Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 21

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di mantenerselo disponibile come suo braccio forte. Ma evidentemente
questo fatto potea bene stare insieme con l'altro, eppure deve notarsi
che la faccenda delle nozze non si pose innanzi fin da principio nella
Dichiarazione, sibbene più tardi, allorchè vi fu tempo di poter trovare
qualche pretesto: importa poi ben poco che il colloquio siasi tenuto in
Arena o invece in Pizzoni, rimanendo sempre indubitato che si sollecitò
Claudio Crispo a prender parte nelle mutazioni da dover accadere, ed
egli si offerse, vantandosi anche di avere amici per l'impresa; in ciò
si accordano tanto il Crispo quanto il Campanella. È verosimile che in
Arena sia stato cominciato isolatamente, ed in Pizzoni poi sia stato
proseguito con più largo uditorio, il discorso delle mutazioni con
le relative conseguenze: poichè vedremo il convegno di Pizzoni avere
avuta un'importanza assai più grande, e il Campanella dovè in sèguito
studiarsi di restringerne le proporzioni, limitandolo al solo discorso
per Claudio Crispo.
Dobbiamo ora notare un altro fatto che il Campanella affermò avvenuto
durante la sua permanenza in Arena, l'avere cioè saputo per lettera
di Giulio Contestabile che Maurizio era andato sulle galere d'Amurat
Rais. Nella Dichiarazione egli disse che questa lettera era venuta
a lui medesimo; nella confessione disse invece che era venuta a fra
Gio. Battista di Pizzoni e a Claudio Crispo. La prima versione è
certamente più probabile, come è più probabile che la lettera gli sia
stata diretta da Maurizio in persona[279]. Con questa lettera ci sembra
chiaro che doveva essergli partecipata non già l'andata sulle galere
di Amurat, a lui certamente già nota, ma la risposta di Costantinopoli,
la notizia della sicura venuta del Cicala in settembre e dell'adesione
sua a' loro progetti: una galera distaccata del medesimo Amurat, di
quelle che si dicevano «lingue» perchè prendevano e davano informazioni
sulle coste, potè servire a tale scopo, sicchè Maurizio dovè recarvisi
di nuovo e conoscere l'esito della trattativa. I particolari poi di
ciò che si era convenuto furono da Maurizio spiegati al Campanella
più tardi, quando potè abboccarsi con lui: ne parleremo dunque anche
noi a suo tempo, e qui notiamo, che al punto cui siamo pervenuti il
Campanella potè esser certo che le trattative col Turco erano state
conchiuse. Aggiungiamo poi che la lettera la quale annunziava le
trattative conchiuse fu con ogni probabilità recata da fra Pietro di
Stilo, poichè troviamo fra Pietro venuto allora in Arena, a quanto
pare accompagnato da Fabrizio Campanella parimente armato come Gio.
