Gli eretici d'Italia, vol. I - 09

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astinenze reprimeano la carne, ribelle alla volontà ed opera del
principio maligno; tre quaresime l'anno, perpetua astinenza da carni e
latte, replicati digiuni, iterate preghiere?
Il Ranerio suddetto narra come, per l'iniziazione, adunati i credenti,
il vescovo interrogasse il neofito: «Vuoi tu renderti alla fede nostra?»
Questo afferma, s'inginocchia, e pronuncia il _Benedicite_; al che il
ministro ripete tre volte «Dio ti benedica», ad ogni volta più
discostandosi dall'iniziato. Il quale soggiunge: «Pregate Iddio mi
faccia buon cristiano»; e il ministro replica: «Sia pregato Iddio a
farti buon cristiano».
L'interroga poi: «Ti rendi a Dio ed al vangelo?» — _Sì_.
«Prometti non mangiar carne, ova, formaggio, nè d'altra cosa se non
d'acqua o di legno? (cioè pesci e frutte)» — _Sì_.
«Non mentirai? non giurerai? non ammazzerai, neppure vitelli? non farai
libidini nel tuo corpo? non andrai scompagnato quando puoi avere
compagna? non mangerai da solo potendo aver commensali? non ti
coricherai senza brache e camicia? non lascerai la fede per timore di
fuoco, d'acqua o d'altro supplizio?»
Risposto che avesse il neofito secondo ciascuna domanda, l'universa
assemblea mettevasi ginocchione; il sacerdote posava sopra il novizio il
volume dei vangeli, e leggeva l'inizio di quello di san Giovanni, poi lo
baciava tre volte: così facevano tutti gli altri, che egualmente si
davano l'uno all'altro la pace: indi veniva messo al collo dell'iniziato
un fil di lana e di lino, ch'egli non doveva levarsi giammai[85].
Qui non v'è ombra delle sistematiche ribalderie, che trovansi in alcune
professioni di fede, esibiteci da' loro antagonisti, secondo le quali
gl'iniziati rinunziavano, non solo a tutte le sane credenze della
religione, ma ad ogni costume, pudore, virtù. San Bernardo, implacabile
indagatore di loro colpe, dice: «Non v'era cosa in apparenza più
cristiana che i loro discorsi, nè più lontana da ogni taccia che i
costumi loro». Il domenicano Sandrini, che potè a sua posta indagare gli
archivj del Sant'Uffizio in Toscana, scrive: «Per quanto io abbia
cercato ne' processi eretti da' nostri frati, non ho trovato che gli
eretici Consolati in Toscana passassero ad atti enormi, e che si
commettesse mai da loro, massime tra uomini e donne, eccesso di senso;
onde, se i frati non si tacquero per modestia, il che non mi par
credibile in uomini che abbadavano a tutto, i loro errori erano, più che
di sensualità, d'intelletto».
Eppure contro tale asserzione starebbero alcuni processi, e recentemente
fu pubblicato il formulario delle interrogazioni da farsi loro[86],
donde appajono quali ne fossero le opinioni più consuete. Dice:
Ai Lionesi può domandarsi: se sia povero di Lione, o lombardo, o
oltramontano — se la romana sia la Chiesa di Cristo o meretrice — se il
papa è nel luogo del beato Pietro, e se può perdonare più che altr'uomo
— se alcuno è buono, e può salvarsi seguendo la fede della Chiesa romana
— se avvi altri in terra in luogo di san Pietro che possa sciogliere e
legare, e chi sia — se ogni uomo buono può consacrare anche non ordinato
e da chi — se il cattivo sacerdote possa consacrare, e conferire gli
altri sacramenti della Chiesa — se i bambini si salvano senza il
battesimo della Chiesa romana — se la Chiesa di Dio venne meno dal tempo
di san Silvestro, e chi la riparò — se papa Silvestro fu l'anticristo —
chi successe a san Pietro nella potestà di sciogliere e legare — se i
Poveri Valdesi, lombardi od oltramontani sieno la Chiesa di Dio — se la
congregazione de' Catari sia la Chiesa di Cristo — se nella Chiesa di
Dio vi debbano essere gli ordini e l'unzione. — Delle indulgenze e dei
pellegrinaggi che fa la Chiesa, delle pitture, della croce, del viaggio
in Terrasanta. — Delle contribuzioni della Chiesa romana, e del mangiar
carni in quaresima. — Se san Lorenzo è santo. — Chi diede a te
l'autorità di predicare? — Se è peccato mortale sposar una parente — se
giova dir mille messe e dar mille lire pei defunti che sono in
purgatorio — se alcuno, fabbricando a spese sue mille chiese,
meriterebbe presso Dio — se alcuno peccherebbe mortalmente distruggendo
tutte le chiese materiali, e bruciando tutte le croci. — Della
giustizia, e chi t'insegna a dire che la giustizia è male. — Del
giuramento per salvar la vita d'un uomo. — Se imparasti la credenza dei
Poveri di Lione — se vuoi rinunziare, e stare ai precetti della Chiesa.
