Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 31

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trova affermato nella Dichiarazione scritta dal Pizzoni, sicchè non fu
scoverto da D. Carlo; è chiaro quindi che lo Spinelli voleva ad ogni
modo, questa volta anche con la menzogna, procurare al suo parente un
ufficio non di lieve importanza; e per quanto sappiamo il Vicerè non ne
fece nulla, anche perchè, come riferì il Residente di Venezia, avrebbe
voluto dare una larga Commissione al proprio figliuolo D. Francesco de
Castro[382].
Intanto il processo contro i laici già presi menavasi innanzi con
la massima alacrità. Dicemmo che si ebbero dapprima, il 31 agosto,
le deposizioni di Lauro e Biblia. Come è facile intendere, essi
confermarono quanto aveano attestato nella denunzia, ma vi aggiunsero
qualche altra notizia raccolta posteriormente[383]. — Fabio di Lauro
espose le cose dettegli da fra Dionisio, la riuscita dell'affare
a motivo delle rivoluzioni e mutazioni previste dal Campanella pel
1600, onde tenevano castelli e fortezze a loro divozione, e i capi
aveano dato al Campanella l'incarico di persuadere i popoli; e che
il Campanella teneva tutte le lettere de' congiurati maggiori, e fra
Dionisio mostrò la cifra con la quale si scriveano, come pure una
lettera firmata da Maurizio e dal Campanella, con la quale gli dicevano
di recarsi subito a Davoli, ove in fatti fra Dionisio si recò insieme
con Cesare Mileri, come seppe dal vetturino che ricondusse i cavalli.
Che inoltre Orazio Rania, fattosi intimo di lui e di Biblia, comunicò
loro essere andato a Davoli col Franza e col Cordova per concertare la
ribellione e poi a Stilo presso il Campanella, e che a' «5 del presente
mese di agosto» Matteo Famareda, amico particolare di Maurizio e che
l'avea tenuto in casa sua molti giorni, gli avea detto che Maurizio
e il Campanella voleano riformare il mondo, e che Maurizio era andato
sulle galere di Amurat Rais. — Gio. Battista Biblia espose egualmente
le cose dette da fra Dionisio, i preparativi degli animi delle genti
alla sollevazione affidati al Campanella e ad altri predicatori;
dippiù le cose raccontategli dal Rania, l'andata di lui col Franza
e col Cordova presso il Campanella per parlare di detto negozio, la
precedente andata di Maurizio al Cicala sopra le galere di Amurat Rais,
il salvacondotto ottenuto dal Cicala per Maurizio e il Campanella, la
promessa di venire da quelle parti con 60 vele; infine ciò che fra
Dionisio gli aveva ultimamente detto, l'andata di Francescantonio
dell'Ioy con altri di Squillace, insieme con Maurizio, presso il
Campanella. — L'uno e l'altro poi indicarono sempre fra Dionisio come
colui che promulgava i pronostici e gli eccitamenti del Campanella,
sollecitava a prendere le armi contro il Re per far la provincia
repubblica, dava per certo il concorso di Signori e genti principali,
e concludeva doversi in un giorno di settembre gridare libertà, perchè
sarebbero entrati in Catanzaro 200 fuorusciti, i quali avrebbero
ammazzato gli Ufficiali del Re, scassinate le carceri, liberati i
prigioni, armatili della munizione della Corte etc. etc. Sicuramente
essi deposero molte altre cose, poichè a noi è pervenuto soltanto ciò
che riusciva a carico del Campanella, di fra Dionisio e delle persone
ecclesiastiche, circostanza che non si deve mai dimenticare, così
per queste come per tutte le altre deposizioni. Sappiamo infatti,
dal Carteggio Vicereale, che essi aveano raccolte e consegnate «tre
lettere», sulle quali senza dubbio diedero spiegazioni; queste lettere
doveano provenire da Maurizio, e il Campanella nella sua Narrazione
non mancò di ricordarle, riducendole a due[384]. Ma in fondo ben si
vede che, all'infuori delle importanti notizie sul convegno di Davoli,
le quali spargevano luce anche sull'uccisione del Rania, questi due
