Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 20

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aveano concerti con molti fuorusciti, ed anche con molti gentiluomini
e Signori, tra' quali il Marchese d'Arena ed altri. Finalmente poi
questi frati, compreso fra Domenico Petrolo, conchiusero che bisognava
far parlare il Pisano col Campanella. — Come dicevamo, non trovarono
il Campanella a Stilo ed andarono a cercarlo a Monasterace. In questa
traversata s'incontrarono con Marcantonio Contestabile, Gio. Tommaso
Caccìa ed un altro fuoruscito abbastanza rinomato per molti delitti,
Gio. Francesco d'Alessandria, i quali si recavano del pari a Stilo
presso il Campanella, e continuarono la loro via, probabilmente dietro
l'assicurazione che fra Dionisio e compagni andavano a prenderlo e tra
poco sarebbero tornati con lui. Essi trovarono infatti il Campanella
a Monasterace, in casa della S.^ra D.ª Eleonora insieme col Marchese
d'Arena, e seppero che vi stava già da sei giorni. Il Campanella prese
subito licenza da questi Signori, e poco dopo, accompagnato da tutta la
comitiva venuta a rilevarlo, tornò a Stilo. Durante il viaggio gli fu
presentato il Pisano come uno degli amici; stando a cavallo gli domandò
se era prete di Messa, e udito che era chierico, tenne qualche discorso
con lui dilucidandogli alcuni dubbi. Secondochè il Pisano potè capire
e riferire col suo limitato intelletto, il Campanella gli avrebbe
confermato che non ci era vita futura, dicendo che i corpi nostri
erano come quelli de' bruti e che le anime nostre si convertivano in
non essere; quanto poi all'essenza di Dio, gli avrebbe detto di star
contento a ciò che i frati gli aveano significato, trattandosi di
cose troppo elevate per la sua intelligenza; così il Pisano rimase
persuaso che quanto gli era stato detto da' frati veniva approvato dal
Campanella[271].
Prima di andar oltre riesce necessario chiarire un poco tutto questo
andirivieni. Vi sarebbero due maniere di spiegarlo; o che fra Dionisio,
con la sua tendenza a vagare e col bisogno di una compagnia, tanto
per soddisfare alla sua indole ciarliera quanto per provvedere alla
sua sicurezza personale, sia andato fino a Messina per fare qualche
acquisto associandosi a qualche compagno di viaggio, e poi abbia fatto
lo stesso nel volersi recare a Stilo; ovvero, con l'impegno di trovare
amici ed alleati per l'impresa da doversi compiere, siasi rivolto al
suo germano Ferrante e ad altri individui di sua conoscenza, e tra
essi a que' frati, che potevano fare al caso suo e raggranellare anche
qualcuno, principalmente poi abbia adempito ad una missione segreta
in Messina, e sia venuto da ultimo presso il Campanella per dar conto
di questa missione e di tutti gli altri maneggi, presentando i frati
amici insieme co' primi saggi della loro raccolta. Quando più tardi si
dovè rendere ragione di questi viaggi ne' tribunali, si disse appunto
che fra Dionisio era andato a Messina per comperar pepe, tostati e la
Biblioteca Santa del Sisto, come il Bitonto per comperar materassi;
del viaggio sussecutivo a Stilo non si rese ragione alcuna, e solo il
Bitonto accennò all'essere andato a Stilo per pregare il Campanella
che gli facesse avere l'incarico di qualche predicazione. Tutto ciò
è possibile, ma è possibile anche l'altra versione, specialmente se
si tengano presenti tutte le circostanze anteriori e posteriori: a
noi pare molto accettevole la seconda maniera di spiegare la cosa,
e giungiamo fino a credere che fra Dionisio abbia potuto andare in
Messina per far arrivare cautamente al Cicala qualche sua lettera,
giacchè un documento da noi trovato nell'Archivio di Spagna in Simancas
ci mostra che appunto in questo tempo da Messina e dalla casa stessa
del Cicala partivano le informazioni che costui desiderava, e poi,
alcuni anni dopo, si vide fra Dionisio scappato dal carcere riparare
appunto in casa del Cicala a Costantinopoli[272]. Il viaggio a Messina
fu più tardi minutamente vagliato intorno all'eresia e non intorno
alla congiura: noi non vorremmo menomamente sembrare più crudeli del
crudelissimo Avvocato fiscale che tanto aggravò la causa di questi
disgraziati, e però ci limitiamo ad enunciare la nostra idea e ad
abbandonarla alla meditazione de' lettori, ma ricordando che nel tempo
in cui fra Dionisio si recava a Messina, Maurizio non aveva ancora
avuta occasione di andar lui presso i turchi. Certamente poi da tutto
l'insieme de' fatti successivi, ed anche soltanto da' fatti che si
verificavano in quei giorni, si ha motivo di ritenere che i suddetti
viaggi si connettevano col lavoro per la congiura.
