Gli eretici d'Italia, vol. I - 42

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volontà sua. Temo non abbiasi ad attendere a lungo il Testamento che
stiamo traducendo. Da mille faccende siamo distratti; ora spediti alla
questua, ora tenuti alle ore canoniche, or qua, or là pei paesi, per le
piazze, consumiamo gran tempo in faccende da nulla. Come poi si potrà
stampare non scorretto se non vi assista qualche italiano? Ma lasciamo
ciò. Il Signore suscitò in me lo spirito suo, che per tuo mezzo vuol
perfezionare. Milano e il suo territorio, per la guerra recente è
talmente spoverito, che molti benestanti giaciono in miseria: oltre
gl'innumerevoli che già prima erano mendici. Sono senza fine le
sciagurate che per la miseria si prostituiscono. Insomma la mano di Dio
s'è talmente gravata sul popolo, che gli uomini inveleniti credono
lecito l'affiggersi qualsiasi ingiuria.
«Queste sciagure Iddio curerà per tuo mezzo. Scrivi al duca di Milano
una lettera d'esortazione e, se non l'ascolti, di minaccia, perchè a'
suoi sudditi proveda il pascolo dell'anima e del corpo, togliendo il
denaro ai pingui frati, e distribuendolo fra il popolo; lasci a ognuno
predicare la pura parola di Dio, il che torrà, se rimanga alcuno
scrupolo nell'azione predetta. Che se egli diffidi, guardi ai Tedeschi
che fan altrettanto con avidità. Aggiungi che più facilmente fiaccherà
la possa dell'Anticristo, il quale confida nelle sue ricchezze, e se ne
vale a perdizione di molti. Varj fratelli, non isprovisti di pietà e
d'erudizione, mi incalzano acciocchè io te ne scongiuri per Dio. E che
scriva ai capi del nostro Ordine o setta, colle ragioni che più forti
saprai svellendoli da quella faragine di regole, ma bada di non
tacciarli d'ignoranza, perocchè sono vanitosissimi, e se
n'impennerebbero.... Ma che sto io ad insegnarti? La terza domenica dopo
Pasqua si raccoglieranno a capitolo per esaminare e deformare, volli
dire riformare. Tal lettera dirigi a noi. Con qualche esempio nelle
sante carte fa lor veduto com'è volere di Dio che si predichi la parola
sua con semplicità e senza fronzoli, e che peccano contro di lui quelli
che spacciano le proprie opinioni come responsi del cielo»[528].
Con apostolato più fiero la negazione era stata sparsa dai guerrieri,
qui calati a straziarci. Carlo V, mentre professavasi difensore della
Chiesa, aveva menata in giro una marmaglia di soldati, spesso cerniti
da' paesi più infetti della Germania, e che diffondeano, se non le
dottrine nuove, lo sprezzo delle vecchie, piacendosi di fare affronti
agli ecclesiastici, di gravarli di castighi o d'ingiurie. Giorgio
Frundsberg, inventore de' Lanzichinecchi, portava allato una soga d'oro,
colla quale vantavasi di volere strozzare in Clemente VII l'ultimo dei
papi, ed una d'argento pei cardinali. I papi stessi, come tutti gli
altri principi, chiamavano nelle nostre guerre soldati svizzeri e
germanici, che divenivano apostoli dell'eresia o colla parola o
coll'esempio.
Ha ben riflesso Bossuet che, oltre coloro che chiedono la Riforma da
rivoluzionarj, v'ha molti che il fanno senza asprezza nè violenza;
deplorano i mali, ma con rispetto propongono i rimedj, nè li vorrebbero
mai ottenere colla scissione, la quale considerano come il pessimo de'
mali; la dilazione sopportano senza dispetto, riflettendo che possono
sempre cominciare l'emenda in se stessi: sanno che Cristo insegnò ad
onorare la cattedra di Mosè, anche quando vi siedono peccatori; e la
riforma vogliono fatta secondo la divina istituzione della Chiesa, per
ripristinarla sulle sue basi, non per crollarle.