rivelanti non aggiunsero molte cose, e scemarono enormemente le notizie
esageratissime rivelate con la denunzia: basta dire che affermarono
appena 200 uomini dover entrare in Catanzaro, mentre dapprima aveano
rivelato che Maurizio ne comandava 2,000, nè fecero più alcun cenno
del Papa e de' Vescovi. Quest'ultima variante è molto notevole. Essa
può spiegarsi con ciò che disse il Campanella nella Narrazione e
poi nell'Informazione, che cioè «non poteano far verisimile il primo
processo contro il Papa e i Prelati» (o, più propriamente, la prima
dichiarazione contro il Papa e i Prelati), e che a' denunzianti lo
Xarava «faceva mutare ogni giorno l'esamina a suo gusto»; ma può
spiegarsi anche con ciò che trovasi accennato nel Carteggio Vicereale,
che cioè tra le istruzioni date vi era quella di «notare a parte»
o «non porre in scritto» nel processo quanto concerneva il Papa, i
Vescovi e i Nobili napoletani di alto bordo.
Seguirono le deposizioni de' denunzianti tardivi, de' quali parrebbe
essere stati esaminati soltanto Francesco Striveri e Gio. Tommaso
di Franza, e dopo qualche giorno anche Gio. Tommaso Striveri. Tutti
costoro, al pari di Lauro e Biblia, deposero di aver conosciuto per
mezzo di fra Dionisio la sapienza, i pronostici e l'influenza del
Campanella, e i progetti di lui e di Maurizio, come pure di essere
stati sollecitati da fra Dionisio a prendervi parte[385]; ma ciascuno
aggiunse qualche cosa di più. — Francesco Striveri[386] affermò che fra
Dionisio gli avea mostrata una lista di Catanzaresi di valore, formata
da Maurizio e dal Campanella e «ne nominò molti» (ma evidentemente
il Campanella era qui messo innanzi a torto); inoltre affermò di aver
saputo dal Franza l'andata di costui col Cordova e col Rania a Davoli,
per vedere Maurizio e il Campanella; il quale disse loro volergli
confidare un negozio di molta qualità ed importanza, e che avrebbe
poi mandato fra Dionisio a chiarire ogni cosa, si fermò a ragionare
a lungo col Rania, come fece anche Maurizio, e poi disse che Iddio li
avea mandati là, dovendo confidargli un gran negozio come avrebbe loro
manifestato fra Dionisio. Evidentemente costui si era messo d'accordo
col Franza, il quale avea capito di non poter più nascondere l'andata
a Davoli, dopo di averlo assolutamente taciuto nella denunzia; e ben
si vede che raccontando le cose a quel modo, tutto si rovesciava sul
Rania, il quale era morto, e si cercava mostrare che a Davoli non si
era parlato di ribellione, essendo stato questo discorso riservato a
fra Dionisio; ma chi vorrà credere che il Campanella, mentre faceva
perfino intervenire Iddio nell'andata di quelle tre persone a Davoli,
poichè dovea confidar loro un grave negozio, si rimetteva poi a farlo
conoscere per mezzo di fra Dionisio? — Gio. Tommaso di Franza[387]
espose molto minutamente i particolari dell'andata a Davoli, ed importa
anche a noi conoscerli bene, essendo stato questo uno dei principali
argomenti su cui si fondò l'accusa contro il Campanella. Egli disse
avergli fra Dionisio fatto sapere che il Campanella lo supplicava di
dare ascolto a quanto mandava pregando e di rispondere maturamente,
trattandosi di un negozio molto grande che dapprima gli sembrerebbe
un poco agro, ed egli rispose «che si era cosa honorata e da farsi,
l'haveria fatta»: ed allora fra Dionisio cominciò a parlare delle
future guerre e romori del 1600, che il Campanella avea previsto
per astrologia, aggiungendo questa volta le previsioni fatte nello
stesso senso dal Marchese di Vigliena, «homo sapiente in le scientie
sopranaturali»[388]. Egli quindi si recò a Davoli col Cordova e col
Rania, e trovò nel monastero, presso Maurizio, il Campanella; il
quale gli prese la mano e gli dimandò come se la passasse con le
inimicizie di Catanzaro, ed egli rispose che stava travagliatissimo.
