Gli eretici d'Italia, vol. I - 35

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divino: devono perdere il loro nido e i pulcini, e soffrire nei corpi e
nelle anime.» _Tischreden_, p. 292. Jena 1603.
[427] In modo differente argomentava il re d'Inghilterra Enrico VIII
contro Lutero: «Emilio Scauro, accusato da persona di niun conto al
popolo romano, rispondeva: Quiriti, Varo afferma ed io nego: a chi
crederete voi? E il popolo applause, e l'accusatore n'andò confuso.
Questo solo argomento opporrò io alla questione del potere delle chiavi.
Lutero dice che le parole d'istituzione s'applicano a' laici: Agostino
nega: a chi crederete? Lutero dice di sì: Beda di no: a chi crederete?
Lutero dice di sì, la Chiesa tutta levossi, e disse di no: a chi
crederete?»
Un'altra imitazione de' forestieri nel 1865 fu l'introduzione in Italia
de' Liberi Pensatori. Essi non appartengono agli eretici, perchè
ripudiano ogni religione positiva: pure, colla solita incoerenza,
impongono una fede. In fatto «Non ammettono altri veri che quelli
dimostrati dalla ragione, altra legge morale che quella sancita dalla
coscienza».
Qui è già supposto nell'uomo qualcosa d'innato, una morale naturale, una
coscienza anteriore e indipendente da ogni legge. Poi la ragione
potrebbe benissimo dimostrare che il cristianesimo o qualunque altra
religione è vera. Eppure i Liberi Pensatori soggiungono un dogma
esclusivo, che «considerano come negazione della coscienza e della
ragione umana le religioni dogmatiche e rivelate». Nè basta: come
conseguenza di questo loro dogmatismo impongono degli atti, con tanta
assolutezza con quanto lo farebbe il papa o il gran lama, volendo che i
loro associati professino di «vivere e morire fuori del seno di
qualsiasi Chiesa o credenza dogmatica, e di uniformare a questo morale
impegno tutti quegli atti che hanno rapporto alla nascita e morte de'
figli non ancora in istato di libero discernimento, ecc.».
L'intolleranza poi è spinta al segno di scomunicare quelli che, non solo
propaghino, ma _professino_ principj contrarj a quelli dalla società
affermati. Vi sarà pure un sant'Uffizio, perchè la scomunica verrà
proferita «da un giurì di nove socj, eletto nel seno della società». V'è
la sua propaganda: v'è la solidarietà: tutte insomma le forme della
servitù che rinfacciasi alla Chiesa costituita.
[428] Calvino commentando il capo VI di Daniele, dice: _Abdicant se
potestate terreni principes cum insurgunt contra Deum: indigni sunt qui
in numero hominum censeantur ideoque in capita potius eorum conspuere
oportet quam illis parere_.
[429] Melantone professava «doversi gli articoli di fede mutar sovente e
accomodarli ai tempi e alle circostanze». Infatto variò fin nelle
asserzioni più solenni, per esempio, intorno alla presenza reale. I
Luterani lo riprovarono, e in pieno sinodo (_Colloq. Altenburg_.)
dichiararono: Cambiando e ricambiando di continuo, apprestò armi ai
papisti, ridusse i fedeli a non conoscere più che cosa devono tenere per
vera dottrina. I suoi _Luoghi teologici_ son piuttosto a dire _Giuochi
teologici_.


DISCORSO XVII.
L'APOLOGIA CATTOLICA. CONSEGUENZE DELLA RIFORMA.

Continuando queste nostre escursioni, ci fermiamo un tratto per ripetere
che non intendiamo farne un soggetto o un'occasione di polemica; eppure
miriamo a combattere una grand'eresia de' giorni nostri, coll'ostinarci
alla storia, all'accertamento de' fatti: eresia intendiamo non tanto in
senso religioso, quanto nel senso che v'attaccavano i giureconsulti
delle età passate.
E in vero già lo Spinosa avea stabilito «Ciò che la mia ragione non
comprende, non può essere avvenuto»: i filosofi dell'età nostra si
spinsero più avanti dicendo: «Ciò che la mia ragione comprende come
possibile, deve essere». È la formola dell'uomo che crea tutto; è la
conseguenza della critica della ragion pura, dopo la quale tutta la
metafisica del panteismo piantasi sopra la teoria che tutto esiste
nell'uomo e per l'uomo, nella ragione e per la ragione.
