Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 19

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I colloquii con Giulio Contestabile e Geronimo di Francesco furono
esposti dal Campanella medesimo nella sua Dichiarazione, e naturalmente
riescono del tutto a carico di costoro, verso i quali il Campanella era
allora animato da fortissimo risentimento, avendone avuto un orribile
voltafaccia: ma apparirà evidente che per fare e dire come questi
due fecero e dissero, aveano dovuto essere stati già eccitati dal
Campanella, il quale del resto, anche in altri casi analoghi, parrebbe
che procedendo con molta circospezione avesse talvolta eccitato
gl'interlocutori a pronunziarsi, senza che egli medesimo si fosse
pronunziato troppo. Giulio dunque si mostrava molto infiammato contro
Spagna, ed un giorno nella stanza del Campanella, presente il Petrolo,
calpestò ed ingiuriò l'immagine del Re Filippo dicendo «guarda a chi
stamo soggetti, al Re delli uccelli»; e si lagnava degli ufficiali
Regii e degli spagnuoli, che gli aveano posto il padre in prigione,
favorendo, secondo lui, i Carnevali; e diceva che più volte era stato
disposto ad andare in Turchia e che co' turchi si aiuterebbe, e altre
volte vantavasi di avere, nell'anno precedente, concertato con alcuni
soldati spagnuoli di ribellarsi perchè il Re non li pagava. Geronimo
di Francesco poi mostravasi non meno infiammato: si lagnava di aver
dovuto spender molto delle sue sostanze pe' lunghi travagli patiti,
e diceva di avere speranza solo nelle mutazioni che si aspettavano,
avvertendo il Campanella che non si esternasse con Giulio suo cognato
perchè era amico infedele, ma che al tempo del negozio avrebbe fatto
molto, perchè era astuto e sagace. L'uno e l'altro poi, quando il
Campanella diceva che sarebbero avvenute mutazioni, affermavano che
vi avrebbero avuto gran parte, e indicavano Marcantonio come colui
che aveva a sua disposizione molti banditi, ed amici e parenti, la
qual cosa il Campanella giudicava esser bene, poichè succedendo una
guerra si potea stare con chi vincesse. Ed una volta che il Campanella
diceva loro che la terra di Stilo non avea bisogno di presidio, come
era stato notato dal Principe di Squillace, perchè tutti i passi sono
stretti, essi affermavano che vi starebbero per liberarsi dal Governo
spagnuolo, e numeravano i molti amici di Marcantonio, il figlio di
Nino Martino con molti altri della piana (piana di Terranova), i
Grassi con cinquanta compagni, i molti parenti di Mesiano patria della
madre de' Contestabili[255]. A queste rivelazioni potremmo aggiungere
anche un'altra tratta da deposizioni di altri individui, che cioè il
Di Francesco voleva dal Campanella uno spirito familiare per vincere
al giuoco; ma ci preme tener dietro alla faccenda della congiura.
I due cognati dunque avrebbero con Marcantonio, e con tutti que'
fuorusciti e parenti, liberato Stilo da Spagna, e poi? I colloquii
con altre persone, rivelati da chi non aveva un interesse diretto a
nascondere qualche cosa, rispondono a tale dimanda. — Veniamo a Gio.