Qualche dotto prendea passione alla Bibbia come avrebbe fatto ad un
manuscritto recentemente scoperto. Coloro che aveano censurato gli abusi
della Chiesa, compiacevansi d'udirli ripetere dai Protestanti, e di
poter esclamare, «Anch'io l'avea detto e prima di loro; e se mi si fosse
dato ascolto, se ne sarebbe tolta l'occasione». Altri vagheggiava fama
di franco pensatore coll'assentire alla disapprovazione delle cose
antiche, a quegli epigrammi, o raziocinj poco migliori d'epigrammi, che
vengono facilissimi a chi è mal informato della soggetta materia.
Inoltre era divenuto moda l'asserire qualche proposizione condannabile,
e favorire qualche eretico, per l'irrefrenabile spirito di
ricalcitramento contro l'autorità. D'altro lato il disgusto causato
dalla politica romana infondeva desiderio di ravvicinarsi a Dio; e parea
che i primi riformatori tirassero a ciò o col misticismo che avvicina
immediatamente a Dio, o col togliere il clero di mezzo fra l'uomo e il
creatore; e i discorsi pieni di pensieri pii e di parole sante, e i
lamenti sulla depravazione, espressi con forza e libertà, mascheravano
di zelo lo spirito di rivolta. Massime chi era contemplativo più che
indagatore dovea restar commosso dai dubbj, allora gettati
nell'intelligenza e nella fede, donde il turbamento venutone alle
coscienze più pure.
Ma i delicati, se erano offesi dall'antica superstizione, restavano
scandolezzati dalla audacia presente; riprovavano il culto delle
immagini, l'invocazione dei santi, i segni materiali di credenza, come
la croce, i rosarj, gli scapolari: offendeansi sopratutto delle
ambizioni papali e dell'ingordigia curiale: pure sentivano il bisogno di
appoggiare la libertà all'autorità, per non rimanere perplessi sulle
grandi quistioni della presenza reale, della predestinazione, della
soddisfazione di Cristo. Dal dissipamento e dalla corruttela ritornavasi
quindi alla devozione, fino ad associarla col delitto, e per lo più
finivasi piamente una vita menata nelle colpe. Il duca Valentino, tipo
della scelleraggine meditata, caricavasi di reliquie; e Vitellozzo, che
era in guerra col papa e che cadeva vittima de' colui tradimenti,
supplicava in morte di ottenergliene l'assoluzione. Carlo VIII veniva
con molte reliquie alla spedizione d'Italia. Alessandro VI gloriavasi
d'avere acquistato la lancia con cui fu trafitto il Redentore in croce;
portava in collo una bulla contenente le sacre specie: alla sua Lucrezia
raccomandava la devozione a Maria. L'astuto Lodovico il Moro, il Cavour
di que' tempi, moltiplicava chiese, e la notte prima di fuggire da
Milano, vegliò nella Madonna delle Grazie sul sepolcro di sua moglie. Il
Machiavelli, un degli empj se ce n'ebbe, ha discorsi sacri, e una
predica sul _De Profundis_, ove esorta a «imitare san Francesco e san
Girolamo, i quali, per reprimere la carne e torle facoltà a sforzarli
alle inique tentazioni, l'uno si rivoltava su per i pruni, l'altro con
un sasso il petto si lacerava... Ma noi siamo ingannati dalla libidine,
incôlti negli errori, inviluppati nei lacci del peccato, e nelle mani
del diavolo ci troviamo: per ciò conviene, ad uscirne, ricorrere alla
penitenza, e gridare con David, _Miserere mei, Deus_, e con san Pietro
piangere amaramente»[529].