Anche la storia dunque non sarà il racconto di quel che fu; bensì di
quel che la ragione riesce a trovare; e ne nasceranno quelle tante
mostruosità, che la superbia letteraria e la goffaggine governativa oggi
moltiplicano anche in Italia col titolo di filosofia della storia. La
indagine de' fatti, la verificazione, il confronto, son vecchiaggini;
ogni cosa si riduce a pretto empirismo, e l'empirismo è l'ultima
degradazione intellettuale.
La storia consiste dunque nell'affermare intrepidamente; non badando nè
alle tradizioni, nè ai libri, nè alle autorità, nè ai monumenti, nè al
senso comune. Enunciata un'idea, non si curi di provarla; basta
svilupparla, cioè offerirla sotto i più varj aspetti, come nel
caleidoscopio; tanto meglio quant'è più strana; se da un motto torrà
occasione ad abbattere una completa serie di avvenimenti; se con un
epigramma manderà in aria tutto un sistema: subordinare tutta la storia
alle leggi dell'automa umano s'intitola filosofia; come l'astrologia
dell'astronomia, così le religioni non sono che le precorritrici della
fisica, della quale è una continuazione l'ideologia.
Per verità da noi gli studj sono oggi così trascurati, che anche questi
delirj non ebbero che qualche meschino divulgatore, e non conseguirono
effetti durevoli neppure nell'opera del più applaudito fra' loro
predicatori. Ma intanto le menti leggiere si lasciano affascinare da
frasi, quanto più sono vaghe nel fondo ed assolute nella forma, e da
libri ove la storia deve assumere il dogmatismo e la leggerezza d'un
romanzo, e che studiata così, può appoggiare una teoria, non mai
raggiungere il vero.
Per esempio, ci diranno: È indubitabile che per sola espansione naturale
e spontanea delle sue facoltà, l'uomo un bel giorno improvvisò il
linguaggio: — L'opinione che la Genesi sia opera di Mosè è al disotto
d'ogni critica, nè noi dobbiamo discuterla: — Sono tre secoli che i
pensatori tengono che il tutto è Dio, o che da Dio emana il tutto e a
lui ritorna: — Il monoteismo non è idea propria che della stirpe
semitica: — Le nazioni latine mancano di senso morale e d'ogni
iniziativa religiosa: — La persecuzione è la prima delle voluttà
religiose; e la coscienza cristiana lo comprese inventando quelle
ammirabili legende, ove tante conversioni si operano per l'allettamento
del supplizio: — Un pendio insensibile condusse dal paganesimo al
cristianesimo, e la fede popolare salvò nel naufragio i simboli suoi più
familiari: — Tutti i critici della detta Germania ammettono che i
vangeli sono posteriori di almeno centrent'anni a Gesù Cristo, e sarebbe
un ignorante chi credesse fossero conosciuti nel primo secolo: — Non v'è
più chi dubiti che la dottrina di Cristo fu propagata arcanamente.....
Una volta libravansi gli attributi divini; i metafisici s'appigliavano
all'ontologia; i teologi alla Scrittura; i poeti alle armonie del
creato. Oggi la storia universale, che discute le origini e i progressi
della società, hassi per un quinto vangelo, mentre i razionalisti
ampliano i diritti e i limiti della ragione. Oggi la critica salta in
mezzo colle civilità comparate, e colla superiorità di quelle ove
esistono le credenze; e su queste posa il diritto, che altrove è
sottoposto al successo e nelle coscienze all'utile. In conseguenza si
confonde il soprannaturale col sopra intelligibile. Comprendere quello
non possiamo, ma non perciò esso supera l'intelligenza. Dio è
sovranamente intelligibile perchè sovranamente intelligente e base
dell'intelligenza nostra, eppure trascende questa nell'essenza sua: ma
ciò che in lui non comprendiamo non si discerne da ciò che comprendiamo.
Altrettanto è nelle opere sue. Il soprintelligibile non è
necessariamente sopranaturale, giacchè l'intelligenza nostra non è
adequata a tutta la natura.
Oggi poi il lato storico di Dio e del suo Cristo è divenuto il
principale studio della scuola teologica, e vedemmo di qual passo
procedano i filosofi odierni della storia: l'asserire costa sì poco!
