Gli eretici d'Italia, vol. I - 02

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La prima, di trasmettere infallibilmente, in coloro che rigenera di mano
in mano colle parole e co' sacramenti, la vital verità e quel medesimo
spirito di cui ella vive, presso a poco siccome la madre nel figliuolo
tramanda la sua stessa vita e natura umana, e l'allatta della sua
sostanza, e l'istruisce col linguaggio comune della società[6]: e come
niuno può darsi da se medesimo l'essere e la natura d'uomo, ma deve
riceverla dalla natura, e riceverla tal quale gli è data, prima d'ogni
suo giudizio, essendo assurdo che il bambino volesse giudicare il latte
della madre, e più ancora il germe da cui lo genera, così l'essere e
natura di cristiano fa duopo ricevere dalla Madre Chiesa senza previo
giudizio. Che se, per mantenere inalterata la schiatta umana, Iddio
ordinò leggi impreteribili alla natura, per tramandare inalterata la
vita cristiana alle ultime generazioni deve aver fatta infallibile la
Chiesa. Sotto questo primo aspetto si deve essa considerare qual madre
di tutti i viventi, con autorità che non grava o lega le coscienze,
bensì le forma e le genera, come la madre non è di aggravio al bambino,
nè la radice esercita violenza sui rami. Uno è il capo, da cui prende
vita tutto il corpo; una la radice che germina tutta la pianta; una la
madre di prole sì numerosa: dal suo seno nasciamo, del suo latte siamo
nodriti, del suo spirito animati[7], per modo che tutti i Cristiani son
germogli della radice apostolica e della Chiesa[8].
L'altra missione della Chiesa è di tenere nell'unità, coloro che
dall'arbitrio individuale sarebbero indotti alla varietà e al fallo. In
ciò la Chiesa fa sentire la sua potestà, costituita sopra le coscienze;
potestà, alla quale spetta di risolvere ogni dubbio, determinare le
credenze, non avendo altre arme se non la persuasione, la grazia
invocata e la infallibilità promessa da Colui che prega in cielo
affinchè la fede di Pietro non venga meno.
Così il vangelo, promulgato per testimonio divino, doveva esser
conservato e tramandato per testimonio indefettibile. Senza una tale
istituzione infallibile non si dà conservazione certa della verità
rivelata, nè quindi dogma fisso, o alcun dovere determinato, o
possibilità della vita cristiana. La Chiesa è la sintesi della
incarnazione, e svolgesi nell'esercizio d'una religione, i cui elementi
sono, per parte di Dio, la rivelazione; per parte dell'uomo, la fede.
Ascolta e guarda: ascolta la voce ch'è in te; guarda la bocca che ti
risponde. Non è necessario che tutti conoscano le dimostrazioni e le
confutazioni, cioè che abbiano ponderato la storia: basta guardino il
presente, i caratteri della Chiesa attuale, per esser certi del suo
passato e del suo avvenire, della sua storia e della sua destinazione. E
perciò Cristo disse alla sua Chiesa: «Chi ascolta voi ascolta me[9]
perchè io sono con voi[10], e chi resiste alla voce vostra resiste alla
mia»[11]. Cristo è così chiaramente colla Chiesa, che ella dee
considerarsi come una prova della rivelazione; e per lo splendore de'
suoi caratteri è il primo de' motivi di credibilità.
Ad ogni uomo di buona fede si può domandare: «Voi conoscete che tutti
han sete della felicità e della vita, orrore della morte: voi volete
vivere, felice, sempre: in fondo al cuor vostro c'è l'invincibile
inclinazione alla vita futura. Ma che cos'è questa vita futura? che
possono dirvene gli altri uomini? Lo sguardo dell'anima non vi penetra,
l'esperienza non ce ne dice nulla; intorno a Dio, alle cose invisibili
l'uomo non vuol ascoltare che Dio. In fatto di religione, la ragione
domanda la fede divina. E perciò la fede è un fatto generale quanto la
ragione: l'umanità credette sempre che Dio non l'ha gettata sulla terra
senza istruirla del suo fine e della legge con cui raggiungerlo. Questa
testimonianza divina la ragione umana non la cerca in una voce morta, in
un libro finito; non chiede un oggetto di studio, ma un maestro,
un'autorità viva e parlante. Or dove sta quest'autorità divina
insegnante? autorità distinta dalle umane, improntata del suggello
divino? Non può variare, questa non può insegnare ora il sì ora il no.
