Gli eretici d'Italia, vol. I - 31

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degli altri come sono i Toscani, malmenandola troppo la insucidano e
abbruniscono, tra' quali i Fiorentini con vocaboli squarciati e
smaniosi, e col loro parlare fiorentinesco stendendola e facendola
rincrescevole, la intorbidano e rimescolano, con _occi e poscia, aguale,
pur dianzi, mai, pur sì e berretteggiate_».
Censuravasi dunque il modo, non si condannava il fatto. L'ascetico
autore dell'_Imitazione di Cristo_ non vieta di leggere la Scrittura, ma
vuole «vi si cerchi la verità, non la dicitura; leggasi collo spirito
con cui fu fatta». Alfonso d'Aragona re di Sicilia avea letto
quattordici volte la Bibbia coi commenti di Nicolò da Lira, e la citava
ogni tratto.
E lettura assidua ne faceva il Savonarola, come appare dalle postille
che caricano le Bibbie che gli appartennero, o che (noi supponiamo) gli
erano date da' suoi devoti perchè le impreziosisse con sue annotazioni.
Egli poi ne' sermoni e negli opuscoli, ne faceva l'interpretazione
spirituale, la morale, l'allegorica, l'anagogica. A cagion d'esempio,
«Dio creò il cielo e la terra», oltre il senso letterale, ha il senso
spirituale di creazione dell'anima e del corpo; il senso morale vorrà
indicare la ragione e l'istinto; il senso allegorico o riguarda la
Chiesa ebraica, e cielo e terra significheranno Adamo ed Eva, sole e
terra significheranno il gran sacerdote e il re; o risguarda la Chiesa
cattolica, e significheranno il popolo eletto e i Gentili, il papa e
l'imperatore. Il senso anagogico si riporta alla Chiesa trionfante,
sicchè cielo, terra, sole, luna, stelle significheranno gli angeli, gli
uomini, Cristo, la Vergine, i beati, e così via[369].
Egli vedeva però che per tal uopo occorre conoscere bene la lingua e la
storia, avere molta famigliarità colla Bibbia, non urtare le opinioni
della Chiesa romana, non trascinare i sensi a fini nostri particolari,
per non mettere il nostro intelletto in luogo della parola divina, e
lasciarsi guidare dalla Grazia divina, meritandola colla purità del
cuore, col lungo esercizio della carità, coll'elevarsi sopra le cose
terrene. Buoni avvertimenti, ch'egli ripeteva ogni tratto a se stesso
onde tenersi in guardia; pure in fatto nella Bibbia trovava spesso i
pensieri suoi, le sue speranze, l'allusione alle cose pubbliche e
private, grandi e piccole, e le sue visioni e profezie.
Non per questo vogliamo negare che lo studio della sacra scrittura fosse
negletto. Un frate esemplarissimo e d'eccellenti intenzioni, al
Savonarola ancora novizio dimandava che servisse leggere il Testamento
Vecchio, e qual frutto si raccolga da avvenimenti di tanti secoli
fa[370]. In fatti il paese nostro e il tempo erano cattolici, nè
occorrevano controversie con eterodossi; laonde la Bibbia era piuttosto
serbata come un repertorio pei predicatori. Tutte le feste della Chiesa
si riferiscono ai fasti di Cristo e alla ricordanza delle persone che
più rifulgono nella storia di essa: onde il parroco, spiegando il
vangelo, non ha bisogno di discutere verità, che non sono poste in
controversia. La scarsità dei libri facea volgere più volentieri a
catene, a compendj, a concordanze di autori che aveano scritto sulla
Bibbia, e delle cui asserzioni si fiancheggiavano: e come per la
medicina adopravasi la _Somma_ di Taddeo e per la giurisprudenza quella
di Azzone, così per la teologia si ricorreva alle _Sentenze_ di Pietro
Lombardo, alla _Somma_ di san Tommaso e ad altre, prestandovi fiducia
illimitata, come avviene delle materie non discusse, e tenendosi
dispensati dall'esaminare nè la natura per le materie fisiche, nè i
testi per le morali, limitandosi ad applicarli con argomentazione
sottile; affare di logica e nulla più. I predicatori, allora come
oggidì, spesso ne alteravano il senso, e per trarne edificazione
amplificavano, esageravano i testi, oltrepassando i limiti del vero; o
per lo meno obbligati a fare un discorso a tempi fissi, non han tempo di
stare a esaminare colla filologia e coll'esegesi la lezione del vangelo
corrente; l'accettano come i più, o come essi stessi lo presero, fino
violentando la lettera per acconciarla al loro intento morale.
