Gli eretici d'Italia, vol. I - 23

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spontaneamente si tenga in porto, e rimanga soltanto vicario di Cristo.
«O romani pontefici, esempio d'ogni ribalderia agli altri pontefici; o
malvagi Scribi e Farisei che sedete sulla cattedra di Mosè, e fate
l'opera di Natan e Abiron, si conviene egli al vicario di Cristo celesta
pompa, e il vestire e le cavalcate? Non s'oda _partito della Chiesa, la
Chiesa guerreggia contro i Perugini, contro Bologna_. Non è la Chiesa
che combatte i Cristiani, ma il papa. Allora il papa si dirà e sarà
padre santo, padre di tutti, padre della Chiesa: nè ecciterà guerra fra'
Cristiani, anzi le eccitate da altri accheterà colla censura apostolica
e colla maestà del papato».
I declamatori, e massime gli odierni, ammirano il _gran coraggio_ del
Valla, ma noi diremmo piuttosto la _violenza_, con cui satireggia
prelati e papi e grandi che gli tardassero qualche favore. Nel dialogo
dell'avarizia e della lussuria flagella i cattivi predicatori, e
specialmente i Minori Osservanti, e in quello sull'ipocrisia tutti i
frati, e il clero in generale: eppure accusato al Sant'Uffizio, andò a
Roma a giustificarsi, e ad Eugenio IV scrisse bassamente, confessando
aver ingiuriato lui e il concilio: e se da questo non ottenne grazia, il
nuovo papa Nicolò V lo accolse come scrittore apostolico, gli diede
incarichi letterarj, benchè il Poggio, altro critico maligno, dal Valla
provocato, cavasse da' costui scritti una sequela di proposizioni
ereticali: Calisto III lo elevò anzi a segretario apostolico, e morto
tranquillamente nel 1465 fu sepolto nella basilica lateranense. Il suo
libro fu poi messo all'Indice dal concilio di Trento.
Tutto ciò pruova, non che si inclinasse già alla negazione protestante,
bensì che si confessavano gli abusi, e che senza pericolo li
denunciavano quelli che riferivansi alla forma, non mai alla sostanza.
E vaglia il vero, quando un potere non è contestato, e agli occhi di
tutti serba il carattere sacro, si può giudicarlo severamente eppur
riverirlo, nè reca scandalo il biasimo che sia portato sugli abusi non
sull'essenza, e al quale non affigge concetto distruttivo nè chi lo fa,
nè chi lo riceve. Ben altrimenti di quando, mancato il rispetto
irriflessivo, si sottilizza il raziocinio, e s'insinuano non solo il
dubbio erudito o la incredula beffa, ma la risoluta negazione.

NOTE
[241] Si vuole che, qualche prelato, come feudatario, esercitasse, o
almeno possedesse l'osceno diritto delle prime notti; e il Lancellotto,
nel bizzarro suo libro _L'Hoggidì, ovvero il mondo non peggiora_, dice:
«Cotal costume, dai Pagani e dai Gentili praticato, fu già in Piemonte;
ed il cardinale illustrissimo Geronimo della Rovere mi diceva aver egli
stesso abbruciato il privilegio che aveva di ciò la sua casa». Se mai
esistette un tal diritto di _fodero_ o di _marcheta_, bisogna dire che
n'abbiano ben accuratamente distrutti gli atti, giacchè nè da me nè da
altri cercatori mai nessuno ne fu trovato. Probabilmente non era che una
tassa imposta sulle nozze, forse colla simbolica rappresentazione del
metter una gamba nel letto; e come tale, n'ebbero il diritto perfino
alcune badesse.
[242] Oltre i novellieri, sul teatro pure si pungeva l'avarizia e
l'ignoranza degli ecclesiastici. Nel _San Giovanni Gualberto_,
rappresentazione del secolo XV, dovendosi eleggere il piovano d'una
chiesa, il cappellano esamina gli aspiranti, e riferisce al vescovo:
Messere, io l'ho saputo, e me l'han detto:
Quello a chi 'l popol la vorrebbe dare,
È un buon prete, ma gli è poveretto,
E non potrebbe un cieco far cantare.
