Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 17

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a tutto ciò aggiungere che il Campanella, col suo predicare, aveva
in mente pure di eccitare il popolo a costruire pel suo convento una
degna Chiesa, e giunse a scavarne le fondamenta. Nelle Difese, che
ebbe a scrivere ad occasione del suo processo, egli addusse questo
fatto in prova della sua pietà, e vedremo che vi alludeva pure quando
nel carcere mostravasi pazzo e sosteneva i tormenti, gridando che avea
fatto disegnare un convento in Stilo, un convento di S.^to Stefano
con tre monaci, la qual cosa possiamo bene intendere, dopochè il
Capialbi ci ha fatto sapere che il convento di S. Maria di Gesù era
stato fabbricato abusivamente nel territorio de' Certosini di S. Maria
della Torre, e i Domenicani, rimasti soccombenti in una lite, furono
abilitati da' Certosini a dimorarvi, ma riconoscendo il dominio loro e
tenendo dipinte sulla porta del convento le immagini de' protettori de'
Certosini S. Stefano e S. Brunone[234].
Quanto alle letture, occupazione da lui sempre amata, diede nella
propria cella letture di filosofia, e ne profittarono, oltre a fra
Domenico di Stignano pel tempo in cui dimorò nel convento, diversi
individui di Stilo, tra gli altri Giulio Contestabile e Fulvio Vua
assiduamente, e di tempo in tempo Gio. Gregorio Presinace, che trovasi
più spesso detto Prestinace, suo stretto amico, dippiù alcuni giovani
venuti da' paesi vicini, come i due fratelli Jacopo e Ferrante Moretti
di Terranova. Tutti costoro si trovarono di poi involti nelle sventure
del Campanella, e bisogna fin d'ora attendere a ricordarne i nomi.
Quanto alle opere, abbiamo per questo periodo un garbuglio molto
difficile ad essere districato. La notizia delle opere scritte in
Stilo nella fine del 1598 e parte del 1599, può rilevarsi da quattro
fonti principali che per ordine di data sarebbero: le due Difese
composte durante il processo (1600-601), la Lettera latina al Papa
e Cardinali pubblicata dal Centofanti (1607), la Narrazione ed
Informazione pubblicate dal Capialbi (1620), infine il _Syntagma_
(redatto nel 1631 e pubblicato nel 1642); inoltre può anche fornire
un po' di luce qualche circostanza inserta in talune delle opere
medesime giunte sino a noi[235]. Ma i fonti suddetti sono discordanti,
e la qualche circostanza inserta nelle opere potrebbe rappresentare
una interpolazione consecutiva; giacchè per lunghissimo tempo il
Campanella ebbe bisogno di dimostrare che in Stilo era occupato a
edificare, non a distruggere, in fatto di Stato e di Chiesa, e forse
taluna delle opere fu da lui assegnata a questo periodo mentre non vi
apparteneva. Diremo di un tratto che per quanto possiamo giudicarne,
in Stilo, nel periodo sopra indicato, certamente egli compose una
_Tragedia_ secondo i principii della sua poetica, intitolata _Maria
Regina di Scozia_, ed ancora un libro _De Auxiliis contra Molinam pro
Thomistis_, aggiuntovi un trattato _De Episcopo_; con ogni probabilità
compose inoltre il libro _Della Monarchia di Spagna_, e dippiù i
_Segnali della morte del mondo_, che poi furono rifatti più volte e
dati sotto il titolo di _Articuli prophetales_. La _Tragedia_ nella
1.ª Difesa si dice conosciuta in Stilo ed anche dal Principe della
Roccella, che vedremo dapprima amico e più tardi persecutore del nostro
filosofo; nell'Informazione poi, e del pari nel _Syntagma_, si dice
esplicitamente composta in Stilo. Il libro _De Auxiliis_, col trattato
_De Episcopo_, non si trova registrato nelle Difese, e questo dà un
poco a pensare, ma lo si trova nella Lettera al Papa e Cardinali,
dove si dichiara che componevasi di 150 articoli; lo si trova inoltre
nell'Informazione, dove si aggiunge che fu scritto ad istanza del