«E fra Tomase cominciò ad essagerare, e dire: queste inimicitie
forriano finite, si dal principio si fosse posto mano all'armi, et
non se havesse proceso con la penna; e li domandò ancora che faceva
il Governatore de la Provintia, et s'attendeva come l'altri ministri
del Re à mal trattare li Popoli, et havendoli risposto, che per tutto
era un paese, detto fra Tomase disse, queste cose dureranno molto
poco, per che lo hò conosciuto per via d'Astrologia, e revelatione,
che presto hanno da essere in questo Regno revolutioni infinite, e
guerre, et circa di questo Io vi voglio comunicare un negotio di molta
qualità et molto utile che pare che Iddio vi habbia portato cquà,
perchè per quando vi serà rivelato lo possiate fare, et da cquà à poco
tempo per fra Dionisio vi mandarò a confidare il secreto dal quale
cavarete grand'utile, e Mauritio de Rinaldo diceva ad esso deponente
che volessero attendere alle parole del Padre fra Tomase, per che
era negotio di gran qualità et servitio di Dio; et dopò fra Tomase
si pigliò Oratio Rania et raggionaro più di due hore strettamente, e
tra lo raggionare lo fra Tomase più volte abbracciò lo detto Oratio,
mostrandoli grande amorevolezza, et à tempo si licentiaro, fra Tomase,
et Mauritio l'incaricò molto, che facessero quello, che frà Dionisio
l'havria detto». Fu questa la deposizione del Franza, ed abbiamo già
manifestato il nostro giudizio sopra di essa, giudicando quella di
Francesco Striveri.
Venne in sèguito la deposizione di Gio. Paolo di Cordova, e dopo
di essa quella di Gio. Tommaso Striveri, il quale non si era potuto
carcerare così presto. Il Cordova fu preso col suo fratello Muzio,
e la sua deposizione non riuscì dissimile dalle precedenti[389].
Egli disse che era andato a Davoli presso Maurizio, il quale gli
era parente dal lato di sua madre: quivi il Campanella se lo chiamò
da parte insieme col Franza, e cominciò a dire: «Iddio v'ha portati
cquà perchè intendiati da me un negotio ch'importa molto», ed esposte
le previsioni sue pel 1600, e detto che «molti savii antichi hanno
desiderato veder quest'anno», conchiuse che avrebbe loro mandato in
Catanzaro fra Dionisio, il quale gli avrebbe dichiarato ogni cosa.