Pure non mancava chi la Bibbia commentasse. Pantaleone Giustiniani, che
fu frate Agostino da Genova, poi vescovo di Nebbio in Corsica, e
intervenne al Concilio lateranese, e sapea greco, ebraico, arabo,
caldeo, e fu adoprato da Francesco I a stabilire nell'università di
Parigi l'insegnamento delle lingue orientali, deliberato a pubblicare la
Bibbia in latino, greco, ebraico, arabo e caldeo, cominciò dal Salterio,
dedicato a Leone X il 1516, in otto colonne, una col testo ebraico, le
altre con sei interpretazioni e colle note; ma di duemila esemplari in
carta e cinquanta in pergamena, appena un quarto trovò compratori; il
resto naufragò con lui. L'università di Alcala in Spagna, fondata dal
cardinale Ximenes, pubblicò la prima Bibbia poliglotta, dedicata a Leone
X. Sante Pagnini lucchese, autore del _Thesaurus linguæ sanctæ_, opera
mirabile per tempi sì scarsi di mezzi, e che neppure oggi troverebbe chi
osasse rifarla, compì una nuova traduzione latina della Bibbia; Leone X
ne pagò la stampa, che, morto lui, fu pubblicata a Lione nel 1527. Il
padre Spirito Rotier, inquisitore a Tolosa, passava da Lione nell'agosto
1541, e sentendo sonare a morto tutte le compane, e vedendo trecento
uomini abbrunati accompagnare una bara fra tutto il popolo accorso,
domandò chi fosse morto, e gli fu detto, Sante Pagnini, un buon
domenicano da Lucca, di settantun anno, la cui voce e l'esempio avea
tenuto lontane le innovazioni luterane; che aveva istituito un ricovero
pei facchini, e indotto la città a fondare una leproseria, massime coi
doni dei ricchi mercanti fiorentini, e ogni giorno facea questue a
favore de' poveri[371]. La sua Bibbia, lodatissima da Huet e Touron, è
criticata acerbamente da Richard Simon; ma qui non è quistione del
merito, bensì del fatto. Il cardinale Adriano di Corneto, adoprato in
nunziature ed alti uffizj, sbandito da Giulio II e da Leone X, dirige a
Carlo V un trattato _De sermone latino_, nella cui prefazione racconta
come egli erasi accinto a voltare dall'ebraico in latino il Vecchio
Testamento; ma avendo dovuto, dallo sdegno del papa, rifuggire fra le
Alpi trentine, dove nessun ebreo ardisce venire per l'antica uccisione
del fanciullo Simone, erasi applicato a questi studj.
E solo per l'intelligenza della Bibbia si studiava l'ebraico; e il
Concilio di Vienna del 1311 stabilì che nelle Università di Oxford,
Parigi, Bologna, Salamanca, e dove siede la curia romana, v'avesse due
professori di lingue orientali; ordine inserito nel _Corpus juris
canonici_[372]. Il primo cristiano che ne desse lezioni in Italia, pare
Felice da Prato, israelita convertito, che nel 1515 pubblicò la versione
latina dei Salmi, e da Leone X fu invitato a Roma nel 1518. In quel
tempo lo insegnava anche Agatia Guidacerio di Catania, chiamato poi da
Francesco I nel collegio delle tre lingue, dove gli succedette Paolo
Paradisi di Canossa. L'Italia fu la prima che stampasse ebraico: nel
1475 a Reggio di Calabria e a Pieve di Sacco nel Padovano n'erano
tipografie, e subito dopo a Mantova, Ferrara, Bologna. Le sole edizioni
della Bibbia ebraica in quel secolo furono: 1ª quella di Soncino
cremonese nel 1488; 2ª quella del 1491 dai tipografi stessi di Soncino
trasferitisi a Napoli; 3ª quella del 1494 a Brescia. Nel 1482 stampossi
a Bologna il _Targum di Onkelos_, ch'è la migliore e più antica versione
caldaica del Pentateuco.
