Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 28

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decisero di riporlo in carcere per atterrirlo: ed egli «atterrito»
pregò di voler parlare, ed espose una quantità di eresie dettegli dal
Campanella circa l'Eucaristia, i Sacramenti in generale, il crocifisso,
la verginità di Maria, gli atti carnali, la verità de' detti degli
Apostoli, i miracoli, i demonii, il Papa, la Trinità, eresie che
affermò avere udite dalla bocca del Campanella, in piccola parte in
Stilo e poi in Pizzoni; dietro interrogazioni aggiunse che pure fra
Dionisio gli avea già prima palesate le medesime opinioni dicendo che
le teneva per vere, che gli aveva inoltre raccontato il fatto osceno
di un tale verso l'ostia consacrata, ed egli, il Pizzoni, sospettò che
quel tale fosse stato fra Tommaso! Dietro altre interrogazioni rivelò
che in Stilo il Campanella gli avea detto essere Maurizio stato sulle
galere di Amurat, e fra Dionisio gli avea parlato degli albarani fatti
tra loro; che entrambi volevano far la repubblica con l'aiuto di molti
potentati, e dapprima con la lingua e con le armi de' fuorusciti, come
Maurizio, il D'Alessandria, il Cosentino, i figli di Jacobo grasso
e Giulio Soldaniero, il quale «dovea sapere il tutto di questo fatto
che gli fu pienamente narrato et comunicato dal Pontio»; che avevano
aderenti in Stilo, in Catanzaro e in Davoli, e il favore di D. Lelio
Orsini, del Bassà Cicala e perfino de' Veneziani, pensando lui che in
Padova, dove il Campanella era stato, si avea fatto amici Veneziani
e glie l'avea comunicato! Aggiunse che il Barone di Cropani era pure
fautore come gli avea detto fra Dionisio, che si doveva ammazzare il
Governatore e gli Ufficiali e poi gridar repubblica, che tra' frati
erano complici il Petrolo, il Bitonto, il Jatrinoli e fra Paolo della
Grotteria, e dietro interrogazione dichiarò di aver parlato non per
timore del carcere ma spontaneamente! — Come ben si scorge, il Pizzoni
rivelò tutto ed anche qualche cosa di più, solo pensando a salvare
la sua persona e non avvedendosi che in tal modo la comprometteva
maggiormente. Vedremo che, secondo il carattere suo versipelle, egli
pensò poi di far credere a fra Tommaso aver parlato dell'eresia per
sottrarsi alla furia secolare, e non aver parlato propriamente di
ribellione, o almeno di quella ribellione che si diceva; ma il fatto
è che parlò dell'una e dell'altra cosa ampiamente, senza far figurare
il Papa nella congiura sol perchè non sapeva che fra Dionisio avesse
propagata una simile frottola in Catanzaro, e si può ben credere che
questo non dovè dispiacere agl'Inquisitori[357]. Vedremo pure che egli
in ultima analisi non smentì mai queste sue deposizioni, pur troppo
ostili al Campanella più che a fra Dionisio, ma solo si dolse che fra
Cornelio avea scritto nel processo verbale frati «complici» mentre si
era parlato di frati «familiari» del Campanella, ed oltracciò avea
scritto essersi da lui deposto che il Soldaniero conosceva tutto,
omettendo di leggerlo prima della sottoscrizione per non incontrare
una smentita: giunse veramente a dare per sospetto tanto fra Cornelio
quanto il Visitatore, e disse falso tutto il processo per le male
arti usate nel far deporre dagl'inquisiti e per le estorsioni fatte,
ma ciò a fine d'invalidare le cose emerse in sèguito contro di lui,