Aggiunse inoltre il Cordova che dopo un 15 giorni (vale a dire il
23 agosto, circostanza probabilmente falsata) recatisi presso fra
Dionisio, costui «li raccontò la congiura, dicendoli, che in detta
congiura c'interveneva ancora lo Prencipe di Bisignano, lo Marchese
di S.^to Lucito, Geronimo dello Tufo, che havea promesso dare lo
Castello di Squillace in potere delli congiurati, et che lo Turco,
et altri potentati haveriano aggiutato, et che quando li parlò fra
Tomase Campanella nè esso deposante disse niente à lo Mauritio nè
lo Mauritio ne trattò con esso». Nemmeno qui ripeteremo il nostro
giudizio su tale racconto: solo faremo avvertire che non vi si trova
più citato il Rania, e ne vedremo tra poco la ragione; faremo avvertire
inoltre, che costoro son tutti unanimi nell'affermare la profonda
convinzione del Campanella intorno a' futuri mutamenti, e l'energica
azione sua perchè se ne traesse profitto. Intanto lo Spinelli e lo
Xarava sottoposero il Cordova alla tortura, e così il Cordova fu il
primo ad inaugurare la serie de' tormentati; ciò si desume da' medesimi
Atti che si conservano in Firenze, e sino ad un certo punto anche
dalla lettera dello Spinelli in data dei 14[390]. Nè finirono qui le
miserie del Cordova. Tra le altre cose ebbe a domandarglisi conto anche
dell'uccisione del Rania: ma questo accadde un po' più tardi, quando,
come si legge nella lettera dello Spinelli, si ebbe la testimonianza
di una persona andata da parte di due imputati ad avvertire il Rania
che fuggisse, con la circostanza poi verificatasi che il Rania si
trovò morto non lungi da una possessione di costoro; e senza dubbio, in
Catanzaro, solamente il Cordova ed il Franza potevano avere interesse
di far tacere per sempre il Rania, che già avea parlato anche troppo
col Biblia, ma probabilmente i due imputati furono i fratelli Cordova,
Gio. Paolo e Muzio. Per Gio. Paolo c'è sicuramente in processo la
deposizione di un Agazio Cormasio, il quale attestò di avere udito che
Gio. Paolo, «dubitandosi che Oratio non l'havesse scoverto, procurò
di farlo fuggire et ammazzare»[391]. A lui dunque si deve riferire
ciò che lo Spinelli diceva, cioè che egli, prima della deposizione di
questo testimone, avea avuta la corda pel negozio principale e non era
stato confesso, e col detto del testimone e con altri ammennicoli che
si andavano accumulando gli si tornerebbe a ripeterla. Così il Cordova
nel negozio principale non era stato confesso, vale a dire che col
tormento non avea dichiarato nulla di quanto gli s'imputava, ma avea
persistito nella sua deposizione, secondochè ci risulta dagli Atti che
si conservano in Firenze. Bisogna pure aggiungere che la corda gli fu
data senza parsimonia, poichè da una deposizione del Di Francesco fatta
più tardi in Napoli, nel tribunale per l'eresia, risulterebbe che gli
fu data per non meno di sette ore: ma l'Avvocato che lo difese la disse
di cinque ore, sebbene fosse stato scritto solamente di un'ora e mezzo,
e ci fece pure sapere che il fratello Muzio fu egualmente «tormentato
senza causa con cinque ore di corda et acqua» vale a dire acqua fredda
sul corpo già prima sospeso e da sospendersi di nuovo alla corda[392].
Quanto a Gio. Tommaso Striveri[393], costui depose che il 22 agosto,
essendo andato insieme col suo fratello Francesco e col Franza al
monastero de' Domenicani per udir la Messa, trovarono là un monaco
che gli cominciò a lodare grandemente il Campanella, e poi si pose
a parlare in disparte dapprima col Franza e poco dopo con Francesco
suo fratello; il quale in sèguito gli disse che quel monaco (fra
Dionisio) gli avea parlato delle predizioni e profezie del Campanella,
della prossima ribellione in tutti i suoi particolari; del trattato
col Turco, e di tutti coloro che v'intervenivano, mostrando una
lista di que' di Catanzaro. Evidentemente Gio. Tommaso si era messo
d'accordo col fratello Gio. Francesco, e deponeva in tal guisa,
per dar forza alla deposizione di lui e tirare indietro la persona
propria: come mai, per una semplice notizia avuta dal fratello, egli
si era compiaciuto di sottoscrivere la denunzia, la quale rivelava
una sollecitazione diretta, e poi avea finito per nascondersi e
sottrarsi ad ogni ricerca? — Dobbiamo qui notare che i documenti
finoggi conosciuti ci dànno notizia delle deposizioni de' tre soli
denunzianti tardivi soprannominati, e non mostrano punto che alcuno
di loro sia stato sottoposto a tortura: si potrebbe dire che fossero
stati tutti risparmiati, sapendosi da un lato che lo Spinelli gli
avea perfino da principio lasciati liberi, e d'altro lato che non
erano stati neanche tutti esaminati in Calabria secondochè affermò il
Campanella nella sua Narrazione. Ma il Capialbi, in una nota a questo
punto della Narrazione, asserì, che il Franza, il Flaccavento e Tommaso
Striveri, ebbero la tortura; forse lo rilevò dalla Difesa del Cordova
rimastaci ancora ignota, e se così accadde, bisogna riconoscere che,
giuridicamente parlando, pel Franza e Gio. Tommaso Striveri la tortura
sarebbe stata di piena regola.