Deve dunque esser una, perpetua, universale, infallibile: tal la vuole
la coscienza umana; a tali caratteri la riconosce, appena le si mostri.
E la coscienza e la storia ci attestano che un'autorità divina è
manifestamente necessaria all'uomo e al mondo.»
Or la ricerca de' testi, il paragone de' sistemi non sono possibili alla
generalità: eppure l'uomo ha bisogno di tal certezza. Fuori del
cattolicismo, nessuna Chiesa pretende all'infallibilità nè
all'universalità.
Quei che raccomandano la Bibbia, la sola Bibbia, suppongono
l'infallibilità di tutti; il che è un evidente assurdo: i Protestanti
stessi nol credono: tant'è vero, che predicano. Per la missione che il
cristianesimo aveva di rintegrare l'unità religiosa e morale nel mondo,
bisognava l'autorità, mentre la ragione individuale è fonte e materia
eterna di scissura. Se al primo momento avesse potuto ognuno
interpretare a sua voglia le Scritture, e applicare i precetti
evangelici, ognuno avrebbe avuto un sistema proprio; non potea proferire
«Questo è l'errore», nè come san Paolo dire «Un solo Cristo, un solo
battesimo, una sola fede». Sin dall'origine sant'Ignazio raccomanda:
«Siate soggetti all'autorità stabilita da Cristo. Rimanete uniti a Dio,
a Gesù Cristo, ai vescovi, ai precetti degli apostoli».[12] E san
Clemente ai Corintj: «Cristo è venuto a stabilir la comunione de' cuori
come degli spiriti: in conseguenza bisogna l'unità. Ma l'unità,
l'ordine, l'armonia richiedono una sommessione assoluta alle leggi
divine: e senza umiltà non v'è sommessione. Il pontefice (vescovo) ha
incarichi particolari, particolari il prete, il levita; il laico è
tenuto solo ai precetti di laico».[13]
La Chiesa ha uno scopo soprannaturale, e però il potere di essa dovea
provenire dall'alto; e la forma di reggimento meglio appropriata doveva
essere la monarchica.[14] Da principio essa fu tale necessariamente
nella persona di Cristo. Morto, non potendo più sensibilmente
esercitarla, dovea sostituire chi ne facesse visibilmente le veci. Disse
dunque a Pietro, «Sopra te edificherò la mia Chiesa»; e agli Apostoli,
«Andate e predicate a tutto il mondo». Così Pietro pronunzierebbe la
verità; gli altri la propagherebbero: e la Chiesa visibile, vivificata
da invisibile virtù soprannaturale, otteneva l'unità di governo.[15]
Pietro stesso avea rinnegato Cristo: onde, nonchè esser superiore alle
debolezze umane, rappresenta l'umanità peccabile. Pietro pone dapprima
la sua cattedra in Antiochia, dove applica il nome di cristiani ai nuovi
credenti. Passa poi a Roma, e quivi la stabilisce: fatto che gli
eterodossi negherebbero volentieri, perchè così negherebbero
l'apostolica istituzione della sede romana, divenuta la primaria del
mondo cattolico; ma che è provato da abbondantissimi argomenti. I nostri
videro un miracolo provvidenziale nell'esser cadute le chiese di
Gerusalemme, d'Antiochia, d'Alessandria, fondate in origine, e di cui
conosceasi quando cominciarono; solo Roma offre una serie di vescovi,
non mai interrotta fra tanto avvicendare di accidenti.
Quando Pietro fu ucciso, potea credersi spento il cristianesimo, poichè
trovavasi di fronte il politeismo signoreggiante colla forza e
coll'ingegno, e il mosaismo coi miracoli e la legge; nessuna temporalità
sorreggeva il papato, e il mondo non vedeva in effetto che pochi
visionarj, sparpagliati per l'orbe. Eppure i raggi dalla stalla di
Betlem e dalle catacombe di Roma si diffondeano per tutta la terra, e
cominciava quella concatenazione di atti stupendi, ove incontra il
miracolo chi studia puramente la storia.
Paolo, da persecutore de' Cristiani divenutone l'apostolo, diffuse il
vangelo tra le genti colla parola e con epistole, ove discute le idee
degli Ebrei che pretendeano miracoli, e dei Gentili che pretendeano il
legame logico delle idee. Uomo della ragione, argomenta ed estende ai
varj membri le verità universali; mentre san Pietro, anche quando
scrive, è l'uomo dell'autorità che proclama il dovere e la sommissione.