Guai se il buon senso arresta queste indubitabilità, e dal vago
dogmatismo richiama alla discussione! La taccia d'ignorante, di
superstizioso è pronta: meravigliansi che costui non sappia che da non
più di cinquant'anni esiste la vera storia: che solo a pochi genj è dato
interpretare i documenti originali; genj abituati a svolgere l'eterno
controsenso, che è il fondo della storia. Che se all'avversario non
possono negare il merito d'erudito, gli rinfacciano che il troppo sapere
è un ostacolo al creare; che ben si assimila soltanto ciò che si sa a
mezzo; che le dottrine non si combinano se non coll'indovinare: gli
diranno che, immerso nel passato, ignora l'ultimo stato della scienza,
la _neue philosophie_, la quale ha diritto di sbeffeggiare tutte le
precedenti, finchè domani non venga una _neuste philosophie_ a
sbeffeggiare lei a vicenda.
E il vulgo, che prima sbigottiva davanti a quelle demolitrici
asserzioni, s'abitua ad accettarle, rinnega la propria ragione per
siffatte intrepide autorità. Così viensi a ridere del miracolo, non si
cerca se quella che ci danno è la storia dei fatti, o la storia della
mente dell'autore; se questi, invece dell'umanità, non ha davanti Carlo
o Giuseppe, e principalmente se stesso. In tempi dove nelle scuole più
non s'insegna su di che si fondi la certezza, e quanta autorità abbiano
i testimonj, e come si fili un raziocinio o si distrighi un sofisma e un
paradosso, e a tener conto del senso comune, e valutare quella sincerità
evangelica, che impone di dire sì al sì, e no al no, troppo è facile
ottengano corso le più assurde temerità dell'orgoglio umano.
Tutto opposto è il procedimento evangelico; e perciò gli apologisti
dovettero sempre usare la stessa arte, da Eusebio fino al Ghiringhello e
al Perrone; fedeli alla sana critica, cercando le testimonianze
storiche, chiarendo i fatti, accettando i soprannaturali che sorpassano
l'intelligenza umana _quoad modum, non quoad existentiam suam et per
divinam virtutem_; quanto cioè al modo con cui avvennero, non quanto
all'avvenimento stesso: citando in prima i testimonj de' fatti, dappoi
quelli che gli udirono dai testimonj, indi la storia; e l'esegesi
adoprando severamente a mostrare con ingegnosi ravvicinamenti l'assoluta
conformità dei vangeli colla storia, colle arti, coi monumenti.
Alle nostre ragioni, costoro dicono «Ma fate sempre le stesse risposte».
Sì, poichè le stesse sono le objezioni, cioè il prodotto d'un orgoglio
che non vuole accettare ciò che non intende. Dov'è a notare che i primi
avversarj del cristianesimo non negavano gli atti, e tanto meno
l'esistenza del Cristo, bensì quelli attribuivano a magia, a illusioni;
e gli apologisti confutano questa supposizione pagana, non mai l'ipotesi
mitica, che da nessuno era stata messa innanzi; e che il secolo nostro
doveva attendere da qualche tedesco o francese, discosto XVIII secoli da
que' casi.
Ma l'apologia cattolica a' giorni del luteranesimo, non procedeva così
maestosa, essendosi, come Dante si lamenta, derelitti l'evangelio e i
dottori magni, e più ai decretali studiandosi. Baldanzosi nei diritti
della ragione individuale, i predicanti dicevano al popolo: «Iddio ha
parlato: qual bisogno che altri venga a spiegarvi quel ch'egli disse?
Non è egli infallibile? Non vi diede il suo libro? e lume
dell'intelletto per comprenderlo? I Cattolici fecero alla legge di
Cristo quel che i Farisei aveano fatto alla giudaica, vi sostituirono le
loro opinioni; levarono l'autorità alla parola divina per attribuirla
all'uomo; il vaso conservò il nome, ma n'è svanito il profumo; il tempio
di Dio fu convertito in bottega e in tana di ladroni. Sfogliate il
Vangelo: dove trovate che comandi il celibato de' preti? o il digiuno, o
la confessione auricolare? Una fede inculcata senza l'assenso della
ragione, degenera presto in superstizione: la facilità dell'indulgenza e
dell'assoluzione affida al peccare».
Di rimpatto, sbigottiti fino di quell'esame, il cui bisogno eleva e
ingrandisce l'anima, ma che può inebriare nell'orgoglio del senso
individuale, i pii cattolici inculcavano che una religione scandagliata
e analizzata cessa di essere fede, e si lamentavano di vedere chiamate a
scrutinio le cose che devono guardarsi con umile meraviglia, e che Iddio
per occulti giudizj sottrasse all'uomo, ingiungendogli «Credi e adora».