Pietro Campanella: questa venuta di fra Pietro, il quale «era un poco
parente di Maurizio» come ebbe poi a dire nel processo di eresia,
dà motivo a credere che la lettera di annunzio delle trattative
conchiuse dovè essere stata scritta dallo stesso Maurizio, e che fra
Pietro, compreso della gravità di essa, non volle affidarla ad altre
mani. Così accadde pure che lo stesso fra Pietro, dopo alcuni giorni,
si fece latore di un'altra lettera scritta dal Campanella a Giulio
Soldaniero, e si recò in sèguito a Davoli, appunto in quella terra
in cui soleva risedere Maurizio presso il sacerdote D. Marcantonio
Pittella. Aggiungiamo inoltre che poco dopo, in data del 25 luglio,
Maurizio si fece a scrivere al Crispo che egli era «l'istessa persona
con fra Tomase», per eccitarlo senza dubbio a seguirne i ragionamenti
col mettergli innanzi la propria partecipazione all'impresa. Del pari
in data del 25 luglio, da Davoli, Maurizio scrisse ad un Gio. Francesco
Ferraima «che venesse a trovarlo senza dire nè dove va nè a chi va,
e vada cautelatamente, e quando entra sia con honestà, et che Donno
Marco Antonio Pittella li darà nova dove me ritrovo, et che entrii di
notte, et che haveano da raggionare negotio importantissimo, il quale
non patisce dilatione, e tardando sgarraremo (_intend_. sbaglieremo)
negotio, che spero arrivaremo hoggi, et che desiderando haver contento
dele cose ch'hà desiderate si ne venghi subito». Vedremo che queste
lettere furono disgraziatamente trovate ed inserte nel processo che
ne seguì: esse intanto mostrano che a quella data Maurizio, avuta
l'assicurazione della non lontana venuta dell'armata turca e del poter
procedere d'accordo con essa, si dava grandissima premura di affrettare
i preparativi, e dopo aver cercato d'infondere la premura medesima nel
Campanella e socii, cercava di eccitare personalmente gli amici a lui
noti ed anche di raccoglierne de' nuovi. Le sue sollecitazioni non
riuscirono inutili; ma già il solo annunzio dell'accordo co' turchi
avea destato in tutti un gran movimento. Fra Gio. Battista, nella data
medesima del 25 luglio, scriveva a un fra Pietro Musso da Monteleone
una lettera, nella quale «trattava di congregatione di forasciti et
arme», come già fra Dionisio gli avea pure scritto precedentemente in
data del 10 giugno. E sembra che del pari al 25 luglio debba riferirsi
una lettera di Claudio Crispo a un Geronimo Camarda, nella quale «li
tratta della congiura et de la sicura vittoria _nel mese di settembre_,
nomina fra Gio. Battista, fra Dionisio et il Campanella, saluta Donno
Gio. Battista Cortese et Donno Gio. Andrea Milano, advertendo pur
vengano con V. S. conferme semo stati a Filogasi con fra Gio. Battista
de Pizzoni, et finisce venga in effetto quel che noi speramo». Anche
queste lettere vedremo che caddero in mano degli ufficiali Regii
e furono come le precedenti inserte nel processo, dal quale ebbe a
rilevarle il Mastrodatti facendone il sunto che abbiamo fedelmente
riportato: e bisogna aggiungere inoltre ciò che il Campanella manifestò
nella sua confessione. Fra Gio. Battista e Claudio Crispo mandarono
a chiamare perfino Eusebio Soldaniero; a tale scopo fra Silvestro
di Lauriana si portò a Serrata, ma Eusebio non ci volle andare.
Evidentemente si riteneva che questa impresa dovesse segnare il termine
di tutti gli odii anche più implacabili, dovesse apportare il bacio
della pace generale, come del resto si è preteso sempre in altrettali
momenti; se non che Eusebio forse dubitò di qualche tranello da parte
d'individui i quali erano in istretta relazione col suo nemico Giulio,
e ad ogni modo non ne volle sapere. Intanto fra Dionisio se n'era in
tutta fretta andato a Nicastro, per passare immediatamente a Taverna,
dove era stato assegnato come lettore fin dal maggio senza aver mai
curato di recarvisi, e quindi, messa in regola la sua posizione,
ripigliare le sue escursioni per raccogliere amici, segnatamente in
Catanzaro, dove era convenuto che avesse a spiegare la sua azione.
Il Campanella poi, non appena potè lasciare il Marchese, se ne andò a
Pizzoni, per infervorare gli amici già raccolti ed assicurarsi anche
di Giulio Soldaniero, il quale avrebbe dovuto egualmente là convenire.
Dobbiamo del resto rammentare che, oltre la sollecitazione di Maurizio,
raddoppiò il fervore del Campanella la comparsa di quella tale cometa
marziale e mercuriale, che appunto in luglio fu vista correre presso
la terra da ponente a levante, e che egli interpretò per la venuta di
gente dal di fuori contro i Reggitori della Provincia.
