Gli eretici d'Italia, vol. I - 01



GLI
ERETICI D'ITALIA

DISCORSI STORICI
DI
CESARE CANTÙ

A Deo credita sunt illis eloquia
Dei. Quid enim si quidam illorum
non crediderunt? numquid
incredulitas eorum fidem Dei
evacuabit? Absit.
_Ep._ B. PAULI _ad Romanos_, cap.
III, 2, 3.
Hæc omnia pertractantes, nihil
aliud teneatis nisi quod vera fides
per catholicam ecclesiam docet.
S. GREGORII _L._ VI, _ep._ 15.

VOLUME PRIMO

TORINO
UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE
Via Carlo Alberto, casa Pomba, Nº 33
1865


_Diritti di riproduzione e di traduzione
riservati alla Società Editrice_.
Depositate le copie volute dalla Legge, il 4 novembre 1865.


AI LETTORI SERJ.

Ne' lavori storici, che formarono l'occupazione, la compiacenza e lo
strazio della lunga mia carriera letteraria, sempre una gran parte ho
assegnato alle religioni, persuaso non possa acquistarsi intero concetto
dei tempi e degli uomini quando non si conosca ciò che essi credeano,
temeano, speravano intorno alle cose superne. Principalmente nella
_Storia degli Italiani_ accurai le vicende del cattolicesimo, che sempre
nel nostro paese ebbe trono e capo; e particolarmente il momento in cui
esso venne straziato dalla Riforma.
Gli storici nostri, preoccupati della politica, vi trasvolarono; e
accennato ch'ebbero l'appalto delle indulgenze, le diatribe di Lutero,
la scomunica di Leone X, il concilio di Trento, poc'altro si brigarono
di un fatto, che pure agitava la società fin nelle viscere. La vulgare
abitudine di dire una cosa perchè fu detta, fa ripetere tuttodì quel di
Voltaire, che l'italiano, popolo ingegnoso, occupato d'intrighi e di
piaceri, nessuna parte prese alle sovversioni di quel tempo.
All'opposto gli scrittori ecclesiastici, col tono querulo e desolato che
sembra in essi rituale, esagerano l'estensione del danno; e intenti solo
a difendere la Chiesa stabilita, negli eretici non riconoscono che anime
perdute, da esecrare piuttosto che da esaminare; e col non supporvi nè
buona fede, nè scusabile errore, giustificano i rigori usati contro di
essi, come contro malvagi e ribelli.
Nobili caratteri, limpide intelligenze, passionate persuasioni che
disputano per arrivare al possesso delle verità eterne; intere
generazioni moventisi sotto l'impero d'una legge morale, qual è il
bisogno di riformare le credenze e gli atti, parvero a me spettacolo
solenne; nè forse infruttuoso a tempi affogati negli interessi
materiali. Anzi, più lo contemplavo, più vi trovava somiglianze alla
situazione odierna.
Fattasi anche nel Cinquecento una subitanea effusione di cognizioni, gli
uomini si videro aperti nuovi orizzonti, e demolirono il diritto antico
senza riuscire a edificarne un nuovo. Anche allora le fazioni
calunniarsi a vicenda ne' costumi, nella fede, nell'intelligenza;
palleggiarsi que' titoli, che sono tanto più irreparabili quanto più
generici e mal definiti; sotto frasi simpatiche mascherare calcoli
egoistici; a parole inani arrogare l'autorità di fatti, e a formole il
valor di ragioni; anche allora gridarsi libertà di coscienza, come oggi
libertà politica, senza volerla lealmente, e fin senza intenderla; anche
allora sostituire la smania di repentine innovazioni al progressivo
emendamento delle consuetudini, le opinioni al diritto, la violenza alla
persuasione.
Qualche cosa più che spettatori d'una crisi consimile, siamo in grado di
meglio valutare quella d'allora, le accuse e i processi, le glorie e le
infamie sparnazzate a capriccio o a capopiede; e così da un nuovo punto
osservare la storia dell'Italia, e insieme la storia del pensiero
indipendente. Che se in questi anni si pubblicarono tante ricerche sulla
Riforma ne' diversi paesi, l'essere scritte da soli acattolici potrebbe
lasciar indurre che questo tema giovi soltanto alle negazioni
eterodosse[1].