Pertanto si rinserravano nel _credo vecchio_: pensavano vincere il
nemico col negarlo; o, se il dovere li conducesse a combatterlo,
com'avveniva degli ecclesiastici, usavano argomenti di senso comune. E
dicevano a' loro avversarj: «O voi, che volete mostrarci in errore; non
siete uomini voi pure? non siete voi pure all'errore soggetti? La
protesta è sempre posteriore alla verità ch'essa impugna. Noi seguitiamo
la tradizione di persone pie, e più vicine al tempo del Redentore: voi
nasceste jeri. Noi ci atteniamo ad un'autorità di origine divina, al
sentimento costante del genere umano: voi surrogate la più fredda delle
umane doti, la ragione; il più variabile appoggio, la particolare
persuasione. Voi ci apponete che santo abbiamo il precetto, cattivi i
ministri; noi vorremmo poter supporre che i vostri predicanti siano
migliori delle dottrine predicate. Eccoli annunziarci l'amor di Dio e
del prossimo: eppure da voi nascono la scissura e la desolazione delle
case e della patria. E che? l'augusto sacramento, di cui Cristo volle
fare un simbolo di pace e di concordia, e che, _assunto in sua
commemorazione ricordasse ai figli suoi il sangue versato a salute
comune_, diviene pretesto d'acerbe contese: e sembra che ciascuna parte
siasi proposto di mostrare colla condotta meno evangelica di possedere
il vero vangelo. Se la vostra fede è la vera, se viene da Dio, provatelo
col deporre questa rabbia anticristiana: la carità muove da Dio, la
discordia dall'inferno: il nostro non è il Dio delle contese, bensì il
Dio della pace e dell'amore[430]. Lo stesso Melantone, interrogato da
sua madre che cosa dovesse insomma credersi fra tanto discordare di
teologanti, le rispose: — Continuate a credere e adorare come sin qui;
la nuova religione foss'anche più plausibile, l'antica è più sicura. — E
voi, gregge nostro, non disertate gli altari, dove i padri vostri
cibaronsi col pane della vita: non lasciatevi rapire la consolazione de'
sacramenti, che mescono il gaudio e la sanzione del cielo alle più
solenni circostanze della vita, dalla culla al letto di morte. E dopo
morte su in paradiso, i padri vostri, che vi sono giunti credendo
all'antica, stanno ad aspettarvi. Quanto dolore se vi vedessero
precipitare coi nuovi alla perdizione!»
Non sempre così pacate procedevano le controversie sul pulpito e nelle
scuole. I Cattolici avevano il vantaggio che un capo solo dirigeva tutti
i movimenti, principe d'un bello Stato, colla potenza della tradizione e
l'abitudine dell'obbedienza: ma ai Protestanti apparteneva la forza di
chi attacca, di chi censura, di chi seconda gl'istinti umani, e vanta
quale progresso la distruzione del passato.
Come battagliassero i dissidenti lo vedemmo e il vedremo. Anche i
nostri, considerandosi unici custodi della verità e censori autorizzati
della giustizia, troppo spesso posavano la disputa non fra errore e
verità, ma fra santità e inferno, e tutte le objezioni dichiaravano
empie, immorali tutte i ragionamenti. La polemica e l'apologia
assumeranno sempre caratteri diversi ed evoluzioni conformi alle
aspirazioni del tempo; altrimenti mancherebbe alla Chiesa viva quel
progresso di lume e di certezza, che sempre i Padri e i fedeli
domandarono[431]. Ogni nuovo errore è una nuova riflessione, ed esige
scienza nuova, sicchè non bastano i vecchi metodi; le idee non si
cangiano che nel complesso e per sistema, nè si può persuadere un altro
se non facendogli accettare una delle proprie conseguenze.
Scarsi d'iniziativa, di larghezza, di sintesi, sopratutto di vivacità,
con un futile armeggio di sillogistica discutendo i singoli punti,
vedeano tutto da quell'aspetto solo, che nulla prova a quei che guardano
da un differente; filavano sillogismi, di cui era impugnata la maggiore;
davano come concesso dagli avversarj ciò che deve essere sentito solo da
chi crede come loro, e parea non propendessero che a raddormentar nella
tradizione. Durava poi il gergo tecnico, argomentazioni opponendo ad
argomentazioni col metodo geometrico, il cui apparente rigore stanca lo
spirito senza sostenerlo; sicchè i teologi sprezzavano i letterati come
gente da frasi, ed erano sprezzati da questi come pedestri scolastici.