I migliori codici della versione dei LXX gli abbiam in Italia, e valga
per tutti il vaticano[373]. Nel secolo XV si fecero tre edizioni del
_Salterio greco_: a Milano nel 1481, a Venezia nel 1486; poi da Aldo nel
1497 e 98. In Italia è la maggior raccolta di codici biblici, e la sola
di Bernardo De-Rossi a Parma ne possiede settecendodici del testo
ebraico: cioè più che non ne siano in tutto il resto del mondo. Meglio
di cento edizioni della _Vulgata_ si fecero in Italia. A Fano si stampò
nel 1514 una raccolta di preghiere in arabo, nella stamperia fondata da
Giulio II[374]. Il suddetto Pagnini cominciò a Venezia l'edizione
originale del Corano[375]. Nel 1513 erasi pubblicato a Roma il Salterio
in etiope[376]; poi nel 48 il Nuovo Testamento per cura di Mariano
Vittorio di Rieti, che quattro anni più tardi diede la prima grammatica
abissina[377]; Teseo Ambrogio dei conti d'Albonese insegnò a Bologna le
lingue caldaica, siriaca, armena, delle quali e di dieci altre diede
un'introduzione (Pavia, 1539) coi caratteri di quaranta alfabeti.
Risorta la filologia, la critica, addestrata sopra autori profani,
volgeasi ai testi sacri; e nella baldanza d'un nuovo acquisto, ciascuno
volea cercarvi interpretazioni a suo senno. L'illustre tedesco Reuclin
fece molte emende alla Vulgata; e se le menti anguste ne riceveano
scandalo, Roma lo difese, tollerante fin dove non ne pericolasse l'unità
della fede. Dicemmo come la traduzione di Erasmo fosse da Leone X
francheggiata contro i censori. È dunque ciancia che soltanto dopo
Lutero venisse divulgata la Bibbia; anzi son tanti i lavori d'esegesi
sacra a quel tempo, che il protestante Mac Crie ammira la Provvidenza,
la quale faceva dai Cattolici stessi affilare le armi che doveano
trafiggerli.
Ma si ha da questo a indurre che la lettura della Bibbia abbia a
diffondersi tra il vulgo?
I Protestanti, per togliere importanza al clero, proclamarono il diritto
che ha ciascuno d'interpretarla; e asserirono che essa è facile,
accessibile a tutti. E così? Ma tutto fra noi è autorità e tradizione,
cominciando dal parlare, col quale riceviamo un'infinità di idee e di
giudizj. Persino le verità fondamentali di fisica, di matematica, di
giurisprudenza, di medicina pochi le attinsero alle prime sorgenti: e la
pluralità non trae la scienza che dalla asserzione altrui. Che sarà poi
d'una storia che in poche pagine compendia gli avvenimenti di
quattromila anni, che espone l'origine e la destinazione del mondo e
dell'uomo, le profezie e il loro adempimento, le costumanze pastorali e
lo sfarzo delle reggie, la predica dell'apostolo, la disputa del
dottore, le sentenze del savio, l'osanna della vittoria e il gemito
della schiavitù? Un libro scritto la più parte in una lingua conosciuta
da pochi, fedeli a una religione caduta; in uno stile che va dal più
semplice racconto fin alla più sublime lirica; collo spirito di
lontanissimi tempi e di civiltà diversissima, con allusioni, idiotismi,
sarà egli spiegabile da qualunque lettore?