In Stilo non sappiamo veramente quali discorsi siano stati allora fatti
tra il Campanella e que' frati: sappiamo solo che l'indomani parlarono
a lungo tra loro senza l'intervento del Pisano e del Grillo, e poi,
rimanendosi fra Dionisio, ciascuno degli altri prese la volta della
sua dimora. Ma vi erano già arrivati anche Marcantonio Contestabile
col Caccìa e con Gio. Francesco d'Alessandria, il quale era stato
sollecitato propriamente dal Caccìa. Nemmeno sappiamo i discorsi fatti
col Contestabile; c'è tuttavia ogni ragione di credere che costui abbia
dovuto egualmente render conto de' suoi maneggi e de' compagni che avea
trovati. Sappiamo solamente i discorsi fatti dal Campanella in presenza
del Caccìa e del D'Alessandria, secondochè li rivelò poi il Caccìa nel
processo della congiura, ma, come abbiamo già avuta occasione di dire,
alle rivelazioni del Caccìa non si può troppo aggiustar fede, essendo
state fatte fra tormenti atroci. Secondo il Caccìa, nella sua cella
insieme con fra Dionisio, il Campanella manifestò loro la congiura
e i preparativi che già si faceano: ripetè che in quell'anno 1599 e
1600 dovevano esservi le grandi mutazioni, affermò che ci erano molti
altri congiurati per fare le Provincie di Calabria repubblica, con
l'aiuto anche del Turco e d'altri Signori, manifestò che «Mauritio e un
altro di Reggio di Casaspano (_sic_) haveano fatto una gran quantità
di forusciti», e che lui, il Campanella, «voleva essere Monarca del
mondo et dare nova legge»[273]. In verità non apparisce credibile che
quest'ultima proposizione abbia potuto essere stata detta ad un uomo
come il Caccìa, e però tutta la rivelazione sua rimane infirmata:
può ammettersi solamente che Gio. Francesco d'Alessandria dovè essere
catechizzato nel senso delle prossime mutazioni e rivoluzioni, e tutti
doverono essere infervorati a star pronti e a cercare altri compagni.
Tre giorni durò la permanenza di questi fuorusciti nel convento di
Stilo: il Campanella e fra Dionisio rimasero soli, ma per brevissimo
tempo; giunse in fretta il Bitonto e fu necessario che il Campanella,
insieme con lui e fra Dionisio, si mettesse di nuovo in viaggio.
Passiamo a dire ciò che era accaduto.