Le risposte possiam raccorle da un processo, formato il 1387, e tratto
dalla stessa fonte, nel quale uno de' molti inquisiti confessa, che
nell'assemblea de' Valdesi, insegnavasi che la loro setta è ottima,
cattiva quella de' Cristiani, e che niuno si salva se non nella setta
loro; che il sommo pontefice della loro setta, dimora nella Puglia, e
che la Chiesa romana è Chiesa de' malignanti e congregazione di
peccatori, dal tempo di san Silvestro in poi, e in lui essa fallì, sin
quando essi la riformarono; che ogni giuramento è peccato mortale; che
due sole vie ci sono, cioè paradiso e inferno; e purgatorio non è che in
questa vita; limosine e pellegrinaggi non giovano ai defunti: Cristo non
fu vero Dio, perchè Dio non può morire; chiunque della loro setta può
consacrare il corpo di Cristo; non devono celebrarsi feste di santi,
perchè nessuno entrò in paradiso, ma aspettano fino al giorno del
giudizio, ecc.
Come avviene in quasi tutti i processi, vi fu un di cotesti ciarleri,
che rinvesciano quel che sanno e che non sanno, e che, se pajono
rivelare molti fatti, lasciano troppi dubbj sulla veracità di essi o
sulla fedeltà della loro memoria. Qui fu un frate Antonio Galosna del
Monte San Rafaele diocesi torinese, che, davanti al vescovo di Torino e
a frate Antonio di Setto di Savigliano inquisitore, seppe enumerar tutte
le moltissime persone che in varj paesi intervennero a quelle ch'ivi
sono chiamate sinagoghe dei Patarini o Valdesi. Troppe sarebbero le
interrogazioni e le objezioni che una processura odierna gli vorrebbe
fare, ma noi dobbiamo tenerci alle sue risposte.
Da tredici anni dunque era terziario francescano, vestitone l'abito
davanti l'altare di san Francesco in Chiari. Più d'una volta fu in casa
di Martino del Prete di Vico (Ponte Vico?); il quale stando presso il
fuoco, gli disse che in un libro avea trovato che la prima grazia ed il
primo sacramento fatto da Dio fu ed è il pane; e questo è superiore ai
sacramenti tutti. Allestita la cena, prese un pane, se lo pose sulle
ginocchia, poi ne staccò tre bocconi, e ne diede uno ad esso rivelante,
uno a un altro frate Antonio, uno alla moglie sua; ne staccò due altri,
e un lo diede alla fante, uno lo prese egli stesso, facendovi prima il
segno della santa Croce: essi lo riceveano a ginocchio, poi tutti
bevvero. Tra il cenare, Martino cominciò a dire che gli ecclesiastici di
fuori sono Dei, dentro son lupi rapaci: e narrò come egli e un frate
Jacobo Bech di Chiari avessero concertato di far quivi una cappella per
le preghiere e discipline loro: e in fatti questo Jacobo stette con
Martino tutto l'inverno facendo penitenza, e camminando scalzo nella
neve. Altra volta invitò questo frate Antonio a far vita seco, e che
dovean adorare il demonio (_draconem_), ch'è più forte d'ogni cosa,
combatte contro Dio e padroneggia il mondo. E cenando, Martino tenevasi
accanto un gatto (_murelegium_) grosso come un agnello, e gli dava
mangiare, e diceva che era il miglior suo amico in questo mondo. Esso
Martino gli diede la facoltà di ascoltare le confessioni, quanto
qualsiasi sacerdote, e gliela rinnovava d'anno in anno.