La verità divina v'è espressa colle forme del pensiero umano, colle
condizioni dell'umano linguaggio, e però con tutte le condizioni di
questo, coll'arte dello scrivente, le figure, l'iperbole; ora s'annunzia
col mistero, ora per allusione e parabola; dirigesi all'immaginazione,
al cuore, alla coscienza, non soltanto all'intelletto, a convincere il
quale potrebbe dare una formola più precisa.
Quindi la varietà nell'intender le Scritture, e perciò nelle differenti
versioni la Bibbia fu alterata, a seconda de' traduttori. La più antica,
quella dei Settanta, è avvivata di spirito neoplatonico, e discosta
dalla parafrasi caldaica, fatta per tutt'altri lettori. Differisce da
entrambe la versione latina, fatta da san Girolamo, e che divenne la
base di quella che la Chiesa cattolica adottò poi come vulgata. Lutero
la repudiò e fece una versione tedesca pel comodo della nuova Chiesa;
gli altri riformatori lo imitarono, sicchè v'ebbe Bibbia calvinista,
metodista, sociniana, e via discorrete.
Più variate ancora sono le induzioni de' commentatori. Ogni errore vi
trova appoggio; ogni sistema, anche filosofico. Quanti dottori, quanti
libri disputarono sul vero senso di alcuni passi! Prendansi due de'
principali: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue»: e «Tu sei
Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa»[378]. Quanto
discuterne e fuori e dentro del cattolicismo! or come mai un semplice
fedele pretenderà averne raggiunta la vera significazione? Un passo di
san Paolo a Timoteo eccita un'infinità di discussioni; e dà fondamento
alla moderna quistione intorno alla natura della theopneustia[379].
Quella risposta tanto precisa di Cristo al giovane, _Se vuoi entrare
alla vita osserva i miei comandamenti_[380], Lutero la dichiara non
compresa da nessuno, perchè reca impaccio al suo sistema, e porge buon
appoggio all'edifizio cattolico. Anzi, chi assicurerà che la Bibbia è
ispirata, se non ce lo dica la Chiesa? Lutero stesso parte accettava,
parte repudiava del testo sacro. Per esempio, l'epistola di san Giacomo
sulle relazioni tra la fede e gli atti del Cristiano contrariava le
opinioni sue, ed egli la dichiarò falsa, indegna, _straminea_; così
d'altri libri, che dappoi i suoi seguaci hanno ammessi.
Come dunque trovarvi quella solidità incrollabile ch'è necessaria alla
fede? come trarne lume al credere e all'operare? Per la sapiente
distribuzione della Scrittura, molti passi di essa non possono
intendersi se non confrontati con altri e col complesso; lavoro a cui
non possono essere capaci se non menti profondamente esercitate. In un
luogo leggiamo, _Qui credit in me habet vitam æternam_, ma in un altro,
_Fides sine operibus mortua est_. Alcuni possono fin riuscire di
scandalo, per esempio il Cantico de' Cantici, o le dispute di san Paolo
nella epistola ai Romani sovra il prepuzio e la circoncisione e alcuni
de' Proverbj[381].
Per interpretare giusto bisognerebbe sapere tutto, giacchè chi ignorasse
una cosa sola può dubitare che il conoscerla modificherebbe l'opinione
sua sopra le conosciute. Ora l'ortodosso non sa tutto; ma sa che quel
che sa è vero, perchè glielo dice la Chiesa che tutto esaminò[382].
Fu dunque prudenza il non divulgare la Bibbia, quand'anche non sapessimo
che tale era pure la sorte di tutti i libri prima che la stampa li
moltiplicasse. Divulgata che fu, ognuno v'attinse quel che alla passione
sua giovava: Mattia Harlem e Muncer vi trovarono il comunismo; Giovanni
de Leida il rimpasto della società; Fox feroci delirj; chi la bigamia,
chi l'entusiasmo, chi l'annichilamento, e tutti la fierezza dei mezzi
nell'attuare i loro delirj[383]. A fronte ai quali, l'intelligenza,
posta tutta sola in presenza della rivelazione biblica, mai non può
tenersi sicura, e precipiterà nello scetticismo. Ma la Chiesa destina un
interprete, se stessa, o vogliasi dire ispirata continuamente, o
vogliasi infallibile custode della primitiva tradizione, che non
dimenticò, nè falsò giammai.
