Gli eretici d'Italia, vol. I - 13

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suspicione notabiles, nisi juxta considerationem suspicionis,
qualitatemque personæ, propriam innocentiam congrua purgatione
monstraverint, anathematis gladio feriantur, et usque ad satisfactionem
condignam ab omnibus evitentur; ita quod, si per annum in
excommunicatione perstiterint, tunc velut hæretici condemnentur. Item
proclamationes, aut appellationes hujusmodi personarum minime audiantur.
Item judices, advocati et notarii, nulli eorum officium suum impendant,
alioquin eodem officio perpetuo sint privati. Item Clerici non exibeant
hujusmodi pestilentibus ecclesiastica sacramenta: nec eleemosynas, aut
oblationes eorum recipiant: similiter Hospitalarii, aut Templarii, aut
quilibet regulares; alioquin suo priventur officio, ad quod nunquam
restituantur absque indulto Sedis Apostolicæ speciali. Item quicumque
tales præsumpserint ecclesiasticæ tradere sepulturæ, usque ad
satisfactionem idoneam excommunicationis sententiæ se noverint
subjacere, nec absolutionis beneficium mereantur, nisi propriis manibus
publice extumulent, et projiciant hujusmodi corpora damnatorum, et locus
ille perpetuo careat sepultura. Item firmiter inhibemus, ne cuiquam
laicæ personæ liceat publice vel privatim de fide catholica disputare:
qui vero contra fecerit, excommunicationis laqueo innodetur. Item si
quis hæreticos sciverit, vel aliquos occulta conventicula celebrantes,
seu a communi conversatione fidelium vita et moribus dissidentes, eos
studeat indicare confessori suo, vel alii, quem credat ad prælati sui et
inquisitorum hæreticæ pravitatis notitiam pervenire: alioquin
excommunicationis sententia percellatur. Hæretici autem, et
receptatores, defensores et fautores eorum, ipsorumque filii usque ad
secundam generationem, ad nullum ecclesiasticum beneficium, seu officium
admittantur; quod si secus actum fuerit, decernimus irritum et inane.
Nos enim prædictos ex nunc privamus beneficiis acquisitis, volentes ut
tales et habitis perpetuo careant, et ad alia similia nequaquam in
posterum admittantur. Illorum autem filiorum emancipationem hujusmodi,
ad invium superstitionis hæreticæ, a via declinasse constiterit
veritatis.
Datum Viterbii, pontificatus nostri anno IX_.
[114] RAYNALDI, ad 1231. — CORIO, _Storia di Milano_, part. II, f. 72.
[115] Per _ussit_: è in piazza de' Mercanti. Ma Galvano Flamma, frate e
cronista di retto senso, dice: _In marmore super equum residens sculptus
fuit, quod magnum vituperium fuit_. Il Frisi, nelle _Memorie di Monza_,
vol. II, 101, reca gli statuti dell'arcivescovo Leon da Perego e
dell'arciprete di Monza contro gli eretici.
[116] Documenti diplomatici degli Archivj milanesi.
[117] _Quia in civitate Brixiæ, quasi quodam hæreticorum domicilio, ipsi
hæretici et eorum fautores nuper in tantam vesaniam proruperunt, ut
armatis turribus contra catholicos, non solum ecclesias quasdam
destruxerint incendiis et ruinis, verum etiam, jactatis facibus
ardentibus ex eisdem, ore blasphemo latrare præsumserint quod
excommunicabant romanam ecclesiam et sequentes doctrinam ejusdem;
volumus et mandamus ut turris dominorum de Gambara, et turris Ugonum,
turris quoque Orianorum, et turris filiorum quondam Botatii, de quibus
specialius et vehementius ad insanias hujusmodi est processum, diruantur
omnino, et usque ad terræ pulverem detrahantur; non reædificandæ de
cætero absque Sedis Apostolicæ licentia speciali, sed in acervos lapidum
ad memoriam et testimonium pœnæ tantæ vesaniæ tantique criminis
permansuræ: atque in eadem damnatione sint turres quæ sunt ob causam
hujusmodi jam destructæ. Aliæ vero turres, quarum domini, etsi ad tanti
furoris rabiem non processerint, eas tamen contra catholicos munierunt,
usque ad tertiam partem, vel usque ad mediam, pensatis excessuum
quantitatibus, diruantur, nec eleventur de cætero, nisi, etc. Nullus
autem eorum qui nominatim excommunicati sunt hac de causa, sive sint
hæretici, sive ipsorum fautores, absolutionis beneficium assequatur,
nisi personaliter ad apostolorum sedem accesserit, excepto mortis
articulo, etc_. HONOR., lib. IX, ep. 146.