Commissario del S.^to Officio di Roma, cioè del Tragagliolo, ed ancora
nel _Syntagma_, dove è affermato, come negli altri fonti anzidetti,
che fu composto in Stilo; solamente in entrambi questi due ultimi
fonti non si dice nulla del trattato _De Episcopo_. Finquì non c'è
alcuna obbiezione da fare: bisogna pertanto aggiungere che questi libri
andarono poi perduti quando il Campanella fu catturato, ne mai più si
è avuta finoggi notizia di essi. — Relativamente poi alla _Monarchia
di Spagna_, di tanto maggiore importanza pel Nostro argomento, essa si
trova registrata nelle Difese due volte, ma con un'aggiunta autografa,
essendo stata taciuta quando le Difese furono scritte, e si trova
registrata al sèguito del libro _De Regimine ecclesiae_, che è dato
siccome scritto in Stilo, mentre sappiamo da altri fonti essere stato
scritto in Padova, esserne stata mandata copia a Mario del Tufo, ed
esserne stato poi perduto l'originale in Calabria; questo dà motivo
di pensare che la _Monarchia_ abbia potuto essere scritta nel carcere
medesimo, bensì durante il 2.º semestre del 1600 e 1.º del 1601, pe'
gravissimi bisogni della causa. D'altra parte la si trova registrata
anche nell'Informazione siccome scritta in Stilo, con la particolarità
che fu scritta ad istanza del Reggente Marthos Gorostiola, Biscaino,
protettore del filosofo; frattanto nel _Syntagma_ la si trova citata
tra i libri composti nel carcere, ma dopo le tre ultime parti della
Filosofia reale, la qual cosa non può assolutamente stare, giacchè
vedremo in modo irrecusabile che alle dette tre parti della Filosofia
fu posto mano dopo l'agosto 1601, mentre l'aggiunta della _Monarchia_
nelle Difese era stata già fatta nel giugno 1601. Ben si rileva che
alle affermazioni del _Syntagma_ si può prestar fede assai meno che a
quelle di qualunque altro fonte, ed anzi, per le troppe inesattezze
che vi sono incorse, non si può prestar fede in modo alcuno. Ma il
garbuglio riesce pur sempre difficilmente districabile, molto più
perchè nelle Difese dicesi la _Monarchia_ scritta «ad instantiam
praetoris», termine vago, che potrebbe indicare il Preside della
provincia D. Alonso De Roxas ed anche il Capitano di Stilo, mentre dopo
tale espressione il Campanella si dice «praetori hispano amicissimus,
et gubernatoribus provintiae, qui eum ad praedicandum rogavit semper»;
intanto nelle copie manoscritte della _Monarchia_, che tuttora esistono
in buon numero, alle volte si trova citato semplicemente un «Sig.
D. Alonso» a richiesta del quale il libro sarebbe stato scritto ed
al quale l'autore l'avrebbe indirizzato dalla sua «celletta», dove
si trovava uscito dall'infermità e da dieci anni di travagli, altre
volte invece si trova ampiamente citato il «sig.^r Reggente Marthos
Gorostiola» nelle medesime circostanze, citato il «conventino di
Stilo», il «Monasterio di Santa Maria di Giesù», dal quale l'autore
avrebbe mandato il libro al Marthos, con la data iniziale e finale
della composizione «15 di Xbre» e «31 di Xbre 1598». Non volendo
intralciare ancora di più la narrazione nostra con altrettali minute
disquisizioni, ci limitiamo a dire che si può ritenere essere stata
la _Monarchia di Spagna_ scritta veramente in Stilo oltrechè inviata
confidenzialmente a D. Alonso de Roxas, e forse per covrire ciò
che s'intendeva di fare («ad malum tegendum» come nelle Difese il
Campanella mostra di prevedere che si sarebbe pensato circa le cose
da lui scritte e dette in favore di Spagna); esser stata poi rifatta
nel carcere durante il 2.º semestre del 1600 e 1.º del 1601, dopochè
se n'era perduta la prima composizione in Calabria al momento della
cattura, col confuso indirizzo al Sig.^r D. Alonso, dovendo l'autore
guardarsi dal mettere innanzi D. Alonso De Roxas, cui si era attribuita