senza ritrattare quelle da lui deposte contro gli altri. Certamente
più cose recano maraviglia in quel processo verbale, ma sopratutto il
trovarvi da lui dichiarato di aver deposto non per timore del carcere
bensì spontaneamente, mentre pure, come vi si legge, durante l'esame
fu ordinata la riconduzione dell'inquisito nel carcere «ad terrorem»
ed egli pregò che si continuasse l'esame «terrore ductus», la qual
cosa non era neanche conforme alla procedura ecclesiastica[358]. Ma
ben altro venne a sapersi in sèguito, e non dal solo Pizzoni, sibbene
anche da parecchi altri suoi compagni di sventura, e giova parlarne
una volta per sempre, poichè fu quello un metodo tenuto con tutti
gli altri frati via via che vennero presi ed interrogati. Si esaminò
con una lista di notizie tra mano (evidentemente la lista de' capi di
accusa crescente a misura che si raccoglievano anche le deposizioni)
«rinfrescando la memoria» di colui che era esaminato; s'insinuò doversi
«dare qualche satisfatione a' Giudici secolari, e che poi passata
quella furia sarebbero tutti andati in Roma al S.^to Officio e là si
saria accomodata ogni cosa»; si volle che fosse deposto il più gran
numero di eresie, dicendo che si farebbe cosa grata al Generale, e che
in tal modo ne succederebbe la remissione al S.^to Officio; si promise
una sollecita scarcerazione se le deposizioni corrispondessero a quanto
si pretendeva, e nel caso contrario si fecero minacce di consegna a'
Giudici secolari; si permise a D. Carlo Ruffo, il quale spaventava
ed ingannava i carcerati con false notizie, che assistesse agli esami
d'Inquisizione, mentre la procedura ecclesiastica, fondata tutta sul
più stretto segreto, non consentiva la presenza di estranei, salvo due
testimoni in qualche caso, da doversi notare nel processo verbale. Fin
da principio la deposizione del Pizzoni fu fatta servire di norma agli
altri, leggendola loro in privato, e si annunziò falsamente che il
Pizzoni era stato scarcerato dopo di aver deposto in quella guisa, e
si progredì nelle minacce e maltrattamenti, nello scrivere in un modo
e leggere in un altro, non facendo mai processi verbali delle sedute
cominciate e non proseguite, come talora accadde anche ripetutamente
per un solo interrogato, tacendo sempre i molteplici incidenti
sorti per le resistenze degli esaminati ad attestare quelle cose che
personalmente ad essi non costavano. Ma intorno a ciò occorrerà tenere
un conto speciale de' fatti in ciascun caso.
Dopo il Pizzoni, nel giorno seguente, fu esaminato il Soldaniero[359].
A tale scopo il Visitatore, «essendogli stato rivelato potersi da
un certo Giulio Soldaniero dimorante nel convento di Soriano avere
una fida testimonianza in questa faccenda», commise a fra Cornelio
di recarsi a Soriano per riceverla; e fra Cornelio vi si recò
immediatamente, e dispose che il Priore e il Lettore del convento
fossero presenti all'esame quali testimoni. Il Soldaniero disse
aver lui mandato a Monteleone, non potendovi andare personalmente,
ad avvertire che volea comunicare qualche cosa; essersi in luglio
presentato a lui fra Dionisio da parte del Campanella che stava in
Arena ed egli non conosceva, per dirgli «hora sete homo» (sempre la
medesima storia con le medesime parole); che facendo quanto diceva il
Campanella sarebbe stato poco a divenire lui Principe e fra Dionisio