Lo condussero poi al luogo delle Macchie due uomini, che gli toccarono
il dito auricolare come sogliono i Valdesi, (le donne invece toccano due
dita) e il menarono in una casa ov'erano diverse persone, e una gli pose
in mano un pane di frumento ch'esso benedisse e distribuì ai presenti,
che lo baciarono, poi mangiarono; indi una vecchia mescè da bere a
tutti.
In Avigliana molti conobbe, e vi predicò un lavoratore di pelli di
pecora (_pergamenos_), dicendo che la grazia del pane è superiore a ogni
grazia, al battesimo, alla fede cattolica: mangiarono il pane,
bevettero, poi spensero i lumi dicendo: «Ognuno faccia quello per cui è
qui: chi avrà tenga».
A Focardo assistette a una sinagoga, ove si disse che Dio non è
nell'eucaristia, ma sta in cielo; che la Chiesa romana è casa di
menzogna, riprovata da Dio; che nè papa, nè sacerdote può assolvere se
non sia della loro setta; che due sole vie ci ha, paradiso e inferno, e
non il purgatorio, e che non si devono fare esequie pei morti. Non
essere peccato il dare a interesse dieci fiorini per undici o dodici;
che nessun sacramento ha efficacia, salvo il battesimo; gli altri furono
inventati per avidità de' preti. I santi non devono venerarsi nè
accendervi candele, giacchè Dio solo può giovare. Frate Antonio promise
a quel Martino del Prete di credere tuttociò, e d'adorare per Iddio il
dragone che combatte con Dio e cogli angeli, ed è più forte.
A Susa fu due volte nella sinagoga, con osti, panattieri, calzolaj,
sartori, fabbricanti di candele di sego, e donne merciaje,
fruttivendole, ostiere.
Ben venticinque volte in un anno assistette alle adunanze in Andezzeno,
e vi facea da portinaio, e quando la gente del paese erano iti a
dormire, si accoglievano a mangiare e bere, poi spegnevano i lumi e «chi
abbia tenga», e vi stavano fino a giorno. Bilia la Castagna dava a tutti
una bevanda di brutta apparenza, e chi n'avesse bevuta di molto
gonfiava: e se ne prendeva un centellino al principio dell'adunanza, ed
era di tale efficacia, che, chi una volta n'avesse gustato, non potea
più lasciar quella congrega: e correa fama che ella tenesse un grosso
rospo sotto il letto, cui nutriva di carne, pane e cacio, per far questa
bibita collo sterco di esso, mescolandovi capelli bruciati: e la facea
nella notte avanti l'epifania, e la comunicava il primo di marzo. Altre
donne sapean fare quell'ampolla. Da trenta persone, oltre le donne,
s'accoglievano, ch'egli nomina, e a capo loro Lorenzo di Ormea, nelle
cui mani esso rinnegò specialmente l'incarnazione di Cristo, la
passione, risurrezione, ascensione, non potendo darsi che Iddio si
umiliasse a tal segno: i sacramenti non giovare nulla alla salute. Ed
esso Lorenzo diceva che Dio padre era creatore del cielo, ma della terra
fu il dragone, signore di questo mondo, ov'è più potente di Dio.