Quell'altro mi mostrò un pien sacchetto,
E son ducati, secondo il sonare,
E dice ve gli arreca, e son dugento.
_Monsignore_. Costui ha ben ragion! mettili drento.
Alcuni monaci s'accordano per far eleggere abate un di loro, il qual
promette nominar l'uno priore, l'altro spenditore, l'altro camerlingo: e
vanno al vescovo, e gli offrono cento ducati perchè nomini quell'abate.
_Monsignore_. E molto volentieri i' ho ben inteso;
Ma ditemi, figliuol, sono di peso?
_Monaco_. Monsignor, e' son nuovi tutti quanti.
Non fa bisogno che voi li pesiate.
_Monsignore_. Da voi in fuora, io vorrei duo tanti,
Ma io vo' ben che voi mi ristoriate
Ogni anno per la pasqua e l'ognisanti
L'oca, il cavretto e' cappon mi rechiate.
_Monaco_. Noi siam contenti, e' cappon fien duo paja,
E le candele per la candellaja.
[243] Ma chi si scandalizza delle ricchezze del clero cattolico d'allora
non si dimentichi quante ne abbia il clero protestante d'oggi in
Inghilterra. I vescovi vi percepiscono da 4200 a 10000 sterline, cioè da
105 a 230 mila franchi, oltre un palazzo in città e uno in campagna: ai
due arcivescovi di York e di Cantorbery aggiungonsi per la
rappresentanza una gratificazione di quasi 273 fr. Nel settembre 1865
morì Roberto Moore, che godeva sei benefizi senza far nulla, e si
calcola che durante la sua vita ne traesse 753 mila sterline, cioè più
di 18 milioni.
[244] RAYNALDI, al 7 aprile 1488, § 21.
[245] CIBRARIO, _Istituzioni della Monarchia di Savoja_, pag. 127.
[246] Alfonso Tostat, famoso teologo spagnuolo, reputato il maggior
ingegno del suo secolo, a Siena sostenne, in presenza d'Eugenio IV,
ventuna tesi teologiche, alcune delle quali non vennero approvate dal
pontefice. Questi destinò l'altro famoso teologo cardinale Torquemada a
confutar queste due: che, sebbene non v'abbia peccato che non possa
esser rimesso, pure Iddio non rimette nè la pena nè la colpa, e nessun
prete può dare l'assoluzione; e che Gesù Cristo sofferse la passione al
3 d'aprile, non al 25 marzo. Le due proposizioni furono riprovate, ma il
Tostat pubblicò la _Difesa delle tre conclusioni_, e parve mostrare non
bastante deferenza per la decisione pontifizia.
[247] BURLAMACCHI, _Vita del Savonarola_.
[248] Predica I, ediz. di Venezia 1530.
[249] A Lione 1502, 1505, 1507, 1536, 1571, 1573, 1577, 1594; a Agen
1508, 1510, 1514, 1578; a Parigi 1518, 1521; ad Argentina e Rouen 1515;
a Brescia 1521; a Venezia 1585.
[250] È a vedere anche BARBERINO, _Documenti d'amore_, part. VIII, d. 2.
[251] LANDI, _Paradossi_.
[252] _Ed. del Moreni 1831_, I, 187, 232. Declamò novamente (II, 50)
contro l'andare al perdono di Roma e altri santi luoghi, predicando
sotto la loggia d'Or San Michele nel 21 settembre 1309, cioè parecchi
anni più tardi. Forse questi passi delle prediche di frà Giordano furono
presenti al beato Giovanni delle Celle quando dissuadea Domitilla dal
pellegrinaggio di Terrasanta, nella IXª delle sue lettere.
[253] Questi pure si lamentava che
Ogni predicator buffoneggiava
Nè quasi si credea dal tetto in su.