Cardinale; che il Campanella aveva inviato lettere al Gran Turco con
le galere di Amurat, volendogli «dare questo Regno in mano», perchè
gli mandasse aiuto per mare mentre egli avrebbe fatta la ribellione;
che voleva adoperare due mezzi, cioè la lingua e le armi. Aggiunse che
il Campanella aveva molte opinioni terribili, e venendo a specificarle
disse che volea predicare la libertà e contro la tirannide del Re
Filippo, degli Ufficiali e dei Numeratori, che Cristo non era Dio, che
le lettere I N R I significavano una pessima ingiuria, che fra Dionisio
comunicandogli queste cose diè un pugno ad un crocifisso dipinto sul
muro del dormitorio; che il Campanella e fra Dionisio professavano
i Sacramenti essere per ragione di Stato e il Sacramento dell'altare
essere una bagattella, che fra Dionisio avea commesso un fatto osceno
contro l'ostia consacrata portandola «per sei ad otto giorni» in
certe parti vergognose del corpo, che gli raccontò avere un inglese
in Roma dato un pugno al Sacramento; e poi che il Campanella credeva
non esservi Dio, non esservi nè paradiso nè inferno nè diavoli, non
esservi miracoli, e che fra Dionisio assicurava «veri miracoli poter
fare solo il Campanella e non altri» e ne avrebbe fatti al tempo della
predicazione, oltracciò essere invulnerabile. Del rimanente dichiarò
di non aver mai veduto il Campanella, di essere stato dissuaso da fra
Dionisio intorno all'astinenza dal mangiar carne nei giorni pe' quali
avea fatto voto e ne' giorni proibiti dalla Chiesa, di aver udito
tutte le cose suddette anche da fra Gio. Battista di Pizzoni venuto
egualmente a parlargli da parte del Campanella, di averle udite del
pari da fra Pietro di Stilo venuto a sollecitarlo perchè si recasse
presso il Campanella, ed a pregarlo che almeno non volesse palesar
nulla di questo fatto, di aver saputo da fra Dionisio e fra Gio.
Battista che la setta si faceva in Stilo e che si preparavano prediche
_in scriptis_ e si davano a' complici. Sviluppando la faccenda della
ribellione, dichiarò di aver saputo da' suddetti due frati che si era
deciso di liberare il Regno dalla tirannide del Re Filippo e «darlo
al turco sotto tributo» riducendo la provincia in repubblica, che il
Turco avrebbe fornito aiuto per mare ed a tale scopo aveano mandato
presso il Cicala un gentiluomo e ne aveano ricevuto polizini: dietro
interrogazioni aggiunse che non gli aveano parlato dell'aiuto de'
Veneziani, ma del favore di sette Principi, nominandogli solamente
Lelio Orsini che dovea venire a governare lo Stato di Bisignano e potea
dare più di mille soldati; che di particolari gli aveano nominato Gio.
Tommaso Caccìa, Marcantonio Contestabile, Giovanni di Filogasi, Gio.
Battista Cosentino, Eusebio Soldaniero ed altri, essendo stati più
di 35 capi allorchè si riunirono in Pizzoni, e de' frati che doveano
predicare, oltre il Campanella, fra Dionisio e fra Gio. Battista, gli
aveano nominato fra Pietro di Stilo, fra Paolo della Grotteria e fra
Silvestro di Lauriana. Infine dichiarò che gli aveano detto doversi
cominciare dal far ribellare Catanzaro ammazzando il Governatore, il
Vescovo e gli Ufficiali, di poi si sarebbe ribellato Stilo e i luoghi
vicini: dietro interrogazione disse che non sapeva dove si trovavano
il Campanella e fra Dionisio, ma che gli avevano detto essere stati