Ma «non sia chi s'intitoli di Pietro o di Paolo, ma solo di Cristo»;
intima Paolo: «Solleciti di conservare l'unità dello spirito mediante il
vincolo della pace; un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza,
un solo signore, una sola fede, un solo Dio padre di tutti e per tutte
le cose»[16].
Intanto san Matteo avea scritto pel primo la storia di Cristo, la più
abbondante di fatti, come palestino ch'egli era e testimonio diretto.
Marco, discepolo di Pietro, la espose in greco qual l'aveva udita, e
così Luca antiocheno, più colto e dignitoso, che appare anche autore
degli Atti degli Apostoli, narrazione sublime per semplicità.
Giovanni ebreo, che ebbe parte nelle scene della redenzione, e poi fu
vescovo e martire, vedendo diffondersi molti errori sulla natura divina
del Redentore, scrisse ultimo il suo vangelo, men curandosi di ripetere
i fatti già prodotti dagli altri, che di combattere le dottrine
gnostiche. Poi da narratore mutato in contemplatore, nell'_Apocalissi_
manifestò le visioni soprannaturali, in cui gli furono predette le
persecuzioni e i trionfi della Chiesa, la distruzione del mondo e i
gaudj della superna Gerusalemme.
Altri vangeli, epistole, costituzioni, la Chiesa o riprovò o non
riconobbe, ma per la loro antichità possono servir di testimonio; come
la tradizione costante che risulta da monumenti storici, prova
apostoliche alcune verità, sebbene non scritte[17].
Il simbolo detto apostolico, primo compendio della teologia cristiana,
non consta sia stato composto dagli apostoli avanti dividersi; tale però
lo vuole la tradizione costante: e forse vi furono fatte aggiunte
posteriori, sebbene non sembri probabile che a quella formola
battesimale si attaccasse qualche nuovo articolo man mano che una nuova
eresia rendeva necessaria una protesta. Certo è concepito in modo tanto
generale, che anche i maggiori dissidenti poterono conservarlo[18].
Ciò che distinse ben tosto il cristianesimo da tutte le altre religioni
e filosofie, è il pretender subito all'universalità. Fin allora non si
conoscevano che religioni nazionali o di Stato; ciascun popolo teneva le
sue divinità, i suoi culti; la religione serviva a discernere popolo da
popolo. Il cristianesimo pel primo, rotte queste barriere particolari,
dichiarò esser destinato a tutto il mondo, esser capace di abbracciare
tutte le nazioni, qualunque ne fosse la civiltà, di soddisfarne tutti i
bisogni religiosi, e fondare una chiesa dell'umanità, un regno di Dio
indipendente da frontiere geografiche o governative. In conseguenza non
presentasi come attuamento d'alcuna teorica particolare, non s'appoggia
a veruna scuola, nè cerca alcuna alleanza: oppone francamente la follia
della croce alle osservanze ebraiche come alla bellezza greca e alla
legalità romana, talchè subito è considerato come una empietà, una
ignoranza, una ribellione, la negazione di Dio, della scienza, della
legge, il nemico del genere umano[19].
L'opera del Cristianesimo era di preparare un nuovo mondo, assodandone
la base, cioè la fede: fede superiore a qualunque ostacolo. Pertanto il
primo secolo dovette essere più pratico che speculativo, più d'azione
che di parola: la dottrina era perpetuata da una tradizione orale e
viva; era concentrata in alcune parole gravi e semplici. La fede
provavasi colla testimonianza di quelli che aveano udito e veduto l'Uomo
Dio: le disparità che nascessero restavano appianate dal detto d'un
discepolo; la gran giustificazione consisteva nel rinovellarsi del
mondo, e la dichiarazione di fede nell'escludere dalla comunione d'una
Chiesa chi credesse altrimenti, cioè chi alla verità generale surrogasse
una restrizione di particolar suo giudizio.
E poichè quaggiù il bene e il male sono in perpetua lotta, il
cristianesimo dovè combattere, prima col martirio, dappoi colla ragione,
l'erudizione, l'eloquenza. E qui s'apre lo spettacolo della
controversia, dove gli apologisti che erano stati filosofi, cominciarono
quel conflitto dell'errore colla verità, che finirà solo coi secoli;
dove il cristianesimo, combattendo gli Ebrei e i Gentili, parla alla
ragione e all'intelletto; l'esegesi biblica è creata; una scuola
cristiana fondasi accanto alle altre dell'êra alessandrina.