Perocchè la Chiesa è anteriore al vangelo, avendola Cristo fondata, e
istituito i sacramenti, dato i precetti, fissato la gerarchia, insegnato
l'orazione, prima che tutto ciò fosse scritto. E agli apostoli non
disse, «Eccovi il libro che dev'essere norma del vostro credere: questo
mandate attorno»: bensì «Andate e predicate a tutti». La Chiesa dunque,
incarnazione permanente e continuazione dell'Uom Dio, ha certezza
immediata de' suoi insegnamenti: e ne' primi Concilj non allegò verun
passo scritturale in appoggio delle sue decisioni, giacchè esponeva le
verità ricevute immediatamente dalla bocca di Cristo, il quale «sarà con
essa fino alla consumazione de' secoli».
V'è di più: non ogni cosa fu scritta nel Testamento; san Giovanni
professa aperto essere innumerevoli i fatti che non pose nel suo
vangelo: san Paolo ripete nelle epistole d'avere parlato come ad uomini
carnali, e sottratto un cibo di cui non erano peranco capaci[384]. V'è
dunque una tradizione orale, di cui è parimenti depositaria la Chiesa, e
che viepiù le conferma l'autorità di unica interprete de' libri santi.
Questo titolo però non implica quel che i Protestanti asseriscono, che
fra i Cattolici non rimanga campo all'esegesi, e anzichè confondere la
fede colla disciplina, le opinioni d'un teologo col dogma, bisogna
discernere la fede dalla teologia, che è scienza umana, e non ha
promesse d'infallibilità. La Chiesa espone le sue decisioni sul dogma e
la morale, non altro: nè si cura dell'interpretazione filologica delle
parole e de' versetti singoli, delle particolarità archeologiche,
dell'ordine cronologico, del perchè san Giovanni, abbia pubblicato il
suo vangelo, o san Paolo indirizzato un'epistola anche ai Romani, nè chi
sia l'autore del libro di Giobbe, di che patria, di che tempo, a quale
scopo: nè tante altre quistioni, palestra scientifica. La Chiesa proferì
e approvò: di là da quei limiti l'arringo è schiuso; non si può pensare
contro le decisioni di essa, bensì di là da quelle. Ma la Chiesa non può
essere tale, eppure permettere che ogni individuo si formi un proprio
simbolo, o che si affermi e si neghi la stessa dottrina, che s'intenda
in modo differente il Cristo, che variino i modi di conseguire la
salute. Chi ad essa obbedisca quanto alla fede e alla morale, al di là è
sciolto da vincoli, e può svolgere il talento e l'erudizione, applicare
la cognizione crescente delle lingue e delle usanze, e il Concilio
tridentino vietò solo di «interpretare la Scrittura contro l'unanime
consenso de' Padri». Ora i Padri professano la stessa fede, la stessa
morale, ma differiscono grandemente nel commentarle e svolgerle, secondo
il genio particolare, nè la Chiesa ammise mai come proprie le opinioni
di alcuno di essi per quanto grande[385]; e si riporta alla _dottrina
de' Padri_ quando rappresentano le opinioni dell'antichità, cioè
testimoniano la fede della Chiesa.
A questo modo la Chiesa cattolica, volendo non solo l'unione, ma
l'unità, esclude tutto ciò che non è lei, eppure è universale; mentre
l'eresia unisce tutto a sè, eppure rimane locale. Si credette agevolar
il progresso col sopprimere ogni intermedio fra la ragione individuale e
la parola di Dio, e invece si crebbe la confusione.