carcerati il Pizzoni e il Lauriana, e conchiuse aver rivelato tutto
ciò per solo riguardo alla fede, pel servizio di Sua M.^tà e per
l'estirpazione dell'eresia. — Tale fu la deposizione del Soldaniero,
e riescono senza dubbio sorprendenti le parole con le quali venne
conchiusa, mentre vi erano state promesse di un guidatico e di un
indulto già convenute appena qualche giorno innanzi; del resto si
comprende che essa fu composta in famiglia, mettendo in carta quanto si
era precedentemente deciso che egli dovesse rivelare, massime riguardo
al Campanella e agli altri frati, perchè riguardo a fra Dionisio,
senza dubbio costui dovè dirgli una gran parte delle cose che il
Soldaniero affermò, essendosi sempre comportato in questa guisa nel
far proseliti per la ribellione prima della sua andata a Catanzaro:
intorno alle cose dette da fra Dionisio dovè radunarsi tutto ciò che
si era potuto conoscere da altri fonti, specialmente su' particolari
della ribellione, che non potevano mai essere stati comunicati con
larghezza al Soldaniero, e tanto meno in un primo colloquio, ond'è che
si veggono rivelati così goffamente; ma anche una notevole quantità di
eresie dovè essere aggiunta, e però in sèguito si vide il Soldaniero
molto impacciato innanzi a' Giudici, ricordando abbastanza male ciò
che avea rivelato. Pertanto, oltre il gran disordine di redazione
e la trivialissima dicitura con circostanze scioccamente esagerate,
vi si nota la molta cura di non far apparire il Soldaniero complice
o _socius criminis_: da parte di lui si trova nominato tra' ribelli
Eusebio Soldaniero, che sappiamo suo capitale nemico e rifiutatosi ad
intervenire a' colloquii per la ribellione, e non nominato Maurizio de
Rinaldis, che sappiamo suo conoscente ed amico e adoperatosi perchè
egli aderisse alla ribellione; oltracciò vi si trova taciuta la
circostanza della lettera inviatagli dal Campanella per mezzo di fra
Pietro di Stilo e da lui non rifiutata, ciò che conoscevasi pure dal
Priore del convento il quale assisteva alla deposizione, tanto che egli
stesso lo rivelò in sèguito, allorchè fu chiamato in Napoli per essere
udito in questa causa. In somma tutto fu concertato per guisa da far
risultare il Soldaniero un testimone inoppugnabile, quantunque nei casi
di lesa Maestà, come in quelli di eresia, i socii nel delitto fossero
testimoni pienamente validi.
Il 6 settembre si venne all'esame del Lauriana in Monteleone[360]. Come
già il Pizzoni, egli fu interrogato dal Visitatore e da fra Cornelio
sul modo e sul motivo presumibile della sua cattura; ed espose tutte
le circostanze, non esclusa quella della presenza di fra Dionisio e
del Caccìa giunti in convento poco tempo prima, e del travestimento
e della fuga di fra Dionisio non appena riconosciuta la qualità
della gente armata (con che già la condizione del Pizzoni rimanea
vulnerata); inoltre dichiarò subito che il Pizzoni medesimo gli avea
detto, «sta a vedere che saremo presi per le cose del Campanella».
Dietro interrogazioni, venne ad esporre le sue relazioni antecedenti
col Campanella e fra Dionisio, li dichiarò del pari «homini tristi»
da che vennero a Pizzoni nel luglio scorso (sempre secondo la solita
dicitura), ed espose le relazioni avute col Pizzoni che qualificò uomo
da bene. Dipoi rivelò che stando il Campanella in Pizzoni con fra Gio.