non la connivenza, ma la tolleranza de' maneggi per la congiura; essere
stato da ultimo, con una interpolaziene posteriore, sempre pe' bisogni
della causa, volendo eliminare affatto la reminiscenza di D. Alonso
De Roxas e chiarire anche meglio le circostanze convenienti, apposto
il nome del Reggente Marthos Gorostiola con tutte le particolarità
suddette, e ciò dopochè il Marthos era trapassato, mentre si conosce
che morì alla fine di gennaio 1601. Ma ciò che più c'importa si è
il notare come per la _Monarchia di Spagna_ non si possa stabilire
altra data che quella o della fine del 1598, o del 2.º semestre del
1600, del tempo cioè nel quale o si meditava la congiura, o si dovea
dimostrare ad ogni costo che non c'era stata congiura; e da ciò
segue che precisamente nella forma in cui essa è giunta fino a noi,
non si possa ritenere l'espressione certa degl'intimi convincimenti
dell'autore, ma piuttosto l'espressione delle necessità supreme che
stringevano l'autore da ogni lato. Sotto questo punto di luce, che ci
sembra tanto più contemplabile dietro la nozione vera della data del
libro, noi vorremmo che fosse considerata la _Monarchia di Spagna_
da coloro i quali attendono a ricercare le dottrine del Campanella,
non potendosi ammettere in alcun modo che essa sia stata scritta
dieci anni dopo la carcerazione, cioè nel 1609, come è stato finoggi
erroneamente ritenuto[236]. Da ultimo, circa il libro de' _Segnali
della morte del mondo_, anch'esso d'importanza grandissima per
l'argomento nostro, lo si trova registrato nella 1.ª Difesa sotto il
titolo di _Articuli prophetales_ (Doc. pag. 480), i quali _Articuli_ si
vedono poi costituire la 2.ª Difesa; e questo mostra che essi abbiano
dovuto essere redatti appunto dopo che era stata già scritta la 1.ª
Difesa, e redatti di seconda mano dopo che se n'era perduta la prima
composizione in Calabria per la solita circostanza della cattura.
Anche nelle copie degli _Articuli prophetales_ giunte fino a noi,
e rimaste manoscritte, il titolo dice «prout auctor prophetavit _ac
scripsit_ in anno 1599»; ma vedremo a suo tempo che fu questa una 3.ª
composizione fatta egualmente nel carcere, sibbene più tardi, il 1607,
dopo che era stata per l'autore perduta la 2.ª composizione, rimasta
allegata nel processo, di dove oggi appena esce alla luce; intanto
non farà meraviglia che nel _Syntagma_ si trovino citati gli _Articuli
prophetales_ insieme con altri libri scritti in un tempo più inoltrato
del carcere, mentre veramente la 3.ª composizione fattane in tal
tempo vedesi incomparabilmente più larga delle anteriori, sulle quali
d'altronde l'autore non potea più fare alcuno assegnamento. Vi è poi
anche un altro argomento atto a dimostrare che il Campanella compose
davvero in Calabria un libro de' _Segnali della morte del mondo_, ed
esso è che il povero padre del filosofo, come emerge dal processo,
nella sua ignoranza manifestò ad una persona essere il figlio occupato
in comporre «un libro che non lo fece nè Luca, nè Giovanni, nè nisiuno
degli apostoli» etc., e questo libro naturalmente non poteva essere
altro che il libro di cui stiamo trattando: del resto dobbiamo pure
fare avvertire, che per quanto si voglia ritenere prodigiosa la potenza
mentale del Campanella, apparisce pur sempre impossibile che nelle più
feroci strette del carcere, tra il 1600 e il 1.º semestre del 1601, con
la sorveglianza assidua nella quale era tenuto, co' duri tormenti a'
quali si trovava sottoposto, egli abbia potuto scrivere, oltre la 1.ª
Difesa, gli _Articuli prophetales_ e la _Monarchia di Spagna_, senza
una precedente composizione di questi libri fatta in Calabria. Con ciò
chiudiamo la lunga discussione, che non parrà eccessiva a chi consideri
l'importanza capitale dell'argomento.