_Cedrus Libani_. Nella Magliabecchiana è manoscritto del quattrocento un
_Promptuarium prædicatorum_, dove, sopra argomenti che possono esser
soggetto di predica, si adunano le autorità della santa scrittura,
affinchè le prediche riescano _non subtilia magis quam utilia_.
[254] _Contra prælatos simoniacos, qui ordines sacros cœteraque
spiritualia publice vendunt_.
[255] _Epist._ Lib. I, c. 66.
[256] _Opusculum de sententia excommunicationis injusta pro H.
Savonarolæ innocentia_. Firenze 1497.
[257] Antonio Floribello, nell'orazione sopra l'autorità della Chiesa,
scrive: _Quod vero Lutherus et quidam ejus discipuli, omnia fato et
necessitate fieri, nihil in potestate nostra situm esse, agi nos, non
agere a principio dixerunt, cum idem senserunt quod nonnulli veteres
philosophi, tum Viclefi illius sui, Laurentiique Vallensis opinionem
impiam et humano generi perniciosam revocarunt_. SADOLETI, Opera II, p.
401.
[258] _De collatione novi Testamenti_. Fu pubblicata solo cinquant'anni
dopo morto l'autore, da Erasmo. Per tacere i vecchi, il Maj, il Rank, il
Vercellone, il Cavedoni notarono della versione itala molte voci non
usate dai classici, come _abintus_, _ascella_, _maletracto_, _prendo_,
_regalia_, _satullus_, _retia_ per rete, _advenit_ per accade,
_martulus_ per martello, _manna_ per manata, _altarium_ per altare,
_glorio_ e _combino_ per lodo e congiungo, _scamellum_ per scannello, e
forme grammaticali errate, come _odiet_, _odiant_, _odivi_, _plaudisti_,
_avertuit_, _sepellibit_, _eregit_, _prodiet_, _exiam_, _exies_,
_perient_, _scrutaberis_, _abstulitum est_, _prævarico_ e _demolient_
per prævaricor e demolientur, _lignum viridem_ ecc. Il conchiuderne che
la traduzione della Bibbia è barbara è un'assurdità ove si pensi che,
massime l'itala, fu fatta ne' floridi tempi dell'impero, essendo
vivissima la lingua latina. Fu dunque buon consiglio quello del De Vit,
di raccoglierne le voci nella ristampa che ora fa del Lexicon totius
latinitatis. Di ciò discorro io distesamente in una _Dissertazione
sull'origine della Lingua Italiana_. Napoli 1866.
[259] _De falso credita et ementita Constantini donatione, declamatio_.
È però a notare che la falsità dell'atto di donazione di Costantino era
già stata sostenuta da Pio II, ancora privato, dal cardinale di Cusa,
dal Pocock vescovo di Chicester. Dico dell'atto, perocchè su questa
donazione tanto controversa han discorso i migliori moderni in ben altro
senso dal vulgare, dietro al De Maistre, che avea scritto: «Una medesima
mura non potea contenere l'imperatore e il pontefice. Costantino cedette
Roma al papa. La coscienza del genere umano l'intese a questo modo, e ne
nacque la _favola_ della donazione, che è verissima. L'antichità, cupida
di vedere e toccar tutto, tramutò l'abbandono in una donazione formale;
la vide scritta su pergamena, deposta sull'altare di San Pietro. I
moderni gridano _falsità_; ed era l'innocenza che raccontava le sue
idee. Non c'è cosa sì vera quanto la donazione di Costantino».
Eppure Stefano Dumont, professore parigino, sostenne l'autenticità anche
dell'atto; autenticità simile a quella che dicemmo dell'altre Decretali,
che Graziano o il falso Isidoro non inventarono, bensì mutilarono o
cangiarono per ridurle opportune a una collezione legale.


DISCORSO XI.
I PAPI POLITICI. ALESSANDRO VI. IL SAVONAROLA.

A mali siffatti, pur beato quando si trova ad opporre fervido zelo, soda
pietà, scienza matura! Nessun vorrà credere che lo spirito di verità e
di santità, immorante colla Chiesa in eterno, non apparisse allora.