Frate Antonio avea data la consolazione a moribondi della loro setta,
fra cui Alassona la Lauriana di Andezzeno. Vittore di Andezzeno prese un
boccone di pane, e le disse: «Credi che questo sia il più gran
sacramento, e che questo pane è superiore all'eucaristia e agli altri
sacramenti amministrati dai preti?» Essa rispose di sì, poi giunte le
mani, prese con devozione, baciò e si pose in bocca quel pane. Essi le
tirarono sopra il capo le coltri, in cui giaceva, e il domani fu trovata
morta.
Ad altre congreghe assistette in Chieri, in casa di Berardo Rascherio,
il quale diceva le stesse cose, e che Dio non nacque, nè morì, nè fu
sepolto; che Maria non restò vergine; che, morto il corpo, è morta
l'anima; poi seguivano il pane, la bevanda, il giuramento del secreto, e
lo spegner dei lumi, e il mescolarsi per un'ora o due.
Da venti volte egli fu in Moncalieri, in casa di Elena scarpolina, ed
erano moltissimi i settarj, ch'esso enumera, e che andavano a pochi per
volta. Così a Candiolo, a Podrovarino, a Trana, a Sangano, ove Giacomo
Doo ripeteva il pane essere il maggior sacramento, e doversi adorare il
dragone ch'è più potente di Dio; purgatorio non v'è che in questo mondo;
poi s'estinguevano i lumi e «chi ha tenga». A Giaveno, Ciaberto
predicava le solite cose, e Cristo non essere stato concetto di Spirito
Santo; e i precetti della Chiesa non legano le anime nè obbligano di
colpa o pena qualunque, nè è peccato lavorare la festa, mangiar carni in
vigilia o in sabato; Dio non può essere nel sacramento dell'altare;
tutte le cose visibili sono create dal demonio; e così via. Supponeva
che tutti quelli del vicino Balangero sono Valdesi e di siffatta
credenza, come udì più volte rinfacciarglielo quei di Giaveno.
Il mirabile è l'esattezza con cui frate Antonio nomina non solo, ma
descrive le varie persone de' varj luoghi, e così di Coazze, di
Piossasco, di Pinerolo, ove l'adunanza teneasi in casa d'una beghina
Coleta, e il pane era distribuito da Pietro di Belmonte di Pragelato.
Tutto ciò diceva d'aver confessato appena gli fu minacciata la tortura,
e d'averlo poi spontaneamente riconfermato, benchè i suoi settarj gli
largheggiassero promesse onde negasse; e lo sostenne anche sotto nuova
tortura, consistente nel metterlo supino, e sederglisi sul petto. Ma
condotto davanti al principe del paese, cioè del Delfinato, professò che
quanto avea detto era stato per le minaccie dell'inquisitore. Poi tornò
a confessar tutto, dicendo lo avea negato per istigazione del carceriere
e d'un foriero, che diceangli sarebbe stato condannato a morte se
confessava.
Simili cose di eresia e valdesia depose di Feruzasco (?), di Castagnole,
di Scalenghe, di Pianezza, di Alpignano: e in Germagnano della Val di
Lanzo, in Avigliana, in Paglirino (_Paglieres?_), in Villar Almese, in
Bubiana (Bobbio Pellice?), Porte, Caburro (Cavour), Campiglione[87].
