l'arcivescovo, tanto che menò contro
Asti i suoi vassalli, e presi per forza i miscredenti, nè potendo tutti
indurli a ritrattarsi, non potè impedire che la nobiltà milanese li
mandasse al fuoco, ch'essi subirono come un martirio. Ciò è riferito da
Landolfo Seniore[72], specie di spirito forte, al quale, come dicemmo,
non possiamo concedere troppa fede; e certamente è fantasia di lui
questo discorso.
Nella lotta fra gl'imperatori e i pontefici, l'opposizione a questi o
risolvevasi in eresia, o almeno scassinava l'autorità pontificia. Tra
quelle feconde contese ridestosi, il popolo veniva ad accampare
gl'interessi e i diritti proprj là dove prima non discuteano che baroni,
capitani e re. Allora, nel punto di smarrirsi, vie meglio si pronunzia
il carattere di quel medioevo, cui i gran savj credono poter dispensarsi
dallo studiare col dichiararnelo immeritevole. E davvero questa nostra
età, tutta regia, tutta sistemazione legale, tutta decreti e volontà
generale, dove l'inchinarsi agli impiegati disavvezza dall'inchinarsi a
Dio, mal può comprendere quella ove dominava la più grande e la più
libera varietà; un'aristocrazia affissa a titoli storici, e una
democrazia con tutti i problemi e gli sperimenti moderni; insofferente
di dipendenza, eppur venerabonda del valore; passioni energiche ad
intraprendere con audacia e compire con mezzi violenti, poi
tranquillantisi in un convento, fieramente espiando i fieri delitti, o
frapponendo un intervallo fra le tempeste della vita e il riposo eterno;
un'ignoranza alimentata da spettacoli strani, da credenze bizzarre,
eppure avida di sapere, entusiasta per tutto ciò che avesse nome
scienza; e che non conoscendo se stessa, e bramando di trovare
un'armonia fra le istituzioni sociali, sentiva bisogno di lasciarsi
guidare, se non potea farsi illuminare. Quindi affollarsi alle
università per udire i gran sapienti; quindi accettare il miracolo come
un fenomeno ordinario; rigide pratiche e penitenze esagerate, insieme
con licenza gigantesca; pratiche empie e sordide, insieme con affettuose
devozioni; mania del nuovo, con attaccamento al vecchio; ingenuità
selvaggia di popoli nuovi, con raffinata corruzione di rimbambiti.
Il cristianesimo, dettando precetti morali purissimi in contraddizione
all'indole e allo stato di quella società, e con istituzioni robuste
ingiungendone l'osservanza, produceva quelle posizioni tanto strane, e
que' contrasti tanto drammatici; ordine ed anarchia, santità e
scostumatezza, carità e ferocia, nobilissimi concetti attuati
selvaggiamente, come nelle crociate; insomma la barbarie temperata dal
cristianesimo, e il cristianesimo contaminato dalla barbarie.
La moltitudine vivacchiava senza riflettervi; i più si sgomentavano o
sbalordivano, ma altri ragionavano: e troppo scostansi dal vero coloro,
i quali figurano che nessun dubbio siasi elevato contro la fede, dal
perire del razionalismo antico fin al mostrarsi del moderno. Già nel
XIII SECOLO, parlando di Federico II, trovammo il pensiero incredulo,
che ripudia il fondamento stesso dei dogmi, e crede tutte le religioni
sieno invenzioni umane, e l'una valga l'altra; donde l'indifferenza e il
naturalismo, derivanti dalla scienza araba, ed espressi nel libro dei
Tre Impostori.
Pietro Valdo, mercante di Lione, verso il 1180, venduti gli averi suoi,
predicò che la Chiesa aveva traviato, e bisognava richiamarla alla
semplicità evangelica, sbandendo il lusso del culto, la ricchezza de'
preti, la potenza temporale de' papi. I suoi seguaci si dissero _Poveri
di Lione_ o _Catari_, cioè puri, e tanto erano persuasi di tener tutto
quanto tiene la Chiesa cattolica[73], e di non uscire dal vero, che
chiesero al pontefice la permissione di predicare[74]: ma bentosto
negarono l'autorità del papa, e dietro a ciò altri dogmi cardinali, e
pretesero libera anche ai laici la predicazione.
Si vorrebbe da loro derivassero i Valdesi[75], sopravissuti fino ad
oggi, e dei quali avremo a dir molto in appresso: ma non che i loro
laudatori, anche Bossuet vuole distinguerli affatto dai Catari, che
inclinavano alle dottrine manichee.