Nel partire da Stilo, fra Giuseppe Bitonto e fra Giuseppe di Jatrinoli
furono accompagnati da Cesare Pisano fino alla Motta Placanica; di
là, separandosi dal Pisano, proseguirono fino a Castelvetere e si
fermarono nel convento del loro Ordine; e sia per accidente, sia con
premeditazione, videro un Felice Gagliardo di Gerace che stava nelle
carceri di Castelvetere e tennero con lui un abboccamento. Questo
Felice Gagliardo ci darà molto da dire nel sèguito della nostra
narrazione. Giovane a 22 anni, di molto ingegno e di nessuna coscienza,
temerario e peggio, avea preso moglie in Condeianni ma dimorava in
Gerace con un Pietro Veronese suo patrigno, ed entrambi menavano
pessima vita: nel Grande Archivio abbiamo intorno a loro trovato un
documento che mostra come fin da due anni prima si dilettassero di
grassazioni e di furti[274]. Vedremo più tardi che Felice, stando poi
carcerato in Napoli, continuava a tenere corrispondenza con una banda
di fuorusciti, alla quale non era estraneo il Veronese e della quale
facea parte un suo fratello a nome Lucio, che andò a finire ucciso
come bandito con taglia, e Felice medesimo, liberatosi da' travagli
per la congiura e l'eresia, andò poi a finire sul patibolo per delitti
comuni. Egli avea da due anni conosciuto il Bitonto che era stato in
Condeianni a predicare: in sèguito, essendo sorta inimicizia tra lui e
il proprio cognato a nome Felice Regitano, gli avea tirato un colpo di
fucile, per la qual cosa si trovava in carcere. Secondo il Bitonto, il
Gagliardo lo chiamò per raccomandarsi che avesse pregato i suoi parenti
in suo favore, procurandogli la remissione da parte loro; ma ciò non
toglie che il Bitonto, a quanto pare, avesse fatto assegnamento sopra
di lui per la ribellione; di fatti gli avrebbe detto di voler procurare
l'accomodamento in Condeianni, e frattanto stesse di buon animo, chè
vedrebbe succedere cose le quali gli sarebbero di grandissima utilità.
Giunto a Condeianni, non mancò di trattare co' parenti del Gagliardo,
ma costoro si negarono affatto: pertanto Cesare Pisano veniva
carcerato, e il Bitonto dovè occuparsi di lui. — Di ritorno dal viaggio
fatto, Cesare Pisano si era appropriata una giumenta del Principe
della Roccella, che era pure Marchese di Castelvetere, e però fu preso
dagli ufficiali del Principe e tratto alle carceri di Castelvetere: il
Bitonto gli avrebbe detto che andasse di buon animo, che troverebbe là
Felice Gagliardo amico suo; frattanto cercò subito che il Campanella e
fra Dionisio parlassero al Principe della Roccella in favore di Cesare,
e così ebbero a mettersi di nuovo in viaggio tutt'insieme per tale
scopo.
Era il 1º o il 2º giorno di luglio, quando il Campanella, fra Dionisio
e fra Giuseppe Bitonto, partiti da Stilo giungevano in Castelvetere.
Quivi dapprima visitarono Cesare Pisano nel carcere, di poi così
il Campanella come fra Dionisio si recarono presso il Principe per
supplicarlo che lo liberasse: e pare che il Principe lo facesse
sperare, tanto che circa venti giorni dopo, ritenendo la cosa ben
certa, fra Dionisio ne annunziava la liberazione ad un altro frate che
era zio di Cesare, fra Vincenzo Rodino di S. Giorgio; ma veramente
il Principe non ne fece nulla. Intorno poi alle parole scambiate
tra' frati e il prigioniero, secondo il Bitonto gli si sarebbe detto
solamente di star di buon animo; secondo Felice Gagliardo si tenne un
discorso lungo e segreto, ed oltracciò, finito il discorso, Cesare
che già si era stretto a lui lo presentò al Campanella dicendo,
«questo giovane è di Condeianni e potrà servire et mover genti», e il
Campanella e fra Dionisio gli avrebbero entrambi detto di dar credito
a quanto gli sarebbe stato comunicato da Cesare[275]. Avvertiamo
una volta per sempre che le asserzioni di Felice Gagliardo non si