Tommaso Caccìa. Con questo giovane bandito di Squillace, di soli 25
anni ed abbastanza incolto quantunque clerico, dipendente in tutto da
Marcantonio Contestabile, i colloquii non furono molto larghi, eppure
forniscono qualche utile notizia[256]: il peggio è che essi risultano
dalle deposizioni del Caccìa medesimo, e queste, per abuso, furono
fatte anche nel tribunale laico fra tormenti atroci, e nel tribunale
ecclesiastico fra gravi paure e seduzioni. Egli seppe da Marcantonio
che il Campanella era un grande uomo, e presso di lui vide e conobbe
Dionisio: trovatosi una volta solo col Campanella, ebbe curiosità
di dimandargli qualche cosa intorno alla magia, ma il Campanella lo
chiamò sciocco, perchè credeva a' diavoli e all'inferno. Frattanto,
nel parlare con Marcantonio, il Campanella diceva di voler fare nuove
leggi, migliori di quelle de' Cristiani, e che quando predicherebbe
si sarebbe conosciuta la verità, e volea perfino far mutare il modo
di vestire solito, «et volea che si portasse una giobba longa o
sia veste» (qualche cosa di ciò che fu poi scritto nella Città del
Sole). E diceva che presto doveano esservi mutazioni, sollevazioni e
rivoluzioni, perchè così conosceva per scienza, astrologia e profezia,
e perciò beato chi si trovasse armato, ed ognuno dovea star pronto e
cercare di avere amici, che gli sarebbe stato utile assai. E una volta
Giulio Contestabile, dopo di avere parlato segretamente col Campanella,
dimandò al fratello Marcantonio: ebbene Marcantonio che ne dici?
sarà vero ciò che dice fra Tommaso? E Marcantonio: troppo sarà vero e
presto lo vedrai. Così egli poi, il Caccìa, si diede a cercare qualche
amico, e condusse al convento un altro fuoruscito, Gio. Francesco
d'Alessandria, e fece varii altri giri presso il Pizzoni, presso
Dionisio etc. come vedremo a suo tempo.
Passiamo a' colloquii avuti con Maurizio de Rinaldis, colloquii
d'interesse capitale, poichè, dopo il Campanella, egli fu il soggetto
più importante in questa faccenda, onde a ragione, nelle lettere al
suo Governo, il Residente di Venezia in Napoli lo indicò qual «capo
secolare della congiura». Appunto per tale circostanza è necessario
dare qualche notizia di più intorno alla persona sua: per disgrazia
i documenti ci fanno difetto in modo straordinario; non di meno
abbiamo tanto da poter mettere la sua nobile figura nel posto che le
compete. Giovane a 27 anni, sposo a Giulia Vitale da cui avea avuta
una figliuoletta a nome Costanza, apparteneva ad una delle più nobili
famiglie di Stilo, che dimorava in Guardavalle, a que' tempi, come
abbiamo già detto, casale di Stilo. Tutti gli storici particolari di
Calabria, ripetendosi, parlano de' quattro fratelli de Rinaldis di
Stilo, Patrizio, Nicola, Francesco e Ludovico, cospicui nelle armi, che
furono dichiarati familiari da Carlo V pei meriti loro, ed ottennero di
portare nel loro stemma l'aquila nera imperiale: noi ci siamo ritenuti
in dovere di farne ricerca nell'Archivio di Stato, ed abbiamo rinvenuto
che Nicola e Francesco furono una persona sola, e che vi fu invece un
altro de Rinaldis premiato a nome Antonello, verosimilmente fratello
di costoro, tutti figli di Tommaso de Rinaldis; i lettori potranno
avere ogni cosa sott'occhio, consultando i nostri documenti[257]. Il
Parrino disse Maurizio «persona di non mediocri ricchezze», e vedremo
il Campanella, benchè inesattamente, attribuire la persecuzione e
morte di Maurizio al desiderio ingeneratosi nel fiscale della causa di
avere un feudo che Maurizio possedeva. Secondo le notizie del Residente
di Venezia che ne fece sempre in vita e in morte i più grandi elogi,