Il problema che tormentò i pensatori d'ogni generazione, cioè «Come mai,
sotto un Dio buono, tanti mali?» ne' primi tempi della Chiesa dai
Manichei veniva sciolto trivialmente, supponendo due divinità, l'una
autrice del bene, l'altra del male[76]. Vinti sin dai tempi di
sant'Agostino, sopravvissero in Oriente, donde si propagarono
all'Europa. Mescolandosi ai dogmi le leggende, favoleggiavasi esser Dio
e il demonio coeterni, ed eguali in potenza. A Dio toccarono il cielo e
gli angeli: al demonio la terra e le femmine. Attorno al muro, di cui
Dio avea cinta la sua creazione, ronzava invidioso il demonio, e dopo
centinaja di secoli accortosi d'una screpolatura in quello, mise per
essa il capo, e lusingò gli angeli ad affacciarvisi, ed osservare le
bellezze delle donne. Ottenne l'intento, e a frotte gli angeli ne
sbucarono, e dai loro abbracciamenti vennero gli uomini, mescolanza di
bene divino e di male diabolico. Iddio sdegnato sentenziò che nessuno
più di quegli angeli penetrerebbe nella cerchia celeste, ma vagherebbero
sulla terra, abitando corpi d'uomini e di bruti, fin al giorno del
giudizio. Se non che anime elette scopersero certe formole di preghiere,
certi atti, per cui le anime ottenevano di recuperare il paradiso:
formole e atti custoditi appunto dalla setta de' Catari.
Queste credenze vissero sempre in segreto, e massime nella Tracia e
nella Bulgaria. Di là, di tempo in tempo inviavansi missionarj di qua
dell'Alpi, i quali vivamente ritraevano la purezza della Chiesa
orientale, derivante (diceano) senza interruzione dagli apostoli; e
recavano libri apocrifi e fantastici, profezie e vangeli, riferendosi a
un pontefice supremo, successore di quello che san Paolo aveva istituito
in queste contrade; santo come tutti i suoi, aborrente dalle sensualità,
dalle ricchezze, dalle cure mondane.
E appunto dalla Bulgaria un tal Marco venne come vescovo a presedere
alla Chiesa di Lombardia, della Marca e di Toscana. Ma un altro papa
sopraggiunto, di nome Niceta, riprovò l'ordine della Bulgaria, e Marco
ricevette quello della Drungaria, cioè di Traù in Croazia[77]. A Milano
distingueano i Catari vecchi, venuti di Dalmazia, Croazia e Bulgaria,
cresciuti singolarmente quando il Barbarossa li favoriva per far
dispetto a papa Alessandro; e i nuovi, usciti circa il 1176 di Francia,
che potrebbero essere gli Albigesi.
Perocchè nella Linguadoca, fra il Rodano, la Garonna e il Mediterraneo,
ove le città aveano conservato gli avanzi delle istituzioni romane,
opportune a nuovi incrementi della civiltà, s'erano svolti e grazia
d'immaginazione e gusto delle arti e dei piaceri dilicati: ivi
s'intesero i primi versi nelle lingue nuove, cantati sulla mandòla
dell'elegante trobadore, che errava pei castelli celebrando l'amore e le
prodezze, o satireggiando magnati e preti. Insieme eransi propagati
alcuni errori, e perchè nella città di Alby, primamente furono tolti a
condannare, quegli eretici vennero intitolati Albigesi. Pare tenessero
alle opinioni manichee, ma impugnata l'autorità per appellarsi alla
ragione individuale, doveano necessariamente variare in infinito: e frà
Stefano di Bellavilla racconta, che sette vescovi si adunarono in una
cattedrale di Lombardia, per accordarsi sugli articoli di loro fede; ma
non che riuscire, si separarono scomunicandosi reciprocamente. Un libro
depositario di loro credenze non ebbero: in coloro che li confutano e
negli storici che raccolsero dal vulgo, li troviamo imputati di colpe le
più contraddittorie; or proclamando creatore Iddio, ora il demonio; ora
facendo Iddio materiale, ora riducendo Cristo stesso a null'altro che
ombra; chi fa ammettere alla salute tutti i mortali, chi escludere le
donne dall'eterna felicità; chi semplificare il culto, chi ordinare
cento genuflessioni il giorno; chi licenziare alle voluttà più
grossolane, chi riprovare persino il matrimonio[78].