possono ritenere senza le più grandi riserve: ma è verosimile che
il Bitonto, nell'altro suo abboccamento con lui, gli avesse parlato
della ribellione, non senza condire il discorso con le teoriche
antireligiose giusta il metodo di fra Dionisio, e che Cesare gli avesse
continuato a parlare sempre più efficacemente nello stesso senso; così
il Gagliardo potè essere presentato al Campanella e a fra Dionisio,
venendo scambiata tra loro qualche parola di complimento e forse anche
qualche allusione coverta alle imprese disegnate. Certo è che fu questa
la prima volta in cui Felice Gagliardo venne a contatto col Campanella
e con fra Dionisio, e per pochi istanti. Certo è del pari che Cesare,
infatuato pe' discorsi precedentemente avuti con fra Dionisio e con
gli altri frati, si fece a catechizzare Felice Gagliardo, il quale non
avea veramente molto bisogno di essere catechizzato, e così pure gli
altri che stavano o vennero successivamente nello stesso carcere per
imputazioni diverse, durante i tre mesi e più che là fu rinchiuso. Con
l'eccitamento del neofito e con la storditaggine che gli era propria,
cominciò fin dalla prima sera a trattenersi con Felice Gagliardo su'
noti argomenti, esagerando quanto aveva imparato ed aggiungendovi del
suo. Non esisteva Trinità, l'ostia non conteneva Cristo (dimostrandolo
col solito fatto osceno, che attribuiva a sè medesimo per vanteria ed
anche al Bitonto), Cristo era un povero pezzente sporco «zazzaruso»,
che si scelse per compagni dodici altri pezzenti ed era in relazioni
pessime con Giovanni; de' miracoli di Cristo non si dovea creder nulla
perchè riferiti da' suoi parenti ed amici; Lazzaro era risorto per via
di erbe, e Maria era una schiava nera d'Egitto concubina di Giuseppe,
e però nell'Officio si diceva «nigra sum»; nel morire le anime si
convertivano in ombre fugaci e spiriti aerei e i corpi in pietre, non
c'era inferno nè paradiso nè diavoli, cose inventate «ad terrorem», le
vigilie co' digiuni erano state inventate per far morir presto, e poi
le solite storie della mala vita de' Papi e dei Cardinali, de' conventi
etc. E poi, che il Messia Campanella aveva armi e genti assai e denari,
ed avrebbe conquistato più Stati e Regni che non ne conquistarono gli
Apostoli, perchè «vis unita fortior»; e presto vi sarebbero rivolture e
Campanella farebbe nuove leggi. Pare impossibile che questo sciagurato
ciarlasse tanto co' suoi compagni di carcere; ma egli medesimo ebbe poi
a dire che discorse così largamente di eresia con loro, perchè «credeva
più facilmente indurli o confirmarli alla ribellione temporale»..
«per vedere si loro erano boni per la ribellione»[276]. Avea dunque
adottato pienamente il metodo di fra Dionisio, e con questo metodo
egli infervorava alle cose nuove, oltre Felice Gagliardo, un Orazio
Santa Croce di Gerace, un Geronimo Conia di Castelvetere, un Camillo
Adimari di Altomonte paggio del Principe della Roccella, un Gio. Angelo
Marrapodi di S.^ta Agata mastrodatti: e pare che meno quest'ultimo di
età più inoltrata e repugnante propriamente alle teoriche irreligiose,
gli altri, che aveano da' 19 a' 30 anni di età, consentissero più o
meno ma senza scoprirsi troppo; erano giovani e non de' più pacifici,
stavano in carcere e non vedevano l'ora di uscirne, aveano quindi
ragione di accogliere siffatte cose molto volentieri. L'essere poi
stati, all'infuori del Gagliardo, più o meno discolpati dal medesimo
Pisano negli ultimi momenti di sua vita, come ci mostra un documento da
noi rinvenuto nell'Archivio dei Bianchi di giustizia, deve intendersi
nel senso che essi, all'infuori del Gagliardo, non si manifestarono
esplicitamente con lui; e per verità non avrebbero potuto manifestarsi,
vedendolo facile a ciarlare così leggermente di cose tanto delicate.