II. Continuando il racconto della vita del Campanella giungiamo al
periodo dell'azione da lui spiegata in Calabria, che menò alle pratiche
definite di poi congiura o tentata ribellione. L'idea della vicina
fine del mondo, accertata dalle profezie, da' calcoli astronomici,
da' fenomeni meteorologici, dal turbamento ed anche dallo scontento
del paese, fu da lui efficacemente divulgata, con la giunta de' grandi
fatti che doveano precederla. Dapprima nelle conversazioni, poi anche
nella predicazione alla quale attendeva nella Chiesa del convento, egli
annunziò che per la vicina fine del mondo dovevano esservi mutazioni e
novità, e con ciò spinse all'estremo limite l'agitazione di aspettativa
in ogni ceto della provincia; in sèguito, trattando con individui
audaci e ben disposti, persuase loro segretamente che era venuto il
tempo della santa repubblica universale da doversi godere prima della
fine del mondo, che bisognava mettersi in armi e raccogliere compagni
per proclamarla; essi con le armi, egli unitamente a' suoi frati con
la lingua, avrebbero contribuito al movimento, e vi sarebbero nuove
leggi, nuove costumanze, assai migliori delle precedenti, naturalmente
da lui meditate. Qui non più la sua Narrazione soltanto, ma anche
la Dichiarazione che scrisse nel momento in cui fu catturato, le
Difese presentate nel processo che ne seguì, le diverse Lettere che
scrisse più tardi in sua discolpa, l'Apologia che annesse all'ultima
composizione degli Articoli profetali, dànno notizie in grande
abbondanza; se non che queste debbono essere sempre rigorosamente
vagliate, riscontrandole con le relative deposizioni de' suoi
compagni di sventura, le quali, d'altra parte, debbono essere vagliate
egualmente con molto rigore, poichè senza dubbio non tutte degne di
fede.
Diremo d'un tratto esservi ogni motivo di ritenere, che l'idea della
vicina fine del mondo, nella maniera da lui concepita, sia stata
l'espressione de' suoi intimi convincimenti, non già un trovato per
raggiungere maliziosamente il suo scopo, in cui si comprendeva un
alto interesse pubblico, e al tempo medesimo un interesse personale,
il compimento degli alti destini a' quali si credeva nato; bensì
egli stimò conveniente trarre da tale idea un sollecito partito,
sembrandogli i tempi molto propizii, per iscuotere il giogo spagnuolo e
fondare il sistema di governo politico-religioso, che aveva immaginato
poter dare all'umanità un assetto felice. Innanzi l'estremo anelito del
mondo doveva godersi il secolo d'oro, ma occorreva far qualche cosa per
conseguirlo; doveva godersi la santa repubblica antevista da' profeti,
da' filosofi, da' savii d'ogni genere, ma occorreva pure arditamente
conquistarla e difenderla. Di certo nell'ultimo periodo della sua
dimora in Roma, e ne' sette mesi che passò in Napoli, egli ebbe a
rivedere i tanti libri di profezia e di astrologia, che troviamo da lui
citati ne' suoi Articoli profetali, e che gli sarebbe stato impossibile
avere in Stilo. Così, oltre i libri de' Profeti e dell'Apocalisse,
avea rovistato i detti di S.^ta Brigida, S.^ta Caterina, Dionisio
Cartusiano, S. Serafino da Fermo, S. Vincenzo Ferrer, Abate Gioacchino,
fra Girolamo Savonarola, tutti in somma quei pensieri di menti esaltate
e però inferme, venerati e sostenuti con uno strano abuso di così
dette _figure_, che darebbero argomento interessante per una storia,
la quale narrasse almeno i principali tra gli enormi danni da essi
recati. Aggiuntevi le considerazioni fatte da Lattanzio Firmiano, S.
Ireneo, S. Giustino, S. Berardino, Clemente Alessandrino, Tertulliano,
Vittorino, S. Sulpizio, Martino, Origene, ed inoltre i detti delle
Sibille, dei Filosofi, de' Poeti, compresi Dante e Petrarca, avea
trovato una colluvie di ragioni in sostegno della sua tesi, ragioni
che sarebbe inutile ripetere ed è poi facile rilevare anche da que'
ristretti Articoli profetali dati in sua difesa e riportati ne' nostri
Documenti. D'altronde nella sua casa medesima seppe che la cugina
Emilia, prima che egli tornasse in Calabria, era stata tenuta per
morta durante tre giorni, e poi ripigliata la vita avea discorso delle
cose e de' fatti di un altro secolo, con grande stupore de' teologi,
diretta nelle sue visioni da un Cappuccino di Stilo che egli trovò già
defunto; e chi sa quali visioni e presagi avea dati fuori questa cugina
convulsionaria e catalettica intorno allo stesso Campanella, che ebbe
a dichiararsene stupefatto[237]! In conclusione egli vide sempre più
chiaro l'avvicinarsi della morte del mondo, e con essa la conversione
delle nazioni, il secolo d'oro e la repubblica cristiana universale che
dovea godersi prima della fine del nostro pianeta; vide inoltre che i
frati di S. Domenico doveano predicare e preparare questa repubblica e
questo secolo d'oro, nè riesce difficile intendere che in ciò doveva
essere a lui riserbata la parte principale. Ma insieme co' libri di
profezia egli avea rovistato anche quelli di astronomia ed astrologia,
segnatamente quelli del Cardano, del Cipriano, dello Scaligero,
dell'Arquato[238], e rifatti anche varii calcoli, si era persuaso
dell'avvicinamento del sole alla terra per 10 mila miglia, della
restrizione della via del Zodiaco, dello spostamento degli apogei,
delle figure e perfino de' poli, in somma di una quantità di volute
_dissorbitanze_, e molta impressione gli avea fatta la comparsa di una
nuova stella avvenuta nel 1572, la coincidenza delle ecclissi prevedute
pel 1601, 1605, 1607, de' _grandi sinodi_ o della _congiunzione
magna_ determinata pel 24 10bre 1603. Cumulando tutte queste cose
con le profezie, egli era venuto sempre più nel concetto che non
solo le mutazioni dovessero dirsi immancabili, ma anche assai vicine,
instanti, e tali le ripetè in sèguito del pari nelle sue Poesie, dove
sono esposti alcuni profetali ed egualmente la congiunzione magna con
la data assegnatale: se non che egli poi non attese il 1603 per le
mutazioni prevedute, ma si diede a volerle pel 1600 ed anche prima, la
qual cosa merita di essere notata.