Fu poi, davanti all'arcivescovo di Torino e all'inquisitore Antonio di
Setto di Savigliano, esaminato Giacomo Bech di Chieri; il quale dice
essere secolare e ammogliato, non tenere veruna eresia, benchè abbia
praticato con Martin del Prete e altri che poi intese colpevoli; nega
aver fatto intelligenze con esso Martino, e da dieci anni non averne
saputo più nulla. Interrogato su altre particolarità, or afferma or
nega. Interrogato se crede che papa Urbano V coi cardinali, vescovi e
preti sia la vera Chiesa cattolica; esservi il purgatorio; poter il
sacerdote anche in peccato assolvere il penitente, e consacrare; che sia
peccato l'usura; che deva adorarsi la croce, e venerare i santi,
risponde di sì. Se fu in alcuna congrega di Valdesi, dice di no. Ma un
mese dopo, senza tortura, confessa avere spergiurato; e che un trenta
anni prima avea preso l'abito di quei che diconsi apostoli, o della
povera vita, a Pontolino (?) nel contado di Firenze, dalla mano di
Giovanni di Pronassio della riviera di Genova: e visse un anno coi
fratelli, e ogni mattina davansi il bacio di pace, e faceano la
confessione generale al modo loro, e baciavansi ogni volta che uscissero
o rientrassero. Bisticciatosi, andò a stare a Perugia con altri che
faceano la stessa vita, poi fu a Roma, tornò a Chieri, rivide Roma e
Assisi, ed a Perugia trovò Pietro Garigh con dieci compagni, il quale
gli narrò d'essere figlio di Dio, e costoro gli apostoli suoi. Egli non
volle aggregarvisi: e anche a Chieri sollecitato da altri, rispose il
farebbe se la loro dottrina fosse migliore di quella della Chiesa
romana. Avendo giurato il secreto, essi gli esposero non aver Dio creato
le cose visibili, bensì il diavolo, che n'era padrone, e che facea
penitenza in questo mondo, finchè ritornerebbe in cielo: che l'uomo non
consta d'anima razionale e di corpo, ma uno dei demonj peccatori si
unisce col corpo, e lo anima; e quei che si salveranno riempiranno il
vuoto degli angeli caduti. Il papa non è papa, nè la romana è la vera
Chiesa; bensì la loro, e il loro maggiore; non s'ha a credere ai dodici
articoli, nè ai sette sacramenti; non adorare la croce; non è peccato
lavorare la festa; non vale l'assoluzione se non da chi è della loro
setta; non v'è purgatorio o inferno se non in questo mondo; nè altri
diavoli che gli uomini e le donne di qui. La donna gravida ha in corpo
un diavolo, nè può salvarsi se non entri nella loro setta, il che fanno
solo a ventiquattro anni; e prima restano a governo del diavolo; e il
battesimo nulla giova se si muoja avanti. Chi della loro setta non
riceve il consolamento in morte, il suo spirito rientra in un corpo
dell'uomo o della bestia che prima ritrovi, finchè in morte non riceva
la benedizione dal loro padre spirituale. Questo padre spirituale
benedice il pane, di cui tutti i credenti mangiano ogni giorno almeno
una bricciola. Non è peccato usare colla madre, la sorella, la figlia,
nè il dare a usura, nè lo spergiurare avanti al vescovo o
all'inquisitore, anzi è peccato irremissibile il discoprire sè o i suoi
maestri. Pellegrinaggi, elemosine, indulgenze nulla approdano ai morti.
Il diavolo fece Adamo ed Eva; profeti, patriarchi e fino san Giovanni
Battista sono dannati; Mosè fu il maggior peccatore che fosse mai, e la
legge ricevette dal diavolo. Non s'ha a credere la resurrezione della
carne, nè il giudizio.
Ed egli, davanti a Giocerino dei Balbi di Chieri, a Pietro Patrizio, e
ad uno Schiavone giurò credere tutto ciò sopra un grosso volume che
chiamavano _Libro della Città di Dio_, nel quale registravano chiunque
facesse tale professione. Poi da esso Patrizio fu mandato in Schiavonia
onde perfezionarsi in questa dottrina in un luogo che dicesi Boxena
(Bosnia?), sottoposto a un signore che chiamasi Albano di Boxena,
dipendente dal re di Rascia: e colà andarono molt'altri Chieresi ch'e'
nomina.
Oltre questa setta, nel Delfinato conobbe di quelli che chiamansi Poveri
di Lione, e credette quel ch'essi.