Battista e fra Dionisio, nel dopo pranzo, disse una quantità di eresie:
non esservi Dio ma alla natura aver noi messo nome Dio, non esservi
nè paradiso nè inferno nè diavoli, i Sacramenti essere per ragione di
Stato; e poi contro il Sacramento dell'Eucaristia, contro i miracoli e
che il Campanella «avea fatti e volea fare miracoli», contro la verità
de' detti degli Apostoli, contro la proibizione degli atti carnali, e
che il Campanella volea fare nuova legge. Dietro altre interrogazioni
soggiunse che egli non aderì mai a queste cose, che forse fra Dionisio
aderiva poichè una volta, presente il Campanella, gli avea detto
qualche parola in dispregio dell'ostia, ed anche non essere peccato ciò
che rimane occulto! Ma interrogato se il Pizzoni aderiva, disse di non
saperne niente, e qui cominciarono le minacce degl'Inquisitori: gli
fu intimato di dire la verità sotto la pena della galera accresciuta
di altri sei anni, e frattanto che ritornasse in carcere; ed egli,
ripensandoci alquanto, pregò che continuassero l'esame. Dichiarò
allora che il Pizzoni aderiva, poichè lo aveva esortato a credere in
quelle cose, aggiungendo che non aveva mai udito il Campanella e fra
Dionisio predicarle in pubblico, bensì aveva udito esprimere da loro
il voto che venisse presto quel giorno in cui potessero predicarle
pubblicamente, e che sospettava trovarsi pure fra Pietro di Stilo
tra' settarii «per essere intrinseco del Campanella»! Interrogato
poi sulla congiura disse che stando il Campanella in camera con fra
Dionisio, il Pizzoni, lui, e «mastro Gio. Pietro di Stilo fratello del
Campanella» parlò delle rivoluzioni di Stati e di tre gran terremoti da
dover accadere in un giorno nel 1600, del voler essere apparecchiato
a ribellar la provincia e farla repubblica, dell'aiuto de' fuorusciti
per opera di Maurizio e dell'aiuto del Turco dalla via di mare, onde
«si pigliarebbe Reggio et poi a poco a poco le altre terre»; e dietro
successive interrogazioni aggiunse di sapere che Maurizio avea trattato
col Turco, che non avea notizie di altri potentati salvo il Turco,
nè di altri Principi e particolari «salvo il Maurizio e il fratello
del Campanella, e de' frati fra Domenico di Stignano e fra Pietro di
Stilo, perchè attendeva allhora a far la cucina per loro». Infine,
dietro apposita interrogazione, disse di aver rivelato liberamente, e
di non aver «deviato nè per carcere nè per cosa nessuna». — Anche qui
è sorprendente la conchiusione di non aver avuto paura del carcere,
dopo tutto ciò che è registrato nel processo verbale. Ma non occorre
fermarci troppo su questo esame, in cui si vede chiaro lo stampo degli
altri esami precedenti. Solo accade di notarvi che nella faccenda
della ribellione, parlando de' congiurati non claustrali, il Lauriana
tacque i nomi del Crispo, del Morabito, del Caccìa, del Contestabile,
di quanti altri avea dovuto vedere in Pizzoni nel tempo al quale il suo
esame si riferiva, essendosi limitato a nominare appena il fratello
del Campanella e Maurizio de Rinaldis: ma si può ritenere che que'
nomi non furono da lui pronunziati perchè non gli vennero suggeriti,
riuscendo difficile potergli accordare un certo grado di accorgimento,
quando non mostrò neanche quello di tacere la presenza di fra Dionisio
nel convento allorchè si era proceduto alla cattura sua e del Pizzoni.
Tutto ciò che depose dovè essergli suggerito, poichè realmente egli
era così dappoco, da non potersi ammettere che gli fossero stati
fatti tanti discorsi e tante confidenze; conoscendo egli medesimo il
suo valore, si era facilmente adattato a' più umili servigi presso il
Pizzoni e a «fare la cucina», sicchè potè forse prestare qualche opera
materiale ed anche udire qualche cosa alla sfuggita, ma non più di
questo. E vedremo ad esuberanza più tardi che in fondo non sapea nulla,
e fu prima lusingato e poi intimidito dagl'Inquisitori, non escluso D.
Carlo Ruffo, il quale presenziò del pari l'esame di lui; onde accadde
che in sèguito si mostrò tentennante e vario nel peggior modo, non
ricordando più una parola sola di ciò che gli si era fatto deporre; e
tra l'incubo del rimorso e il terrore del poter essere incriminato qual
falso testimone, finì per accumularne tante, che lo stesso Pizzoni, il
quale avea procurato di servirsene per appoggio nelle cose sue, dovè
dichiararlo testimone falso e contribuire a renderlo il ludibrio di
tutti i compagni di carcere.