Ben l'odierno orgoglio che ci fa negare tutto ciò che non comprendiamo,
e crederci disobbligati dal faticare a comprenderlo; la repugnanza da
ogni autorità e più dalla jeratica; il predestinato applauso ad ogni
sovvertimento; l'applauso domandato dallo scandalo e dall'echeggiare la
folla; il predominio dell'opinione sopra la coscienza; il disaccordo in
tutto fuorchè nell'abbattere la fede che non s'ha, nell'impugnar
dottrine che non si conoscono o male, fan presentire l'antipatia contro
la parte che in Italia prevalse; antipatia che si propagherà sul
narratore.
Poi una società che, idolatra di se stessa, si persuade che il suo
progresso consiste nel rinnegare e vilipendere il suo passato,
giudicherà non solo inopportuno, ma insensato il tornare alla teodicea
de' padri nostri, anticaglia da museo; e in un passato compassionevole
rivangar discussioni dimenticate.
Dimenticate! ma non è questa una lotta delle idee, come tutte quelle
grandiose che si mantellano sotto i nomi di Grecia e Persia, metropoli e
colonie, re e repubblica, papato e impero? Dimenticate! ma come dirlo or
che con tanta sollecitudine e spese si fomenta l'apostolato di dottrine
avverse alla cattolica? come dirlo or che si odono tutt'i giorni
agitare, ne' caffè come ne' parlamenti, punti supremi della fede e
dell'organamento della Chiesa, e l'efficacia di questa sopra la
convivenza sociale? Non è guari, un attacco contro il maggior ente che
vestisse l'umanità risvegliò le timorate non men che le temerarie
coscienze, e Gesù divenne quistione del giorno.
Vero è che di tutto ciò prendeasi ben maggiore pensiero quando gli
intelletti si occupavano principalmente di Dio, dell'anima, della
destinazione dell'uomo: riconosceano la santità non solo, ma la bellezza
della redenzione, del pentimento, dell'amore; in tal senso dirigevansi e
le azioni e le astinenze, sorgevano le sètte, incalorivansi i partiti; e
tutti gli studj, come tutte le meditazioni s'aggiravano sulle massime
eterne, misteriose quanto la coscienza.
Quell'età è tramontata, ma anche gli odierni, indifferenti alla analisi
delle anime, non possono negare che nell'uomo il bisogno di credere sia
forte quanto quello di ragionare. Poi, si può egli trattare nulla di
grande senza chiarire e assodare i principj? Che cos'è il diritto? in
qual connessione stanno gli individui fra loro e colla società? dove
termina il campo della ragione e comincia quello della fede? qual parte
deve farsi all'autonomia individuale, quale all'autorità? come venimmo e
per qual fine al mondo? come dobbiamo condurci od essere condotti, se
quest'ordine è voluto da un essere superiore?
Tali quistioni si tengono per mano; e il problema religioso siede al
fondo di tutti i problemi contemporanei, dove men pare; e si realizza
nell'ordine de' fatti in maniera, che la macchia originale è la
legittimazione de' governi, e i supplizj e gli eserciti sono autorati
dai reprobi istinti; la volontà libera, o la fatalità e la
predestinazione sono i poli fra cui oscilla eternamente la filosofia non
meno che la teologia.
Quando il sofista eloquente fantasticò uno stato di natura, diverso e
opposto al sociale, e disse «L'uomo è nato buono, e la società lo
pervertisce», sovvertendo l'ordine teologico sovvertì l'ordine politico,
e produsse la rivoluzione.
E più il fiotto di questa s'ingrossa, più flagella gli argini
dell'autorità: ma il sentimento rivela confusamente, l'intelligenza
chiarisce, l'esperienza intìma che occorrono o la fede o la forza;
attenuare le credenze è attenuare l'uomo, e sostituire all'imperio delle
coscienze il despotismo dei decreti, e con comminatorie, e carceri, e
soldati, e prestiti, e impiegati costringere a subire bestemmiando quel
che prima portavasi con spontaneità o rassegnazione.