Aggiungeva che, quando essi eretici di Chieri vedono alcuno de' loro
maestri, e siano in luogo appartato, genuflettono dicendo: «Benedite,
perdonate a noi bon christian», e il maestro risponde «Vi perdono»: ma
se siano in pubblico, fan solo riverenza col capo. Anche costui declinò
una lunga lista di eretici. In che consista il consolamento degl'infermi
non sa, bensì che, prima di darlo, si fanno promettere dal malato, se
campi, di non mentire mai, non mangiare che cibi quaresimali, non
toccare mai persona d'altro sesso, morire piuttosto chè negare la fede,
portare guanti per non toccare nessuno nè essere toccati. Dopo ricevuta
la consolazione, il maestro gli domanda: «Vuoi essere martire o
confessore?» Se dice martire mettongli l'origliere sopra la bocca, e vel
tengono buona pezza mentre recitano certe preghiere, e se rimane
soffocato lo dichiarano martire; se campa, chiamasi perfetto, ed ha
autorità di dare ad altri la consolazione.
Se poi dica volere essere confessore, dura tre giorni dopo la
consolazione senza cibo o bevanda, e osserva le predette regole, ed ha
la stessa autorità: e viva o muoja, lascia tutti i suoi beni a quel che
gli diede il consolamento. Il maestro che chiamano perfetto non deve
peccare mai, nè toccare cosa immonda, lo perchè portano sempre guanti, e
usano vasi apposta per mangiare e bere, lavati nove volte.
E scaltriva l'inquisitore che, negli esami di quei che chiamansi Gazari,
non interroghi direttamente «Se' tu bene de' Gazari?» Il perfetto gli
risponderebbe sì, poi null'altro più. Onde bisogna prima esortarlo, pel
Dio in cui crede, a narrare la sua vita distintamente, e allora egli
racconterà tutto senza mentire.
Tutto ciò egli ratificava ripetutamente e ad intervalli, senza minaccia
di tormenti, protestando volere tornare alla verità. E allora pare gli
fosse perdonato, ma postille in margine accennano ch'egli fu bruciato, e
così Giovanni Bergezio e Martino del Prete.
La provenienza di questo processo rimuove i dubbj che suggerirebbe la
critica sulla sua autenticità, e può rivelarci la parte vulgare di
quella setta.
A più risolute opinioni trascorreano taluni, denominati La sètta dello
spirito di libertà, che negavano eterna la dannazione; le anime purgarsi
in questa vita, poi nell'altra, se alcuna macchia vi restasse, fino alla
totale soddisfazione: Dio non poter venire offeso dalle creature, ma i
peccati essere una purgazione dell'anima, inflitta da Dio: e peccati e
vizj essere necessarj alla salute dell'anima, come la grazia, le virtù e
le opere buone: nulla serve il libero arbitrio: le penitenze non sono
necessarie nè utili se non ai perfetti, e così i sacramenti, eccetto il
corpo del Signore; demonj sono i vizj e le passioni che ci affliggono;
l'anima purgata ha presente Iddio, ne' diletti spirituali o carnali come
nelle virtù e nelle buone azioni; la passione di Cristo non fu
necessaria per evitare la dannazione, ma per provocare al bene.
Ma la colpa, onde più concordemente sono rinfacciati i Patarini, è
l'ostinazione. Fra strazj e tormenti, al cospetto di morte obbrobriosa,
non che convertirsi, più s'induravano, protestavansi innocenti,
spiravano cantando lodi al Signore, colla speranza di presto
congiungersi nel suo abbraccio. In Lombardia serbarono memoria d'una
fanciulla, di cui la bellezza e l'età mettevano in tutti compassione e
desiderio di salvarla. Perciò vollero assistesse, mentre padre, madre,
fratelli venivano consunti dalle fiamme, sperando si sarebbe pel terrore
convertita: ma no; poi ch'ebbe durato alquanto lo spettacolo, si
svincola dalle braccia de' suoi manigoldi, e corre a precipitarsi nelle
fiamme, e confondere l'ultimo suo coll'anelito de' parenti.