[118] RICARDI S. GERMANI _Chron. ad ann. 1232_.
[119] Ap. MATTIA PARIS _ad 1243_.
[120] _Venientes Pratum, pro facto D. Imperatoris, bona Paterinorum et
Paterinarum ibi morantium fecimus publicari, et domos eorum fecimus
subverti et destrui, ponentes firmum bandum et mandatum ex parte D.
Imperatoris, quicumque pratensium vel de districtu aliquid Paterinorum
vel Pater Plinarum in domo sua receperit, consilium vel auxilium in
verbo vel in facto eis dederit, et si potuerit eum capere et non
ceperit, et si nuntio D. Imperatoris in hac parte aliquo modo
contradixerit, vel et pro posse non obediverit, condemnamus eum in
centum libras pisanorum, etc_.
[121] P. DOMENICO MARIA SANDRINI, _Vita di frà R. Calcagni_, ms.
[122] Convien dire che le carte del Sant'Uffizio siano andate nel
vescovado o a Roma, perocchè l'archivio di Stato contiene soltanto poche
tra quelle che furono di Santa Maria Novella e di Santa Croce. Di Santa
Maria Novella, del 1245 ve n'ha diciannove, dove varj Consolati
confessano avere a bella posta disturbato le prediche de' frati:
esistono pure le sentenze contro Pace e Barone, pronunziate in piazza di
Santa Maria Novella, e fra i testimonj incontrasi Pietro da Verona.
[123] A Forlì si venera il beato Marcolino, che pretendesi sia stato
l'uccisore di Pietro da Verona, e che dappoi si convertì. Pochi anni
dopo, frà Tommaso domenicano, facendone il panegirico, disse che san
Francesco avea ricevuto le stimmate da Dio morto; ma san Pietro da Dio
vivo. Tal proposizione mise in subbuglio i Francescani contro i
Domenicani, e fu riprovata da papa Nicolò IV.
[124] _Chronicon Parmense_, nei _Rerum It. Scriptores_ IX.
[125] Esistono nella Biblioteca Ambrosiana, e il Puricelli ne formò una
dissertazione, che mai non fu pubblicata.
[126] Vedi P. GIOVANNI MARIA CANEPANO domenicano, _Scudo inespugnabile
de' cavalieri di Santa Fede_.


DISCORSO VI.
MISTICI. L'EVANGELIO ETERNO.

Mentre costoro traviavano per abuso della ragione, e alla rivelazione e
all'autorità opponeano la negativa e l'indagine, altri erravano per
abuso del sentimento, col che accenniamo alle sètte mistiche e
comuniste. Il misticismo, cioè l'apprezzar la natura delle cose divine e
dei loro rapporti colle umane piuttosto secondo il sentimento che
secondo la ragione, fino a presumere di mettersi in diretta relazione
col mondo soprasensibile, senza tener conto della materia e dei mezzi
ordinarj di conoscere, deriva da uno degli elementi della natura umana,
la fede; che non trovandosi soddisfatta da argomenti, maledice e tenta
annichilare il corpo e il pensiero, per cercare riposo nella
contemplazione delle cose superne; stornasi dalla terra, ch'è nostro
asilo d'un giorno, per attendere la morte, svolgendo intanto le pagine
del libro de' cieli.