Così menavasi innanzi il processo ecclesiastico, e pur troppo il
metodo non fu mai cambiato per tutto il tempo in cui esso si svolse
nella Calabria: invano si cercò di apprestarvi qualche rimedio, e
continuò sempre, anzi in modo anche più grave, l'impiego delle minacce
e maltrattamenti non che delle lusinghe e false promesse, l'uso di non
scrivere ne' processi verbali se non quello che piaceva a' Giudici,
l'intervento degli Ufficiali Regii nelle sedute del tribunale, e
poi la comunicazione scritta, a loro richiesta, delle cose che vi
si raccoglievano, fino a quando la causa non venne tratta a Napoli e
commessa a Giudici molto più degni. Da' precedenti è manifesto che non
si creavano accuse essenzialmente false, e questo c'interessa molto
che rimanga ben fermato: non si creavano accuse essenzialmente false,
poichè è indubitato che le cose le quali si raccoglievano, così dal
lato religioso come dal lato politico, erano state nella loro massima
parte ventilate tra gl'inquisiti; ma è indubitato del pari che si
esageravano nel peggior modo, si accumulavano interamente sul capo di
ciascuno inquisito senza distinzioni, e sopratutto con le arti più
inique si facevano testimoniare anche da coloro i quali ne sapevano
poco o nulla, per ribadirle in guisa da chiudere ogni via di scampo
agl'incolpati. E già con le sole tre deposizioni finora esposte si era
pervenuto a risultamenti della più grande importanza, ed è certo che
più tardi lo Xarava ottenne di vederle e di averne copia. Si trovano
infatti nel processo segni ed appunti marginali sulle cose della
ribellione vergati da una mano differente da quella solita a far lo
stesso sulle cose di eresia, e non è per nulla arrischiato l'ammettere
che que' segni ed appunti sieno stati vergati dallo Xarava: inoltre
si trova ancora in Simancas la copia di queste deposizioni tutte
intere, estratta, collazionata e firmata da fra Cornelio per ordine del
Visitatore in data del 12 settembre, con la speciosa clausola «praevia
protestatione in forma et citra poenam sanguinis et ad evitandum poenas
irregularitatis», mentre le prescrizioni categoriche della procedura
ecclesiastica lo vietavano assolutamente[361]. — Possiamo frattanto
ritornare allo Spinelli e allo Xarava, e vedere i progressi che costoro
fecero nella persecuzione e cattura degl'incolpati, come pure nella
compilazione del processo al quale attendevano.
La più importante cattura di que' giorni fu quella del Campanella in
compagnia di fra Domenico Petrolo, avvenuta nella sera del 6 settembre;
dopo di essa va registrata quella di Claudio Crispo, avvenuta l'8
settembre. La cattura del Campanella merita naturalmente di essere
narrata in tutti i suoi più minuti particolari, e ce li forniscono
assai bene sopratutto le deposizioni che il Petrolo fece in più volte
nel tribunale per l'eresia ed anche nel tribunale per la congiura,
poichè nel processo di eresia si trovano fortunatamente anche le
deposizioni da lui fatte intorno alla congiura, trasmesse in copia da
un tribunale all'altro; del resto il Campanella medesimo ne scrisse
parecchie circostanze nella sua Dichiarazione e poi nelle sue Difese,
nelle sue Poesie e da ultimo nella sua Narrazione, e questa volta le
notizie di entrambi i fonti concordano ne' punti essenziali. Lasciammo
il Campanella, verso il 27 agosto, allontanatosi da Stilo dietro
l'avviso e la sollecitazione di fra Dionisio, ridottosi a Stignano e là
denunziato dall'ospite suo D. Marco Petrolo, denunziato anche dal suo
amico e discepolo Giulio Contestabile, e nascostosi in qualche altra
casa pur sempre a Stignano. Maurizio, con ogni probabilità avvertito
del pari da fra Dionisio, corse pur egli a Stilo per abboccarsi con
lui, e non trovandolo, gli scrisse due volte di tornare a Stilo «chè
esso lo salvava»; ma il Campanella si rifiutò egualmente di unirsi con