Principalmente negli Ordini religiosi sorgeva chi ravvivasse il
sentimento religioso, e tutti, a chi cercasse, offrirebbero personaggi
insigni per virtù e per scienza. Bernardino da Siena per tutta Italia
menava su' suoi passi la pace e la limosina, e moltiplicò chiese,
conventi, spedali, missionarj che spedì in ogni parte del mondo.
Bernardino da Feltre allettava il popolo coll'eloquenza e la virtù, e
col raccogliere i gemiti delle vedove e de' pupilli; propagò i monti di
pietà, allora appena introdotti da un Barnaba francescano a Perugia, per
salvare i bisognosi dagli usuraj (1494). Giacomo di Mombrandone,
patriarca delle Marche; Pier da Moliano e Antonio da Stroconio
nell'Umbria; Pacifico da Ceredano nel Novarese, Angelo da Chivasso,
riverito principalmente a Cuneo; Giacomo d'Illiria, frate presso Bari;
Vincenzo d'Aquila dedito a stupende austerità, e altri assai
Francescani, ottennero culto. De' Domenicani cercarono la riforma
Antonio de' Marchesi di Roddi, vercellese, e sant'Antonino, che eletto
arcivescovo di Firenze, conservò la frugale regolarità monastica, d'una
mula accontentandosi per tutti i servigi, mentre il palazzo, la borsa, i
granaj teneva aperti a chiunque; e profondea nelle pesti e ne' tremuoti;
«contro a molti che dicono i prelati usare le pompe per essere stimati,
giunto a Roma con una cappa da semplice frate, con un mulettino vile,
con poca famiglia, era in tanta reputazione, che quando passava per la
via s'inginocchiava ognuno a onorare lui, assai più che i prelati con le
belle mule e con gli ornamenti de' cavalli e de' famigli»[260]. Fondò a
Firenze il ricovero delle orfane e vedove decadute, ed altre istituzioni
che durano fin oggi, o fin jeri, come i provveditori dei poveri
vergognosi, anticipazione de' Paolotti: e lasciò una _Summa theologica_
di temperate conclusioni, che passa ancora per delle meglio ordinate; e
ch'egli stesso compendiò in italiano ad uso de' confessori. Matteo
Carrieri da Mantova, portentoso per richiamare al cuore famose
peccatrici, e coltivare nascenti virtù: catturato da un corsaro e
ottenutane la libertà, la esibì a riscatto d'una signora, presa
anch'essa colla figlia; onde il pirata commosso rilasciò tutti i
prigionieri (1450). Era domenicano, come Costante da Fabriano, diviso
fra lo studio, la preghiera e le macerazioni, e che già vivo ottenne,
direi, culto; Giovanni Licci da Palermo che edificò quell'Ordine in
cenquindici anni di vita; Sebastiano de' Maggi di Brescia, che alle lodi
di letterato rinunziò per attendere alla conversione de' peccatori ed al
rappacificamento de' nemici, massime a Genova, ove morì nel 1494.
Francesco di Paola, istitutore de' Minimi, assunse per divisa la parola
CHARITAS; non tacque il vero ai regnanti di Napoli; a Luigi XI di
Francia, che mandò a cercarlo nell'ultima sua malattia, annunziò che la
vita dei re sta come le altre in man di Dio e a questo si preparasse a
renderla. A quella Corte lo chiamavano _il buon uomo_, titolo che colà
rimase a' suoi frati, e ad una qualità di pere, di cui egli aveva
portato l'innesto.