Il sant'uomo Gregorio Cortese da Modena, dapoi cardinale, deplora la
scurrile polemica allora usitata, mentre d'una savia e dotta egli
porgeva ottimo modello[432]: e Melchior Cano domenicano spagnuolo
(-1560), i cui _Loci_ son la più bella introduzione alla dogmatica,
accusava i nostri di adoprare contra i nemici non armi di buona tempra,
ma _arundines longas_.
La vera eresia di Lutero consisteva nell'impugnare l'autorità, rompere
l'unificazione su cui è fondata l'indefettibilità della Chiesa,
disperdere quelli congregati attorno all'unica mensa, col dare all'uomo
la superbia di pensare da sè, e invece dell'umile acquiescenza alle
definizioni dogmatiche e disciplinari della Chiesa, volere la
comparazione tra l'infallibilità del vicario di Cristo, e la corruzione
del papa figlio d'Adamo. I nostri avrebbero dunque dovuto insistere nel
consolidare l'autorità della Chiesa, che conserva i comandamenti, le
dottrine, i sacramenti, cioè le regole della verità e i mezzi della
virtù. Ma non basta cogliere alcuni barlumi del vero, bisogna seguirlo
fermamente in tutto il labirinto, coordinarne le parti, mostrarne
l'insieme e la filiazione, evitare ogni soluzione di continuità,
convincere che tale teoria è una dimostrazione, che con essa tutto si
spiega, e niente v'è ad opporle. Religione inventata da uomini è
un'assurdità: non può essere tale se non data da Dio: e come tale non
può venire messa in discussione; ove compare il dubbio scomparisce la
fede.
E appunto i gran savj c'insegnavano che la Chiesa è società d'anime
legate innanzi a Dio da identiche credenze: e che, rappresentando la
natura umana prima del peccato, decide tra le contenzioni, senza
lasciare luogo a negare le sue asserzioni; mentre gli uomini, incapaci
di qualificare gli errori, vacillano nella libera discussione. Chi
dunque dice Chiesa, intende permanenza delle verità di fede; chi dice
cattolica, intende unione di persone, che sopra esse verità ritengono
quel che si ritenne sempre, da tutti, dapertutto. I nostri vescovi
derivano in linea retta dagli apostoli; insegnano quel che essi
insegnarono, sia ne' libri, sia a voce; e secondo la Chiesa lo
interpretò nel modo che piacque allo Spirito Santo. Una sola fede, un
solo battesimo, dice il Vangelo; adunque l'unità è carattere della vera
Chiesa, come l'immutabilità è solo propria della verità; e, siccome
Bossuet ben lo formolò, dice agli altri: «Tu cangi, e ciò che si cangia
non è la verità».
Qual sublime spettacolo quell'armonico movimento d'innumerevoli
intelligenze in ogni tempo e luogo, sicchè i popoli, discordi od anche
ostili per politica, per invidia, per interessi, per indole, aveano una
casa stessa dove, colle parole e coi sentimenti stessi, quasi all'ora
stessa cantavano al Signore, e supplicavano i santi suoi per ottenere
quella pace che il mondo non può rapire! E questa Chiesa è una, perchè
figlia dello stesso Redentore; come lui è vera, è visibile; e se fu
necessario un Dio presente per rigenerare il mondo, è necessaria la
permanenza di esso nella Chiesa per conservare e svolgere l'opera della
redenzione.
Ora quest'unità sarìa possibile ove a ciascuno fosse libero interpretare
la Scrittura a suo talento? Iddio ha imposta un'autorità, che l'uomo sia
obbligato riconoscere per conseguire il suo fine supremo? o lasciò che
la nostra stirpe barcolli fino al termine tra l'abuso dell'autorità e
l'abuso della libertà individuale?