Per verità, adesso, mentre la vita de' popoli si trasforma con tal
fatica, da non lasciar tempo al pensiero, l'uomo si storna dalle idee
elevate per strisciare fra le palpabili e giornaliere; e insaziabile di
esaltazione e di godimenti, invanito dei progressi materiali, vilipende
istituzioni che non si traducono in moneta o in piaceri. Per conseguenza
all'eresia che dissente e nega, sottentrò quella che ignora e non
distingue. Chi più oggi ha qualche esperienza della vita spirituale? chi
disputa se sieno le opere o la fede che salva, e se Cristo nel
sacramento si trova sostanzialmente o simbolicamente? Il dogma si
considera non come essenza della religione, ma come spiegazione, chiesta
dal raziocinio avido di essere chiarito su ciò che ognun sente, ponendo
però sempre superiore alle credenze l'indipendenza dell'intelletto
individuale. Sin pei buoni la fede è men tosto una qualità interna
soprannaturale, che la regola esterna della vita; pur tacendo coloro che
non solo eliminano dall'ordine naturale il soprasensibile, ma ne niegano
la possibilità.
Quante, anche fra le persone colte, possedono appena nozioni generiche,
mal accertate, oscure, irreverenti sopra le divergenze dottrinali fra
Cattolici e Protestanti! In parte n'è causa l'appartener noi a nazione
che, prima degli odierni sbrani, era tutta cattolica, e perciò scevra
dalle controversie; ma neppur quelli che l'hanno per dovere, coltivano
abbastanza questi studj, sia la scienza delle fonti letterali
(_filologia biblica, critica, ermeneutica_), sia quella de' principj
(_apologetica, dogmatica, catechesi, pedagogia, liturgia, arte, diritto,
morale_), sia quella dei fatti (_archeologia, storia_) o de' simboli.
E perchè i frivoli ne ciarlano tuttodì con sfacciataggine pari
all'ignoranza, i sapienti, non trovandosi a fronte antagonisti serj,
sdegnano venir con loro alle braccia, e con ciò lasciano a quelli, se
non l'onore, il vanto del trionfo. Di tal passo arrivasi a reputar
merito l'indifferenza, cioè non solo il diritto reciproco di pensare ciò
che si vuole, ma il ripudio d'ogni indagine severa, la beffa d'ogni
convinzione profonda. Eppure la sorgente dei sentimenti cristiani sono i
dogmi.
Si vuol incolpare i controversisti di sollevare più dubbj che non ne
dissipino.
Per verità, a chi non concepì mai, o mai non intese objezioni contro la
religione di sua madre, qualunque libro che gliene affacci diviene
pericoloso, qualunque confutazione lascia un'impressione pericolosa;
laonde molti vorrebbero che il debito del Cristiano si limitasse a
credere e venerare. Fortunato chi n'ha il dono! Ma dietro a Tertulliano
il quale diceva, che «la verità non arrossisce che del non essere
conosciuta», tutti i Padri tennero che la religione non ha a temere la
leale investigazione, bensì l'ignoranza e l'errore, e i maggiori santi
francamente rivelarono le opposizioni. Queste provocano spiegazioni e in
conseguenza luce. Che se è buono che i più credano ingenuamente perchè
bevvero coi primi insegnamenti la venerazione a ciò che la Chiesa
ingiunge, a molti corre obbligo di mostrare che ne esplorarono i
fondamenti con quell'ossequio ragionevole che l'Apostolo raccomandava,
associando scienza e discussione, esame e obbedienza.
Noi non crediamo v'abbia reale consorzio civile là dove si opina solo,
invece di credere; e il vilipendio delle idee religiose è sintomo
spaventoso per l'avvenire morale d'un paese; giacchè, obliterato il
senso dell'ideale, non restano che l'empirismo, e la cura di
soddisfazioni inferiori, precarie, servili. Or dove l'idea religiosa
illanguidì, il discuterla in pubblico al par degli affari comuni, la
ravviva; dove poi si declama in contrario, mal si temerebbe che riescano
di scandalo le verità dette da fedeli. Or dunque, che crescono i
contatti coi dissidenti, importa di non trovarsi sprovveduti sulle
differenze dogmatiche, nè credere che basti disprezzare l'attacco e
maledire l'assalitore: vuolsi conoscere e propugnare le grandi verità
quando l'insipienza le ingombra, la malizia le nega, la passione le
stravolge.
In tempi d'altre tirannie, quando non aveano valore sul mercato le voci
di libertà, patria, nazionalità, noi ci ostinammo a ripeterle finchè
divennero moda, e, com'è delle mode, se ne alterò, e fin capovolse il
senso. Così ora ci ricorreranno le parole di coscienza, fede, avvenire,
salute, giustificazione: che importa se le disappresero fin quelli che
più dovrebbero conoscerle e insegnarle?