Secondo le rivelazioni che più tardi fecero contro di lui gl'individui
suddetti, e segnatamente il Gagliardo ed il Conia, egli avrebbe loro
esposta la congiura per filo e per segno, con molti particolari di
grande importanza: probabilmente costoro vi erano stati già iniziati,
ed anche poterono foggiare molte cose sulle notizie che allora ne
correvano; non di meno deve ritenersi per certo che egli ne abbia
parlato enfaticamente, dietro ciò che glie ne aveano detto in ispecie
fra Dionisio, fra Giuseppe Bitonto e fra Giuseppe Jatrinoli. Pertanto
è facile vedere che lo zelo del Campanella in favore di Cesare non
va spiegato unicamente co' riguardi verso i suoi amici che glie lo
raccomandarono; lo zelo stesso di fra Dionisio per quest'uomo, di cui
non aveva avuto punto a lodarsi in passato, non va spiegato unicamente
co' riguardi verso il Bitonto; senza dubbio le premure pel Pisano
mettevano capo alla sua qualità di affiliato alla congiura.
Vediamo ora le ulteriori mosse del Campanella. È accertato che egli
si trattenne due soli giorni in Castelvetere, e che tornato a Stilo,
insieme con fra Dionisio, continuò d'accordo con costui a sollecitare
amici e far raccolta di fuorusciti. Più volte avea scritto a fra Gio.
Battista di Pizzoni, il quale ricoverava nel suo convento un fuoruscito
molto noto, a nome Claudio figlio di Ferrante Crispo: oltracciò si
trovava ricoverato nel convento di Soriano un altro fuoruscito non meno
noto, Giulio Soldaniero di Borrello in compagnia di un suo servitore
anche più agile di lui nelle armi, a nome Valerio Bruno di Motta
Filocastro, e il Campanella pensò di far parlare egualmente a questo
Soldaniero.
Fra Gio. Battista di Pizzoni risedeva appunto nel convento di Pizzoni,
paesello distante poche miglia da Soriano: il convento era piccolo
ed abbastanza isolato, e non conteneva più di due sacerdoti e due
o tre «terzini o terzi habitelli» come solevano chiamarsi i frati
inservienti; nè occorre dire che in questa specie di conventi non
c'era ombra di regole monastiche. Fra Gio. Battista vi aveva titolo
di Vicario; con lui stava il suo fido fra Silvestro di Lauriana, e
tra' terzini stava fra Fabio Pizzoni nipote di fra Gio. Battista,
le cui relazioni con fra Silvestro aveano già dato da dire anche
troppo. Non erano mai mancati i fuorusciti in quel convento, e il
predecessore di fra Gio. Battista, fra Ferrante da Soriano, avea
passato pericolo di essere precipitato dalle finestre per mano di
quelli che si trovavano là ricoverati: avendovi giurisdizione il
Vescovo di Mileto, ed obbligando costui, come già conosciamo, i
superiori dei conventi a ricoverare i fuorusciti sotto pena delle
censure ecclesiastiche, Claudio Crispo, giovane fuoruscito per
omicidio, vi stava in piena regola, e fra Gio. Battista mantenevasi con
lui in buonissime relazioni, anche perchè, a quanto pare, gli serviva
da braccio forte verso i suoi nemici. Aveva poi fra Gio. Battista
avuta occasione di conoscere pure Giulio Soldaniero, ed ecco in che
modo. Giulio, anche lui di soli 22 anni, possidente, con moglie, si
era fatto capo di banditi, avendo ucciso due suoi cugini Marcello e
Pietro Soldaniero, oltre una donna, Vera la Rocca, per ereditarne, come
dicevasi, le sostanze; ma ne rimanea tuttora vivo un altro, Eusebio
Soldaniero, e costui si era fatto bandito egualmente, per difendersi
e per vendicare i suoi fratelli. Giulio risedeva ordinariamente nel
convento di Soriano, convento magnifico, divenuto una delle maraviglie
della Calabria, possedendo un'immagine portatavi nientemeno che da
S.ª Caterina e da M.ª Maddalena: egli vi stava già da oltre otto
mesi, avea quivi passata la quaresima assistendo a tutte le prediche