Non citerò l'infame Aretino, che colle più laide composizioni ne
alternava di sacre, vendereccio nelle une come nelle altre; ma e
l'Ariosto e i Cellini e tutti gli artisti sentivano il bisogno di
raccogliersi talvolta a Dio, e rinnovare quelle pratiche, in cui gli
aveva nodriti la loro madre. Giorgio Vasari più d'una volta risolse di
ritirarsi in solitudine devota, «e così offenderò meno Iddio, il
prossimo e me stesso, dove nella contemplazione di Dio, leggendo si
passerà il tempo senza peccato, e senza offendere il prossimo nella
maldicenza»; e ridottosi fra i monaci di Camaldoli, elevandosi a un
misticismo cui ben poco mostrasi propenso nelle sue pitture, scriveva a
Giovanni Pollastra:
«Siate voi benedetto da Dio mille volte, poichè sono per mezzo vostro
condotto all'ermo di Camaldoli, dove non potevo, per cognoscer me
stesso, capitare in luogo nessuno migliore; perchè, oltre che passo il
tempo con util mio in compagnia di questi santi religiosi, i quali hanno
in due giorni fatto un giovamento alla natura mia sì buono e sano, che
già comincio a conoscere la mia folle pazzia dove ella ciecamente mi
menava, scorgo qui in questo altissimo giogo dell'Alpe, fra questi
dritti abeti, la perfezione che si cava dalla quiete. Così come ogni
anno fanno essi intorno a loro un palco di rami a croce, andando dritti
al cielo; così questi romiti santi imitandoli, ed insieme chi dimora
qui, lassando la terra vana, con il fervore dello spirito elevato a Dio
alzandosi per la perfezione, del continuo se gli avvicina più; e così
come qui non curano le tentazioni nemiche e le vanità mondane, ancorchè
il crollare de' venti e la tempesta li batta e percuota del continuo,
nondimeno ridonsi di noi, poichè nel rasserenare dell'aria si fan più
dritti, più belli, più duri e più perfetti che fussero mai, che
certamente si conosce che 'l Cielo dona loro la costanza e la fede; così
a questi animi che in tutto servono a lui. Ho visto e parlato sino a ora
a cinque vecchi, di anni ottanta l'uno in circa, fortificati di
perfezione nel Signore, che m'è parso sentir parlare cinque angioli di
paradiso; e sono stupito a vederli di quell'età decrepita, la notte per
questi ghiacci levarsi come i giovani, e partirsi dalle lor celle,
sparse lontano cencinquanta passi per l'ermo, venire alla chiesa ai
mattutini ed a tutte l'ore diurne, con un'allegrezza e giocondità come
se andassero a nozze. Quivi il silenzio sta con quella muta loquela sua,
che uno ardisce appena sospirare, nè le foglie degli abeti ardiscono di
ragionar co' venti; e le acque, che vanno per certe docce di legno per
tutto l'ermo, portano dall'una all'altra cella de' romiti acque,
camminando sempre chiarissime, con un rispetto maraviglioso».
Viepiù sentiva questi bisogni dello spirito il Bonarroti, «Michel più
che mortale angel divino»: grand'intelligenza e gran cuore, che
idealizza anzichè esprimere, e che come artista figura l'armonia de'
contrasti. Era venuto su come gli altri in quel secolo fra il rinnovato
paganesimo: e ne' colloqui col magnifico Lorenzo nel giardino di San
Marco, o nel palazzo di via Larga, o nel suburbio di Careggi, s'imbevve
di quelle idee gentilesche, per le quali pareva assai se nell'Olimpo
faceasi un posto ospitale anche al Cristo. Ma per quel vigor suo che nol
lasciava servile a concetti altrui, s'addiede anche alla Bibbia, ed «ha
con grande studio ed attenzione lette le sante Scritture sì del
Testamento Vecchio come del nuovo, e chi sopra ciò s'è affaticato»,
scriveva il Condivi, lui vivo. Aveva ascoltato frà Girolamo, e ne trasse
l'amor della religione associato a quel della patria: ma come si volle
denigrare il suo patriotismo, così la sua fede. Il Grimm, in una vita
che recentemente ne scrisse,[530] volle porre anche questo tra coloro
che pensavano co' Protestanti; e che singolarmente non accettasse la
necessità de' sacramenti, nè il purgatorio, giacchè, deplorando la morte
di Giovansimone suo fratello, dice che poco importa se non abbia prima
ricevuto i sacramenti.