NOTE
[343] Quali fossero i collegi di là dell'Alpi lo raccogliamo, per tacere
altri, da due che avemmo occasione di nominare. Erasmo racconta che, nel
collegio di Montaguto a Parigi, avea per direttore un Giovanni Staudin,
non cattivo, ma privo di giudizio; non dava che letti duri, cibo
insufficiente, veglie penose, lavori stanchevoli. Molti giovani di belle
speranze ne morirono, o divennero ciechi, o furon presi dalla lebbra o
da follia. E non solo maltrattava i poveri, ma anche giovani di ricche
famiglie. Di fitto verno non dava che un tozzo di pan duro, e mandavali
alla fontana attinger un'acqua fetida, malsana, gelata. I dormitorj
erano al pianpiede, presso a latrine puzzolenti, e con muri coperti di
muffa (_Colloquia: Ichthyophagia_). Rabelais fa dire a Ponocrate,
intorno al collegio stesso: «Seigneur (Grandgonfier), ne pensez pas que
je l'aye mis au collège de pouillerie qu'on nomme Montaigu; mieux
l'eusse voulu mettre entre les genoulx de saint-Innocent, pour l'énorme
cruaulté et villenie que j'y ai cognue: car trop mieulx sont traicté les
forcés entre les Maures et Tartares, les meurtriers en la prison
criminelle, voyre certes les chiens en votre maison, que sont ces
malautrus au dit collège».
[344] _Opere di Lutero_, ediz. di Walch, tom. XXII, pag. 786 e seg.
[345] _Opere di Lutero_, tom. XIX, pag. 1509, si legge espresso: «Prima
ch'io finissi il vangelo, il mio vicino avea finito la messa, e mi si
diceva, _passa, passa_». I biografi posteriori esagerarono questo
racconto per tramutare una celia in una bestemmia, e più rilevare la
corruzione de' preti. Selneccer (_Oratio de divo Lutero_, pag. 31),
traduce: «Passa, passa, _idest, festina et matri filium remitte_».
Mathesius lo copia, se pure non fu lui che l'inventò. E i biografi
moderni si fecero belli di quest'empio scherzo contro la dottrina della
transustanziazione.
[346] _Tischreden_, pag. 464, 607. Dopo le tante vite di Lutero, uscì or
ora _Leben und ausgewählte Schriften der Väter und Begründer der
luterischen Kirche, eingeleitet von_ K. J. NITSCH. Elberfeld 1860 e
seguenti.
[347] _Opere_, T. I, op. 5.
[348] Nelle regole di san Bonifazio, Michelet (_Hist. de France_, T. I,
p. 286) lesse che «se un monaco peccò con una donna, digiuni due giorni
in pane e acqua». Ora il testo dice: _Si quis monachus dormierit in una
domo cum muliere, tres dies in pane et acqua: si nescivit quod non
debet, uno die_. Del resto in quel Penitenziale, ducento colpi, che è il
massimo delle sferzate, equivalgono a due giorni in pane e acqua.
[349] Il concilio di Firenze definì intorno allo stato delle anime dopo
morte, «che quelle de' veri penitenti, morti nella carità di Dio prima
di aver fatto frutti degni di penitenza in espiazione dei loro peccati
di commissione e di ommissione, sono purificate dopo morte colle pene
del purgatorio, e sollevate da queste per suffragi de' fedeli viventi,
come il sacrifizio della messa, le preghiere, le limosine e altre opere
di pietà, che i fedeli fanno per gli altri fedeli, secondo le regole
della Chiesa. Le anime di quelli che hanno peccato dopo il battesimo, o
che, caduti in peccato, ne furono purificati in vita prima d'uscirne,
entrano subito in cielo, e vedono puramente la Trinità, gli uni più
perfettamente degli altri, secondo la differenza de' meriti loro. Le
anime di quelli che son morti in peccato mortale attuale o nel solo
originale, precipitano nell'inferno per esservi puniti, quantunque
inegualmente».