fatte in tal tempo da fra Gio. Battista da Polistina (circostanza da
ricordarsi), e per voto alla Madonna dell'Idria, fatto un giorno che
gli toccò una ferita d'archibugio, si asteneva da' cibi di grasso
il martedì; con tutto ciò i Superiori del convento affermavano esser
lui uomo di mala vita, ma il Vescovo di Mileto non volea che venisse
espulso. Eusebio risedeva ordinariamente in Serrata casale di Borrello;
intanto un giorno corse voce che fosse venuto nel convento di Pizzoni
per trovarsi più vicino a Giulio ed insidiarne la vita; Giulio scrisse
allora una lettera minatoria a fra Gio. Battista, il quale si affrettò
a dissipare l'equivoco, si diè premura di vederlo e rimase con lui in
buoni termini. Potea dunque servire per invitare Giulio a far parte
della congiura; e veramente come costui si fece poi a confidare al
Priore di Soriano, più volte lo sollecitò in questo senso; tuttavia
parve bene che gli si facesse udire anche la voce di fra Dionisio, e
così fu convenuto, quando, dietro le insistenze del Campanella, dovendo
anche aggiustare una faccenda d'interessi con un fra Marcello Basile
francescano, fra Gio. Battista si risolvè di andare a Stilo.
Ma appunto in quel tempo, durante la prima settimana di luglio, il
Campanella, chiamato un'altra volta dal Marchese, dovè recarsi ad
Arena. Fra Gio. Battista di Pizzoni ve l'accompagnò, e così pure fra
Dionisio, unitamente a Marcantonio Contestabile, Gio. Tommaso Caccìa
e un altro fuoruscito, con molta probabilità Giovanni Morabito, che
per essere di Filogasi conoscevasi col nome di Giovanni di Filogasi:
vedremo infatti più tardi distintamente nominato questo Giovanni di
Filogasi come uno della compagnia[277]. Fece inoltre egualmente parte
della compagnia questa volta il fratello del Campanella Gio. Pietro,
armato anch'egli, come i fuorusciti predetti, di fucile e pistola
(scoppetta e scoppettuolo, quest'ultimo noverato tra le armi proibite).
Il Campanella fu alloggiato presso il Marchese in castello, nell'altura
di Arena; tutti gli altri si rimasero nella terra, certamente in
compagnia di Gio. Francesco d'Alessandria che soleva stare in Arena.
Ma l'indomani fra Gio. Battista di Pizzoni e fra Dionisio se n'andarono
alla volta di Soriano presso Giulio Soldaniero; ed ecco due uomini, già
inimicissimi, in sèguito ravvicinati, ora stretti al punto da compiere
insieme una missione molto delicata: volle poi fra Dionisio addurre
l'antica inimicizia per mostrare che la cosa non fosse stata possibile,
ma risulta da fonti numerosi e indubitabili che egli andò veramente
presso il Soldaniero insieme con fra Gio. Battista, e la sua negativa
medesima mostra che quest'andata aveva uno scopo compromettente.
La missione presso Giulio Soldaniero, eseguita senza dubbio con
l'intesa del Campanella ne' primi giorni della sua dimora in Arena, per
la grande importanza che ebbe in sèguito merita di essere conosciuta
ne' suoi più minuti particolari. Giunti i due frati a Soriano, Dionisio
dimandò subito del Soldaniero, ed immantinente ebbe luogo uno stretto
colloquio. Fra Gio. Battista, che sembra essersi allora limitato a
promuovere la reciproca conoscenza tra' due interlocutori, lasciando
a fra Dionisio il còmpito di trattare, l'indomani se ne partì per
Pizzoni: fra Dionisio poco dopo lo seguì senza che se ne sia mai
conosciuto bene il motivo, avendo taluno detto che temeva che fra
Gio. Battista conducesse il Campanella a Pizzoni, ed altri invece
detto che voleva appunto condurre il Campanella a Pizzoni; ma più
plausibile apparisce l'aver voluto far premura a fra Gio. Battista che
senza perdita di tempo conducesse Claudio Crispo presso il Campanella.