La frase è proprio di Michelangelo, ma se connettasi alle precedenti
significa tutt'altro. Perocchè scrive: «Lionardo; io ho, per l'ultima
tua, la morte di Giovansimone. Ne ho avuto grandissima passione, perchè
speravo, benchè vecchio sia, vederlo innanzi che morisse, e innanzi che
morissi io. È piaciuto così a Dio: pazienza! Avrei caro intendere
particolarmente che morte ha fatta; e se è morto confesso e comunicato
con tutte le cose ordinate dalla Chiesa: perchè, quando l'abbia avute, e
che io il sappi, n'avrò manco passione».
Che cosa gli fosse risposto appare da questa sua replica: «Mi scrivi
che, sebbene non ha avuto tutte le cose ordinate dalla Chiesa, pure ha
avuto buona contrizione: e questa per la salute sua basta, se così è».
Vedi, lettore, come lo staccare una frase ne sovverta il senso. E
Giorgio Vasari, suo veneratore, e che non facea legendarj, racconta che
con esso girava di chiesa in chiesa per guadagnare il giubileo, pur
tenendo ragionamenti dell'arte. E gli disse una volta: «Se queste
fatiche che io duro non mi giovano all'anima, io perdo 'l tempo e
l'opera». E altrove: «Non nasceva pensiero in lui che non vi fosse
scolpita la morte.... per il che si vedeva che andava ritirando verso
Dio.... Volentieri in questa sua vecchiezza si adoperava alle cose
sacre, che tornassino in onore di Dio..... Sovveniva molti poveri e
maritava secretamente buon numero di fanciulle».
Malatosi suo fratello, scrive al padre: «Non vi date passione, perchè
Dio non ci ha creati per abbandonarci». E quando stava per gittare in
Bologna la statua di Giulio II, «Pregate Dio che io abbia onore qua, e
che io contenti il papa; e ancora pregate Dio per lui». E riuscitovi:
«Io stimo le orazioni di qualche persona m'abbiano ajutato, e tenuto
sano, perchè era contro l'opinione di tutta Bologna che io la conducessi
mai»[531].
Ben è vero che, irato ai tempi e a Giulio II, uscì talvolta in rabbuffi,
fieri come ogni opera sua, e cantò:
Qua si fa elmi di calici e spade
E 'l sangue d' Cristo si vende a giumelle,
E croce e spine son lance e rotelle
E pur a Cristo pazïenza cade.
Ma non arrivi più 'n queste contrade
Chè n'andria 'l sangue suo fin alle stelle,
Poscia ch'a Roma gli vendon la pelle
Ed eci d'ogni ben chiuse le strade
Ma la sua fede non venne mai meno, anzi considerava beata la gente
rustica, che onora e ama e teme e prega Dio pel meglio de' suoi lavori,
de' suoi armenti, de' suoi campi; e non agitata dal dubbio, dal forse,
dal come, dal tristo perchè, adora e prega con fede semplice[532]. E
nelle sue rime molte suonano di preghiera e di pentimento; ricorre
spesso alla misericordia di Dio, e gli dice:
Non mirin con giustizia i tuoi santi occhi
Il mio passato, e 'l gastigato orecchio
Non tenda a quello il tuo braccio severo:
Tuo sangue sol mie colpe lavi e tocchi,
E più abbondi quant'io son più vecchio
Di pronta aita e di perdono intero
Fra le sue carte, non di suo pugno ma su foglio ov'è altro scritto di
lui, vedemmo questa preghiera:
«O Padre altissimo, che per tua benignità mi facesti cristiano solo per
darmi il regno tuo; di nulla l'anima mia creasti e incarcerasti quella
nel misero corpo mio; donami grazia che, tutto quanto il tempo ch'io
starò in questa carcere inimica dell'anima mia, nella quale tu solo mi
tieni, che io ti laudi: perchè, laudandoti tu mi darai grazia di
beneficare i prossimi miei, e di far bene in particolare agli inimici
miei, e quelli sempre a te raccomandare. Concedimi grazia ancora,
santissimo Dio, che avendo al partire passione corporale, io conosca che
quelle non offendono l'anima mia; rammentandomi del tuo Figliuolo
santissimo, che per l'umana salute morì tanto vituperosamente; e per
questo mi consolerò e sempre lauderò il tuo santo nome, amen».