Diversi fenomeni straordinarii, avvenuti nel tempo di cui stiamo
trattando e in una gran parte del 1599, gli sembrarono anche un
preludio delle mutazioni aspettate; ma con ogni probabilità gli
sembrarono al tempo stesso utili incidenti per mettersi in grado
di compiere la mutazione da lui concepita, profittando della grave
impressione avutane nel paese. Vi fu prima di tutto la terribile
inondazione del Tevere, oltre quella del Po, avvenuta nella penultima
settimana del 1598 e continuata tre giorni interi, dal martedì al
venerdì: questo immenso disastro della capitale del mondo cattolico fu
conosciuto in Calabria a' primi giorni del 1599 e vi fece grandissimo
senso. Come è ricordato nella Narrazione, fra Dionisio, tornando da
Ferrara, si trovò in Roma nel tempo del disastro, e giunto in Calabria
raccontava qual testimone oculare lo spaventoso avvenimento. Il
Campanella predisse allora che vi sarebbero terremoti, come ricordò
nella Lettera scritta alcuni anni dopo al Card.^l Farnese, e realmente
se ne verificarono gravissimi in Calabria e Sicilia più tardi, con
altri fenomeni che spaventarono le moltitudini e che menzioneremo qui
tutt'insieme per non intralciare di troppo il nostro racconto. Vi fu
dapprima una enorme invasione di bruchi, e poi una pioggia torrenziale
che precisamente in Stilo, durante la settimana di Pasqua, recò danni
molto gravi, essendo anche parso a parecchi di vedere in aria una
scala nera con un cipresso in cima; in sèguito, da' 7 a' 10 giugno,
si verificarono i terremoti, disastrosi specialmente per Reggio e
Messina, e poi, nel luglio, si vide «una cometa marziale e mercuriale,
vicina a terra, che scorrea da levante a ponente», e il Campanella
vaticinò «romori nella provincia e incursione armata contro i Reggitori
di essa», vaticinio molto significativo, specialmente tenuto conto
del tempo in cui fu fatto. Ma a tutti questi fenomeni sovrastava la
condizione torbidissima della Calabria per le tante cause già esposte.
Il Campanella non mancò di ricordarla, dichiarando essergli sembrata
egualmente un preludio delle mutazioni: «le menti degli uomini colpite,
le escursioni de' turchi e de' fuorusciti (de' quali i conventi erano
pieni), i conflitti giurisdizionali, le scomuniche de' magistrati,
indicavano ragionevolmente che era per seguire l'universale mutazione
della terra». Le cose stavano veramente così, ed anche circa le
escursioni de' turchi, documenti del tempo ci dicono che i corsari
di Barberia, capitanati dal vecchio Amurat come in sèguito si vedrà,
discesero il Venerdì Santo presso la Roccella e vi catturarono 40
persone[239]. C'era poi ancora un altro fatto molto più significativo
che il Campanella espose nella sua Dichiarazione: «conobbi con ogn'un
che parlavo che tutti erano disposti a mutatione, et per strada ogni
villano sentiva lamentarsi: per questo io più andava credendo questo
havere da essere». Indubitatamente tali circostanze favorevoli decisero
il Campanella ad osare, nè si potrebbe dire che avesse osato con poca
prudenza. Vedremo infatti che dapprima si limitò ad annunziare le
mutazioni immancabili e vicine, senza che le autorità spagnuole se ne
offendessero, la qual cosa merita pure di essere notata; quindi si pose
a promuovere non senza destrezza i maneggi e i concerti per attuare
il movimento, confidando, come è solito ne' cospiratori, che tutti
vi avrebbero preso parte, e che con l'esempio il movimento si sarebbe
propagato.