Francesca di Busso fu esempio delle matrone romane, massime ne'
patimenti per l'invasione di re Ladislao e nella peste; per trent'anni
servendo ai malati negli ospedali senza negligere le cure domestiche;
infine istituì le Oblate. Caterina da Pallanza, udendo a Milano il beato
Alberto da Sarzana predicare la passione di Cristo, a questo dedicò la
sua verginità, e altre fanciulle raccolse sul monte di Varese ad
ascetica perfezione. Veronica, di poveri parenti milanesi, costretta al
lavoro continuo anche dopo entrata agostiniana, la notte imparava da sè
a leggere e scrivere, e fu da Dio graziata d'insigni favori. Caterina,
figlia d'un Fiesco di Genova vicerè di Napoli, costretta a sposare un
Adorno qual pegno di riconciliazione fra le due emule famiglie, dopo
dieci anni di paziente martirio, riuscì a convertire il marito; servì i
poveri nello spedale, e nelle pesti del 1497 e del 1501; consolata da
superne illustrazioni, lasciò opere, che per elevatezza e fervore
emulano quelle della sua contemporanea santa Teresa.
Luigia d'Albertone romana, Caterina Mattei di Racconigi, Maddalena
Panatieri di Trino, Caterina da Bologna, autrice delle _Sette armi
spirituali_, la carmelitana Giovanna Scopello di Reggio; Serafina,
figlia di Guid'Antonio conte d'Urbino, e moglie malarrivata di
Alessandro Sforza signore di Pesaro; Eustochia dei signori di Calafato a
Messina, fondatrice del Monte delle Vergini; Margherita di Ravenna,
provata da Dio con penosissime infermità, fondatrice della confraternita
del Buon Gesù; Stefania Quinzani d'Orzinovi, che le città s'invidiavano,
e a cui il senato veneto e il duca di Mantova e quel di Milano chiedeano
direzione; Margherita di Savoja, vedova del marchese di Monferrato che,
offertole da Cristo d'essere provata colla calunnia o la malattia o la
persecuzione, tolse di subirle tutte,... sono un piccolo saggio delle
donne che infioravano il giardino di Cristo.
Ma la pietà di questi e de' troppi che ommettiamo non bastava a quella
riforma, che sarebbe dovuta venire dall'alto; come già vedemmo dal fondo
della corruzione essere cavato il mondo per la forza di Gregorio VII, e
per lo zelo e gli esempj de' santi Francesco e Domenico.
All'alito di Dio e sotto l'ale del cristianesimo era sbocciata la
società moderna; e Dio, unica fonte d'ogni potestà, credevasi avere
commesso l'esercizio della temporale non meno che della spirituale al
suo vicario in terra; il quale, occupato delle anime, e di conservare
integro il dogma e pura la morale, aveva affidato una delle due spade
all'imperatore; l'imperatore, unto dal Cristo in terra, consideravasi
come capo dei re, come rappresentante il potere temporale della Chiesa
in quella grande unità, la quale nell'ordine religioso chiamavasi
_cattolicismo_, e nell'ordine temporale _sacro romano impero_. Concetto
sublime, che sottraeva il mondo all'arbitrio della forza per porlo in
tutela della fede, piantava dominj non per conquista o per nascita, ma
per riverenza ed opinione; preveniva spesso le guerre mediante
l'arbitrato supremo, appoggiato alla minaccia delle scomuniche; sempre
le rendeva meno micidiali; garantiva i re e i popoli dai mutui attentati
col chiamare gli uni e gli altri a rendere ragione di loro condotta
avanti ad un tribunale, inerme eppure potentissimo perchè fondato sulla
coscienza de' popoli, e resistendo ai forti non in nome della rivolta,
ma della sommessione che si deve a Dio più che agli uomini.