Oh va, e fammene un protestante!
Ne' suoi versi, per una mescolanza troppo solita a' nostri, ve n'ha
molti d'amore: un amore alla petrarchesca, nel quale, vagheggiando il
bello effettivo, pur si vuole elevarlo con idee platoniche. E tale fu
quello ch'egli portò alla Vittoria Colonna; non scevero di passione
quant'altri presunse, elevato certamente, e sublimato poi dalla morte.
Da quella mirabil donna egli chiedeva consigli e sostegno, e dicevale:
Ora in sul destro ora in sul manco piede
Variando, cerco della mia salute;
Fra 'l vizio e la virtute
Il cor confuso mi travaglia e stanca;
Come chi 'l ciel non vede
Che per ogni sentier si perde e manca.
Porgo la carta bianca
A' vostri sacri inchiostri,
Ch'amor mi sganni e pietà 'l ver ne scriva,
Che l'alma da sè franca
Non pieghi agli error nostri
Mio breve resto, e che men cieco viva
Chieggo a voi, alta e diva
Donna, saper se 'n ciel men grado tiene
L'umil peccato che 'l soperchio bene.
Poi quand'ella si spense, egli scriveva con sublime sconcordanza: «Morte
mi tolse uno grande amico»: e ne cantò a lungo, e diceva:
Il mio rifugio e 'l mio ultimo scampo
Qual più sicuro, e che non sia men forte
Che 'l pianger e 'l PREGAR?
Baldanzoso com'era, e smaniato del nuovo, repente sentivasi talvolta
preso da scoraggiamento, e non leggeva più che la Bibbia e Dante, non
tratteggiava che soggetti sacri, e rifuggiva sotto l'ale della
misericordia eterna:
Nè pinger nè scolpir fia più che queti
L'anima, vôlta a quell'amor divino
Ch'aperse a prender noi in croce le braccia.
Il Panizzi, nell'edizione inglese dell'_Orlando Innamorato_, ripubblicò
un opuscolo del vescovo apostata Vergerio[533] dov'è asserito che il
Berni a quel burlesco poema intarsiasse dottrine anticattoliche, le
quali poi furono espunte dopo morto l'autore, e allega diciotto stanze,
prologo al XX canto, di tenore riottoso: donde l'editore conchiude che
tali opinioni fossero comuni nella classe educata d'Italia, quanto oggi
le liberali. Prova incerta, ma non nuova; che già altri vollero noverare
tra i riformati il Manzolli pel _Zodiacus vitæ_, astiosissimo contro il
clero, l'Alamanni, il Trissino, altri ed altri, mal comparando chi
riprova gli abusi con chi proclama la fondamentale protesta della
ragione individuale, presa per unico interprete del codice sacro.
I Riformati ammetteano i dogmi primarj del cristianesimo, pretendeano
anzi richiamare a quelli la Chiesa traviata; ne negavano alcuni.
Pertanto è facilissimo, in detti e scritti di ottimi cattolici, trovare
espressioni consone a quelle de' Protestanti, o lo scopo di richiamare
le opinioni vulgari alle definizioni vere e alle interpretazioni
autentiche della Chiesa. Chi non ne esamini il complesso, li fa
assenzienti agli eretici. Ma dessero anche in fallo, era colpa
dell'intelletto più che della volontà; l'errore sincero non costituisce
eresia; e se anche ne dà le apparenze, vuolsi distinguerlo dalla
ribellione volontaria e meditata: e più erano scusabili quando il
Concilio di Trento non aveva ancora nè sì ben definiti, nè sì
popolarmente espressi i canoni della credenza.