[350] Essendo morta Monica sua madre, Agostino racconta come Evodio
prese il Salterio e cominciò a cantare un salmo, a cui tutta la casa
rispondeva: _Misericordiam et judicium cantabo tibi, Domine_. E molti
fratelli e religiose donne accorsero, mentre egli cercava reprimere
l'intenso dolore. «Quando il corpo fu portato via, andai e tornai senza
lagrime; e neppur nelle preghiere che a te, o Signore, porgiamo mentre
ti si offriva per essa il sagrifizio del Salvator nostro (_Cum tibi
offerretur pro ea sacrificium pretii nostri_), posto il cadavere vicino
al sepolcro, come colà si usa, io non piansi» (_Confessioni_, lib. IX,
cap. 12). Pure si accusa di averla troppo deplorata, e guarito
dall'eccesso, prega Dio per essa colle lacrime che vengono dal
riflettere ai pericoli d'ogni anima che muore in Adamo. Perocchè, sebben
essa fosse vissuta santamente, pure non era certo che non le fosse
uscita qualche parola contro il precetto divino: e guai alla vita più
lodevole se venga scrutata senza misericordia! E però lo esortava pei
peccati di sua madre, non allegando i meriti di essa, ma pel redentore
che pendette in croce, e che sedendo alla destra di Dio implora per noi.
«E poichè operò essa misericordiosamente, e perdonò ai debitori, perdona
ad essa pure i suoi debiti. Se contrasse alcuna macchia in tanti anni
dopo il lavacro di salute, perdonale, o Signore, te ne prego, e non
entrar in giudizio con essa. Nè essa desiderò monumento o aromi, o il
sepolcro patrio. Non questo ella ci raccomandò, ma di commemorarla
all'altare tuo, al quale s'era prostrata ogni giorno infallantemente,
dove sapeva dispensarsi la vittima santa dalla quale fu cancellato il
chirografo a nostro carico; O Signore Dio mio, a' tuoi servi, ai
fratelli miei, a chiunque leggerà queste carte, ispira che all'altare
tuo si ricordino di Monica e di Patrizio che fu suo marito» (cap. 13).
Inoltre nel sermone XVI, _de verbis apostoli_, dice: _Injuria est pro
martyre orare, cujus debemus orationibus commendari_. Boezio, _Della
consolazione della filosofia_, lib. IV, 4, scrive: _Nullane animarum
supplitia post defunctum morte corpus relinquis? Et magna quidem, quorum
alia pœnali acerbitate, alia vero purgatoria clementia exerceri puto_.
Il Muratori, nella Dissertazione LVI delle _Antiquitates medii ævi_,
reca molti lasciti, anteriori all'800, per far dire messe anche
quotidiane.
[351] Gian Galeazzo Visconti desiderando evitare i pericoli causati
dall'esser in guerra coi Fiorentini, e ammassar denaro per la fabbrica
del duomo di Milano, impetrò da Bonifazio IX che i suoi sudditi
potessero acquistar il giubileo senza andare a Roma, ma visitando
quattro basiliche di Milano. Il Corio asserisce che la bolla portava
che, «se anche non fosse contrito nè confesso, fosse assolto da ogni
peccato in questa città, dimorando dieci giorni continui». Or noi
possediamo tal bolla, del 12 febbraio 1391, e dice espresso che sieno
_vere pœnitentes et confessi_.
[352] Vedi la nota 5 del Discorso XII.
[353] Da ciò nacque il tribunale della reverenda fabbrica di San Pietro,
che esiste tuttora.
[354] Il Guicciardini scrive avere il papa assegnato il prodotto delle
indulgenze di Germania a sua sorella madonna Cibo. Esiste la bolla
pontifizia che gli dà la mentita.
[355] Proposizione 71.
[356] _Ein wohl betrunkener Deutscher_. LUTERO, Opere, tom. XXII p.
1337.