Al sublime divisamento vedemmo quali ostacoli s'attraversassero, sicchè
rimasero male determinati i confini delle due autorità. I papi, per
tutelarsi in un'età guerresca e quando ogni potenza derivava dal
possesso de' terreni, dovettero procacciarsi un dominio temporale, ma
tristo il guadagno che n'ebbero, avvegnachè li mise più d'una fiata in
punto di scambiare per supremazia principesca quel ch'era tutela e
arbitramento, affidato dalle coscienze, e fondato in un regno che non è
di quaggiù. Di rimpatto gl'imperatori pretendevano dominare sopra i re,
fare da tutori ai papi più che non fosse compatibile coll'indipendenza
de' primi e colla dignità del padre comune dei fedeli. Di qui la
diuturna contesa fra il pastorale e la spada, solo temporariamente
sospesa mediante transazioni che all'uno e all'altra impedivano di
trascendere, ma toglievano di spiegare intera la loro efficacia. Dopo le
deplorate scissure di Basilea e di Costanza, ove ambedue i partiti
ebbero bisogno del braccio dei re, questi, che aspiravano a concentrare
in sè la pubblica potestà, colsero quel destro, e reluttando alle
antiche prerogative di Roma dissero: «Noi conosciamo e sappiamo far il
bene, meglio della Chiesa; noi non dobbiamo dipendere da nessuno;
nessuno vi dev'essere nei nostri Stati, che da noi non dipenda».
Nella comune propensione di quel secolo a consolidare i principati sulle
rovine delle repubbliche e dei Comuni, anche i papi procacciarono più
solertemente negl'interessi temporali, o condotti dalla carne e dal
sangue s'affissero a dare opulenza e stato alle proprie famiglie, da un
lato accarezzando i potentati per averli conniventi alle loro
aspirazioni, dall'altro spremendo i deboli. Al concilio di Basilea un
oratore, quel desso che valse a fare eleggere l'antipapa Felice, diceva:
«Tempo già fu che io pensava sarebbe utile separare affatto la podestà
temporale dalla spirituale: ora mi convinco che la virtù senza la forza
è ridicola, che il papa romano senza il patrimonio della Chiesa non
rappresenta che un servo dei re e dei principi».
Ed uno de' politici meglio accorti, Lorenzo de' Medici, scriveva a
Innocenzo VIII esortandolo a rendersi forte coll'impinguare i suoi
parenti. «Non solo Vostra Santità è dispensata dalla modestia e dalla
riserva in faccia a Dio e agli uomini, ma potrebbesi biasimarla di non
farlo, e attribuirlo ad altri motivi. Lo zelo e il mio dovere obbligano
la mia coscienza a rammentare a Vostra Santità che nessuno è immortale;
che un papa ha tanta importanza quanta vuole averne, e poichè non può
rendere ereditaria la sua dignità, non può dire suoi se non gli onori e
i benefizj che fa ai suoi»[261].
Lorenzo era ispirato da interesse personale, ma avrebbe fatta
dichiarazione così esplicita se tale non fosse stata l'opinione comune?
Era il tempo che si ergevano tutti i principati sulle ruine delle
tarlate repubbliche, e il papa seguiva l'andazzo col rinvigorirsi
anch'esso. Inoltre le potenze fissavano cupidi occhi sullo Stato romano;
onde fattone quistione non di diritto, ma di forza, i papi poteano
adoprarsi ad acquistarlo come gli altri, e contro gli altri proteggerlo.
L'esiglio avignonese avea fatto sentire più che mai la necessità che il
papa stesse in terra indipendente, e quindi il bisogno di convalidare e
crescere il suo dominio. Martino V ed Eugenio IV si valsero del modo di
guerra allora usitato, cioè de' condottieri, per sottomettere le città
rivoltose. Nicolò V tentò un tratto confederar tutti gli Stati d'Italia
per opporli ai Turchi, che aveano presa Costantinopoli il 29 maggio
1453, e riuscì a conchiudere la pace di Lodi; ma questa assicurava i
varj dominanti, non li federava per l'offesa e la difesa. Internamente
la congiura del Porcari aveva offerto pretesto ai papi d'integrare il
proprio dominio su Roma, annullando l'autorità popolare dei capi di
rioni.
Quest'assoggettamento bisognava estenderlo a tutto lo Stato, reprimendo
l'anarchico arbitrio de' signorotti che se lo divideano, e a ciò
mirarono tutti i papi successivi, annaspando una politica non immune di
violenze e di frodi, a cui dà risalto il carattere ond'erano rivestiti.