Di siffatte aspirazioni è nido e sede l'Oriente, e massime l'India, ove
Dio è il riposo, mentre per noi è l'attività (_actus purissimus_); è un
principio, sovrastante agli esseri che governa con azione continua; idea
conforme agli istinti d'una gente, ove la volontà dirige perfino
l'intelligenza.
Il cristianesimo che diede il concetto del Dio personale, e nel culto
sostituì le idee alle passioni e ai loro emblemi fisici, non restò però
sempre immune dagli eccessi del misticismo, e la religione di Budda
v'influì forse ne' suoi primordj, e viepiù nelle crociate, in tempo
delle quali sorgono e i Templari e san Francesco[127], nel quale si
riscontrano tante somiglianze coi pii solitarj dell'India, nobilitate è
vero da un amore disinteressato e operoso.
E mistici ebbe in ogni tempo il cattolicismo, ma all'età appunto delle
crociate si segnalò sopra tutti Gioachimo da Cosenza in Calabria.
Educato alla corte di Ruggero duca di Puglia, pellegrinato in
Terrasanta, ivi passò un'intera quaresima fra gli anacoreti del Monte
Tabor, con fervorosissima pietà. Rimpatriato (1183), si vestì
cistercense nel monastero di Corazzo, poi ottenne dispensa dall'uffizio
per poter darsi tutto alla meditazione della Bibbia, e ad istanza dei
papi scrisse varie opere teologiche. Aspirando a maggior rigore di vita,
a Flora, fra l'Albula e il Neto nei recessi della Sila, fondò una
celebre badia, alla quale diede una regola più austera, approvata da
Celestino IV, ed estesa a molti conventi. Udendo da lontano le vicende
del mondo, intendendole e spiegandole a suo modo e coll'esaltazione
causata dal digiuno e dalle discipline, esponeva concetti profetici nel
tono dell'Apocalissi, i quali erano raccolti dal monaco Ranieri, unico
suo compagno, e in forma di salmi erano mandati pel mondo, accolti
coll'avidità, onde ne' momenti critici si aspira a prevedere una
decisione[128]. Per queste profezie, che san Tommaso comprendea derivar
piuttosto da acuto discernimento che da lume soprannaturale, fu venerato
e creduto; Riccardo Cuor di leone, movendo per la crociata, andò a
consultarlo; Costanza imperatrice volle confessarsi da lui; persin
Federico II colmò di beni la sua badia, dove visse sino al 1201. Fu
censurato dal concilio lateranese del 1215 per alcune opinioni sulla
Trinità in opposizione a Pietro Lombardo[129], ma egli avea chiesto un
esame di tutti i suoi scritti, e dichiarò ritrattare quanto se ne
disapprovasse.
E molti sono questi scritti: la _Concordia del nuovo coll'antico
Testamento_; _sulla Sibilla Eritrea e sul profeta Merlino_; il _Salterio
delle dieci corde_, o _commento a Geremia, Isaia ed altri profeti_.
Carattere di questi lavori era la giustificazione non solo, ma la
glorificazione della vita monastica, alla quale dava il sembiante d'una
rinnovazione sociale, preordinata dalla Providenza. E diceva: «Iddio
divise il mondo in tre epoche successive; nella prima, il Padre opera
per mezzo de' patriarchi e profeti; nella seconda, il Figlio opera per
mezzo degli apostoli e discepoli; nella terza, lo Spirito Santo opererà
per mezzo dei frati».
Era naturale che que' libri fossero accolti passionatamente dai
Minoriti; ricopiati, interpretati, esagerati, discuteansi in pubblico;
ebbero apostoli di grido, come Ugo di Montpellier, Rodolfo di Sassonia,
e si giunse a dichiarare che il Nuovo Testamento non avea condotto alla
perfezione; che Gesù Cristo non era imitabile quando fuggì o si nascose,
quando bevve vino e mangiò carni, quando possedette denaro; primo dovere
dell'uomo spirituale essere la povertà volontaria.