Questo ci è raccontato dal cremonese Moneta, il quale era patarino, e
sentendo predicare in Bologna Reginaldo d'Orleans, si ravvide, ed
entrato nell'Ordine prima della morte di san Domenico e fatto
inquisitore della fede a Milano il 1220, _tamquam leo rugiens_ si
scagliò contro le eresie, e scrisse una _Summa theologica_[88] contro i
Catari e Valdesi, che dice nati a' suoi giorni.
Oltre scassinare i dogmi inerenti all'unità del sacerdozio per
costituire società religiose speciali, gli eretici facevano guerra
accannita alla Chiesa esterna, e pur troppo trovavano appiglio nello
scompigliato vivere del clero, di cui e amici e avversarj si accordano
ad attestare la depravazione.
Agli errori la Chiesa oppose da principio i rimedj che a lei convengono;
riformare i suoi, ammonire o scomunicare i dissenzienti, crescere
devozione alle cose che da quelli erano conculcate. La compagnia de'
Laudesi, che s'univano per cantar pie canzoni, dalla Toscana erasi
propagata nella Lombardia. Giovanni da Schio, il famoso paciere,
instituì il saluto del _Sia lodato Gesù Cristo_. La venerazione verso il
Sacramento fu cresciuta da miracoli che allora si narrarono: Urbano IV
estese a tutta la Chiesa la festa del _Corpus Domini_, e Tommaso
d'Aquino ne compose la magnifica uffiziatura.
A Maria poi si tributò l'entusiasmo, col quale i cavalieri veneravano le
donne loro, e il dogma dell'immacolata sua concezione fu sostenuto
fervorosamente dai Francescani; ad onore di lei si formò un salterio,
sulla foggia del davidico; di lei parlarono san Pier Damiani, san
Bernardo, san Bonaventura, con un ardore che rimembra quel dello sposo
de' cantici; e fu una gara di circondarla colla poesia del perdono e con
fiori di tenerezza. L'_Ave Maria_ si rese generale verso il 1240[89].
San Domenico introdusse, o piuttosto propagò il rosario; divozione cui
fu poi connessa la ricordanza della vittoria di Lèpanto (1573), quella
in cui fu decisa la superiorità dei Cristiani sopra i Turchi, nell'ora
appunto che in tutto l'orbe cattolico recitavasi quella semplice formola
di saluto, di congratulazione, di condoglianza, di preghiera. Maria
ispira le opere d'arte d'allora: il suo scapolare, propagato dai monaci
del Carmelo, orna il petto di tutti come una divisa di combattenti
contro le passioni; ai tre ordini del Carmelo, dei Serviti, della
Mercede sotto gli auspizj di lei, quello s'aggiunge dei Gaudenti, da
Linguadoca passati in Italia, ove singolarmente si resero memorabili, e
che continuavano a vivere nel mondo e nel matrimonio, «solo imposto
(come scrive frà Guittone) odiare e fuggire il vizio, desiare e seguir
la virtù, ed alcuna soave, soavissima regola, data in segno d'onestà, in
remissione d'ogni peccato, ed in premio d'eterna vita».
Contro le eresie la Chiesa drizzò pure la santità e lo zelo dei frati.
Questi, anche fra i disordini correnti, aveano sempre mantenuto fervore
più operoso e rigidezza più esemplare. Di nuovi ne furono in quel tempo
istituiti; gli austeri Certosini, i mistici Carmelitani, i pietosi
Trinitarj del riscatto; gli operosi Cistercensi, opera di san Bernardo,
introdussero o migliorarono la coltivazione in luoghi malsani; gli
Umiliati arricchironsi coll'industria dei panni; aggiungansi i Servi di
Maria in Toscana, i Silvestrini di Monte Fano nelle Marche, ed altre
società, le quali eccitano le lepidezze e la compassione di un secolo e
di giornali, che ammirano Federico II, Manfredi, Salinguerra, gli
Estensi, i Da Camino ed altri ammazza uomini.