egli era stato uomo d'arme, e tale troviamo veramente il costume di
casa sua e de' pochi nobili di provincia non degenerati; avrebbe
allora con ogni probabilità servito nel Battaglione a piedi della
milizia provinciale. Del resto siamo per vederne l'assennatezza, la
preveggenza, l'attività, la forza d'animo anche straordinaria, con la
quale seppe esser superiore ad ogni risentimento e sfidare torture
inaudite, non disgiunta per altro da un attaccamento tenace alla
religione dei padri suoi, attaccamento[258] dichiarato al Campanella
fin da principio, per lo quale s'indusse poi a fare le più larghe
rivelazioni a piè del patibolo «senza alcuna condizione di salvarsi
la vita». Il Campanella dapprima sentì per lui la più viva simpatia,
«per haverlo visto cossì pronto et audace» come si legge nella sua
Dichiarazione; di poi lo proclamò «generoso», lo qualificò un «eroe»,
avendo udito che nelle atrocissime torture non avea rivelato nulla,
come si legge nelle sue Poesie clandestine che oggi abbiamo la fortuna
di poter pubblicare; da ultimo l'infamò con la più grande disinvoltura,
avendo saputo che sotto il patibolo avea fatto rivelazioni, come si
legge nelle stesse Poesie, nella Difesa, e in tutte le altre scritture
analoghe date fuori in sèguito. Vedremo queste cose ampiamente a
tempo e luogo, ma essendo finora conosciuta la sola parte ignominiosa
attribuita a Maurizio dal Campanella, dobbiamo notare che essa non fu
punto vera, premendoci di chiarire le qualità di Maurizio e al tempo
stesso la credibilità delle sue rivelazioni; poichè i colloquii da
lui avuti col Campanella, e tutti i fatti consecutivi, si desumono
essenzialmente dalle sue rivelazioni, le quali sono degne di fede per
loro medesime, più che per vederle appoggiate da quelle degli altri
inquisiti che gli erano stati sempre a fianco. Aggiungiamo che Maurizio
era fuoruscito dal novembre 1598, come fu deposto dal suo cognato e
compagno Gio. Battista Vitale, nobile anche lui ma di un livello morale
abbastanza inferiore[259]: costui disse pure che si erano allontanati
da Guardavalle «per certe pugnalate», e che queste pugnalate avessero
prodotto omicidio lo attestò poi dovunque il Campanella, specificando
nella sua Narrazione essere stati uccisi da Maurizio un suo cugino e
una donna. Gio. Battista Vitale eragli compagno, e solevano insieme
alloggiare in Davoli presso il sacerdote D. Marcantonio Pittella; ma
questa volta, nella venuta a Stilo, Maurizio fu accompagnato solamente
da un suo servitore a nome Tommaso Tirotta, il quale lo attestò nella
sua deposizione, poichè egli pure, egualmente che il Pittella, fu
poi inquisito per la congiura[260]. — Come dicevamo, i colloquii del
Campanella con Maurizio si desumono essenzialmente dalle rivelazioni
di Maurizio, le quali furono di doppio ordine, le une relative alla
congiura fatte nel tribunale laico, le altre relative all'eresia fatte
a Delegati del S.^to Officio; e poichè possediamo le une e le altre, le
prime veramente in brani, ma bastevoli pel caso attuale, le seconde per
intero, invitiamo i lettori a percorrerle, facendo anche il confronto
con ciò che il Campanella espose nella sua Dichiarazione[261]. In
tale confronto si noterà certamente la concordanza da più lati tra
il Campanella e Maurizio, malgrado il molto tempo e i terribili
avvenimenti interceduti; e questo ci sembra anche un argomento non
lieve per giudicare la veridicità di Maurizio egualmente nelle cose le
quali il Campanella, pei bisogni della sua difesa, o tacque o espose
per modo da mostrarne autore Maurizio.