Erano già quindici giorni da che il Campanella si trovava in Arena,
e di là potè finalmente recarsi in Pizzoni. Secondo fra Gio. Battista
ciò accadde il 25 luglio; ma dovrebb'essere accaduto non così tardi,
avendo lo stesso fra Gio. Battista dichiarato che due giorni prima
fra Dionisio, di passaggio per Pizzoni, si era trattenuto un poco con
lui, e sappiamo di certo per un documento inserto nel processo, che
fra Dionisio il giorno 21 era già in Nicastro. O dunque il Campanella
partì prima del 25, o fra Dionisio non si fermò punto in Pizzoni:
questa seconda ipotesi è più probabile, giacchè da una parte fra
Dionisio avea molta fretta, e d'altra parte fra Gio. Battista dichiarò
che in questa sua fermata fra Dionisio gli avea tenuto discorsi di
eresia, la qual cosa, come vedremo in sèguito, non si può accettare
senza riserva. Il Campanella fu accompagnato a Pizzoni dagl'individui
medesimi che l'avevano prima accompagnato in Arena, con queste poche
varianti. Mancava fra Dionisio, già partito; vi era invece fra Pietro
di Stilo, e con lui probabilmente, come abbiamo detto, Fabrizio
Campanella armato. Quest'ultima circostanza risulterebbe dalla
deposizione di fra Gio. Battista, che confusamente parlò di «parenti
armati» i quali accompagnavano il Campanella in Arena; oltracciò dal
fatto, che lo stesso Fabrizio Campanella lo accompagnò più tardi a
Davoli presso Maurizio. E su tale proposito bisogna notare che il
Campanella, nella sua Dichiarazione, cercò quasi di giustificare la
compagnia di gente armata, col dire che un Colella e un Giovannello
di Gioia l'aspettavano per ammazzare suo fratello che era con lui;
la qual cosa in realtà non sarebbe per que' tempi inverosimile[280].
Fra Gio. Battista medesimo, certamente insieme con Claudio Crispo,
volle pur egli accompagnare il Campanella, e difatti si portò
ad Arena, non senza rivedere il Soldaniero nel suo passaggio per
Soriano; giunto quindi presso il Campanella entrò a far parte della
comitiva. Si ebbe così una comitiva piuttosto numerosa, certamente più
numerosa di quanto poteva comportare il piccolo convento destinato
ad accoglierla, e però dovè fare una certa impressione; giacchè
troviamo essersi detto più tardi che v'era stato in Pizzoni un gran
convegno di congiurati e un gran banchetto, in cui si era stretto
il fascio e si erano spinti innanzi gli accordi. Giulio Soldaniero,
il quale avrebbe dovuto andarvi e non vi andò, giunse a dire che
«se ricolsero in Pizzoni più di trenta cinque capi»[281] de' quali
non sapeva il nome, citando però tra coloro che conosceva Eusebio
Soldaniero nemico suo per comprometterlo; forse anche l'aver creduto
che vi si dovesse trovare Eusebio lo decise a non andarvi. E poichè
si riteneva aver proceduto di pari passo la trasgressione nelle cose
dello Stato e quella nelle cose della Chiesa, venne poi facilmente
accolta pure la voce che nel banchetto, tenutosi di venerdì, si era
mangiato carne e segnatamente si era mangiata la porchetta. Fra Paolo
della Grotteria, il quale da Vallelonga convenne pure a Pizzoni ma
vi giunse la sera sul tardi, depose che la riunione accadde realmente
di venerdì, e potè dare soltanto la lista del desinare dell'indomani
concepita in termini più che magri, quali si leggono ne' documenti
annessi a questa narrazione: relativamente poi alle persone riunite,
egli nominò, oltre il Campanella, fra Gio. Battista di Pizzoni, fra
Silvestro di Lauriana che co' «due terzi habitelli faceva la cucina»,
fra Pietro di Stilo, un giovanetto che chiamavano Gio. Pietro (Gio.