lui, mentre il padre suo piangendo diceva volerlo «meglio morto che
uscito in campagna», e si ricoverò sulla collina presso Stignano in
un convento di Francescani detto di S. Maria di Titi[362]. Maurizio
corse ancora su quel convento, e il Campanella, che stava col Petrolo
a pranzo, se ne fuggì, e fu seguito da Maurizio per sette miglia senza
farsi raggiungere, sino a che, presso la Roccella, trovò un contadino
a nome Antonio Mesuraca, il quale, avendo qualche obbligazione verso
il padre di lui, lo accolse insieme col Petrolo con promessa di trovar
loro un imbarco, li tenne seco tre giorni, ma poi li tradì[363]. Questo
ci lasciò scritto il Campanella, ma fra Domenico Petrolo aggiunse
molte altre particolarità. Secondo il Petrolo, essendo in Stilo, ed
avendo udito da fra Dionisio le voci che correvano contro di lui, il
Campanella gli disse, «fra Dominico, si come quando io sono stato
a piacere tu mi sei stato bono amico et hai imparato da me, mi par
ragionevole che ancora m'habbi da seguire in questi travagli et non
abbandonarme, ma esserme fidele amico», e così fuggirono insieme.
Maurizio allora in più lettere invitò il Campanella a tornare a
Stilo, dicendogli che andasse a tre ore di notte ed escludesse ogni
altro dalla sua compagnia eccetto fra Dionisio, ma egli, il Petrolo,
dissuase il Campanella dal farlo, perchè non si accreditasse sempre
più la voce de' suoi disegni di ribellione, e poi una persona venne da
Stilo e disse che fra Pietro l'avvertiva di stare all'erta dubitando
di Maurizio: arrivava intanto a Stignano gente armata, e il Petrolo,
travestitosi da ortolano, e munito di una zappa, racconciando i canali
lungo la via per non essere riconosciuto, si diresse verso S. Maria
di Titi, e il Campanella lo raggiunse, e ricoveratisi nel convento
mandarono un frate ad informarsi dello stato delle cose; il frate
tornò dicendo che in Stignano non c'era gente, ma in Stilo c'era,
e mentre pranzavano, nella sera seguente, venne un corriere spedito
da fra Pietro di Stilo che li avvertiva di fuggire perchè Maurizio
li voleva ammazzare. Giunse infatti Maurizio, e non trovandoli, li
seguitò per più di dodici miglia a fine di ammazzarli ed indultarsi
(!); essi fuggirono verso la Motta Placanica, ma per via il Campanella
mutò parere e disse che era meglio andare verso la Roccella, e così
facendo, nella notte, incontrarono Gio. Antonio Mesuraca amico di fra
Tommaso, il quale li condusse fuori la terra in una casa in campagna,
e là rimasero tutto il sabato, la domenica e il lunedì, e nella sera
di tale giorno furono tratti in arresto. Guardando le date, si ha che
la fuga da Stilo dovè accadere tra il 27 e il 28 agosto, quella da
Stignano il 2 settembre, quella da S. Maria di Titi la sera del 3, la
permanenza presso la Roccella il 4, il 5 e 6 settembre; ma ecco ancora
alcune notizie su' fatti di questi ultimi tre giorni, come le rivelò
il Petrolo. Non appena giunti nella casa di Mesuraca, costui fece
travestire anche il Campanella da secolare[364], ed almeno per qualche
tempo i due fuggiaschi si tennero insieme nascosti nella paglia al di
fuori della casa; quivi il Campanella avrebbe detto al Petrolo che si
era trattato l'aiuto del Turco e c'era un albarano avuto da Maurizio,
che da 13 anni tenea sullo stomaco que' pensieri di ribellione insieme
con fra Dionisio, che costui era stato da lui mandato alla piana (piana
di Terranova) per tenere in ordine le genti e i fuorusciti di quel
posto, ed avendo alcune scritture in cifra, e domandato dal Petrolo
cosa significassero, avrebbe detto che quelle erano lettere del Pizzoni
scritte in un modo inteso solo tra loro; ma è evidente che siffatti
discorsi rappresentavano per lo meno la continuazione di discorsi
anteriori e non trattavano già quegli argomenti per la prima volta,
come si proponeva di far credere il Petrolo quando li rivelò[365].