La dottrina cattolica abbraccia e mette in armonia il divino elemento e
l'umano, il terrestre e il soprannaturale, ossia il principio mistico e
il principio intellettuale. Quell'armonia forma la meraviglia e la
venerazione de' contemplanti. Può anche succedervi squilibrio, nè per
questo uscire dal cattolicismo se non s'arrivi al disprezzo
dell'autorità ecclesiastica, e a rompere i vincoli della fraterna
carità.
Non è consueto nel nostro paese narrare la vita dello spirito, nè
dipingere i caratteri, come fecero principalmente i grandi secentisti di
Francia; onde non possiamo assistere alle lotte interne di quelle anime
elette, e a quelle ambasce di spirito, che non si comprendono più
nell'inintelligente età del dubbio. Ma oggi stesso, fra un popolo serio
perchè libero di realtà non solo di istituti, chi volesse vedere come le
quistioni religiose agitino profondamente i più gravi pensatori e i
cuori più sensitivi, legga in Neumann, in Pusey, in Manning gli spasimi
e le emozioni provate allorchè, nel 1851, si discuteva sulla necessità
del battesimo, sulla autenticità e divina ispirazione delle Scritture,
la colpa originale, le profezie, l'incarnazione dello Spirito Santo. Ed
era l'età del vapore e dei telegrafi elettrici.
Qualcosa di siffatto accadeva in Italia nel secolo XVI; laonde furono
confusi coi Riformati persone di gran pietà, che colla stessa austerità
loro, col congregarsi a ragionare di Dio, coll'occuparsi d'indagini
teologiche, protestavano contro l'indifferenza dei più. Molti della
predicazione luterana non vedeano che il lato morale; una pietà forse
inconsiderata, ma che vagheggiava la purezza perduta nella Chiesa; un
desiderio di diminuire importanza alle cerimonie esteriori e alle opere
suprarogatorie, d'altrettanto rialzando la pietà interiore; un deplorare
le persecuzioni che si faceano all'Ochino o a Pietro Martire, mentre si
tolleravano l'Aretino e il Franco; una profonda fiducia nei meriti di
Gesù Cristo, senza avvedersi che essa perdea lode col repudiare
l'autorità e i sacramenti da Lui istituiti: un gridare all'emendazione
del clero, al depuramento del culto, pur senza voler menomamente
distruggere i papi o i riti. Oltrechè ciò nulla ha a fare colla
quistione dogmatica dell'unità, quanti non sono in ogni età coloro che
adottano un principio, e non ne tirano le conseguenze?[534]
Di tali intenzioni noi crediamo Marcantonio Flaminio. Questo veronese,
buon medico ed elegante latinista, ridusse i salmi in odi latine, che
furono messe all'indice da Paolo IV: e stampò _In psalmis brevis
expositio_ (Aldo, 1515) dedicata a Paolo III, dicendo essere stato
indotto a farla dal vescovo Giberti, e a pubblicarla dal cardinale Polo.
Girolamo Muzio, annusatore di eresie, l'appuntò perchè, interpretando un
verso del salmo 45, dice che «dobbiamo cessare da tutte le opere nostre,
e la vera giustizia per nostra fatica non si può acquistare»; e altrove
ammonisce «che cautamente leggano gli scritti del Flaminio, anzi che non
li leggano quelli che al cristianesimo s'appartengono, perciocchè
maggior danno potranno conseguire dalle sue sentenze che diletto dalle
sue parole»[535]. I Protestanti danno per segno di sua apostasia
l'ardore suo per Cristo e per l'eucaristia, il non volgersi mai nelle
odi a Maria o ai santi, nè mentovare il purgatorio; il raccontare egli
stesso come, essendo malato, risanò per preghiere dirette dal Caraffa a
Dio, non a verun santo[536]. Vedasi se meritino peso tali presunzioni,
come la pietà che spira dalle sue lettere[537]; la conoscenza che mostra
delle Scritture è un'altra pruova che queste non erano inusate neppure
fra i Cattolici. Nel 1535 scriveva a Pietro Pamfilio d'aver detto addio
ad ogni studio, eccetto quello delle divine cose, e che proponeasi
dedicare il resto di sua vita a meditare la fede cristiana.