È probabile che dopo queste sieno venute le deposizioni di Giulio
Soldaniero, e quindi le altre di testimoni di minore importanza,
secondochè si può argomentare dall'ordine di successione del numero de'
folii processuali. Comunque sia, le deposizioni del Soldaniero si fanno
notare per una grandissima parsimonia, mentre furono così abbondanti
in Soriano alla presenza di fra Cornelio, e vedremo che tornarono ad
essere abbondanti più tardi in Gerace, innanzi allo stesso fra Cornelio
ed altri, di tal che si direbbe aver avuta solamente questo frate la
virtù di svegliarne i ricordi. Egli non depose altro se non l'avere
udito pubblicamente in Soriano, che Gio. Tommaso Caccìa con Francesco
d'Alessandria, Marcantonio Contestabile, Giovanni di Filogasi, Claudio
Crispo, il Campanella, fra Dionisio, fra Pietro di Stilo ed altri che
non ricordava, verso la metà di luglio (i calabresi dicevano e dicono
ancora «giugnetto») in numero di oltre 25 si erano riuniti nel convento
di Pizzoni per concertare tra loro il modo di effettuare la rivolta. Il
Mastrodatti non mancò di ricordare che, al momento di deporre, egli era
«guidato» dal Sig. Carlo Spinelli[394].
Ma più grande importanza si annetteva dallo Spinelli alle confessioni
di uno de' fuorusciti, «in potere del quale si erano trovate alcune
lettere del Campanella concernenti la causa che trattavano», senza
dubbio Claudio Crispo. Costui dovè essere quasi contemporaneamente
esaminato e tormentato, poichè dalla relazione dello Spinelli risulta
esserglisi data la corda nella notte del 13, vale a dire non appena lo
Xarava ritornò a Squillace, traducendo seco il Campanella e il Petrolo.
Fu allora, con gli Atti concernenti questi prigioni più importanti,
cominciato il 2º volume del processo di Calabria, siccome mostrano
le citazioni de' folii processuali: da' numeri d'ordine de' folii si
vede che s'inserirono in questo volume dapprima gli Atti concernenti
il Campanella, la sua cattura, la sua Dichiarazione etc., poi gli Atti
concernenti il Crispo e così in sèguito quelli degli altri incolpati
maggiori, il Mileri, il Gagliardo e compagni, il Pisani, il Caccìa,
fino a fra Dionisio, a Maurizio e Gio. Battista Vitale presi assai più
tardi; e il sèguito del 1º volume fu riserbato agl'incolpati minori,
alle semplici testimonianze, alle rimanenti denunzie ed altri documenti
che si ebbero mano mano. La deposizione e confessione del Crispo si
trovano accennate negli Atti conservati in Firenze e nella lettera
dello Spinelli più volte citata[395]. Egli dovea rispondere innanzi
tutto del significato delle due lettere trovate sulla sua persona al
momento in cui fu preso, l'una di Maurizio, l'altra del Campanella
(ved. pag. 284), alle quali vennero in sèguito ad aggiungersene due
altre, la prima scrittagli egualmente da fra Tommaso e trovata sulla
persona di fra Paolo della Grotteria, e di essa abbiamo pure già
parlato più sopra (ved. pag. 286), la seconda scritta da lui medesimo
a Geronimo Camarda, della quale abbiamo parimente parlato altrove, ma
ci occorre ricordare che vi si diceva della congiura e della sicura
vittoria nel mese di settembre, nominando fra Gio. Battista, fra
Dionisio e il Campanella, salutando D. Gio. Battista Cortese e D.