In sostanza, sia pure che Maurizio abbia rivolto al Campanella
le solite dimande sulle mutazioni e su ciò che vi era da fare, il
Campanella, in presenza di fra Dionisio e del Prestinace, lodò che
egli stesse in arme e l'eccitò ad avere molti compagni, poichè in tal
guisa sarebbe divenuto grande, adducendo gli esempi del Caldora, del
Piccinino, del Fortebracci; stigmatizzò con argomenti tratti dalla
Bibbia la nuova numerazione fatta dal Governo (la numerazione de'
fuochi fatta nel 1596, rifatta nel 1598, contro la quale Maurizio non
era in grado di conoscere gli argomenti Biblici); infine gli disse di
voler fondare la repubblica, dandogli animo a concorrervi con amici,
ed egli si offrì. Solamente obbiettò che senza danari non si potea far
nulla, ma il Campanella gli rispose che li avrebbe presi Marcantonio
Contestabile dal Castello di Arena; e gli fece anche intendere che ne
avea parlato ad uomini principali, tra gli altri a D. Lelio Orsini, il
quale dovea venire a governare lo Stato di Bisignano e avrebbe aiutato
l'impresa (supposizione del Campanella, se non artificio). Dichiarò
inoltre Maurizio che non sarebbe intervenuto nè avrebbe condotto
gente, se non avesse vista già cominciata la guerra (la guerra da cui
avrebbero dovuto scaturire le mutazioni di Stato); e il Campanella gli
disse che avrebbe cominciato dal far ribellare Catanzaro, e si convenne
che fra Dionisio, presente al colloquio, sarebbe andato a trovar
gente in Catanzaro per fare la ribellione, onde egli vi acconsentì.
Poi un giorno, essendosi visti alcuni legni turchi, fra Dionisio e il
Campanella dissero voler andare a trattare di quel negozio, facendo
intendere a Maurizio che bisognava cercare l'aiuto e il favore de'
turchi, e fra Dionisio, in compagnia del Petrolo ovvero senza tale
compagnia, mostrò di scendere alla marina per andarvi, sotto pretesto
che dovea riscattare un suo fratello preso da loro; ond'egli più tardi,
all'occasione della comparsa di Amurat Rays in quelle marine, si decise
ad andare lui stesso a trattare, senza esservi stato propriamente
mandato dal Campanella. D'altra parte il Prestinace gli disse che
nella repubblica si sarebbe vissuto in comune, e il Campanella gli
confermò questo, e gli disse pure che la generazione dovea farsi dagli
uomini buoni, cioè valorosi e gagliardi (ciò che fu scritto poi nella
Città del Sole); e il medesimo Campanella disse che voleva aprire i
sette sigilli, che al tempo della guerra avrebbe fatto miracoli, che
intendeva dar libri in volgare e far bruciare i latini, forse alludendo
a' libri della fede, perchè i latini imbrogliavano la gente, ed anche,
parlando de' turchi, ne disse bene, e parlando di Gesù lo disse un
grande uomo dabbene in guisa da far sospettare che non credesse alla
divinità di lui. Maurizio dichiarò che la religione doveva esser messa
da parte, e che non avrebbe mai consentito che se ne fosse trattato;
ma il Campanella gli spiegò che intendeva solamente riformare gli abusi
della religione. Intanto fra Dionisio interloquiva anch'egli, ma sempre
in un senso irreligioso. Un giorno, e forse questa volta d'accordo col
Campanella, notò che il Papa e i Cardinali non rispettavano i precetti
ecclesiastici relativi al digiuno e all'astinenza dal mangiar carne; un
altro giorno parlò di un fatto osceno commesso da un frate coll'ostia
consacrata, e dell'annegamento di un sacerdote avvenuto in Roma
insieme con le ostie che era andato a ritirare da una Chiesa durante
l'inondazione del Tevere, volendo inferirne che l'Eucaristia non
avesse il valore attribuitole, non essendosi verificato alcun miracolo
in tali circostanze; un altro giorno, avendo visto nella Chiesa del
convento Maurizio inginocchiato, gli disse all'orecchio che voleva gli
uomini appunto così, che sapessero fingere. — Dobbiamo aggiungere che
quando Maurizio trovava Giulio Contestabile presso il Campanella, come
accadeva quasi sempre, Giulio non dava a diveder nulla, e Maurizio
seppe dal Campanella la partecipazione di lui nella congiura sol quando
erano stati già da un pezzo carcerati: inoltre che durante i colloquii
fra Pietro di Stilo andava e veniva, ma non vi prendeva alcuna parte.