Nel _Giudizio sopra le lettere di tredici uomini illustri pubblicate da
M. Dionigi Atanagi_ (Venezia 1554), opera forse del sunnominato
Vergerio, si legge che il Flaminio «solo tra questi ebbe qualche gusto e
cognizione di Cristo e della verità, ma non in tutti gli articoli,
perocchè Dio non scopre e non rivela tutti i suoi tesori ad un tratto,
ma a parte a parte. Certa cosa è che, se il Flaminio intese la
giustificazione per la sola fede in Cristo e la certezza della salute
nostra, egli o non intese la materia dell'eucaristia, o non ebbe
ardimento di dirla come sta». E riferite le discrepanze, soggiunge:
«Questo guadagno almeno facciam noi di quella lettera flaminiana, che,
avendo esso dimostrato dissentire da noi in questi punti, e non detto di
dissentire ove noi neghiamo esservi la transustanziazione, e quella
oblazione doversi applicare per vivi e per morti, e dove anche neghiamo
la cena doversi dividere, il che fanno i papisti quando ai laici non
danno la spezie del vino, in questi tre punti almeno esso Flaminio ha
dimostrato di tenere che noi abbiamo ragione; e credo io che, se egli
fosse vivuto, sarebbe eziandio in tutti gli altri corso più avanti, ed
entrato nelle opinioni nostre; e credo di più che, chi avesse potuto
vedere il secreto del suo cuore, avrebbe veduto che già v'era entrato».
Induzione assurda, eppure abituale.
Ci tornerà occasione di parlarne nel processo del cardinale Moroni, e
qui basti indicare come fosse reputato autore del libro che analizzammo
sul _Benefizio di Cristo_, o (come dice il padre Laderchi, storico della
Chiesa più abbondante di pietà che di critica) d'un'apologia d'esso
_Benefizio_. Questo il Laderchi crede opera del Valdes, senza darne
pruove, ma è abbastanza noto che e il libro e le apologie ascrivevansi a
persone diverse, onde crescervi credito. Del resto il Flaminio
conservossi devoto alla messa; credeva la presenza reale; a monsignor
Carnesecchi scriveva da Trento, ricordandogli come «alli mesi passati
parlassero alcune volte insieme del santissimo sacramento dell'altare e
dell'uso della messa»: e si lagna di quelli che «stanno ostinatissimi
nelle loro immaginazioni, acciecati dalla superbia che si nasconde
facilmente sotto il falso zelo della religione, ove si mettono in
pericolo di perdere l'onore, la roba e la vita, perchè non si possono
immaginare di essere ingannati dalla carne e dal diavolo; e così ognora
più s'indurano nelle falsità, e diventano acerbissimi censori del
prossimo, condannando d'impietà l'universale senso e perpetuo uso della
Chiesa, e chiunque non si fa servo delle loro opinioni. Da questa
arroganza e da questi amari zeli li liberi Nostro Signore Iddio, e doni
loro carità e dolcezza di spirito, e tanta umiltà che s'astenghino dal
giudicare temerariamente i dogmi e usanze della Chiesa, condannando sì
rigidamente tutti quelli che con vera umiltà di cuore la riveriscono e
seguitano, e cominciano a credere che, molti di coloro che da essi sono
condannati e tenuti idolatri ed empj, perchè non credono quello che
credono essi, sono veramente religiosi, pii ed a Dio cari; e per
contrario nimico ed odiato da Dio chiunque seguita questa loro superba
presunzione. E noi, signor mio, se non vogliamo far naufragio in questi
pericolosissimi scogli, umiliamoci al cospetto di Dio, non ci lasciando