San Giustino nell'_Apologia_ descrive le usanze, le assemblee, i riti
dei primi Cristiani. «Terminate le orazioni, al preside vien presentato
del pane e una coppa di vino e acqua. Presili, egli glorifica il Padre
nel nome del Figliuolo e dello Spirito Santo, e ringrazia dei doni, e i
diaconi distribuiscono quel pane e quel vino e acqua. Questo cibo da noi
chiamasi eucaristia, e non può assumerlo chi non creda la nostra
dottrina, e non sia stato terso de' suoi peccati, e non si conduca
giusta i precetti di Gesù Cristo. Imperciocchè questo non è da noi
mangiato come pane e bevanda comune; ma come per la parola di Dio si è
incarnato Gesù Cristo, così quel cibo, santificato per l'orazione del
suo Verbo, diviene la carne e il sangue del medesimo Gesù Cristo
incarnato, e diverrà carne e sangue nostro per la mutazione che accade
nel cibo».
Tennero dietro que' grandi che chiamiam Santi Padri, la più splendida
luce che sfolgori sul mondo, in tempo che vi si addensavano tutte le
sciagure.
Più attenti ad abbatter l'errore che a dichiarar sistematicamente la
verità, i Padri non ci lasciarono veruna sistematica esposizione della
fede, sino a san Gregorio taumaturgo e a Cirillo vescovo di Gerusalemme.
Origene dà una spiegazione metodica della dottrina rivelata, e una
teologia cristiana pone come corona della scienza enciclopedica; tutto
ciò nel mentre l'antica società si sfasciava. Il loro studio sarà sempre
la più solida confutazione di coloro che negano o l'esistenza o la
divinità di Cristo, o che attribuiscono a moderne intrusioni i dogmi e i
riti più sacri.
Ma non vi si cerchi l'espressione più precisa e sistematica de' dogmi;
la dottrina al pari che l'organamento si vanno svolgendo e assodando via
via che la disputa costringe alla definizione più esatta e al
chiarimento. Dapprima i dogmi sono, direi, fatti; è la parola di Cristo
che costituisce l'insegnamento degli apostoli, non allegando altra
autorità che la rivelazione divina: in appresso divien necessario
formolare le basi del cristianesimo, e imprimervi un carattere, che più
non possa alterarsi. A tal uopo Gesù Cristo avea promesso alla Chiesa
l'indefettibile assistenza dello Spirito Santo. Essa nel cenacolo ha la
stessa fede come quando è diffusa in 200 milioni di credenti: sicchè
bisogna ammettere o un miracolo permanente, o che Cristo non abbandonò
al capriccio della ragione individuale l'interpretare il senso delle
verità rivelate.
Se san Paolo avea fulminato la ragione umana[20], certamente intendeva
gli abusi che ne faceva allora la filosofia, come alcuni cattolici ai dì
nostri condannano la libertà, poichè di questo nome si ammanta l'abuso
del potere. Ma i Padri, e Giustino avanti a tutti, concilia la fede
colla ragione, il vangelo colla vera filosofia, mostrando che quanto
essa ha di vero e di buono l'ha dedotto _da noi_: assegnano i limiti
della ragione e della fede, senza confonderle.
De' quali insegnamenti una gran pruova si ha nel vedere come gli etnici
allora, cambiando sistema, togliessero a dimostrare che i Cristiani
aveano dedotto ogni cosa dalla filosofia gentile: fino artifizio di
colpirli appunto colle armi, di cui essi eransi muniti.
Ed è notevole come, nel valutare il lavoro spontaneo della ragione e i
soccorsi della tradizione, i Padri concordino con ciò che poco fa[21]
proclamò la più venerata autorità, cioè che fra la ragione e la fede non
può darsi antagonismo, perchè entrambi emanano dalla fonte stessa; che
la ragione può provar l'esistenza di Dio, la spiritualità dell'anima, la
libertà dell'uomo; che l'uso della ragione precede la fede e a questa
conduce: che della ragione non sono colpa gli errori in cui cadde la
scienza superba.