Commentando un poco questi fatti, che rappresentano la base di tutto
ciò che accadde in sèguito, possiamo farci un concetto abbastanza
chiaro della congiura e de' suoi capi. Il Campanella si rivela
certamente il motore unico della macchina: nessuno sarebbe stato in
grado di esserlo al pari di lui; così tutti in massa, congiurati,
denunzianti, persecutori, giudici, inquisiti, non lo posero mai in
dubbio. Consigliere intimo del Campanella era forse Gio. Gregorio
Prestinace, rimasto assolutamente nell'ombra, perchè riuscito a
nascondersi nel tempo delle persecuzioni: conoscitore degli uomini e
delle cose della provincia, egli dovè fornire al Campanella le notizie
delle quali aveva bisogno, e difatti le rivelazioni processuali
ce lo mostrano presente in tutti i colloquii, consapevole anche
de' particolari della repubblica da doversi fondare; l'aver messo
l'occhio su Maurizio, forse anche l'averlo fatto venire a Stilo col
pretesto che bisognava controbilanciare l'influenza di Marcantonio
Contestabile, dovè essere opera sua. Maurizio poi era il capo di
coloro che avrebbero dovuto agire per l'insurrezione, ma prescelto dal
Campanella, esecutore de' progetti del Campanella, mentre Marcantonio,
pur sempre secondo i progetti del Campanella, avrebbe agito del pari
ma in un'altra direzione: egli già uomo d'armi, assennato ed accorto,
diede maggior consistenza a' progetti indicatigli, ne avviò anche i
preparativi con molta efficacia come vedremo in sèguito, ma in somma
accolse i progetti, non li creò; se si spinse a pratiche co' turchi
non concertate precedentemente, ne avea pure avuto qualche cenno dal
Campanella, e ad ogni modo queste sole sue pratiche non basterebbero
a costituirlo capo di una congiura nella quale il Campanella si
sarebbe trovato involto senza saperlo. Quanto a' frati, fra Dionisio
conosceva già i progetti del Campanella, essendone verosimilmente il
consigliere come vedremo del pari in persona del Pizzoni, ma non faceva
che secondarli ed anche in modo tutto suo, rimescolando profondamente
le coscienze di coloro i quali egli voleva spingere ne' concerti per
la ribellione: non si potrebbe credere che egli ritenesse argomenti
serii contro la fede cristiana quelli che svolse a Maurizio, senza
far torto alla sua cultura che sappiamo essere stata non così scarsa,
ma si deve piuttosto dire che ritenesse indispensabile scuotere in
qualunque maniera la fede per destare gli animi e renderli audaci;
così vedremo poi sempre le dette scempiaggini propalate da lui e da
alcuni altri frati suoi adepti, ripetute con storpiature ed aggiunte
da altri adepti insulsi ed esaltati, infine malamente attribuite al
Campanella, il quale aveva senza dubbio convinzioni poco cattoliche,
ma non partecipava alle dette scempiaggini, e voleva una religione
anche come strumento di regno. Quanto al Petrolo, egli pure conosceva i
progetti del Campanella e vi aveva aderito, come nel processo confessò,
ma vi partecipava debolmente, secondo la sua umile posizione: infine
quanto a fra Pietro di Stilo, egli li conosceva del pari e forse più
addentro degli altri; ma vi partecipava meno di tutti, per la ragione
che poco ci credeva, ed anzi quasi ne rideva, come vedremo a suo tempo.