I Cristiani credono il primo fatto: i Protestanti ritengono che tale
autorità sia il codice scritto. Dicono che il proferire «Noi crediamo
alla Chiesa mercè della Scrittura, e alla Scrittura mercè della Chiesa»
è un circolo vizioso. Eppure al modo stesso l'autorità delle leggi
deriva dal Parlamento, e il Parlamento esiste in forza della legge. Ma
realmente alla Chiesa crediamo per l'autorità di Cristo; è un'accidente
che quella fede sia deposta nella Scrittura; potrebb'essere in un altro
libro o nella tradizione. Anzi nel Nuovo Testamento non vi è parola che
mostri avere Cristo voluto diffondere la sua dottrina mediante la
Bibbia; parla d'ascoltare, di predicare, di parole; non mai di leggere o
di libro: non disse «Mandate un libro»: questo nè tampoco era scritto
quando ordinò, «Andate e predicate»: potrebbero essere guasti i
trentaquattromila suoi versetti: non vi si leggono gli articoli del
_Credo_, che pure sono adottati da tutta la Chiesa.
Male si confonde la lettera della Bibbia, cioè l'involucro, colle verità
divine che vi stanno: queste sole importa raggiungere; su queste sole
fondansi le convinzioni religiose. Ma se a ciò adopriamo il senso
personale, chi ci assicura che la nostra interpretazione sia conforme
alla verità? introduciamo in quel libro un pensiero, concepito senza
appoggio d'autorità superiore; e così non siamo certi di riposare sulle
verità divine. Laonde quei soli che udirono Cristo avrebbero potuto
erigere la loro fede su fondamento divino; gli altri divagarono, perfino
a dedurre dal libro stesso la negazione della divinità di Cristo.
In realtà la Scrittura è infallibile, ma fallibile l'uomo che la legge,
sicchè ha mestieri d'un'autorità che gliene ricavi la verità, e
null'altro che la verità. Ora la Chiesa si professa custode del vaso ove
fu deposta la dottrina di Cristo, e garante che lo spirito maligno non
v'introdusse alcun errore: e colloca la sua autorità suprema nel
ministero d'insegnamento, istituito da Cristo, nella parola vivente di
Dio, nella promessa ch'e' diede agli apostoli d'essere con loro fino
alla consumazione dei tempi, e «Chi ascolta voi ascolta me».
Pertanto l'autorità insegnante della Chiesa s'applica nel conservare
perpetuo il senso e lo spirito della viva parola di Dio, e nel
mantenerla pura e integra mediante un ajuto soprannaturale. Senza di
ciò, la credenza non sarebbe che umana e subjettiva.
Ora l'uomo non apre l'anima se non a ciò ch'è improntato di superiorità;
concede il suo assenso al pensiero, non alla forma; e questo pensiero
divino è il solo che faccia autorità pel pensiero umano; l'anima vi si
tranquilla; e l'autorità e la libertà si riconciliano.
La Chiesa è società governata da provvidenze sopranaturali. Il semplice
credente accetta e adora; il pensatore svolge la propria ragione sopra i
termini logici prodotti dall'analisi. Ma se in tale sviluppo analitico
si trascendono i confini del soprannaturale, ecco rotta l'armonia che
stabilisce la reciproca incolumità fra la ragione e la fede. Ripudiamo
l'autorità vivente per attenerci unicamente alla Scrittura? Infinito
stuolo d'opinioni umane pretendono impiantarsi su questa, quasi a
provare che la Scrittura ammette ogni senso, cioè non ne ha veruno. Se
ogni fedele può interpretarla a suo modo, bisognerà conchiudere che non
è rivelazione divina, giacchè ci lascia in dubbio su quel che contiene,
nè arriva a produrre fra' suoi seguaci un'intelligenza comune, durevole,
inconcussa; e quindi disordine nell'intelletto, anarchia nella dottrina,
dubbio e negazione nel pensiero. Ciò evita il Cattolico, credendo che la
Scrittura contenga un senso unico e preciso, e l'ufficio dell'intelletto
umano nella Chiesa consista nell'appropriarsi quel senso con sempre
maggior precisione e chiarezza, alleando l'argomentare umano colla fede
divina. Essenziale alla forza è l'unione; all'unione è necessaria
l'unità della dottrina; questa non si conserva che sottomettendo
l'individuale giudizio all'autorità, e vero cattolico non è chi non ha
prosternata la debole sua ragione davanti l'autorità infallibile.
Il Protestante invece, tolta ogni connessione fra la coscienza del
fedele e la direzione del sacerdote, pretende l'interpretazione privata,
sia per lume di ragione, sia per ispirazione superna; laonde la
religione, ridotta a mera opinione, non ha maggior valore che una scuola
filosofica; abbandonata a cieca sentimentalità o ad immaginazione
esaltata, oppure alle sottigliezze dell'argomentazione.