Ciò veniva a condannare i possessi ecclesiastici, dal che facilmente si
passava ad abolire la gerarchia e le funzioni sacerdotali. Monaci non
ascritti ad alcun ordine, vagavano per Italia predicando l'umiltà e la
povertà, come fossero sufficienti a costituir l'uomo in una santità,
quale basta per conferire i sacramenti, e sciogliere e legare.
Sebbene l'abate Gioachimo non avesse prefisso tempo all'adempimento
delle sue profezie, da' suoi testi, stiracchiati ad applicazioni
attuali, si dedusse che il 1260 sarebbe predestinato pel nuovo regno di
Dio; Federico II morrebbe; l'anticristo comparirebbe, immediato
predecessore della nuova epoca religiosa. Federico anticipò di dieci
anni la morte, ma l'inadempimento delle profezie non basta a
disingannare; più tardi esse servirono ai necromanti, e alcune corrono
finora, credute da coloro che ne aspettano l'adempimento. Gioachimo, chi
lo fa santo, e «di spirito profetico dotato», chi impostore, chi
mentecatto; ma dee figurare nella storia come capo del misticismo, sceso
poi a Giovanni da Parma, a Gerardo da san Donnino, a Ubertino da Casale,
a frà Dolcino, e ai mistici tedeschi.
A questa scuola molti Francescani furono tratti dal disprezzo delle cose
terrene e dall'amor delle soprasensibili, ch'appariva tanto pronunziato
nel loro fondatore. La regola del quale imponeva tali austerità, che
alcuni la sentenziarono d'impossibile e micidiale. Guglielmo di
Sant'Amore e Sigerio, dottissimi scolastici di Parigi, scrissero e
sporsero a papa Clemente IV un libello contro la povertà dei Mendicanti;
ed egli lo trasmise al maestro Giovanni da Vercelli perchè, ponderatolo,
vi facesse rispondere da Tommaso d'Aquino. Dalla confutazione di questo
appare che ai frati già s'imputavano le colpe che più tardi: colpe che
costituivano il merito loro in faccia al popolo; come il vestir
grossolano, le opere di carità, il predicar vulgare, lo stretto accordo
dei membri fra loro, l'opporsi ai settarj e sostenere il proprio Ordine;
oltre che all'intero Ordine s'attribuivano i difetti di qualcuno.
Dappoi papa Nicolò III, che personalmente aveva conosciuto san
Francesco, e da cui eragli stata vaticinata la tiara, credette dovere
spiegare che i frati Minori erano tenuti osservare il vangelo, vivendo
in obbedienza, in castità, in povertà: lo spossessamento totale per Dio
esser meritorio; averlo Cristo insegnato colla parola, confermato
coll'esempio, e gli apostoli ridotto in pratica: ciò facendo, i
Francescani non rendeansi suicidi, nè tentavano Dio, giacchè, pur
confidando nella Providenza, non ripudiavano i mezzi suggeriti dalla
prudenza umana[130].
Alla pontifizia decisione si chetarono gli avversarj, ma tra i Minoriti
alcuni ne trassero motivo d'un misticismo fanatico, da una parte
asserendo che la regola di san Francesco fosse il vero vangelo,
dall'altra che la spropriazione doveva essere così totale, che fin delle
cose necessarie alla vita non avessero che il mero uso.
Pier Giovanni d'Oliva, di Serignan in Linguadoca, fatto francescano a 12
anni, predicò siffatta dottrina, per disapprovare le condiscendenze di
frà Matteo d'Aquasparta, generale de' Francescani, che aveali lasciati
rilassare, e per raffaccio alla Chiesa, ricca e mondana, cui i Minoriti
erano destinati a rigenerare[131]. Gli avversarj lo tacciarono d'esser,
nel suo zelo, trascorso in eresie: di che il Wadding, annalista dei
Minori, vuol purgarlo: ma Giovanni XXII condannò come pregne d'eresie le
sue chiose all'Apocalisse, scritte verso il 1278. Pure ottenne
venerazione come santo da molti proseliti, che professavano poter l'uomo
giungere a tale perfezione da ridursi impeccabile, e conseguire la
beatitudine in questa vita come nell'eterna.