Ma anche la verità ha le sue sètte, ed esse portano a
quell'esagerazione, dalla quale dovrebbero più rifuggire le cause che
hanno coscienza della propria forza. Quindi ci si rinfaccia che agli
ecclesiastici devono essere riservate disquisizioni, ov'è impossibile a
laici mantenersi in quell'esattezza, alla quale falliscono fin i maestri
in divinità, nè convenire ai figli d'Abinadab stendere la mano a
sorreggere l'arca barcollante.
Quando tanti secolari si fanno lecito di berteggiare i dogmi e i riti, e
dar consigli ai depositarj di essi, perchè sarebbe men conveniente a
laici l'assumerne la difesa? Tanto più imparziali essi appajono quanto
che niuna speranza terrena li lega al potere che sostengono, niuno
speciale carattere nè prefissa educazione gli obbliga o li trae a
professare sgradite verità e ad affrontare l'impopolarità; nè sono
stretti da quello spirito di corpo che i corpi ruina, perchè, colla
paura di screditarli, ne scusa o maschera le aberrazioni, e non ne
scevera gli elementi corrotti.
Quando il senatore Flaminio Cornaro mandò a Benedetto XIV la sua _Storia
delle chiese venete_, il papa ringraziandolo, non solo lo esortava a
continuare le dotte ricerche, ma desiderava che altri laici vi
s'applicassero, come in vecchi tempi ne han dato esempio san Giustino,
Atenagora, Arnobio, Didimo, Latanzio, Prospero d'Aquitania, Severino
Boezio, Cassiodoro, Evagrio, e ne' recenti il Fiorentini, il Buonarroti,
il Sigonio, il Masini, lo Zani, il Cappello, il procuratore Giustinian,
Diodo, Morosini, Loredano, Laura, Quirini, Secondini, Maffei ed altri
molti[2].
Dicasi pure che questa è una scusa che noi predisponiamo agli sbagli e
alle inesattezze nostre. E in quante incapperemo! Ma sempre cercammo
esporre con precisione la verità, quale è definita dalla Chiesa, alle
cui decisioni noi ci sommettiamo senza riserva, protestando che i nostri
dubbj non sono che interrogazioni rispettose, e pronti a ritrattare
qualunque errore o temerità, autorevolmente avvisataci.
Di essere ascetici ne rinasceva l'occasione ogni tratto, ma non ci
esporremmo alle risa d'una società che calcola e non sente? Nè tesseremo
lavoro apologetico ed encomiastico, ma procederemo colla sincerità che
ci è consueta. L'istituzione ecclesiastica è mescolata, e più era un
tempo, alle cose terrene, in modo, chè ne contrasse l'inquinazione; di
mezzi mondani dovette valersi per assicurare la propria indipendenza; fu
diretta e preseduta da uomini, ai quali Cristo promise l'infallibilità
nelle decisioni, non l'impeccabilità negli atti. E come, se impeccabili
non furono gli angeli in cielo, il primo uomo in paradiso, Pietro al
fianco di Gesù?
Poco disposti a dissimularne i traviamenti, quanto lontani
dall'esagerarli, noi sappiamo che ai papi è dovuto l'omaggio dell'intera
verità: e se molte volte leniremo colla spiegazione ciò che è moda
esacerbare col sarcasmo, siamo primi a deplorare gli abusi che diedero
occasione o vigore alle separazioni.