Nella congiura de' Pazzi, prelati cospirarono ad assassinare i Medici in
chiesa, e il popolo in vendetta appiccava fino un arcivescovo; pruova di
deperita religiosità, ancor più della violenta diatriba, in
quell'occasione avventata a Sisto IV, credesi da Gentile de' Becchi
vescovo d'Urbino. Sebbene non crediamo che questo pontefice partecipasse
a tale assassinio, nè i tant'altri gravami contro la sua memoria, forza
è dire che esercitò trista politica; a titolo di mettere in pace
l'Italia per armarla contro i Turchi, sparnazzò scomuniche, massime
contro i Veneziani; sostenne la cadente libertà fiorentina contro
l'usurpazione dei Medici, ed aspirò all'indipendenza italiana, ma
mostrandosi ambizioso e corrotto, disgustò anche i repubblicani, e
mentre non attutì le irrequietudini intestine, lasciò che i rigori
dell'Inquisizione si trapiantassero dalla Spagna nel paese nostro: per
fare denari non abborrì da strani mezzi; creò nuovi uffizj da vendere,
impose l'esoso dazio sul macinato, decime sui prelati: elevò
impudentemente i parenti suoi, concesse perfino ad Alfonso, bastardo di
re Fernando d'Aragona, appena di sei anni, l'arcivescovado di Saragozza.
Nè più saviamente si maneggiarono i suoi successori, l'andamento delle
fortune d'Italia alterando per collocare, stabilire, dotare i loro
figliuoli o nipoti; e guardandosi come capi dello Stato, più che capi
della Chiesa. Non riscossi dalle minaccie di Basilea e Costanza
addormentavansi nella sicurezza del possesso, e lasciavano nella stessa
metropoli del cattolicismo preponderare lo spirito secolaresco. I
cardinali aveano facoltà di imporre condizioni nel conclave al futuro
pontefice, ma Innocenzo VI avea dichiarato che nessun giuramento
anteriore all'elezione può restringere l'autorità pontifizia, atteso
che, sede vacante, alla Chiesa non compete altro diritto che di eleggere
il successore. Morto Sisto IV, i cardinali stesero una costituzione, ma
tutta a loro mero vantaggio; non avessero meno di quattromila zecchini
d'entrata; non rimanessero colpiti da censure o scomuniche o giudizj
criminali, se non colla sanzione di due terzi del sacro collegio; non
oltrepassassero il numero di ventiquattro, un solo de' quali potesse
essere della famiglia del papa.
Siamo contenti di non esser obbligati a raccontare il regno di Innocenzo
VIII, salito papa col promettere, e connivendo a indegni favoriti che di
tutto faceano bottega.
Allorchè questi morì nel 1492, si manifestò più che mai nella
cristianità il bisogno di riformare la Chiesa; «Lionello vescovo di
Concordia n'espresse davanti ai cardinali il voto nel giorno che
entrarono in conclave, in un magnifico discorso rappresentando come la
romana, madre e radice della Chiesa universale, cadesse di giorno in
giorno in maggiore dispregio; estremo il lusso del clero; i principi
cristiani accanniti gli uni agli altri fino a distruggersi. Il dolore
della figlia di Sionne è grande come il mare. Rimedio sia l'eleggere un
pontefice santo, istruito, valente. Tutta la Chiesa ha gli occhi sopra
di voi; ne aspetta un capo che, col buon odore del suo nome, attiri i
fedeli alla salute; fedele come san Giacomo, ortodosso come san Paolo,
che dalla Babilonia dell'apocalisse spinga la Chiesa verso i testimonj
dell'Eterno»[262].