Nè lasceremo questi apprezzamenti senza fare avvertire che ciascuno di
costoro mostrò in sèguito precisamente la condotta notata da Maurizio
quando ebbe occasione d'incontrarsi con essi; la qual cosa aggiunge
un peso sempre più grande alla credibilità delle rivelazioni di
Maurizio. — Adunque non solo l'idea di un movimento insurrezionale per
fondare la repubblica, ma anche il modo di procedervi, erano suggeriti
dal Campanella, il quale in alcune circostanze apparve meno, perchè
seppe essere un cospiratore abbastanza circospetto. Infatti talvolta
condusse il suo discorso in modo che la proposta d'insorgere venisse
dal suo interlocutore, e talvolta anche fece parlare ma non parlò;
nella faccenda dell'accordo col Turco invogliò soltanto ed anzi fece
invogliare Maurizio ad attendervi, senza esporre francamente il suo
concetto; ebbe perfino cura che qualche affiliato o qualche gruppo
di affiliati non conoscesse l'altro. Bisognava cominciare dal far
l'insurrezione in Catanzaro, poi, alla peggio, si sarebbero ritirati
su' monti segnatamente a Stilo, verso cui i passi stretti rendeano
difficile l'accedere delle milizie[262]; il modo di fornirsi di danaro
era preveduto, ma bisognava far coincidere il movimento con la venuta
de' turchi, i quali avrebbero tenuto a bada gli spagnuoli. Questa
faccenda dell'accordo del Turco fu poi sempre vivamente ripudiata
dal Campanella, che disse l'accordo avvenuto con sua meraviglia e
disapprovazione: ma s'intende che la cosa a que' tempi era tanto
scandalosa da dover obbligare assolutamente a ripudiarla, ed egli, che
avea saputo mantenersi in disparte da questo lato, potea lavarsene le
mani con una certa apparenza di verità; tuttavia dobbiamo ricordare
che professava dovere i turchi dividersi in due fazioni, l'una delle
quali avrebbe combattuta l'altra, che pochi mesi prima avea saputo il
Cicala andato in cerca di sua madre fervente cristiana e separatosi
da essa non senza lagrime, che infine nel libro della Monarchia di
Spagna aveva appunto insegnato come si potesse profittare di qualche
capitano turco stato già cristiano, indicando il Cicala, l'Ochiali, lo
Scanderbergo[263].
Presi i concerti suddetti, ognuno si pose all'opera. Maurizio profittò
dell'occasione per trattare l'accordo co' turchi, e si recò sulle
galere che erano veramente quelle di Amurat, chiedendo di riscattare
quattro persone di Guardavalle come ci dice un frammento della Difesa
di due imputati, mentre il Carteggio del Residente Veneto ci dice che
Amurat appunto a' primi di giugno trovavasi sulle coste di Calabria,
e il giorno 7 fece anche uno sbarco alla Catona presso Reggio[264];
quindi si occupò senza dubbio di trovare amici, e disporli alla
«fattione contro il Re». Marcantonio si pose anch'egli a cercare
amici, e vedremo che tornò poi presso il Campanella col Caccìa ed
un altro fuoruscito affiliato. Fra Dionisio andò a trovare qualche
altro frate, e con lui e con un giovane che convertì per via si spinse
fino a Messina; quindi tornò presso il Campanella, accompagnato anche
dal Petrolo e da un terzo frate, che gli avea procurato l'acquisto
di un'altro giovanotto. In questo mentre avvennero i terribili
terremoti, già previsti e poi più volte ricordati dal Campanella, onde
specialmente in Reggio ed anche in Messina si ebbe grave danno, essendo
durati non meno di tre giorni e fino alla sera del 10 giugno[265]. Il
Campanella fu poco dopo chiamato dal Marchese d'Arena e dovè andare
presso di lui.
Verso il 20 giugno il Campanella ebbe questa chiamata dal Marchese
d'Arena, da non doversi confondere con un'altra chiamata posteriore,
della quale soltanto si ha il ricordo nella sua Dichiarazione. Sappiamo
che era allora Marchese d'Arena D. Scipione Concublet de Bavaria
(corrottamente «De Bavero»), successo a D. Gio. Francesco suo padre e
a D. Carlo suo fratello primogenito, morti l'uno in gennaio l'altro in
settembre dello stesso anno 1582[266]: egli viveva allora con la sua
famiglia nel Castello d'Arena, ma nella 2.ª metà di giugno, trovandosi
in giro per que' paesi, era venuto a Monasterace, non lungi da Stilo,
e quivi era ospite di D.ª Dianora Toraldo Signora della terra, come
la chiamò uno degli inquisiti che depose tale fatto nel processo.