Credemmo obbligo nostro conoscere le capitali controversie odierne
sull'origine del cristianesimo e la pretesa formazione dei libri
canonici e dei dogmi; e oltre la _Vita di Gesù_ di Strauss e di Renan, e
gli _Evangeli_ di Eichthal, non abbiamo trascurato la _Storia dei tre
primi secoli della Chiesa_ di E. de Pressensé; la _Storia del Cristo_ di
Ewald; gli _Studj storici e critici sull'origine del cristianesimo_ di
A. Stop; la _Storia elementare e critica_ di Peyrat; abbiamo seguitato
gli studj esegetici della scuola di Tubinga, i _Saggi_ degli inglesi
seguaci di Colenso, e le tante disquisizioni di Jowel sulle _Epistole di
san Paolo_; di Milman sul _Cristianesimo latino_; di Witt sugli accordi
fra la dottrina cristiana e la scuola di Alessandria; di Baur sul
_Cristianesimo e la Chiesa cristiana_;..... ma ricondotto il
cristianesimo in faccia alla storia, alla ragione, alla coscienza,
interpretato con libertà di spirito, non trovammo ragioni per iscostarci
dalla tradizione cattolica. Anzi lo studio ci convinse che l'attuazione
ecclesiastica n'è eccellente, sia pel necessario contemperamento della
sovranità de' pochi colla soggezione delle moltitudini, sia per
procurare la maggior possibile felicità, quella cioè in cui le volontà
non alla coazione, ma s'adagino alla morale persuasiva; e che il
principato sacerdotale, com'è il più antico, così è il più venerabile e
generoso potere, la chiave della vòlta dell'edifizio sociale, la
salvaguardia della libertà nelle nazioni civili, perocchè alle
sovversioni oppone l'unica forza capace di resistervi, la coscienza.
La religione non tocca solo la parte sentimentale, ma abbraccia tutto
l'uomo, anzi tutta la società, e ne sono riflesso i costumi e la
legislazione, la vita domestica e la politica; insomma è l'espressione
più profonda della coscienza dell'umanità in un dato periodo. Ecco
perchè ogni religione è storia, e la nostra è delle più importanti alla
umanità, nè può comprendersi bene in un secolo se non rimontando al
precedente. Perciò dovemmo rifarci alla cuna del cristianesimo, non per
riconoscervi il principio divino della civiltà moderna, la garantigia
del diritto comune, la base delle nuove legislazioni, il legame sociale
de' popoli, la norma delle coscienze, ma solo per vedervi assodarsi e
svolgersi le verità tradizionali, e germogliare gli errori, che poi
ingrandirono nel XII secolo e nel XVI, sul quale di preferenza vi
indugeremo.
Dovendo parlare di persone e fatti già da noi esposti anche più d'una
volta, non ci si farà colpa d'usare talvolta le stesse parole; il
diverso scopo di questo lavoro n'ha però cambiata l'economia, e se
altrove prediligemmo le vedute sintetiche e comprensive, qui saremo
spesso biografi e aneddotici.
Rifuggendo dalla fraseologia di moda, che annichila la realità e
confonde le immagini, e mette anche nel libro il tono superficiale ed
evasivo del giornale, noi c'industrieremo di ritrarre gli uomini colle
passioni, colle virtù, coi vizj loro, nè angeli nè demonj. All'urbanità
che devonsi creature decadute e fallibili non mancheremo mai, sebbene
non la speriamo da coloro che dall'infanzia abituaronsi a non vedere la
verità che traverso ad occhiali comprati, e intitolare pregiudizio ciò
che urta i pregiudizj loro.
E fra questi pregiudizj è l'apporre a chi tratta materie religiose, le
taccie d'ignoranza, d'illiberalità, d'intolleranza. La prima ben ci sta,
e fu appunto per minorarla che faticammo tanti anni a raccoglier fatti e
notizie, parte nuovi, parte dispersi in libri di difficile accesso; e
invocammo i consigli di quelli, pochissimi in Italia, che prestano
sussidio e consigli a chi studia.
Se amiamo la libertà, lo dicano i nostri libri e la nostra vita, e il
non averla rinnegata neppure negli schifosi trionfi di coloro, che la
trascinarono al postribolo e al palco da ciarlatano.
D'intolleranza non fummo imputati mai, neppure dai nemici, bensì del
contrario; e l'affliggente spettacolo di ecclesiastici che portarono
fino a classificare l'odio teologico, ci renderà attenti a serbar la
dignità nostra rispettando quella degli avversarj, che la Chiesa
c'insegna a considerare come fratelli in Cristo, e ci dà speranza di
vederli qui in terra raccolti in un solo ovile, poi in cielo a
contemplar con noi la luce nella luce, e conoscere tutte le verità nel
centro loro, che è Colui che solo nè inganna, nè s'inganna.
Rovato, ottobre 1865.