Cristo disse agli apostoli: «Io dispongo per voi del regno, come il
Padre ne dispose per me, in modo che mangiate e beviate alla mia mensa
nel regno mio e sediate in trono a giudicare delle dodici tribù
d'Israele». E a Pietro: «Simone, Simone, ecco Satana vi cercò per
vagliarvi come il grano. Ma io pregai per te acciocchè la fede tua non
venga meno; e tu rivolto conferma i fratelli tuoi[22]».
Qui evidentemente Cristo lasciava a' suoi apostoli il sacerdozio come
privilegio particolare; e dava a Pietro lo special dovere di assodare i
fratelli nella fede. Non è dunque il sacerdozio accomunato a tutti i
fedeli. Negli _Atti degli apostoli_, per l'elezione de' primi diaconi è
consultato il popolo, ma il ministero è conferito dagli apostoli. Sorge
contestazione sulla necessità o no de' riti giudaici? si fa appello agli
apostoli e agli anziani. Nel concilio di Gerusalemme gli apostoli e i
seniori non consultano tutti i fedeli sull'astinenza dalle carni
immolate e dalla fornicazione; san Paolo ingiungeva il da farsi, e
scrive ai Tessalonici: «Vi supplichiamo di riconoscere le cure di quei
che vegliano sopra di voi, e vi governano secondo il Signore».
Ecco la superiorità di diritto divino de' preti sopra i laici, ch'è
negata dai Protestanti quasi non vi fosse altra distinzione fra la plebe
credente e il governo della Chiesa, tranne quella di fatto e diritto
meramente umano, che corre fra il popolo mandante e i suoi mandatarj. La
superiorità della gerarchia sopra i fedeli somiglia alla superiorità de'
padri sui figliuoli, che non dipende da delegazione di questi, ma si
fonda s'un titolo anteriore, e da essi indipendente. I preti non sono
costituiti dal popolo suoi mediatori appo Dio, ma sono costituiti da Dio
suoi ministri sopra il popolo: l'autorità vien dall'alto al basso, non
il contrario. È dunque fuor di ragione il sostenere che, chiunque
conosce la verità, può annunziarla, senza bisogno di carattere o
missione speciale.
Ma gli acattolici dicono che i pastori della Chiesa perdettero la
missione dacchè insegnarono l'errore. E qual tribunale sentenziò tal
decadenza? e qual legge avea prefisso che, insegnando il falso,
perderebbero il carattere e la podestà, e i popoli avrebbero diritto di
rivoltarsi? Quei che li condannarono furono gli stessi che gli
accusarono; ammessa la colpa, li dichiararono decaduti; agli spossessati
surrogarono se stessi. Tre atti di eguale illegalità.
Ed oggi stesso, ampliando que' precedenti, si sostiene che i sacerdoti
sono semplici mandatarj del corpo de' fedeli; e che non ad essi, ma a
tutto quel corpo fu demandato l'insegnare e governare; che il potere de'
sacerdoti non essendo d'istituzione divina, non può obbligare i fedeli
in coscienza; e quindi le loro decisioni non hanno vigore se non
accettate dalla congregazione dei fedeli. Aggiungono che i sacerdoti non
possono avere autorità indipendente da quella del principe: sta ad essi
la decisione della fede, ma la pubblicità di questa e del ministero dee
dipendere dai governi; nè i sudditi possono essere legati che per
podestà dell'imperante.
Certo queste teoriche non le deducono dal vangelo, dove non appare mai
che Cristo domandasse dal principe licenza di predicar la redenzione; e
i primi apostoli annunziarono la verità a dispetto dello Stato, tanto
che legalmente furono uccisi.
Siffatto governo della Chiesa parrebbe dispotico, giacchè estendesi
sulle coscienze, impone quel che s'ha a credere, e proscrive il
dissenso. Sì: appunto come la stella polare inceppa l'azione del
nocchiero, additandogli il nord, e impedendogli di errare. E la
infallibilità deriva da un principio superiore all'uomo, di modo che la
ragione vi si acqueta. Tutto poi fa in pubblico, per lettere,
dibattimenti, assemblee diocesane, provinciali, nazionali, universali,
nulla determinando se non dopo deliberazione comune. L'obbedienza dunque
nasce dalla persuasione; e solo a Dio, vero e primo sovrano, ed al
Cristo suo si sottomettono il pensiero e la coscienza; i principi
cessano d'aver diritto su questa, e si limitano a tutelarla, e a
provvedere che la giustizia sia rettamente distribuita.