Ma o non v'è autorità superna che diriga la libertà degli uomini, o
quella si trova nella Chiesa cattolica. E questa autorità non si estende
che alle verità annunziate da Gesù Cristo: e non risiede in ciascun
vescovo, bensì nel corpo dei vescovi uniti col pontefice.
Ripudieremo la tradizione? Questa sussisteva già nella legge ebraica:
viepiù occorreva nella nuova, tanto meno particolareggiata. Fino dai
primi anni del cristianesimo gli apostoli si adunarono per decidere
intorno all'osservanza delle pratiche mosaiche, cioè intorno a punti,
sui quali il Redentore non si era espresso. San Paolo scriveva a
Timoteo: «Le cose che hai udite da me come testimonio, confidale a
uomini i quali sieno idonei ad insegnarle anche ad altri»[433]. E san
Giovanni: «Molte cose avrei a scrivere a voi, ma non l'ho voluto fare
con carta e inchiostro, perchè spero venire a voi, e parlarvi faccia a
faccia»[434]. Non tutto dunque si scriveva. Anche senza di ciò, come
credere al testo sacro se questo non ci fosse trasmesso da un'autorità
conservatrice, della cui infallibilità è garante Iddio? Ora
quest'infallibilità del testo sacro, e la conservazione sua traverso ai
tempi è ammessa anche dai Protestanti, come da noi l'infallibilità della
Chiesa. Alla quale noi attribuiamo pure il diritto d'interpretare le
sacre carte; e già san Pietro ne ammoniva: «Ponete mente che nessun
pronunziato della Scrittura è di privata interpretazione»[435]: e delle
epistole di Paolo diceva: «V'ha passi difficili, a intendersi che
gl'ignoranti stravolgono, come le altre Scritture, per propria
ruina»[436]. E san Paolo aggiungeva: «Fratelli state fermi, e tenete le
tradizioni che imparaste sia per le parole, sia per le lettere
nostre»[437].
La Chiesa, spiegando le parole apostoliche dovette usarne di differenti.
Anzi gli stessi evangelisti non hanno conservato l'identica forma della
parola del Salvatore: e uno la riferì a un modo, l'altro all'altro.
Viepiù bisognava farlo quando la Chiesa prendea di mira un dato errore,
il quale aveva una propria terminologia e tesi proprie, che doveansi
ribattere con antitesi convenienti. La dottrina sta invariabile: la
forma differisce secondo il transitorio e l'umano.
L'accusa dunque di predicare la dottrina della Chiesa, anzichè quella di
Cristo, quasi fra queste due soggetti v'avesse contrarietà, è assurda:
giacchè, come il verbo s'è fatto uomo, e l'uomo e Dio in Cristo sono un
solo figliuolo di Dio, così la parola divina s'è incorporata nella
parola e nella società sensibile della Chiesa, venendo trasmessa e
conservata per azione umana: non sono già due parole, ma la parola
divina, umanamente promulgata.
Nel deposito della fede ci sono verità, non ancora state avvertite, o
formolate, o esplicitamente insegnate. Fino dall'origine la Chiesa
credette la divinità di Cristo, e la procedenza dello Spirito Santo, e
la divina maternità di Maria, eppure questi dogmi formolò solo quando
furono impugnati. E sempre, nel repulsare nuovi errori, più viva e
decisa luce viene diffusa sopra quistioni supreme. Innanzi che san Paolo
ribattesse quei che difendeano il Mosaismo, nessuno avea sì ben espressa
l'eccellenza della fede evangelica. Col vagliare i dissensi nati tra i
fedeli di Corinto, egli chiarisce gli oracoli divini sulla costituzione
della Chiesa. Gli errori de' Gnostici e de' Manichei fanno porre in sodo
la natura e l'origine del male, il contrasto fra la natura e la libertà,
le relazioni della prima creazione coll'edifizio cristiano. Ario
costringe ad esplicare la divinità di Cristo e la sua natura. Disputando
co' Pelagiani si misura la debolezza e miseria umana coll'ajuto della
Grazia.
Volendo all'intelligenza umana mettere meno vincoli che sia possibile,
la Chiesa, finchè non si sollevi un errore patente e sostenuto da molti,
non viene a una decisione ponderata, la quale dilucidi e stabilisca la
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