NOTE
[1] Delle opere recentemente pubblicate intorno ai riformati italiani
conosciamo le seguenti:
TH. MAC CREE, _Storia della riforma in Italia, suoi progressi e
sua estinzione_. Edimburgo 1827. Caloroso protestante scozzese,
dice che «gli scrittori cattolici s'accordarono a dissimulare un
soggetto penoso quanto delicato, o a mostrar que' movimenti come
deboli e passeggeri, e di pochi sedotti da amor di novità». Può
considerarsene continuazione fin ai giorni nostri LEOPOLD WITTE,
_Das Evangelium in Italien_. Lipsia 1861. Molto se ne occupa anche
D'AUBIGNÉ nella _Histoire de la Reformation_, fanaticamente e
troppe cose ignorando; egli distingue i principj della riforma da
quelli del protestantismo, che però ravvisa come conseguenza
immediata.
KERKER, _Die kirchliche Reform in Italien unmittelbar vor dem
Tridentinum_; nella _Theologische Quartalschrift_ di Tubinga, anno
XLI, 1859.
M. YOUNG, _The life and times of Aonio Paleario, or a history of
the italian reformers in the XVI century; illustrated by original
letters and unedited documents_. London 1860. Due grossi volumi.
F. C. SCHLOSSER, _Leben des Peter Martyr Vermili_. Heidelberg
1809.
EDV. BRIDGE, vicario di Manaccan nella Cornovaglia; _A voice from
the tomb of P. Martyr against popery_, 1840.
Dr. C. SCHMIDT, prof. di teologia a Strasburgo, _Peter Martyr
Vermigli Leben und ausgewählte Schriften_. Elberfeld 1858.
C. H. SIXT, _P. P. Vergerius päpstlicher Nuntius; eine Reformation
geschichtliche Monografie, u. s. w_. Brunswich 1856.
FERDINAND MEYER, _Die evangelische Gemeinde in Locarno; ihre
Auswanderung nach Zürich, und ihre weitern Schicksale_, 2 vol.
Zurigo 1836.
EYNARD, _La reforme à Lucques et les Burlamaki_.
GIBBING, _Trial and martyrdom of Carnesecchi_. Dublin 1856. Ebbe
il processo originale in 70 fogli dal collegio della Trinità in
Dublino, che l'ultimo duca di Manchester aveva acquistato a
Parigi, dove, nell'occupazione di Napoleone I, moltissime cose
furono portate da Roma concernenti l'inquisizione. Promette
pubblicar anche il processo di frà Fulgenzio Manfredi, del tempo
di Paolo Sarpi.
G. HEYNE, _Ueber die Verbreitung der Reformation in Neapel_, con
notizie tratte dall'archivio di Simanca. È nella _Zeitschrift für
Geschichtswissenschaft_ del 1847, vol. VIII, p. 545.
ROBERT TURNBULL, _The times, life and writings of O. Morata_.
Boston 1846.
JULES BONNET, _Vie d'Olympia Morata_; 3ª edit. Paris 1856.
SEE, _Some memorials of Renée of France_. Londra 1859.
C. SCHMIDT, _Celio Secondo Curione_, nella _Zeitschrift für die
historische Theologie_ di C. W. RIEDNER, 1860: dove altre cose
relative all'Italia.
C. T. KIND, _Die Reformation in den Bisthümern Chur und Como,
dargestellt nach den besten ältern und neuen Hülfsmitteln_. Coira
1858.
A questo può riferirsi un articolo di J. ANDR. VON SPRECHER negli
«Archivj per la storia della Svizzera», _Päpstliche Instruction
neu betreffend Veltlin aus der Zeit p. Gregors XV_. Zurigo 1858.
NAPOLEON PEYRAT, _Les Réformateurs de la France et de l'Italie, au
XII siècle_. Parigi 1860; a cui possono aggiungersi, per la
connessione colle cose nostre.
EUGÈNE HAAGE, _La France protestante_.
C. J. TISSOT, _L'Eglise libre du canton de Vaud_.
DE CASTRO, _Hist. de los protestantes españoles y de su
persecucion por Felipe II_. Cadice 1851.
TRECHSEL, _Die protestantischen Antitrinitarier vor Faustus
Socin_. Heidelberg 1839, 2 vol.
Inoltre molte cose pubblicate nei FOX'S _Acts and Monuments_
(1838); nel _Taschenbuch_ di Stauber (Basilea 1851 e seg.); nella
_Révue Chrétienne_ di GIULIO BONNET, e in HUGO LAEMMER, _Monumenta
vaticana historiam ecclesiasticam sæculi XVI illustrantia_.
Friburgo di Brisgovia 1861.
[2] Breve _Acceptissimum munus_ del 22 dicembre 1753.