Pietro Campanella) «et con questo dui altri, uno basciotto et un altro
alto negro» (Fabrizio Campanella e Marcantonio Contestabile); dippiù
«v'erano dui figlioli di ferrante Chrispo, c'era anco uno di Squillace
chiamato Gio. thomase caccia che diceano ch'era preite, c'era anco
un altro giovane di Filogaso chiamato Gioanne, et non mi recordo il
cognome... tutti questi sopra nominati stavano armati di scopette et
scopettolo, eccetto uno dilli figli di Chrispo»[282]. Troppo furono
ingrandite in sèguito le proporzioni di questo convegno: ma, tolte di
mezzo le esagerazioni, rimane sempre che i principali fuorusciti[283]
di quelle parti facevano corona al Campanella e a fra Gio. Battista,
meno Gio. Francesco d'Alessandria che forse accompagnò fra Dionisio,
e Giulio Soldaniero che mancò all'appello. La riunione durò quattro o
cinque giorni secondo il Pizzoni, sette giorni secondo fra Silvestro
di Lauriana. Stando alle dichiarazioni di fra Paolo della Grotteria,
«il Campanella e fra Gio. Battista di Pizzoni tutto il giorno parlavano
con li banditi in secreto et a longo»; ma certamente non v'erano
altri estranei co' quali potessero parlare. Stando alle dichiarazioni
di fra Gio. Battista, precisamente il 28 luglio, nel passeggiare
con lui in Chiesa, il Campanella gli avrebbe parlato in particolare
delle sue previsioni e profezie, de' futuri rumori, ribellioni e
mutazioni di Stati, dimandandogli se avesse aderenza con fuorusciti,
ed invitandolo a volergli dare costoro a sua devozione e collegarsi
con lui: ma non occorre far avvertire che tali discorsi erano passati
tra loro molto tempo prima. Inoltre avrebbe detto che gli pareva di
essere stato proprio eletto da Dio per insegnare la verità e levare
molti abusi grandi che regnavano nella Chiesa e massime ne' Prelati,
che i Sacramenti erano solo per ragione di Stato, che il canto usato
dalla Chiesa era una cosa frivola e pareva quasi che con esso si
burlasse Iddio: e poi che il Sacramento dell'altare era una semplice
commemorazione e tutti gli altri Sacramenti non erano stati ordinati
da Gesù, la Trinità era una chimera, e molte e molte altre eresie, le
quali del rimanente gli sarebbero state già prima comunicate una per
una da fra Dionisio Ponzio, allorchè, due giorni innanzi, era passato
per Pizzoni. Ma vedremo a suo tempo quali e quante ragioni influissero
a far parlare fra Gio. Battista in tal modo, senza per altro escludere
che il Campanella alle volte esternasse tra gli amici da lui stimati
più fidi (e fra Gio. Battista era del numero) qualcuna delle sue intime
credenze, non che qualcuna delle riforme le quali avrebbe avuto in
animo d'introdurre: intorno a ciò ci riserbiamo di esporre più in là,
una volta per sempre, quanto ci risulterebbe più vero tra le tante cose
che gli vennero attribuite. Vediamo intanto ciò che sarebbe avvenuto
in Pizzoni secondo lo stesso Campanella: ecco come egli ne fece il
racconto nella sua Dichiarazione. «Me venne a visitare (_in Arena_)
fra Giovan Battista Cortese de Piczoni con Claudio Crispo, et pregato
ch'io andase a Piczoni che l'haveriano havuto in favore grande, et
cossì ci andai, mosso da paura che certi nemici della casa mia, Colella
e Giovanello de Gioia, m'aspettavano per amazzare mio fratello che era
con me, et do poi in Piczoni ragionai con loro, et havendo visto che
fra Gio. Battista tenea un libro della fabrica dell'Astrolabia, et che