Gio. Andrea Milano, e conchiudendo «venghi in effetto quel che noi
speramo». Il Crispo non potè non accettare che le due prime lettere
erano state a lui dirette, come non potè negare che l'ultima lettera
era stata scritta da lui e che il fra Gio. Battista in essa nominato
era appunto il Pizzoni; non sappiamo poi ciò che disse intorno alla
lettera scrittagli da fra Tommaso e non pervenuta al suo destino
essendo rimasta presso fra Paolo, come del pari non sappiamo altro
della deposizione da lui fatta, ma parrebbe che avesse affacciato scuse
giudicate inverosimili, onde si venne immediatamente al «remedium
juris et facti» come allora si diceva, cioè alla tortura. Gli Atti
conservati in Firenze[396] ci fanno sapere che nella tortura confessò
di essere andato col Pizzoni a trovare il Campanella in Arena, presso
il Marchese di Arena, e ritiratisi in una camera il Campanella gli
comunicò la ribellione, ed egli promise di trovar gente, come infatti
parlò al Caccìa e a Giovanni Morabito, e che questi erano i compagni
a' quali il Campanella alludeva nella sua lettera; inoltre che per
quanto si ricordava, allorchè il Campanella e il Pizzoni trattarono
di detta ribellione c'era presente anche Marcantonio Contestabile,
il quale partecipava alla congiura e venne poi anche a Pizzoni col
Caccìa allorchè il Campanella vi si recò, e si parlò della congiura
e il Campanella sollecitò «che si fosse presto posta in esecutione»,
e disse che Gio. Francesco d'Alessandria e Gio. Paolo Carnevale vi
prendevano parte e che «in aggiuto di detta ribellione ci era il
Prencipe di Bisignano et D. Lelio Ursino». Inoltre che il Campanella
disse «come havea mandato Mauritio in Torchia à trattare con il Turco
per far venire l'armata nel mese di settembre per che li voleva dare
molte fortellezze in mano», e che Maurizio avea parlato a Cicala e
che costui sarebbe venuto o avrebbe mandato l'armata, e per concludere
questo fatto erano due volte venute le galere di Amurat. Non si ebbe
dunque dal Crispo una deposizione sufficiente, e si ebbe invece una
confessione in tortura molto larga. Lo Spinelli, nella sua lettera,
narrando questa confessione non entrò in molti particolari; si limitò
a riprodurre il modo in cui si era concepita la rivolta (il solito
modo), aggiungendo che l'imputato era «convinto di essere stato sulle
galere di Amurat»[397]; ma ciò non risulta punto dal processo, e
sembra che lo Spinelli abbia voluto fare impressione sull'animo del
Vicerè, e suggellarvi la gravezza della congiura, dando per fatto
oramai inconcusso la richiesta dell'aiuto del Turco. Intanto ci è pur
troppo motivo di ritenere, che una parte delle cose confessate dal
Crispo sia stata suggerita con le notizie degl'interrogatorii avuti
da' frati Inquisitori, e ripetuta da quell'infelice per l'atrocità
de' tormenti. Difatti egli avea potuto veramente conoscere perfino in
Arena, prima che in Pizzoni, l'andata di Maurizio presso il Turco, ma
non è facilmente credibile che avesse conosciuto essere stato Maurizio
propriamente inviato dal Campanella a dirittura in Turchia, con la
deliberazione di dare molte fortezze nelle mani del Turco[398]; tanto
meno poi è credibile che avesse udito propriamente dalla bocca del
Campanella l'aiuto all'impresa da parte del Principe di Bisignano e di
D. Lelio Orsini; e così può spiegarsi che in punto di morte «strillava
al cielo» disdicendo le cose dette, come vedremo a suo tempo. Non
conosciamo con particolarità in che modo gli sia stata amministrata
la tortura, ma il Campanella, nella sua Difesa, a proposito di lui
parlò di «horrenda tormenta non scripta», ciò che riesce pienamente