Federico II, sempre malvolto alla Santa Sede, accolse i costui seguaci
perseguitati, che in Sicilia presero a capo Enrico di Ceva, professando
sempre che la Chiesa era divenuta una sinagoga, lupo il suo pastore, e
sovrastare una riforma.
Tra i dibattimenti avendo alcuno asserito che Gesù Cristo nè i suoi
apostoli, via di perfezione seguitando, nulla aveano in proprietà, la
proposizione fu rejetta dai Domenicani e da altri, e invece sostenuta
dai Francescani, e nominatamente in un capitolo generale a Perugia. E
poichè la costoro regola diceasi vera applicazione del vangelo, tornava
sott'altra apparenza il medesimo concetto dell'assoluta spropriazione.
Non era che un eccesso d'ascetismo, ma gli avversarj ne profittavano per
impugnare i possessi della Chiesa; onde la proposizione fu condannata da
papa Nicola IV. I Minori spedirono frà Bonagrazia di Bergamo per
dimostrarla al papa, con lettera di frà Michelino da Cesena, maestro
generale dell'Ordine, e si ostinarono nella loro opinione anche dopo che
il papa proferì contro di essi. Michele, chiamato ad Avignone, ove
allora il papa risedeva, esitò ad andarvi, poi subito ne fuggì, e
apostatando ricovrossi all'imperatore. Questi era Lodovico il Bavaro,
che era venuto in rotta con papa Giovanni XXII perchè negava
riconoscerlo, e dichiarava l'Italia sottratta dall'imperiale
giurisdizione, in modo che non potesse essere incorporata nè infeudata
all'impero (1324). A vicenda l'imperatore proferiva scaduto il
pontefice, chiamandolo con titoli ingiuriosissimi, e invitando giuristi
e teologi a scatenarsi contro la Corte pontifizia. I frati Minori
restarono dunque avversissimi alla facoltà teologica di Parigi e al
papa, che in un capitolo tenuto a Perugia il 1322 dichiararono eretico.
Frà Michelino contro il papa scrisse libercoli, e commentò beffardamente
le bolle di esso in un libro, che poi, per divulgarlo, compendiò ad
istanza di Lodovico il Bavaro, dove sosteneva potersi, anche senza
decisione del Concilio, dichiarare il papa scaduto ed eretico. Fu egli
scomunicato da' suoi frati e dal papa: ma colla protezione imperiale,
alcuni suoi seguaci erano penetrati in Firenze, e vi teneano segrete
adunanze notturne: onde si fece uno statuto contro quella «pessima
generazione che volea condire la falsa dottrina col mele di nomi in
apparenza favorevoli e religiosi, per ingannare meglio i semplici»[132].
Il famoso pittore Giotto scrisse contro di loro una canzone, che
comincia,
Molti son già che lodan povertade;
Guido Cavalcanti, filosofo e poeta, amico di Dante, ne toccò in una
canzone, dicendo:
O povertà, come tu sei un manto
D'ira, d'invidia e di cosa diversa!
e Antonio Pucci, in due sonetti ne punse l'ipocrisia:
Vera cosa è che non toccan denari,
E 'nsaccherebber con le cinque dita.
Non mangian carne
Sopra il taglier, perchè non sia veduta,
Se fosse in torta o in tondo battuta,
Sicuramente allor posson mangiarne;
e il beato Giovanni da Catignano scriveva a Guido di Neri fiorentino:
«Altro non dico ora se non che ti guardi da questi membri d'anticristo,
cioè questi Fraticelli eretici, i quali già molta gente hanno ingannata
e ingannano tuttodì».