E già in tanti rami erasi esteso il viver monastico secondo la varietà
degli intenti e dei mezzi, che Innocenzo III decretò non se ne
introducessero altri; eppure sotto di lui nacquero due Ordini
efficacissimi. In visione parvegli la basilica di San Giovanni Laterano
crollasse, e la sorreggessero due persone, allora a lui ignote, e in cui
poi riconobbe Francesco e Domenico. Il figlio di un agiato negoziante
d'Assisi, condotto in Francia da suo padre, s'addestrò sì bene in quella
lingua, che ne trasse il sopranome di Francesco. Balioso, vivace,
compagnone, poeta, a venticinque anni sentesi chiamato da Dio, e
rinunziato a tutto, fin alla famiglia, fa adottarsi da un pitocco, e non
serbando che una tunica col cappuccio e una corda a cintura, nel mondo
inebriato di ricchezze e di piaceri, esce a predicare la povertà; la
pace nel mondo dell'ira, delle superbie, delle guerre; e con undici
compagni si sottomette a così rigorosa abnegazione, da non considerare
suo nè l'abito tampoco e i libri. Così fonda l'ordine de' _Frati
Minori_, e il suo statuto comincia: «La regola de' Frati Minori è
d'osservare il vangelo, vivendo in obbedienza senza nulla di proprio, e
in castità». Chi v'entrasse dovea vendere ogni aver suo a profitto de'
poveri, e subire un anno di pruove rigorose, prima di proferire i voti.
Tutti essendo _frati minori_, gareggiavano d'umiltà, e lavavansi i piedi
uno all'altro; i superiori chiamavansi servi; chi sa un mestiere può
esercitarlo per guadagnare il vitto; chi no, vada alla busca, ma non di
denaro. Neppur l'Ordine può possedere di là dal puro necessario.
Prendano in ispecial cura gli esuli, i mendicanti, i lebbrosi. Chi
malato s'impazienta o sollecita medicine, è indegno del titolo di frate,
perchè mostra maggior cura del corpo che dell'anima. Non vedano femmine,
e a queste predichino sempre la penitenza: che se alcuno pecca in esse,
venga tosto espulso. In viaggio, null'altro che l'abito, nè tampoco il
bastone; e se diano ne' ladri, si lascino spogliare. Non predichi chi
non vi sia autorizzato; e prometta insegnare la dottrina della Chiesa
senza formole di scienza profana, senza ambire suffragi. Un generale
eletto da tutti i membri risiede a Roma, assistito da un consiglio, e da
esso dipendono i provinciali e i priori. Ai capitoli generali prendono
parte i capi di ciascuna provincia, i priori e i deputati dei monaci di
ciascun convento. Ogni comunità tiene capitolo una volta l'anno: i
superiori d'Italia si congregano ogni anno, e ogni tre quelli di là
dall'Alpe e dal mare.
Allorquando Francesco si presentò al papa chiedendo riconoscesse il suo
Ordine, cioè gli concedesse di pregare e mendicare e non posseder nulla,
Innocenzo III esitava, parendogli che questi propositi trascendessero le
forze umane; infine approvò solennemente questi Mendicanti (1215).
Membri d'una repubblica che avea per sede il mondo, per cittadino
chiunque ne adottava le rigide virtù: scalzi, col vestire dei poveri
d'allora, coll'idioma dei vulghi, diffondeansi per tutto. Avendo per
unica retorica una fede inconcussa e universale, e accettando tutto ciò
che servisse all'edificazione, andavano a diffondere la pace, e spandere
la rugiada della Grazia sovra le moltitudini, in prediche incolte, ma
animatissime, e dirette a un uditorio che non vi portava la critica, ma
la convinzione; al popolo parlando come esso vuol gli si parli, con
forza, con drammatica, fino con vulgarità, destando al pianto e al riso
col ridere e piangere essi medesimi; affrontando e provocando sia i
tormenti sia le beffe. Egli stesso, il santo fondatore, se mai talvolta
rompesse il digiuno, volea lo strascinassero per le vie, battendolo, e
gridando al ghiottone. A Natale predicava in una vera stalla, e nel
pronunziare _Betlemme_ belava come un pecorino; e nel nominare Gesù
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