credibile: ad ogni modo, oltre i documenti autentici da lui non negati,
ci fu anche la confessione in tortura, laonde la sua sorte potea dirsi
decisa. E qui non sarà inutile far notare che un sì pronto ricorso
alla tortura, ed anche alla tortura più atroce, era pienamente ammesso
trattandosi di delitti di lesa Maestà: ne' delitti comuni bisognava
prima esaurire il processo informativo co' mezzi ordinarii, quindi
mettere l'imputato «alla larga» (barbaramente dicevasi «reus debet
poni ad largam») dandogli una copia degl'indizii raccolti contro di
lui, e dopo tutto ciò potevasi venire alla tortura; ma ne' delitti di
lesa Maestà era dovunque riconosciuto che la tortura potesse darsi
durante il processo informativo, co' più lievi indizii e adoperando
tormenti non nuovi ma atroci[399]. Da quest'ultimo lato nel processo
presente noi troviamo quasi sempre menzionata soltanto la corda, perchè
essa era, come dicevasi, la «regina tormentorum» e serviva di base a
moltissime altre sevizie; difatti per alcuni imputati, anche di minor
conto del Crispo, sappiamo che la durata di amministrazione della
corda «non si misurò coll'ampollina», ma si prolungò per più e più
ore, e che alla corda si unirono i ceppi a' piedi con la sospensione
di grossi pesi, il bastone tra' piedi per mantenere gli arti inferiori
allontanati l'uno dall'altro, l'aspersione di acqua fredda sul corpo
nell'intermezzo della corda, ed inoltre la flagellazione durante la
sospensione alla corda; nè mancò qualche maniera di tormento del tutto
eccezionale, come l'essere trascinato alla coda del cavallo per le
strade della città, e poi anche in Napoli il così detto polledro, la
così detta veglia, come vedremo per ciascun caso.
Dopo il Crispo venne la volta di Cesare Mileri; ma lo Spinelli non
potè più attendere al processo, pel fatto importantissimo dell'arrivo
dell'armata turca, preceduta da due legni di quella nazione che a
modo di esploratori erano già da quattro giorni comparsi alla marina
di Stilo. Lo Spinelli diè subito notizia al Vicerè della comparsa di
questi legni e delle loro mosse, ma conosciuto l'arrivo dell'armata fu
costretto a recarsi sul posto. E noi lo seguiremo nella sua escursione.
Aggiungeremo soltanto che ne' giorni de' quali abbiamo trattato,
essendo stati presi tutti i parenti e gl'intrinseci di Maurizio,
dovè esser preso tra gli altri Tommaso Tirotta suo servitore, e dovè
raccogliersene immediatamente la deposizione, che fu inserta nel volume
1º del processo, come quella di un ordinario testimone. Gli Atti
esistenti in Firenze ne danno alcuni particolari[400]. Egli depose
che conosceva il Campanella e fra Dionisio, vedutisi con Maurizio in
Stilo e in Davoli, che in Stilo il Campanella si vedeva con Maurizio
nelle case di D. Gio. Jacovo Sabinis, Gio. Paolo Carnevale, Ottavio
Sabinis, e in Davoli in casa di D. Marcantonio Pittella; narrò inoltre
il convegno di Davoli nel castagneto presso il monastero di S.^ta Maria
del Trono con tutte le persone che v'intervennero, e che parlarono
quattro o cinque ore, notando che in quella circostanza Maurizio mostrò
al Campanella e a que' di Catanzaro una carta avuta da' turchi, la
quale dicevano essere un salvacondotto, e un Pietro Jacovo Garzia disse
che si poteva oramai andar sicuri perchè si aveva il salvacondotto. Ma
bisogna sempre tener presente che a noi è pervenuta soltanto la parte
delle rivelazioni concernente le persone ecclesiastiche, e che quindi
vi poterono essere, intorno a Maurizio ed al resto de' laici, molte
altre rivelazioni le quali ci rimangono tuttora ignote.