A papa Celestino V, che inclinava al viver cenobitico, mandarono
Liberato e Pietro da Macerata, chiedendogli licenza di vivere con tutto
il rigore e dove volessero senza contraddizione, ed esso gli autorizzò a
costituirsi in nuova congregazione, detta degli Eremiti Celestini. Poi
riconosciuti per esagerati, presero abito e capi particolari, quali
Pietro da Macerata e Pietro da Fossombrone, cui s'unì il rifiuto di
tutti i conventi: e massime per la diocesi di Pisa e tra i monti del
Vecchiano e di Calci, seguivano vita rigorosissima, alla Chiesa
visibile, ricca, carnale, peccaminosa, contrapponendone una frugale,
povera, virtuosa; e dicendo che neppure il papa potrebbe concedere ai
Francescani di possedere granajo e cantina[133]. Seguirono quelle
dottrine Corrado da Offida, Pietro da Monticolo, Tommaso da Treviso,
Corrado da Spoleto.
Tali quistioni insinuarono ne' Minoriti uno spirito di sottigliezza,
contrario all'intento tutto pratico del loro fondatore; e ne pullulavano
altre quistioni, a dir poco, oziose: se la regola astringesse sotto pena
di peccato mortale o soltanto veniale; se obbligasse ai consigli del
vangelo quanto ai precetti; se alle ammonizioni quanto ai comandi: dal
che facilmente si passò a sofisticare sul decalogo e sul vangelo; ed
oltre la disputa sempre accesa sull'immacolata concezione di Maria,
un'altra ne ebbero coi Domenicani, se il sangue di Cristo, uscito nella
passione, restasse non per tanto ipostaticamente unito al Verbo.
Il papa aveva concesso ai Francescani conventuali di possedere; ed ecco
i Fraticelli negano ch'esso abbia diritto di interpretare la regola di
san Francesco, e che il vero sacerdozio essi soli possedevano; ad essi
l'autorità di sciogliere e legare, e d'impor le mani per infondere lo
Spirito Santo; Dio solo doversi venerare; la preghiera esser più
efficace quando facciasi in assoluta nudità; condannavano il lavorar per
vivere, prendendo per fondamento la _libertà dello spirito_, diceano,
unito questo a Dio, non si può più peccare, come neppur crescere nelle
virtù: le quali massime conduceano al quietismo.
Tutti costoro e le Beghine, e i Beguardi o Bizzoccheri, e gli Zelanti, e
i Fanciulli del vangelo van compresi nella sètta dei Fraticelli della
povera vita, Frati spirituali, che ebbe per canone il Vangelo Eterno, e
considerava per suo istitutore l'abate di Flora Gioachimo. Si elessero
anche un papa, e non v'è scelleraggine che a costoro non trovisi
imputata. In fatto intaccavano i cardini della fede e della giustizia, e
sono una forma antica del comunismo, e il resistere e la superbia che
facilmente nasce dall'austerità eccessiva, li portarono a farsi
accanniti detrattori della Santa Sede. Sta nella Biblioteca Palatina di
Firenze un manoscritto senza titolo, opera d'un seguace de' Fraticelli,
certo posteriore a Giovanni XXII, dov'è esposta la costoro dottrina.
«Quella di che nell'articolo della fede si dice: _Io credo nella santa
Chiesa Cattolica_, nota bene che dice _santa_, a differenza di quella
che non vive santamente, anzi viziosamente. _Cattolica_ dice, a
differenza di quella che erra nella fede e buoni costumi. _Una_ dice, a
differenza della Chiesa de' malignanti ed eretici..... La fede innanzi a
tutte le altre cose si debbe cercare. Nella quale Chiesa, o Cristo ci è
abitatore o no. Se Cristo ci abita, quella debb'essere eletta per
abitazione: se non ci abita, o che il popolo fosse perfido ed iniquo,
ovvero che lo comandatore, cioè il prelato, fosse eretico, o che
deformasse o guastasse l'abitazione della Chiesa di Cristo, allora
debb'essere schifata, e come partecipazione di eretici, come sinagoga di
satanasso si debbe fuggire». E dopo rimproverato Giovanni XXII «falso
papa che aprì il pozzo dell'abisso di molte eresie», conchiude di
«cercare ed entrar nell'arca di Noè, cioè seguitare e cercare quelli
pochi di san Francesco, e la sua dottrina evangelica, a ciò che possiate
campare da siffatto diluvio di questi falsi religiosi, perseguitatori e
distruttori della vita evangelica». Potrebbe farsi un bel libro notando
gli errori sociali che, in ogni tempo e paese, si mescolarono agli
errori religiosi: il che darebbe il motivo di molte persecuzioni, che
realmente colpivano l'errore sociale, più che il dogmatico.