V'è chi nega obbedire, persiste nel peccato, scandalizza i fratelli? la
pena più severa sarà l'escluderlo dalla comunione della Chiesa, talchè
non partecipi alle preghiere e al convito de' buoni.
Uomini di nessun credito, di mediocre scienza, sprovisti di ricchezze e
di spade, fra un mondo ripieno di «opere della carne, dimenticanza di
Dio, incostanza di matrimonj, avvelenamenti, sangue e omicidj, furti e
inganni, orgie, sacrificj tenebrosi, persone uccise per gelosia, o
contaminate coll'adulterio, tutte le cose confuse, e una gran guerra
d'ignoranza che la follia degli uomini chiama pace»[23], deploravano la
perversità del secolo, senza per questo staccarsene ed abborrirlo, come
Cristo sedeva alla mensa de' banchieri; e vi opponevano la voce,
l'esempio, il martirio, colle aspirazioni della vita interiore, colle
virili gioje dell'astinenza e del sacrifizio, colla fratellanza della
preghiera e delle opere, «coi frutti dello spirito, che sono carità,
gioja, pace, pazienza, bontà, longanimità, dolcezza, fede, modestia,
temperanza, castità»[24]. Così la luce propagavasi con miracolosa
rapidità, di mezzo alla sfrenata potenza di quell'idolo senza viscere,
che si chiama lo Stato, alla febbre de' progressi materiali,
all'orgoglio degli Stoici, alla grossolanità de' Cinici, alla
depravazione degli Epicurei, allo scetticismo degli Accademici, alle
raffinate voluttà, allo spietato egoismo, all'indifferenza d'una
religione ove si appajano la superstizione e l'incredulità,
all'inebriamento della forza e della scienza, ai savj ed ai gaudenti
che, sdrajati in orgogliosa noncuranza, limitavansi a domandare «Che c'è
di nuovo?», e all'annunzio della buona novella rispondevano «Abbiam
altro da fare»; oppure «Vi ascolteremo domani». Quella dottrina, che
all'opinione, all'esitanza, al timore opponeva virtù ignote, la fede, la
speranza, la carità: al panteismo filosofico e al popolare la personale
spiritualità di Dio e l'individualità dell'uomo; alla disperazione la
providenza; all'amor proprio la carità: che rivelava l'inesplorabile
profondità della natura divina: che al gran mistero della vita porgea
spiegazione in ciò che la precedette o che la seguirà: che rimettea la
pietà del cuore nella religione dond'era partita: questa dottrina,
esposta in omelie e catechismi, forme diverse d'una fede sola e d'una
sola speranza, adattate alla capacità d'una plebe, bisognosa di ragione,
d'industria, di benevolenza, rendea comune la cognizione delle attinenze
dell'uomo con Dio per via del mediatore, i principj che importano
all'ordine sociale, e la scienza che è essenziale, quella de' proprj
doveri. Soddisfacendo ai bisogni intellettuali e morali, che la
tirannide o le sventure reprimono non spengono, e sottraendo alla
società la parte più eletta dell'uomo, asilo di Dio, responsale de'
proprj atti, piantava la libertà vera, generata dalla cognizione della
verità, dalla pratica della virtù, dalla fede in Colui pel quale regnano
i re.
Date le convinzioni, grandeggiano i caratteri; veggonsi fanciulli e
donne soffrire e morire per render testimonianza alla più sublime delle
cause, la verità; e gli Atti de' martiri sono il libro d'oro
dell'umanità rinobilitata; della coscienza che ripulsa gli attentati
della forza. I martiri rigenerarono il mondo per via dell'amore, quando
la persecuzione spingerebbe a sovvertirlo coll'ira; attestano la propria
vita col ricever la morte senza darla, e procedere al supplizio colla
croce in mano, e sul labbro la confessione del vero.
La Chiesa, non avendo regno in questo mondo, avvicinava più sempre gli
uomini al regno di Dio, il quale consiste nell'unità di credenze e
d'affetto. Quel governo spirituale, diritto di Dio introdotto fra gli
uomini, non metteasi in urto col temporale, anzi avea precetto
d'attribuire a Cesare quel ch'è di Cesare, serbando a Dio quel ch'è di
Dio. Ma a fronte del Cesare, adorato e trucidato a vicenda, ergeva
dottrine che innovavano la società, surrogando alla violenza il
consiglio, al castigo affliggente la penitenza emendatrice, insomma allo
Stato la Chiesa, al dominio d'uno o di pochi sopra moltitudini
asservite, l'eguaglianza di tutti davanti alla legge morale, che trae
forza unicamente dall'infallibilità di chi l'impone.