parlava de cose future, richiesto da loro disse della mutatione che
si aspettava secondo fra Gio. Battista havea detto a loro; et Claudio
vantandosi d'havere amici se fosse bisogno de fare guerra, io le
disse che sarebbe bene haverne assai, per che sempre giova, et che li
Principi et Re tengono conto di coloro i quali han più amici, et sempre
vi servirano, et cossì le disse quel che havea detto a Mauritio, il
qual'ancora era amico di Claudio, et conobbi con ogn'un che parlavo,
che tutti erano disposti a mutatione, et per strada ogni Villano
sentiva lamentarsi; per questo io più andava credendo questo havere da
essere». Quasi non occorre dire che tali cose furono certamente dette
non al solo Claudio Crispo, ma anche a tutti gli altri là presenti, i
quali il Campanella ebbe cura di non nominare; nè a tali cose soltanto
dovè limitarsi il discorso. Se si potesse accogliere pienamente quanto
si fece poi a deporre fra Gio. Battista, il Campanella già si vantava
di avere l'aiuto del Turco, essendosi negoziato col Bassà Cicala, e
diceva che in principio gli bastavano la lingua a persuadere i popoli
e le armi de' banditi, e poi avrebbe quelle di altri più potenti, che
voleva predicare contro la tirannide di Re Filippo e de' suoi Principi,
ed anche contro il Papa, i Cardinali e i Vescovi, che prima si doveva
ammazzare il Vicerè di Catanzaro e poi gli ufficiali, ed allora alzar
voce di ribellione e far repubblica. Non si potrebbe menomamente
affermare che tutto ciò sia stato palesato a' convenuti in Pizzoni,
ma è credibilissimo che qualche cosa di simile sia stata annunziata.
Intanto il Campanella pensò pure ad assicurarsi del Soldaniero, e
non avendolo visto, prese la grave determinazione di scrivergli una
lettera, la quale fu consegnata da fra Pietro di Stilo, che si partì
un giorno prima degli altri da Pizzoni per recarsi a Davoli, e passò
a tale scopo per Soriano. Quando più tardi fu conosciuto l'iniquo
voltafaccia del Soldaniero, fra Pietro, ritenendo senza dubbio che la
cosa fosse stata già palesata, si diè premura di non nasconderla, e
non solo attestò di aver consegnata al Soldaniero questa lettera, ma
ancora di avergli detto per imbasciata che il Campanella «l'era molto
servitore et che desiderava molto di vederlo», lodandogli grandemente
fra Tommaso e pregandolo che volesse andare da lui; parrebbe pure che
il Soldaniero gli avesse detto di essergli stati comunicati da fra
Dionisio i progetti del Campanella con tutto il corredo delle eresie,
e che fra Pietro gli avesse raccomandato di non palesar nulla di tali
cose essendo fra Dionisio uno scapato. Da parte sua il Soldaniero
negò sempre di aver ricevuta una lettera del Campanella, e ciò si
spiega considerando che tale fatto l'avrebbe dato a divedere complice
nell'impresa: ma abbiamo già avuta occasione di dire che il Priore di
Soriano assicurò di aver letto egli medesimo una lettera del Campanella
mostratagli dal Soldaniero, in fine della quale il Campanella diceva di
rimettersi al suo locotenente fra Gio. Battista; v'è quindi ogni motivo
di ritenere non solo che la lettera sia stata realmente inviata, ma
anche che con essa il Campanella, non avendo potuto di persona trattare
col Soldaniero, abbia accreditato fra Gio. Battista presso di lui.
Come si vede, quando le cose stringevano, fra Pietro di Stilo non
rifuggì dall'impegnarsi personalmente nella faccenda della congiura.