DISCORSO I.
FONDAZIONE E STABILIMENTO DELLA CHIESA.

L'uomo era stato creato di retta intelligenza, e favorito di superne
comunicazioni, ma libero e però capace di errare[3]. In fatto, mutando
la coscienza del somigliar a Dio colla pretensione d'esser identico ad
esso, peccò di superbia e disobbedienza; e il reato di quella colpa,
trasmesso per generazione dal primo stipite a tutta la sua discendenza,
quasi al modo che ne' rami e ne' frutti della pianta trapassa il guasto
della radice, costituisce il più profondo mistero, non accettando il
quale si moltiplicherebbero altri misteri. Ottenebrata allora la verità
che l'uomo avea ricevuta coll'immediata intuizione di Dio e col
linguaggio; venuti in disaccordo l'intelletto, la volontà e la potenza,
la stirpe umana decadde dall'altezza in cui era stata costituita, e
perdette la piena conoscenza del vero e la pratica del bene. Pure a
queste non cessò d'esser destinato; ma, per ristabilire il rotto
accordo, non basta la ragione, e richiedesi la coscienza, appoggiata
sulla fede, la quale è data solo dalla rivelazione. Tale rivelazione era
conservata da un popolo eletto, per tradizione orale e in libri santi.
In questi promettevasi un redentore o mediatore, che ripristinerebbe la
comunicazione tra l'eterna giustizia e la creatura peccatrice. Chi
poteva far ciò altri che un Dio?
Giunta la pienezza de' tempi, vaticinata dai profeti, figurata in tanti
fatti e tanti simboli, deposti in libri conservati da coloro che lo
avrebbero più risolutamente osteggiato, Cristo figliuol di Dio nasceva
da una vergine, in paese colto e ricco, a due ore dalla città più famosa
d'Oriente[4], nell'età più splendida di Roma, l'età dell'oro della
letteratura. Così dal Dio esistente in se medesimo e nascosto passavasi
al Dio conoscibile, manifestato e conversante fra gli uomini;
all'Emanuele, cioè Iddio fra noi. Il dogma dell'incarnazione costituendo
l'unità personale della natura divina e dell'umana nell'uomo-dio,
additava come fine dell'uomo l'unione divina; passo essenziale
dell'umanità sulla strada che la riconduce a Dio.
Egli era luce nelle tenebre, e le tenebre non lo compresero; venne fra'
suoi, e i suoi non l'accolsero; gl'ipocriti e gl'intriganti lo
perseguitarono; mossero l'ira consueta dei depravati contro chi vuol
rigenerarli, e come riottoso e seduttore fattolo denunziare dalla
pubblica opinione, cioè dagli schiamazzatori di piazza, trionfarono del
vederlo messo legalmente a morte obbrobriosa, dalla quale resuscitò più
vigoroso.
Venuto a riordinar la scienza e l'amore, l'intelligenza e l'opera, che
il peccato avea sconnesse, recava la redenzione, e in conseguenza la
legislazione religiosa. Tutto era insegnato a tutti, e il mistero non
era una parte della credenza, arcana al volgo e riservata ai sapienti,
ma imponevasi egualmente a ognuno, perchè trascende l'umana ragione, sia
colta o ineducata[5].
Cristo conferì a' suoi ministri la facoltà di sciogliere e legare i
peccati tra l'effusione della grazia, e lo stupendo privilegio d'immolar
il Figlio al Padre, vittima incessante per le colpe, sotto le specie del
pane e del vino, sotto le quali si acchiude l'incarnata divinità (se
immagine umana può adombrare il mistero) come l'idea nella parola. Il
qual sacramento, assunto da' fedeli in commemorazione di lui, esprimesse
la debolezza degli uomini, e comunicasse la forza che viene da Dio.
Nulla scrisse egli, e il Cristo storico non ci è noto che per
tradizione, avendone raccolto le parole e gli atti alcuni di coloro che
l'udirono, e postane in iscritto parte, professando che molt'altro ne
tacevano.
Acciocchè la verità non tornasse più ad offuscarsi, Cristo fissava una
fiaccola viva e indefettibile, la Chiesa; la quale, avvivata dallo
Spirito Santo che sempre la inabita, come l'anima il corpo vivo, e
serbando intemerato il deposito delle verità rivelate, adempie
perennemente nel mondo una doppia missione.