Inoltre allora appunto, nel mangiare alcuni fichi, il Petrolo avrebbe
dimandato al Campanella se quelle erano le frutta per le quali peccò
Adamo, e il Campanella avrebbe risposto con uno scherzo e detto che
quelle erano baie. Ancora il Campanella avrebbe parlato al Mesuraca
dell'aver mandato Maurizio al Turco, dell'aspettativa in cui si era
delle galere del Turco, dell'aver lui procurato che queste venissero, e
dimandatogli se venivano ed avuto per risposta che ne venivano trenta,
avrebbe detto, «queste vengono per me, per che Mauritio hà parlato
ali turchi, però trovati modo di mettermivi di sopra che vi farò
grand'homo»; la qual cosa non ci pare affatto inverosimile, giacchè,
pur non essendo vero che Maurizio fosse stato mandato proprio da lui,
importava in quel momento il farlo credere per dare animo a tutti e
tenere il Mesuraca in fede. Ma come il tempo passava, gli animi si
abbattevano e il Mesuraca faceva i suoi conti. Il Petrolo pregò il
Mesuraca che volesse porlo in disparte dal Campanella, non avendo il
coraggio di andarsene per la quantità di gente armata che era sparsa
in quella regione e che al vedere la sua corona l'avrebbe preso in
iscambio del Campanella; d'altra parte il Campanella, essendo solo
col Petrolo, lo pregò che volesse radergli la corona, ma il Petrolo
si rifiutò, ed egli fattosi malinconico diceva, «Dio te lo perdoni,
che non me lasciasti pigliare da Turchi questi giorni passati, quando
vennero sotto la torre di Badolato», mostrandosi persuaso che non
l'avrebbero fatto schiavo perchè amico di Maurizio. Infine la sera
del 6 settembre, venne uno stuolo di armati, e i due miseri traditi,
aspramente legati, furono condotti a Castelvetere. Dalle notizie che
fornisce il Carteggio del Vicerè si ha che il Mesuraca avea rivelata la
faccenda al Principe della Roccella, e costui gli avea promesso un buon
guiderdone. Dalle notizie che forniscono gli Atti giudiziarii esistenti
in Firenze si ha che, al momento della cattura, il Campanella disse,
«io vengo volentieri, et dirò quanto si voleva fare et dimostrarò
con che ragione si voleva fare», aggiungendo al Mesuraca che «fussero
raccomandati li parenti suoi, per che esso andava a morire in potere
della Giustitia»; ma il Petrolo a sua volta disse, «ammazzatime, non
me levati vivo». Dolevasi pure molto il Campanella de' Contestabili
di Stilo, dicendo che essi l'aveano fatto carcerare: da parte sua il
Mesuraca si scusava dicendo che avea dovuto agire a quel modo, per
timore del Principe di cui era vassallo, e soggiungeva al Campanella
che subito sarebbe morto «e che venea per questo Xarava el Baron della
Bagnara el Baron di Gagliato con più di 200 persone, li quali venuti
li dissero che dovea morire e che F. G. Battista di Pizzoni havea detto
tante heresie con la ribellione»[366].
Ma come mai il Campanella si era mostrato così restio ai consigli di
fra Dionisio e poi agl'inviti ripetuti di Maurizio, e si era spinto
ad una fuga disordinata innanzi a costui? La cosa più naturale è
certamente il ritenere che ognuno avesse agito secondo gli dettavano
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