Amava moltissimo il Campanella, di cui non cessava di lodare la grande
dottrina; si occupava pure di un matrimonio tra un suo fratello e una
sorella (cugina) di fra Tommaso «pur sua parente», matrimonio che poi
non ebbe effetto pe' dolorosi incidenti sopravvenuti; oltracciò era
«un poco parente di Maurizio». Tali circostanze, emerse nel processo
di eresia, spiegano il suo impegno diretto in questo momento assai
delicato delle trattative: del resto possiamo dire che egli dubitò
sempre della serietà dell'impresa, e sovente si permise di scherzare
intorno ad essa: difatti, mentre ognuno se ne imprometteva onori e
grandezze, egli soleva dire tra i frati che avrebbero preso una moglie
per uno, e da parte sua moriva della voglia di prenderla, delle quali
proposizioni dovè poi render conto al S.^to Officio. Vedremo che il
Campanella nella sua confessione in tortura, rivelando coloro i quali
doveano con lui predicare per la repubblica, nominò il Pizzoni, il
Petrolo, il Lauriana, fra Dionisio, e soggiunse che fra Pietro di Stilo
avea saputo la cosa all'ultima ora, e nemmeno interamente, poichè non
ispirava fiducia, essendo un pazzo! Evidentemente il Campanella volle
nascondere qualche cosa, ma la definizione che diè del suo amico,
messa in raffronto con gli scherzi di lui intorno a' beneficii della
grande impresa, conferma che fra Pietro ci credeva poco, e vi si
trovò impigliato per compiacenza più che per convincimento. Secondo le
sue deposizioni, allorchè s'incontrarono in Arena, il Campanella gli
avrebbe parlato delle profezie, delle mutazioni prossime e dell'esser
bene per chi si trovasse armato, e presolo per la mano gli avrebbe
detto, «fra Pietro, è stato scritto contro di me da quelli di Stilo
al Nuntio et al Papa, ch'io ho amicitia di banniti, per questo io
me spagnio, (_int._ mi spavento) un poco». Ma forse accadde appunto
il contrario, e dovè fra Pietro spaventarsi un poco ed avvertire
ancora una volta il Campanella, che qualcuno di Stilo avrebbe potuto
rivelare la sua amicizia co' banditi: circa poi le profezie e tutto il
resto, fra Pietro dovea aver conosciuto da lungo tempo ogni cosa, e
forse anche per esse egli ebbe tanto meno la forza di contraddire al
Campanella, mentre tutti vi credevano e a tutti una mutazione pareva
inevitabile. Così non poche furono le ragioni che l'indussero ad uscire
dalla sua riserva e farsi latore di lettere, le quali, se fossero
cadute nelle mani degli ufficiali Regii, l'avrebbero compromesso nel
peggior modo. Al momento cui siamo giunti, egli si recava a Davoli,
alla residenza abituale di Maurizio; non sappiamo cosa vi andasse
a fare, ma si può ben ritenere che andasse a consegnare a Maurizio
qualche lettera del Campanella.
III. Oramai il lavoro ferveva da tutti i lati, e non giunse ad
interromperlo nemmeno un avvenimento verificatosi in que' giorni
appunto, avvenimento che contribuì in modo gravissimo alla rovina
de' frati e di tutta l'impresa. Per commissione del P.^e Generale
una Visita si dovea fare ne' conventi delle Calabrie, essendo stato
mandato qual Visitatore il P.^e Marco da Marcianise, di cui abbiamo
già avuta occasione di dire qualche cosa nel parlare de' tumulti di S.