Quanto alla Lombardia, tre sètte primeggiavano: Catari, Concorezj,
Bagnolesi. I Catari (si dicevano anche Albanesi, vulgare corruzione
probabilmente di Albigesi) venivano suddivisi in due parzialità; alla
prima era vescovo Balansinanza veronese, all'altra Giovanni di Lugio
bergamasco. I primi dicevano eterno il mondo; i patriarchi ministri del
demonio; un angelo aver portato il corpo di Gesù Cristo nell'utero di
Maria, senza che ella v'avesse parte; solo in apparenza egli esser nato,
vissuto, morto, risorto. Gli altri tenevano che le creature fossero
state formate quali dal buono, quali dal tristo principio, ma ab eterno;
la creazione, la redenzione, i miracoli erano accaduti in un mondo
diverso dal nostro; Dio non essere onnipotente, perchè nelle opere sue
può venir contrariato dal principio a sè opposto; Cristo aver potuto
peccare.
I Concorezj ammetteano Iddio aver creato gli angeli e gli elementi; ma
l'angelo ribellato e divenuto demonio, formò l'uomo e quest'universo
visibile; Cristo fu di natura angelica.
I Bagnolesi facevano le anime create da Dio prima del mondo, e allora
avessero peccato; la beata Vergine esser un angelo; e Cristo avere bensì
assunto corpo umano per patire, ma non glorificatolo, anzi depostolo
all'ascensione. A tutti costoro opponevasi la sètta de' Passaggini o
Circoncisi, e poichè i Catari repudiavano il vecchio Testamento, essi
pretendeano avessero validità fin le leggi penali di Mosè: poichè quelli
supponeano che Cristo si fosse incarnato solo in apparenza
(_docetismo_), essi lo riduceano ad uomo, siccome gli antichi Ario ed
Ebione.
Frà Ranerio Saccone, che, dopo essere stato diciasette anni coi Catari,
li confutò e perseguitò, sicchè poteva averne buona conoscenza[79] li
distingue affatto dai Valdesi, padri degli Albigesi. Sedici loro chiese
annovera, delle quali sei in Lombardia; degli Albanesi, che stanno
principalmente a Verona, e sono cinquecento; de' Concorezj, che fra
tutta Lombardia sommeranno a un migliajo e mezzo; de' Bagnolesi, non più
di ducento, sparsi a Mantova, a Milano, nella Romagnola; cento nella
chiesa della Marca; aggiungansi altrettanti in quelle di Toscana e di
Spoleto; un cencinquanta della chiesa di Francia, dimorano a Verona e
per la Lombardia; ducento delle chiese di Tolosa, di Alby, di
Carcassona; cinquanta di quelle di Latini e Greci a Costantinopoli; e
cinquecento delle altre di Schiavonia, Romania, Filadelfia, Bulgaria.
Questi quattromila (avverte l'autore) sono da intendere per uomini
perfetti; giacchè di credenti ve n'ha senza numero.
Patarini furono detti da _pati_, perchè ostentavano penitenza; o dal
_pater_, che era la loro preghiera[80], ed infiniti nomi indicavano le
varie sètte, de' _Gazari_, _Arnaldisti_, _Giuseppini_, _Insavattati_,
_Leonisti_, _Bulgari_[81], _Circoncisi_, _Publicani_, _Comisti_[82],
_Credenti di Milano_, _di Bagnolo_, _di Concorezzo_, _Vanni_, _Fursci_,
_Romulari_, _Carantani_, e non so che altri.
Fra tante varietà come orientarsi? Sembra avessero comune la credenza
nei due principj[83], ed al malvagio essere dovuto il mondo e il vecchio
Testamento. Appoggiati all'_Obedire oportet magis Deo quam hominibus_,
si emancipavano d'ogni autorità terrena; non papa, non vescovi, non
canoni o decretali, non dominio dei preti; i magistrati non possono
imporre il giuramento nè alcuna punizione corporale; la Chiesa romana è
una congrega di malignanti; non si dà risurrezione della carne; è
ridevole la distinzione de' peccati in veniali e mortali; sono prestigi
del diavolo i miracoli; non devesi adorare la croce, simbolo
d'obbrobrio. Repudiavano l'estrema unzione, il purgatorio, e di
conseguenza i suffragi pei morti, l'intercessione dei santi e l'_Ave
Maria_: il battesimo conferito agli infanti non vale; i sacramenti non
sono istituiti da Cristo, ma inventati dall'uomo; la loro validità
dipende dal merito dell'operante, e possono essere amministrati anche da
laici. Pel matrimonio basta il consenso de' contraenti, senza uopo di
benedizione, e il Saccone dice condannavano chi ne usasse per altro fine
che per aver figliuoli; il che è conforme alla superbia del mostrarsi
superiori all'umana debolezza, alla quale risponde l'altro fine di
calmare la concupiscenza.