Innanzi di scendere a' particolari, gioverà chiarire anche meglio i
concetti del Campanella in questo tempo, e l'influenza di essi in
Calabria. Naturalmente noi non li possiamo desumere che da quanto
egli ne scrisse, ma bisogna tener presente che egli ne scrisse in un
tempo in cui dovea salvarsi ad ogni costo; e però le sue affermazioni
vanno accolte fino ad un certo punto. Il lato veramente caratteristico
delle sue affermazioni era rappresentato dal doversi avere un periodo
di felicità prima della fine del mondo. Egli non era uno di quegli
ordinarii Avventisti, de' quali non sono mai mancati gli esempi fino
a' giorni nostri, Avventisti, che predicando essere il mondo vicino
a perire, hanno insegnato doversi oramai pensare solamente all'anima:
egli riteneva che secondo la profezia naturale e divina, prima della
fine del mondo c'era da godere lungamente, e bisognava aspettarsi
mutazioni che avrebbero menato al secolo d'oro, il quale poi era
anche più lungo di quanto la parola stessa potea far supporre, nè
sarebbe avvenuto in modo del tutto facile e piano. Doveano verificarsi
irruzioni di barbari; doveano i Maomettani dividersi sotto due Re,
uno de' quali avrebbe immediatamente abbracciata la fede cristiana
e la repubblica, come poi le avrebbero abbracciate tutti gli altri,
persuadendosi che la glorificazione di Dio era veramente questa
repubblica e non già il loro paradiso; doveano inoltre venire alla
fede anche gli Ebrei, i quali negano il Messia perchè non videro tanta
gloria in Cristo. Doveano venire Gog e Magog ed esser vinti da' Santi;
dovea venire l'Anticristo che si sarebbe sforzato di sovvertire la
repubblica già iniziata, ma del rimanente costui non avrebbe dato da
fare che per soli due anni e mezzo o tre anni e mezzo. E dovea il Re
di Spagna soggiogare tutte le genti e congregare tutti i Regni, facendo
l'ufficio di Ciro, e il Pontefice Romano vi avrebbe regnato costituendo
l'_unum ovile et unus pastor_, la qual cosa sarebbe riuscita utile ad
entrambi, ed anzi al Re più che al Pontefice. Intanto egli co' suoi
calabresi, armati e ritiratisi sulle montagne per difendersi da' nemici
del Re e del Papa, avrebbe dato un piccol saggio della gran repubblica
universale, nè propriamente per acquistarsi uno Stato, ma per fare al
Papa ed al Re un Seminario di uomini illustri nelle lettere e nelle
armi da poter servire nelle missioni di pace e di guerra. Tali sono
le precise parole che leggonsi nelle sue Difese[240]: ma nessuno vorrà
prendere sul serio che egli ritenesse davvero dovervi essere il secolo
d'oro propriamente col Pontefice Romano e con un Ciro della tempra
del Re Filippo III; questo garbuglio di Papa, di Re, e di Seminario
di uomini illustri in loro servigio rasenta la canzonatura. Tutti, non
esclusi coloro i quali si sono rifiutati ad ammettere in lui disegni e
pratiche di congiura, hanno capito che egli avrebbe voluto istituire
ciò che descrisse in sèguito nella sua Città del Sole; e vedremo che
molti cenni intorno alla futura repubblica, emersi nel processo per
bocca de' suoi compagni di sventura, vi corrispondono esattamente.