Domenico di Napoli. Fu questo il motivo per lo quale fra Dionisio ebbe
fretta di portarsi a Nicastro e quindi a Taverna, volendo mettersi in
regola e poi continuare la sua propaganda. Egli si sentiva minacciato
di una sostituzione nel lettorato di Taverna e forse anche di qualche
maggiore gastigo, per la protratta noncuranza dell'assegnazione
avuta dal Capitolo. Ciò risulta da una sua lettera in data del 21
luglio da Nicastro, diretta a fra Vincenzo Rodino di S. Giorgio,
nella quale, mentre gli annunzia la liberazione del Pisano per opera
sua e del Campanella, credendola in realtà avvenuta, dice ancora,
«molte altre cose passano che non le può sopportar penna»; partecipa
inoltre l'arrivo del Visitatore nella Provincia, e mostra di credere
che tale visita sia una conseguenza de' suoi memoriali al Papa contro
l'ex-Provinciale fra Giuseppe Dattilo, denominato nel gergo fratesco
il Cepolla; infine soggiunge che si sarebbe portato l'indomani a
Taverna lettore, «per non dar sodisfatione ad alcuni che han cercato
andarci». Evidentemente a quella data fra Dionisio non conosceva
ancora chi fosse il Visitatore, in caso opposto non avrebbe mai potuto
crederlo favorevole alla fazione sua. Ad ogni modo andò al suo posto
in Taverna; se non che quivi, coll'indole sua irrequieta ed impetuosa,
finì per aggravare moltissimo la sua condizione. Facea parte di quel
convento un giovane frate, piccolo, rossetto (così ci viene descritto
da più fonti), nativo di Nizza del Monferrato, a nome fra Cornelio:
il Campanella nelle sue Difese lo disse lombardo, e nell'Informazione
ci fece sapere che non era nemmeno regolarmente professo, sibbene un
intruso; questa circostanza non potrebbe far maraviglia, visto il
procedere scompigliato di que' tempi, ed è superfluo poi ricordare
che la presenza de' napoletani e de' lombardi era allora un fatto
ordinario ne' conventi Domenicani delle due regioni. Fra Dionisio,
trovato questo frate alla mensa in un posto che invece spettava a lui,
lo fece levare di là bruscamente; in questo si accorda ciò che disse
il Campanella nell'Informazione e ciò che fu scritto negli Articoli
difensivi dati da fra Dionisio nel consecutivo processo di eresia; ma
quivi si aggiunse ancora, che innanzi a più e diversi frati lo avea
confuso dicendogli che non intendeva la materia _de censuris_ e la
scomunica. Fra Cornelio vendicativo più dello stesso fra Dionisio, ed
inoltre ambizioso e maligno all'eccesso, fu preso quale compagno dal
Visitatore, dietro consiglio de' Polistina, del Dattilo e di tutta la
fazione avversa a fra Dionisio: vedremo subito con quale spirito egli
entrasse in ufficio, e sarà noto una volta di più come gravissimi fatti
possano nascere dalle più lievi cause. Una rissa accaduta poco tempo
dopo, nella quale fra Dionisio venne a ferire un frate, diè l'occasione
alle prime avvisaglie. Questo è accennato anche dal Campanella
nell'Informazione; ma nel processo di eresia è narrato in tutti i suoi
particolari ed in un modo abbastanza comico dal Barone di Cropani, il
quale fu uno de' carcerati come complice nella congiura, e disse di
aver trattato con fra Dionisio solamente per siffatto motivo. «Havendo
fra Dionisio una cagnola quale mangiò la piatanza ad un frate, quello
frate venne in rissa con fra Dionisio, di maniera che fra Dionisio
bastoniò quel frate, et per questo mi pregò andare dal Provintiale
di Calabria che io lo facesse venire da lui, che con una correggia in
canna se li voleva buttare alli piedi e dimandare l'assolutione de la
scomunica incorsa». Veramente fra Dionisio non era soltanto incorso
nella scomunica, sibbene, come ci fece sapere il Campanella nella
Dichiarazione e poi nell'Informazione, sempre con qualche variante atta
ad aiutare la sua causa, era stato dal Visitatore condannato al confine
in Celico, casale di Cosenza, sotto pena della galera con la privazione
del lettorato e dell'abito per tre anni: ma anche prima di conoscere
tale condanna, egli si pose in giro, con la ragione o col pretesto
di trovare amici che lo facessero assolvere, e al tempo stesso col
proposito sempre più acuto di trovare amici per la ribellione. Vedremo
più in là i particolari di quest'altro periodo della sua propaganda;
per ora c'importa non lasciare troppo indietro il Campanella.