Del sacramento dell'Ordine teneva luogo l'elezione dei loro gerarchi,
che erano disposti in quattro gradi; il vescovo, il figliuolo maggiore,
il figliuolo minore e il diacono. Al vescovo spettava l'imporre le mani,
frangere il pane, dir l'orazione: mancando lui, suppliva il figliuolo
maggiore, se no il minore o il diacono: e in difetto, un semplice
credente e fin anche una catara. I due figliuoli coadjuvavano al
vescovo, visitavano i fedeli. In ogni città aveasi un diacono per
ascoltare i peccati leggeri una volta al mese; il che dai Lombardi (i
quali appare da ciò ritenessero la distinzione dei peccati veniali)
dicevasi _caregare servitium_. Il vescovo, avanti morire, inaugurava a
succedergli il figliuolo maggiore, imponendogli le mani.
Quotidianamente, allorchè sedevano a mangiar di brigata, il maggiore fra
i convitati sorgeva, e recatosi in mano il pane e il calice, proferiva:
_Gratia Domini nostri Jesu Christi sit semper cum omnibus vobis_;
spezzava quel pane, lo distribuiva, e quest'era la loro eucaristia. Il
giorno della cena del Signore imbandivano più solennemente; e il
ministro, postosi ad un tavoliere, su cui erano una coppa di vino ed una
focaccia d'azimo, diceva: «Preghiamo Dio ci perdoni i peccati per sua
misericordia, ed esaudisca le nostre petizioni; e recitiamo sette volte
il _Pater noster_ a onore di Dio e della santissima Trinità». Tutti
s'inginocchiano; orato, sorgono; esso benedice il pane e il vino, frange
quello, dà mangiare e bere, e così è compiuto il sacrifizio. Di presenza
reale o transustanziazione, non parola.
Al confessore non rendevano minuto conto della loro coscienza, ma uno
recitava a nome di tutti la formola: «Confessiamo innanzi a Dio ed a
voi, che molto peccammo in opere, in parole, colla vista, col pensiero,
ecc.». In casi più solenni il peccatore, presentandosi al cospetto di
molti col vangelo sul petto, proferiva: «Eccomi avanti a Dio ed a voi,
per confessarmi e chiamarmi in colpa de' peccati che ho fin ora
commessi, e ricevere da voi la perdonanza». Era assolto col posargli il
vangelo sopra il capo. Se un credente ricadesse, doveva confessarsene, e
ricevere di nuovo l'imposizione delle mani in privato. I peccati leggeri
confessavansi ogni mese, e si espiavano con astinenze.
Quest'imposizione, o _consolamento_, o battesimo di Spirito Santo, vero
punto cardinale delle credenze e del culto loro, era necessario per
rimettere il peccato mortale, e comunicare lo spirito consolatore; e fu
per opporsi al consolamento de' Patarini che il concilio Lateranese IV
ingiunse ai Cattolici di confessarsi almeno una volta l'anno.
I semplici _credenti_ poteano menar tutta la vita senza astinenze o
mortificazioni, e in piena licenza di costumi, nessun altro dovere
religioso tenendo fuorchè il contribuire al mantenimento de'
_Consolati_, riservandosi poi a cancellare ogni colpa in punto di morte
col ricevere il consolamento. Perocchè, se uno dei _perfetti_ imponga le
mani a un moribondo, e proferisca l'orazione dominicale, quello va
sicuro a salvazione.
Frà Ranerio aggiunge che, data la consolazione al moribondo, gli
chiedevano: «Vuoi in cielo andare tra i martiri o tra i confessori?»
Eleggeva i primi? lo facevano strangolare da un sicario a ciò
stipendiato; eleggeva i confessori? più non gli davano bere nè mangiare.
Questa _endura_ riscontrasi già prima in altri settarj, fondata
sull'idea che una morte volontaria e violenta fosse meritoria: e poichè
i risanati che, dopo ricevuto il consolamento, si fossero buttati al
vizio, avrebbero dimostrato la poca virtù de' ministri di quel
sacramento, forse voleasi evitarne il pericolo col sacrificare il
consolato.
Vero è che siffatte atrocità gratuite sogliono apporsi dall'ignoranza o
dalla malignità a tutte le congreghe secrete. E non c'è misfatto di cui
non siansi tacciati i Patarini; essi ladri, essi usuraj, essi sovratutto
carnali, adulteri e incestuosi in qualsiasi grado; con connubj promiscui
e contro natura; non poter l'uomo peccare dall'umbilico in giù, perchè
il peccato origina dal cuore. Finita l'assemblea spegneansi i lumi: e
ciascuno abbracciava la prima donna che gli capitasse[84]. Ma come
credere questa bacchica santificazione del libertinaggio, quando
altrove, e ne' libri de' loro stessi nemici, troviamo che con penose
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