Veniamo all'incidente dell'armata turca, che ben si comprende
quanto riuscisse ad aggravare nella mente de' Giudici la colpabilità
degl'imputati. Fin dal «venerdì 10 settembre due legni turchi vennero
alla marina di S.^ta Caterina e Guardavalle, dove le altre due volte
aveano toccato quando Maurizio de Rinaldis salì sulle galere di Amurat
Rais; non fecero essi questa volta altro che parlarsi, venendo l'uno
dalla direzione del capo delle Colonne e l'altro dal capo di Bianco,
e subito che giunsero alla marina di Guardavalle dove si riunirono,
quello del capo delle Colonne tornò per la stessa via, e l'altro prese
la via dell'alto mare ritornando nella seconda notte al luogo medesimo,
dove fece fuoco dando segnale alla terra, poichè sperava di là qualche
avviso». Nel riferire l'avvenimento, il 14 settembre, lo Spinelli
manifestava la sua fondata supposizione che ciò fosse pel concerto che
aveano fatto, «essendogli, allora che stava scrivendo, sopraggiunto dal
Principe della Roccella suo nipote l'avviso dell'arrivo dell'armata
in quelle parti». Oltre questa comunicazione del Principe della
Roccella, ve ne fu un'altra del Marchese di Sorito, che dalle scritture
esistenti nel Grande Archivio sappiamo essere allora D. Andrea Arduino,
creato Marchese nel 1598[401]: lo Spinelli l'annunziò al Vicerè con
molto mistero e non ne sappiamo nulla, ma questo appunto c'induce a
credere che si riferisse a quanto accadeva in terra ferma, e con ogni
probabilità a fatti e detti del Vescovo di Mileto, nella cui diocesi
era compreso, se non andiamo errati, il paesello detto Sorito, oggi
distrutto dalla malaria. Ecco intanto le particolarità dell'arrivo
dell'armata, le ulteriori sue mosse e le mosse dello Spinelli[402]:
le conosciamo da una lettera posteriore di costui (17 settembre) e da
una relazione del Capitano Diego de Ayala che trovavasi di guarnigione
a Reggio con la sua compagnia (16 settembre). L'armata comparve nella
marina di Stilo il 13 settembre a 22 ore, e lo Spinelli, non appena
avutane la nuova, lasciando i carcerati allo Xarava con buona guardia
nel castello di Squillace, alla stessa ora del 14 mosse lungo la
costa ed andò poi a fermarsi in Castelvetere; egli condusse con sè la
Compagnia di cavalleggieri di D. Cesare d'Avalos, ridotta a 60 uomini,
attesochè 28 di essi erano rimasti infermi nel presidio di Rende in
Calabria citra, ed inoltre la Compagnia del Principe di Sulmona, per
accudire a portar soccorso dove gli sembrasse necessario. Il 15, alla
torre di Stilo sulla marina, ebbe a sapere che l'armata era comparsa
il 13 a 20 miglia dalla costa, e che da essa si erano distaccate
quattro galere ed erano venute verso terra, e di poi aveano posta in
mare una barchetta facendo molti segnali, ciò che avea dato a capire
a tutti che erano venute pel fatto della congiura; e non trovando
alcuna corrispondenza, giacchè la più gran parte de' congiurati era
stata presa e gli altri erano fuggiaschi, particolarmente per le
guardie state messe in tutta la costa, si erano ritirate; l'armata
nella notte del 15 avea salpato pel capo di Bianco, di dove si erano
tornate ancora a mandare le dette quattro galere, le quali aveano fatti
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