Papa Giovanni XXII condannò i Fraticelli, riflettendo che «Così va la
cosa, che primamente gonfiasi l'infelice animo per superbia; quindi,
nella disputa, dalla disputa nello scisma, dallo scisma nell'eresia,
dall'eresia nella bestemmia con infelice progresso, anzi precipizio si
cada». Per tal ragione egli attirossi le diatribe di molti scrittori,
che vollero sin farlo passare per eretico; e saviamente egli rifletteva
che «gran cosa è la povertà, più grande la castità, ma superiore
l'obbedienza[134]». Bonifazio VIII li combattè vigorosamente, e perchè
poco poi furono anche aboliti i Templari, giudicò taluno che ai papi
dessero ombra gli Ordini monastici che aspiravano a dominazione
spirituale o temporale. È però forza dire che Bonifazio favoriva i
Francescani; li sottrasse alla giurisdizione dei vescovi, per sottoporli
ai loro priori, i quali poteano giudicarne senza stare alle prescrizioni
del diritto, ma secondo le costituzioni dell'Ordine: e confermò la Bolla
_Mare Magnum_, in cui eransi compendiati tutti i loro privilegi, e diede
ad essi autorità di predicare dapertutto, anche senza permissione del
vescovo. Ciò poco piaceva a vescovi e parroci.
Quanto ai Fraticelli, proferitili eretici nella famosa bolla _Nuper ad
audientiam_, dichiarando che il papa ha autorità di sciogliere e legare,
li fece processare e perseguitare da frà Matteo di Chieti,
principalmente negli Abruzzi e nella Marca d'Ancona. Da ciò l'odio
mortale ch'essi posero a quel papa, e se alcuni limitaronsi a dirne
tutto quel male che poi la storia pedestre adottò e che fu immortalato
da Dante, altri passarono fino ad eleggere un altro papa: e cinque
Fraticelli sacerdoti e tredici Beghine elessero un Dedodicis, frate
provenzale, aizzando il popolo contro Bonifazio come eletto
illegalmente, attesochè l'abdicazione di papa Celestino non valeva. Essi
ricovrarono in un'isola dell'Arcipelago e in Grecia e in Sicilia,
cantando un inno che cominciava: _Godi o Chiesa meretrice_, aggregando a
sè chiunque tra i Francescani voleva mettersi a regola più austera; cari
al vulgo per l'aspetto di maggior perfezione, e avendo per generale il
mistico Ubertino da Casale, sotto cui si tenne un capitolo generale a
Genova nel 1310.
Gerardo Segarella, frate Minore di Parma, dedito alla contemplazione, e
fissando un quadro ov'erano rappresentati gli apostoli avvolti in
mantelli, cogli zoccoli e la barba, credette doverli imitare in quel
vestimento, e fin nel circoncidersi; faceasi fasciare come un bambino, e
adagiare in un presepio al modo di Cristo; dichiarava tutto dover essere
comune, anche le mogli; l'uomo non poter possedere nulla in proprio, non
far da magistrato; e che le anime salvate non godono la beatifica
visione di Dio prima del giudizio universale. Formò seguaci che si
dissero Apostolici; vendette quanto possedeva, e dalla ringhiera di
Parma gittò il denaro a una ciurmaglia che giocava; ed iva predicando,
da chi creduto santo, da chi sentina di vizj. Opisone vescovo il fe
cogliere (1280) e tener in prigione cortese nel vescovado, dove
impazzito o fintosi, divenne ludibrio del servidorame, poi sbandito, e
al fine richiamato e processato da frà Manfredi, fu arso il 18 luglio
1300.