indurre da ragione alcuna, per verisimile ch'ella ne paresse, a
separarci dall'unione della Chiesa cattolica, dicendo con David: _Vias
tuas, Domine, demonstra mihi, et semitas tuas edoce me, quia tu es Deus
salvator meus_. E senza dubbio saremo esauditi, _nam bonus et rectus
Dominus, propterea diriget mansuetos in judicio, docebit mites vias
tuas_. Laddove, volendo giudicare le cose divine col discorso umano,
saremo abbandonati da Dio, e in questo secolo contenzioso talmente ci
accosteremo ad una delle parti ed odieremo l'altra, che perderemo del
tutto il giudizio e la carità, e dimanderemo la luce tenebre, e le
tenebre luce; o persuadendoci d'essere ricchi e beati, saremo poveri,
miseri e miserabili per non saper separare _pretiosum a vili_; la qual
scienza senza lo spirito di Cristo non si può imparare; al qual sia
gloria in sempiterno, amen».
V'è un prezioso libretto, capolavoro della mistica, come la Somma di san
Tommaso è il capolavoro della scolastica; produzione di quel medioevo
tanto vituperato, e di un monaco ignoto; libro ch'è il più letto dopo la
Bibbia, sicchè fu detto sarebbe il primo del mondo se questa non
esistesse; stampato almeno milleottocento volte, tradotto in ogni
lingua; e che, fatto pei solitarj, è tuttavia il conforto ed il sostegno
anche di persone tuffate negli affari. Parlo dell'_Imitazione di
Cristo_, eloquio d'un'anima che, senza intermedio di profeti o dottori,
eppure adoprando il loro linguaggio, s'intertiene con Dio e col
Mediatore. Non dunque dispute, non sottilità scolastiche, non decisioni
particolari, ma impeti di quel mistico amore che assorbisce la fede,
aspirazioni alla solitudine per sottrarsi all'infelicità dei tempi, e
ascoltare Dio che parla: affetto della croce, come salute, vita, schermo
dai nemici, come infusione di superna dolcezza, vigore alla mente,
gaudio allo spirito. «Nella croce sta tutto, nè alla vita e all'interna
pace v'è altra via che della croce; nessun'altra ve n'ha più alta di
sopra, o più sicura di sotto. La croce è sempre apparecchiata, e in ogni
luogo t'aspetta, nè la puoi cansare, dovunque tu corra. Se una croce tu
getti via, un'altra ne troverai forse più grave».
Così adduce a imitare Cristo, con un linguaggio tanto semplice, tanto
intimo, che i Riformati dovettero cercare di metterlo fra i loro
precursori, se non voleano confessare che nella Chiesa viveva sempre il
vero spirito evangelico. Ma quell'aureo libricino invoca i santi; e
l'iniziazione progressiva conduce per mezzo dell'astinenza,
dell'ascetismo, della comunione finchè si giunga all'unione; talchè nè
d'un punto scatta dalle ritualità della Chiesa nostra, la quale col
venerarlo mostrava abbastanza che tale era la costante sua pratica[538].
Il Flaminio lo esalta grandemente, e «non saprei proporvi libro alcuno
(non parlo della scrittura santa) che fosse più utile di quel libretto
_De imitatione Christi_, volendo voi leggere non per curiosità, nè per
saper ragionare e disputare delle cose cristiane, ma per edificare
l'anima vostra, e attendere alla pratica del vivere cristiano; nella
quale consiste tutta la somma, come l'uomo ha accettato la grazia del
vangelo, cioè la giustificazione per la fede. È ben vero che una cosa
desidero in detto libro, cioè che non approvo la via del timore, della
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