Senza dubbio egli intendeva il secolo d'oro con un governo sacerdotale,
come l'intendeva anche Platone, vale a dire con un capo politico e
religioso ad un tempo; ma i principii che dovevano campeggiare nel
secolo d'oro, e nella sua repubblica destinata a farlo gustare, erano
ben diversi da quelli del Concilio di Trento e delle Prammatiche
spagnuole. Creda dunque chi vuole alla sua fede nella Monarchia
universale da doversi acquistare da Spagna, e nella Monarchia cristiana
da doversi reggere da Roma; noi ci permetteremo sempre di dubitarne
moltissimo, almeno pel periodo che stiamo svolgendo e che fu appunto
quello in cui egli scrisse la Monarchia di Spagna. Certa solamente
giudichiamo la sua fede nella «profezia naturale e divina» quale egli
l'espose ne' documenti sopra indicati, e però non crediamo che in lui
la maschera del profeta abbia coverto il volto del cospiratore. Ci mena
a ritenerlo la sua devozione costante alla sapienza per istinto divino
e all'astrologia, come pure la qualità medesima della sua impresa;
giacchè, per quanto i più sublimi atti di patriottismo risultino
spesso una sublime follia, riescirebbe incredibile la follia di voler
liberare il suo paese, con mezzi tanto limitati, da una potenza così
sterminata come era a que' tempi la spagnuola, senza la fede in eventi
straordinarii più o meno vicini, e in una grande missione alla quale
per osservazioni proprie e d'altrui si credeva chiamato. Nè riesce
dubbio che egli solo, animato da queste convinzioni, potè con acconci
discorsi ispirare a determinate persone il proponimento audace di
liberarsi dalla signoria spagnuola e costituirsi in repubblica.
La notizia pura e semplice della vicina fine del mondo, come già
altre volte era avvenuto dovunque, avrebbe tutt'al più ispirata a'
calabresi la donazione de' beni alla Chiesa per salvarsi l'anima;
invece in parecchi di loro, stati già in relazione col Campanella e
dediti a raccogliere compagni armati, si trovò non solo la notizia
di vicine mutazioni ma anche la notizia della «prossima apertura de'
sette sigilli», il proponimento della «fondazione di una repubblica»
con norme analoghe a quelle più tardi esposte nella Città del Sole,
e sempre sotto gli auspicii del Campanella, nuovo profeta, nuovo
legislatore, nuovo Messia, dottissimo in tutte le scienze, capacissimo
nella divinazione del futuro, inoltre possessore di spiriti quantunque
egli lo negasse costantemente.
Vediamo ora i particolari della sua azione. Nelle conversazioni
private, uno de' primi cui manifestò dovervi essere una repubblica fu
certamente fra Gio. Battista di Pizzoni. Costui fin dal 7bre 1598,
come affermò il Campanella nella sua confessione _in tormentis_, si
preparava a difendere certe «conclusioni» nel Capitolo da doversi
tenere nel maggio 1599, e tra esse v'era una _de statu optimae
reipublicae_; il Campanella, richiesto di consigli, parlò di questa
repubblica, e disse che si dovea avere prima della fine del mondo
perchè così era profetato[241]. Un altro con cui parlò di mutazioni
e di futura repubblica fu fra Dionisio, dopochè costui venne da Roma
e narrò i particolari dell'inondazione del Tevere, i quali doverono
realmente destare una sensazione profonda; ne parlò quindi certamente
ad altri, e poco dopo, lasciato ogni riserbo, ne fece il tema di una
delle solite prediche nella Chiesa del convento. Il giorno della
Purificazione di Maria, cioè il 2 febbraio (1599), il Campanella
per la prima volta predicò che dovevano esservi presto mutazioni,
naturalmente «nel Regno de Napoli, che fu sempre de revolutione, et
hebbe principio mezo et fine in brieve sotto diverse fameglie... tanto
più che parlando alli popoli li vedea lamentarsi delli Ministri del Re
de molte cose»; era stato sollecitato da molti amici a dire il parer
suo sulle novità che si aspettavano, ed egli si prestò volentieri[242].
Una seconda volta bene accertata predicò sullo stesso tema, nella
Settimana Santa, o meglio subito dopo la Settimana Santa che da altri
documenti sappiamo essersi in detto anno celebrata dal 4 agli 11
aprile, questa volta sicuramente a proposito delle pioggie torrenziali
che contristarono la città[243]. Giusta la deposizione processuale
di un frate suo compagno, «predicando dall'altare sopra la seggia»
egli avrebbe _più volte_ parlato delle profezie e delle mutazioni,
«benvero che nella predica non diceva che quelle profezie parlassero
di sè, ma lo diceva poi»[244]: frattanto bisogna riconoscere che non
vi sono elementi per affermare che queste prediche fatte più volte
siano state fatte veramente spesso; e però il Campanella nella sua
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