L'eletto fu Alessandro VI[263]; e il nome basterà per quelli che
accettano bell'e fatte le opinioni. Trovava egli ancora il paese
sovvertito dagli Orsini e dai Colonna, coprenti l'ambizione personale
sotto i titoli di Guelfi e Ghibellini; ed egli vi mosse guerra risoluta,
come ai Varani e Fogliani che possedeano le Marche: ai Della Rovere,
signori di Sinigaglia, ai Montefeltri di Urbino e di Gubio, ai Vitelli
di Civita di Castello, ai Baglioni di Perugia, agli Sforza di Pesaro, ai
Malatesta di Rimini, ai Riario di Imola, ai Manfredi di Faenza, ai
Bentivoglio di Bologna; tutti in gara di violenze e di tradimento, e che
promossero o favorirono la funesta calata de' Francesi con Carlo VIII, a
cui Alessandro si opponea. Che se come uomo rimase tipo d'una più
romanzesca che storica scelleraggine, egli salito pontefice a sessantun
anno; se, mentre da capitano andava a combattere i Savelli, gli Orsini,
i Colonna, lasciava il governo a sua figlia Lucrezia Borgia, fin
coll'arbitrio d'aprire le sue lettere: se Cesare Borgia, eroe del
delitto, infamato dalle lodi attribuitegli dal Machiavello, chiarì
quanto potesse osare un figlio di papa, e in conseguenza quanto fosse
opportuno il celibato de' preti: Alessandro come pontefice emanò savie
costituzioni; colla sì ingiustamente beffata delimitazione delle terre
scoperte prevenne i conflitti della Spagna col Portogallo nel nuovo
mondo; i contemporanei s'accordano a lodarlo d'avere tarpate le minute
tirannidi, e molti confessano, come fu detto di Tiberio, che in lui
andavano pari i vizj e le virtù. Dove non veglino i tirannici
ordinamenti che la cristianità sconosce, neppure l'inettitudine o la
malvagità d'un capo abolisce la bontà delle istituzioni e la consistenza
degli intenti[264].
Rinunziando a discolpe, che potrebbero scambiarsi per
giustificazioni[265], torciamo dal genio delle tenebre verso un angelo
di luce.
Qual Italia abbiamo? Le idee pagane sono in piena rifioritura: si
rovistano gli avanzi di libri, di statue, di fabbriche; sulle antiche si
modellano le opere nuove, a scapito dell'originalità e della
naturalezza; l'autorità d'un filosofo o d'un poeta reggesi in bilancia
con quella della Scrittura e d'un santo padre, fino a insegnare, Cristo
dice così, Aristotele e Platone dice colà; la sottigliezza scolastica
offusca la ragione col pretesto di illuminarla; la sublimità platonica
invanisce in delirj teosofici; si magnificano solo le virtù pagane, e i
nomi di greci e romani surrogansi a quelli ricevuti nel battesimo.
In quella civiltà cresciuto e fattosene adoratore, Lorenzo De' Medici
cantò inni sacri per compiacere sua madre, e osceni carnascialeschi per
compiacere alle brigate; e moriva circondato da tutto il fasto d'una
Corte popolana, fra capi d'arte antichi, o moderni che gli emulavano;
fra libri cercati di lontanissimo; fra olezzi di fiori, tratti
dall'India; fra delicature tributategli da tutto il mondo. Ma i suoi
sguardi su che si fissavano in quel memore punto? Sopra un crocifisso di
legno rusticamente intagliato, stretto fra le mani d'un frate. Era frà
Girolamo Savonarola. Nato di buona gente a Ferrara, già da fanciullo
amava la solitudine; nelle campagne fin colle lacrime esalava la piena
dell'affetto, e al Signore diceva: _Notam fac mihi viam in qua ambulem,
quia ad te levavi animam meam_. Educato all'aristotelica, a Firenze
verge ai Platonici e al misticismo, ma da' traviamenti lo rattiene
l'ammirazione sua verso san Tommaso, per omaggio al quale entrò
nell'Ordine dei Domenicani, adottandone il vero spirito nell'astinenza,
nell'obbedire, nell'adempiere a' più umili uffizj. Abbandonato fin ciò
che prediligeva, alcuni libri e immagini, portava abitualmente un
piccolo cranio d'avorio, che gli rammentasse il nulla delle onorificenze
umane, e passava di città in città predicando, esortando, commentando,
consigliando, confessando. Venuto nell'alta Italia, queste eccelse
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