Dagli scrittori in materia di nobiltà, e meglio anche da' Cedolarii,
conosciamo che Signore di Monasterace in quel tempo era Giuseppe
Galeota, figlio di Mario e di Eleonora Toraldo: costei, figliuola di
D. Gasparre Toraldo 5.º Signore di Badolato e sposa a Mario Galeota,
era rimasta vedova fin dal 1590; non a torto quindi veniva considerata
Signora di quella terra[267]. Di là il Marchese fece chiamare il
Campanella volendo parlare con lui; e il Campanella si recò in
Monasterace, e vi si trattenne sei giorni. Quali argomenti trattasse il
Campanella col Marchese non ci è noto, ma non è arrischiato l'ammettere
che le vicine mutazioni da tutti aspettate fossero l'oggetto
precipuo dei colloquii, bene inteso rimanendo nascosti i progetti del
Campanella; poichè, quantunque il Marchese fosse poi stato nominato
qual complice, sappiamo invece che egli doveva essere una delle vittime
del movimento; ma interruppe i colloquii fra Dionisio, venuto con
la sua comitiva a Monasterace in cerca del Campanella, che con quel
sèguito fece ritorno a Stilo.
Ecco pertanto il giro che fra Dionisio finiva di compiere in quel
momento. Licenziatosi in fretta dal Campanella e dagli altri congregati
in Stilo, egli si recò a Condeianni, dove era Vicario del convento de'
Domenicani fra Giuseppe Bitonto di S. Giorgio: abboccatosi con costui
partì l'indomani per Oppido, ove risedeva in qualità di Viceconte il
fratello Ferrante. Fra Giuseppe Bitonto, nello stesso giorno in cui
partiva da lui fra Dionisio, si recava in S. Giorgio e quivi chiamava
un suo cugino Cesare Pisano e con lui raggiungeva immediatamente[268]
fra Dionisio in Oppido: di là tutti e tre l'indomani si recarono
insieme a Bagnara e quindi a Messina. Questo Cesare Pisano, figlio di
Fabio, era un giovane di 24 anni, clerico, ma di costumi assai tristi:
una volta avea servito per testimone al Polistina in Napoli contro
fra Dionisio, quando si trattava la causa dell'omicidio di P.^e Pietro
Ponzio, e però al vederselo davanti, fra Dionisio ne rimase turbato;
ma dietro assicurazioni del Bitonto presto s'acquetò. Trattavasi
di uno di quelli che poteano servire nell'impresa disegnata, e non
appena in viaggio, tra Oppido e Bagnara, fra Dionisio si occupò subito
di catechizzarlo col metodo da lui prescelto, assistendolo pure fra
Giuseppe Bitonto in tale ufficio: cominciò a dire che non c'era Dio,
non c'era altro Dio che la natura, inezia la confessione, inezia il
temere di far peccato, fra Tommaso Campanella avrebbe fatte nuove
leggi essendo quasi un Messia; gli annunciò inoltre una fazione di
grande importanza che si volea fare, per la quale occorrevano uomini
di valore ed alla quale volea che avesse preso parte, giacchè sarebbe
stata l'esaltazione sua, ma per allora non gli spiegò di che si
trattasse. Giungendo a Bagnara e fermandovisi due giorni, fra Dionisio
che era stato invitato a predicare vi fece una delle sue buone prediche
sull'Evangelo, poichè, come diceva al Pisano, «sapeva predicare l'uno
e l'altro». A Messina si trattennero circa sei giorni, dimorando i
due frati nel convento de' Domenicani, e Cesare Pisano all'osteria:
ritornarono quindi per la stessa via di Bagnara, e si ridussero,
fra Dionisio ad Oppido presso il fratello Ferrante, il Pisano a S.