Da poco più d'un secolo era morto il discepolo prediletto, quando il
suffragio unanime della Chiesa portava a capo della cristianità uno
schiavo, che avea fatto girar la macina d'un molino, e che divenne uno
de' papi più insigni col nome di san Calisto. Qual rivoluzione! Tutto il
mondo era diviso, stando la potenza, la ricchezza, la libertà da un
lato, dall'altro la schiavitù, l'oppressione, la miseria; sol nella
famiglia cristiana tutte le classi e le posizioni s'avvicinano; essa
possiede la più alta autorità morale che mai comparisse sulla terra, e
la confida a uno schiavo. E questo schiavo divenuto pontefice, prosegue
l'opera dell'emancipazione e dell'affratellamento dei popoli: e mentre
le leggi Giulia e Papia dichiarano illegittimo il matrimonio d'un figlio
di famiglia senatoria con persone di classi inferiori, Calisto predica
che il patrizio e il servo ebbero da Dio gli stessi doveri, che Dio li
giudicherà coll'egual rigore, nè permetterà mai che l'orgoglio rompa
l'unione da lui consacrata. Papando Calisto, s'istituì che, nella nomina
dei vescovi convocassesi il popolo, non perchè eleggesse, ma perchè
dichiarasse se l'eletto pareagli degno o no del sublime suo ministero:
altra insigne modificazione della legge romana, ammirando la quale,
Alessandro Severo decretò che nelle varie provincie si facesse
altrettanto per l'elezione dei prefetti.
Gli estremi di fierezza e d'iniquità, che ad essi consentiva la legge,
furono fatti dagli imperatori per reprimere la nuova fede; ma ormai il
mondo divideasi in due gran parti, idolatri e cristiani. Costantino
sentì la nuova forza innovatrice[25], e le concesse parità di diritti; e
tanto bastò perchè presto divenisse prevalente. Alla nuova Chiesa egli
profuse doni ricchissimi[26]; e sebbene sia falsa la carta con cui a
papa Silvestro concedeva la sovranità di Roma e dell'Italia[27], parve
adempiere un decreto della Providenza quando egli trasferì a Bisanzio la
sede dell'impero, lasciando libera la metropoli del cristianesimo[28].
Alle chiese fu attribuito il diritto che già spettava alle congregazioni
pagane, di possedere beni sodi, e subito gliene furono profusi a segno,
che Valentiniano I vietò al clero d'accettare eredità: ove san Girolamo
riflette non esser deplorevole il divieto, ma il meritarlo.
Uscita dai nascondigli, la Chiesa manifestò e compì quell'organamento
esterno, che durò sempre colla stabilità che essa imprime alle opere
sue. Entrato nella vita civile, il clero adottò la magnificenza che
parea necessaria a colpire le immaginazioni e onorar le cose sacre.
Della religione bisognava ordinar l'arte, cioè il culto, moderandolo in
guisa che il sentimento non trascenda, determinandone l'oggetto e i
confini, acciocchè l'anima soddisfi al bisogno d'elevarsi a Dio, e di
svolgere la divina idea che crede. E pel culto aggiungendo alla fede e
alla scienza il sentimento, più che per la costituzione clericale, la
Chiesa esercita l'apostolato civile, e, pur mettendo Iddio come unico
fine, come verità da conoscere e bene da conseguire, opera tanto
sull'umana società.
Nella fanciullezza della vita morale, la Chiesa parlava men tosto col
linguaggio della speculazione dogmatica, che col merito e il demerito,
il premio e il castigo. Perciò bisognavano tipi, ed erano i santi, il
cui culto crebbe quello di Cristo, estendendolo a coloro che meglio a
lui si conformavano. Modelli di virtù parziali, variate, molteplici,
erano più accessibili che non la perfezione divina, erano quasi
decomposizioni dell'unico esemplare, altri tipi d'una bellezza
inarrivabile. Quel culto derivava dunque necessariamente dall'amore e
dalla devozione al Redentore; e ciascuno sceglievasi un protettore per
virtù o meriti ed uffizj speciali; e tutti vi trovavano un ideale
diverso, e lo atteggiavano artisticamente nella leggenda, nella poesia,
nel disegno.
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