[357] San Domenico ottenne da papa Onorio III il convento di Santa
Sabina in Roma nel 1218, e parte del palazzo pontifizio per collocarvi i
suoi religiosi. Consigliò al papa di deputar alcuno che istruisse nella
morale e nella religione gli addetti a questo palazzo, e il papa ne
affidò l'incarico allo stesso san Domenico, che tolse a spiegar le
epistole di san Paolo. Piacque a Onorio perpetuar tale istituzione,
affidandola sempre a un domenicano, col titolo di maestro del sacro
palazzo. Così si succedettero settantasei maestri, i quali ora,
l'avvento e la quaresima, predicano ai famigliari palatini, e tengono
tre giorni di catechismo avanti ciascuna delle quattro comunioni
generali annue che si fanno nel palazzo apostolico. Al maestro venne poi
commessa la censura de' libri. Vedi ANNIO DA VITERBO, _De dignitate
officii magistri sacri palatii_: CATALANI, _De magistro S. P.
apostolici, libri duo_. Roma 1751.
[358] _In præsuntuosas M. Luteri conclusiones de potestate papæ
dialogus_. Ho alla mano _Replica fratris Silvestri Prieiratis ad fratrem
Martinum Lutherum_, senza data, in dieci carte, ove difende sè dalle
dategli incolpazioni.
[359] _Luteri Opp_. Jena, tom. I, pag. 60.
[360] Per esempio, al Concilio di Basilea erasi argomentato: «Per
presedere alla Chiesa universale bisognerebbe che il papa presedesse ai
capi e ai membri di tutte le Chiese stabilite nell'universo. Ora il papa
non presiede al capo della Chiesa romana, perchè non può presedere a se
stesso. Dunque non presiede a tutte le Chiese che costituiscono la
Chiesa universale».
[361] Federico Borromeo racconta che il duca Lodovico il Moro, recatosi
nel convento de' Domenicani a Milano per conversare, come soleva, con
que' frati, vide il padre Vio, di piccola e spregevole statura, e
domandò al priore perchè tenesse omicciatoli siffatti. Il priore
rispose: _Ipse fecit nos et non ipsi nos_: e introdotto a ragionar con
esso il Vio, lo chiarì quanta ne fosse la sapienza e la virtù, sicchè
dappoi il duca l'ebbe in maggior credito che gli altri frati.
[362] _De servo arbitrio_. Invano gli si nega un insegnamento così
repugnante all'intimo senso morale e alla sana ragione. Nelle sue opere
dell'edizione di Wittenberg, 1572, tom. VII, fol. 18, si legge:
«Un'opera buona, compita il meglio possibile, è un peccato quotidiano
davanti la misericordia di Dio, e un peccato mortale davanti la sua
stretta giustizia». Nella _Cattività di Babilonia_: «Ve' quanto un
cristiano è ricco! non può perdere la sua salute neppure volendolo.
Commetta peccati gravi quanto vuole, finchè non è scredente nessun
peccato può dannarlo. Finchè la fede sussiste, gli altri peccati sono
cancellati in un istante dalla fede». E nella _Libertà Cristiana_: «Di
qui si vede come il Cristiano è libero in tutto e sovra tutto; giacchè
per esser giustificato non ha mestieri di veruna specie di opere, e la
fede gli dà tutto a sovrabbondanza. Se alcuno fosse tanto stolto da
credere ch'e' può giustificarsi e salvarsi mediante le opere buone,
perderebbe subito la fede con tutti i beni che l'accompagnano». Quando
nel 1541 a Ratisbona Melantone cercò accordarsi coi Cattolici, dicendo
che per la fede che giustifica doveva intendersi una fede operante per
la carità, Lutero dichiarò ch'era un misero ripiego, una toppa nuova
s'un abito vecchio, che lo straccia di più.
[363] _Esto peccator et pecca fortiter: sed fortius fide et gaude in
Christo, qui victor est peccati, mortis et mundi — Peccandum est quamdiu
hic sumus — Sufficit quod agnovimus per divitias Dei Agnum qui tollit
peccata mundi; ab hoc non avellet nos peccatum, etiamsi millies, millies
uno die fornicemur aut occidamus_. Lettere di Lutero, raccolte da
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