Certo è che nello stesso giorno poi fra Dionisio tornò e ripigliò
i colloquii col Soldaniero, rimanendo una volta anche a pranzo con
lui, e il giorno seguente tornò pure fra Gio. Battista accompagnato
da Claudio Crispo e diretto ad Arena, allo scopo, come egli diceva,
di procurarsi la protezione del Marchese per riscuotere un legato.
Fra Dionisio si fermò in Soriano tutto quel giorno ed anche il giorno
dopo, nel quale, essendo domenica, ad istanza di alcuni cittadini
e propriamente di un Rutilio di Pucci, fece una predica e poi se
ne andò egli pure ad Arena. Questo si può raccapezzare da' racconti
contradittorii ed anche iniqui intorno a siffatta visita di fra Gio.
Battista e fra Dionisio al Soldaniero. Certo è che i colloquii con
costui, segnatamente per parte di fra Dionisio, continuarono in modo
più o meno interrotto dal giovedì alla domenica, e non è difficile
intendere su quali argomenti versassero. Fra Dionisio seguì il suo
solito metodo di catechizzare, accennando le profezie, magnificando
la persona del Campanella, esponendo i disegni della ribellione, ma
sviluppando al tempo medesimo principii irreligiosi: senza dubbio si
può e si deve usare molta riserva intorno alla misura di siffatti
colloquii, avendo di poi influito le più infami circostanze ad
estenderla oltre ogni limite come a suo tempo vedremo; ma intorno alla
natura loro non può muoversi dubbio veruno, essendo una ripetizione
di discorsi analoghi tenuti già in analoghe occasioni. Fra le varie
rivelazioni discordi e bugiarde, abbiamo quelle del Priore e del
Lettore di Soriano (fra Giuseppe d'Amico e fra Vincenzo di Lungro)
che per verità non possono menomamente ritenersi disinteressate, ma ad
ogni modo sono più serie di quelle del Soldaniero e compagno, ed ecco
ciò che risulta da esse. Fra Dionisio avrebbe parlato della ribellione
contro il Re, dicendo pure che molti Signori erano dalla parte de'
congiurati; avrebbe inoltre esternato principii irreligiosi dando
un pugno ad un crocifisso dipinto nel dormitorio e dicendo che non
bisognava credergli, affermando che i Sacramenti erano stati istituiti
per ragione di Stato, che non si dovea credere ad un poco di farina
mista coll'acqua e poi cotta, che taluno (anzi egli stesso) avea fatto
dell'ostia quell'uso osceno tante volte accennato, che i miracoli
erano baie, ed il Campanella potea farli e li avrebbe fatti al tempo
della ribellione. Queste cose il Soldaniero comunicò al Priore ed al
Lettore di Soriano vari giorni dopo che fra Dionisio era partito dal
convento, ed anzi al Priore comunicò dapprima le sole cose concernenti
la ribellione e molto più tardi, in agosto, comunicò pure le cose di
eresia. Nè attribuì mai a fra Gio. Battista, in quel tempo, l'aver
detta alcuna cosa di eresia, comunque avesse affermato che più volte
egli era stato da lui tentato per la ribellione; del rimanente disse
al Lettore che il Campanella, fra Dionisio, fra Gio. Battista, fra
Silvestro di Lauriana, fra Pietro di Stilo e fra Domenico di Stignano
«erano tutta una cosa insieme»; così per la prima volta troviamo fatta
menzione di questo gruppo, che con fra Giuseppe Bitonto, fra Giuseppe
Jatrinoli e fra Paolo della Gretteria rappresentò tutto il gruppo de'
frati promotori della ribellione[278]. Non ci fermiamo sopra altre
circostanze della ribellione e dell'eresia, che il Soldaniero manifestò
più tardi, quando tradì nel modo più atroce i congiurati, e che per