Dopo quattro o cinque giorni o poco più di permanenza in Pizzoni,
il Campanella si ridusse a Stilo, e poi passò anche qualche giorno
in seno alla famiglia in Stignano. Intanto, come risulta da ciò
che scrisse nella sua Dichiarazione, Maurizio venne a Stilo, e non
avendolo trovato, perchè egli era già andato a Stignano, gli lasciò
una lettera con la quale lo pregava di venire a trovarlo a Davoli per
cose d'importanza: dopo qualche esitazione egli vi andò, accompagnato
dal Petrolo e da Fabrizio Campanella, e trovato presso il Pittella
Maurizio, costui gli fece conoscere ciò che avea trattato col Turco
e gli mostrò anche una scrittura turchesca, la quale il Campanella
non seppe leggere. Fermandoci dapprima su questa scrittura turchesca,
dobbiamo dire che essa era senza dubbio un salvacondotto, come risultò
dalla confessione medesima di Maurizio. Dobbiamo aggiungere che
parecchi tra' più vicini a Maurizio la qualificarono egualmente: così
il suo servitore Tommaso Tirotta dichiarò, che quando Maurizio mostrò
al Campanella in presenza d'altri «lo scritto che ebbe da' turchi»,
lo disse un salvacondotto, e che un Pietro Jacovo Garzia diceva, «ora
potremo andare sicuri che abbiamo il salvocondotto». Ma questo si ebbe
dopo che si era «trattato et concluso con Morat Rays» della ribellione,
come risultò dalle parole di Maurizio, e meglio ancora dalle parole
del Campanella nella Dichiarazione, dove egli appunto espose ciò che
Maurizio «havea capitulato con li turchi», riferendolo per dichiarare
che se n'era mostrato dispiaciuto ed allarmato. Maurizio gli avrebbe
detto che «esso havea trattato con Amurat sopra le galere che venisse
l'armata del turco, che esso volea pigliare Catanzaro et la Provintia»:
il Campanella non l'avrebbe approvato affatto, per la semplice ragione
che i turchi erano nemici da non potervisi fidare e sempre giuravano
il falso; Maurizio rispose «ch'havea capitulato con li turchi che non
havessero assai a tener dominio in Calabria, ma solum assistere nel
mare per fare paura a chi lo contrastasse, et che li turchi voleano
solo il trafico in questo Regno et non altro», e gli mostrò la carta
turchesca, ma il Campanella continuando a lamentarsi di lui avrebbe
deciso di lasciare la sua amicizia. Questo espose il Campanella; dal
canto suo Maurizio espose, che avendo comunicato ciò che avea trattato
e concluso, «tutti (meno il Pittella che rimase indifferente) mostrorno
haverne gran contento, et ne giubilorno, laudando et dicendo ch'havea
fatto assai di quello che loro desideravano», bensì confermò aver
fatto ogni cosa «da per se solo et non per conseglio ne per ordine
et consenso di detto fra Thomase»[284]. Passando oltre per ora alla
dispiacenza o al giubilo del Campanella, cominciamo dal rilevare che
vi furono patti abbastanza chiari: l'armata del Turco avrebbe dovuto
venire in Calabria (senza dubbio in un tempo determinato e in un numero
di galere determinato) per far paura nel mare a chi contrastasse da
questa via, facendo anche sbarchi ed occupando temporaneamente terre
di Calabria; Maurizio, lui personalmente, avrebbe dovuto pigliare
Catanzaro ed estendere la sua azione a tutta la Provincia, obbligandosi
ad accordare a' turchi per l'avvenire vantaggi commerciali. Con
ogni probabilità vi furono anche altri patti, e per lo meno i patti
precedenti, p. es. quello dell'occupazione delle terre di Calabria
da parte dei turchi, doverono essere meglio determinati. Dal processo
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