Giorgio, il Bitonto a Condeianni. Ma dopo circa dieci giorni, fra
Dionisio accompagnato da un fra Giuseppe Jatrinoli e da un giovanotto
a nome Giuseppe Grillo figlio naturale di Gio. Alfonso, tornò a
Condeianni; quivi si unì al Bitonto ed anche al Pisano che vi era
venuto da S. Giorgio, e tutt'insieme si diressero a Stilo per vedervi
il Campanella[269]. In questo secondo viaggio si fermarono prima alla
Motta Placanica, ove alloggiarono nel convento, l'indomani si recarono
a Stignano, e là furono a pranzo in casa di Gio. Alfonso Grillo che
era di Oppido ma dimorava a Stignano, coll'intervento di fra Domenico
Petrolo, di un D. Marco Petrolo e di Geronimo Campanella padre di fra
Tommaso, quindi passarono a Stilo menando con loro anche fra Domenico:
non trovarono là fra Tommaso, ed avendo saputo che era in Monasterace
vi si recarono immediatamente, rimanendo a Stilo il solo Giuseppe
Grillo; in Monasterace poi si fermarono appena tre ore, e preso con
loro il Campanella si ridussero tutti insieme a Stilo. Vedremo fra poco
quali furono i discorsi scambiati col Campanella, ma per ora importa
dire che nel pranzo di Stignano fra Dionisio fece uno de' suoi maggiori
sproloquii, evidentemente per catechizzare Cesare Pisano e Giuseppe
Grillo; e disse che non c'era Dio nè Trinità al modo che si crede,
sibbene uno spirito che governa e move il tutto, che Dio era la natura,
che non c'erano diavoli, nè inferno, nè purgatorio, nè paradiso, che
Cristo non era vero figlio di Dio ma un semplice Nazareno, che il
sacrificio della Messa facevasi per bere, che nell'ostia non c'era
Cristo e potea rilevarsi dal fatto che la mangiano i vermi, che fra
Tommaso Campanella volea predicare e fare nuove leggi e nuovi statuti,
ed egli con lui, portando gli uomini alla libertà naturale. Gli altri
frati applaudivano e commentavano, e ne sembravano intesi del pari i
due Petrolo, i quali del resto andavano e venivano (come probabilmente
faceva anche Geronimo Campanella) per rendere servigi agli ospiti, ma
pure non mancavano d'interloquire; p. es. fra Domenico Petrolo diceva
al Pisano, «che ti credi, che ci sia Dio Padre quel barbuto come si
dipinge?», e tutti i frati continuavano separatamente a dire qualche
cosa dello stesso genere. Così si sarebbe parlato contro la verginità
di Maria, contro i miracoli di Gesù ed anche de' Santi, contro le
relazioni tra Gesù e S. Giovanni, contro le prescrizioni della Chiesa,
contro l'istituzione monastica di ambo i sessi, contro l'autorità
e la moralità del Papa, de' Cardinali e de' Vescovi; fra Dionisio
vi avrebbe pure narrato il solito fatto osceno contro il Sacramento
dell'altare, aggiungendovi inoltre il fatto di un Inglese che in Roma
diè un pugno al Sacramento senza alcuna conseguenza miracolosa, ma fu
poi bruciato vivo d'ordine del Papa; e si può dire che queste ultime
proposizioni furono probabilmente enunciate, mentre sulle altre rimane
qualche dubbio[270]. Con ciò si sarebbe parlato ancora di progetti
del Campanella in un modo esageratissimo e scempiato; che egli era il
vero legislatore e il vero Messia, che con la sua predica e dottrina,
e col valore de' tanti che lo seguivano, avrebbe levato la fede di
Cristo e si sarebbe impadronito del mondo; ma infine segnatamente fra
Dionisio e il Bitonto gli comunicarono la risoluzione di ribellare il
Regno e sottrarlo al dominio del Re di Spagna, e che per questo effetto
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