tale motivo non possono tutte accogliersi alla leggiera; probabilmente
fra Dionisio disse molto più di quanto il Soldaniero comunicò al Priore
ed al Lettore, ma ciò che ci risulta dalle rivelazioni di costoro
basta per fare intendere, che sollecitato dal Pizzoni, persuaso da
fra Dionisio, sotto gli auspicii del Campanella, il Soldaniero col
suo Valerio Bruno per lo meno era in via di entrare a far parte della
congiura. Dobbiamo poi notare un'altra circostanza importantissima,
che fu rivelata dal medesimo Priore fra Giuseppe d'Amico. Un giorno,
nell'agosto, gli fu mostrata dal Soldaniero una lettera scritta e
sottoscritta dal Campanella, il cui carattere egli conosceva molto
bene, e nella fine di essa si leggeva il seguente brano, «di quel
tanto che vi ha ragionato il Padre lettore fra Dionisio, del tutto mi
rimetto al mio locotenente fra Gio. Battista di Pizzone». Pur troppo
il Campanella si spinse fino a dar fuori sue lettere, dirigendone non
solo al Soldaniero ma anche a qualche altro fuoruscito; e vedremo che
questa diretta al Soldaniero fu portata da fra Pietro di Stilo, come
risulta da una spontanea deposizione di fra Pietro medesimo, al quale
è impossibile negar fede. Dopo tutto ciò non farà meraviglia che nella
Dichiarazione, e così pure nella Difesa, il Campanella non abbia mai
parlato di queste sue relazioni col Soldaniero, ed invece abbia appena
citato quest'uomo nella Dichiarazione tra gli amici di Maurizio, ed
abbia poi ingarbugliato le cose di questo periodo nella Narrazione
così come segue: «Sapendo Fra Dionisio ch'il Polistena volea farlo
uccidere com'il zio per mezzo di Giulio Saldaneri, che stava ritirato
in convento di S. Domenico di Suriano per haver ucciso dui proprii
fratelli per la robba, però cercò guastar quella amicizia del Polistena
col Saldaneri per via di Mauritio Rinaldi amico di Saldaneri, e volea
uscir con loro in campagna risolutamente per ammazzar il Polistena.
Però con tutti parlava di mutatione di secolo et del Regno». È facile
rilevare che queste cose furono scritte assolutamente pel bisogno di
scolparsi, ma sono ben lontane dalla verità.
Abbiamo veduto il Pizzoni con Claudio Crispo andare presso il
Campanella ad Arena. Fu questo evidentemente un altro acquisto per la
ribellione, e Claudio, nel processo consecutivo, confessò in tortura
di aver trovato ad Arena il Campanella, che nel castello medesimo
del Marchese, in una camera segreta, gli comunicò la ribellione,
aggiungendo pure nientemeno che erano in aiuto di essa il Principe di
Bisignano e D. Lelio Orsini, ed egli promise di trovar gente, e parlò
con Gio. Tommaso Caccìa e Giovanni Morabito; sicuramente d'allora in
poi il Crispo ed il Caccìa rimasero in molto stretta relazione tra
loro. Ma secondo la Dichiarazione del Campanella, che fu poi confermata
in un senso meno semplice dalla sua confessione in tortura, egli venne
pregato da fra Gio. Battista di visitare Pizzoni e di parlare delle
mutazioni al Crispo; e così andò a Pizzoni e là, coll'occasione di
un discorso sulla fabbrica dell'Astrolabio, si fece a parlare delle
mutazioni e della convenienza di trovarsi pronti e di avere molti
compagni. Aggiunge ancora nella confessione, e poi nella Difesa, che
fra Gio. Battista avea premura che si parlasse al Crispo, perchè costui
volea passare a nozze e conveniva distoglierlo da tale idea, ad oggetto
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