Ermanno Pungilupo ferrarese, condannato più volte dagli inquisitori, si
ritrattò, e fu sepolto ecclesiasticamente, ma dopo trentun anno levato
di terra sacra, e dispersene le ossa, per ordine di Bonifazio VIII.
Frà Jacobone, de' Benedettini di Todi, valente nel diritto e nella
poesia, godea della fama e de' piaceri del mondo, quando in una festa
cadendo un palco, vi restò morta la dilettissima e bellissima moglie di
lui: e sul corpo le si trovò un aspro cilicio, ch'ella sotto alle
pompose vesti celava per ripararsi dai pericoli, cui la volontà del
mondano marito l'esponeva. Colpito da quella morte e da quella
penitenza, diedesi tutto a Dio, rinunziando ad ogni avere ed anche alla
gloria col fingersi imbecille e attirarsi gli scherni plebei, comparendo
seminudo, carpone, or colla cavezza a guisa di giumento, ora unto di
mele e voltolato tra piume a guisa d'uccello. Metteasi come servigiale
sulle piazze, ed uno avendogli dato de' polli da recar a _casa sua_, e'
va, e li getta nel sepolcro di lui, come vera casa. Una volta compra
interiora di capretto per farsene cibo, poi pentitosene, le appicca
all'uscio della sua cella, e ne fiuta il fetore, e quando gli altri
frati lo scoprono al puzzo, confessa la sua ghiottornia perchè lo
riprovino[135].
Passava dunque per pazzo; ma per esser accolto nei Francescani dimostrò
non esserlo con un bel trattato sul disprezzo del mondo; e scrisse prose
e versi di stile squisitamente plebeo, che sono de' primi dell'italiana
favella, sebbene lo zelo e il mistico vedere lo facessero talvolta
oscuro, talvolta irriverente. Tra le rozzezze sue è a cernire molto oro,
se qui ne fosse il luogo.
Chi Gesù vuol amare
Con noi venga a far festa,
Ed in quella foresta
Sì gli potrà parlare.
Chi vuol esser salvato
Da Gesù Salvadore,
Pianga con gran dolore
Ogni colpa e peccato,
Pianga con gran dolore
Ogni suo fallimento,
Il qual egli ha commesso:
E con contrito core
Chiegga perdonamento,
Pentuto e ben confesso.
E con lacrime spesso
Dica: Signore mio,
Mercè t'addimand'io
Ch'io t'ho molto fallato.
Deh peccator, moveratti tu mai
A seguir me che ti ricomperai?
Io ti ricomperai del sangue mio
In sulla croce con crudel tormento....
A lui è dovuto lo _Stabat Mater_, prosa senza pari per profondità di
dolore, e che cantata popolarmente da tutte le plebi nostre per ormai
cinque secoli, fu vestita di numeri musicali dai maggiori maestri
moderni, Palestrina, Hayden, Gluck, Händel; Pergolesi lo puntò
nell'ultima sua malattia, Rossini dopo i più magnifici trionfi[136].
Mal rassegnandosi alla sentenza di Bonifazio VIII, ne parlò con ira:
compassionò i Colonnesi come perseguitati, e compose un cantico che
comincia: _Piange la Chiesa, piange e dolora_, e un altro: _O papa
Bonifazio, quant'hai giocato al mondo_.
Allora dunque ch'ebbe presa Palestrina, Bonifazio lo fece metter in
ferri a pane e acqua (1278), in fetido carcere, dove fe un cantico: _O
giubilo del core che fai cantar d'amore_; e dicono che, avendogli esso
papa domandato, «Quando uscirai di prigione?» rispondesse: «Quando
c'entrerai tu». Liberatone infatti alla cattura di Bonifazio, visse sino
al 1306. Venuto in fin di morte, i suoi fratelli, l'esortavano a
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