Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 26

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rileva che avea già scritte altre lettere e ricevutane una da Napoli
del 24, e può desumersi che avea dovuto giungere in Calabria il 27.
Comincia egli per dolersi sempre più di D. Alonso il Governatore, il
quale «non contento di aver posto mano a procedere in quel negozio
tanto inconsideratamente» avea commessa un'altra sbadataggine ancora
più grossa. Nel mattino del 29 lo Spinelli avea fatto carcerare qual
seduttore e capo-popolo Orazio Rania (che abbiamo visto in compagnia
del Franza e del Cordova al convegno di Davoli), e non essendogli
sembrato opportuno il prenderlo in poter suo, per dissimulare quanto
poteva l'esser venuto per la faccenda della congiura sino a che gli
fosse riuscito di assicurarsi di altri individui d'importanza, avvertì
ed ordinò a D. Alonso, presente l'Avvocato fiscale, che tenesse il
Rania con cautela; ed invece egli (che non dovè capire il motivo
gravissimo dell'arresto) non gli pose guardie, e lo lasciò scappare
tostochè lo Spinelli e il Fiscale si allontanarono; nè si curò di
riferire questa faccenda della fuga sino a poco prima di sera, mentre
egli era fuggito sulle quattordici ore, e lo Spinelli si affrettò a
darne conto al Vicerè. Ma subito, tra due ore, gli vennero a dire di
aver trovato Orazio morto in una vigna, ed avendolo portato entro la
città, si vide che era stato soffocato, non presentando alcuna ferita.
S'iniziò allora un'informazione, e con questa occasione di ricercare
chi avesse ucciso il Rania, si pose mano a prendere e carcerare i
nominati e sospetti nella congiura; e di fatti se ne presero alcuni,
e si scrisse e si provvide per quelli di fuora. Il giorno 30 lo
Spinelli pensò anche assicurare da ogni sospetto che poteva tenersi i
castelli di Gerace, S.^ta Severina, Squillace, Nicastro, Monteleone,
Oppido e Scilla, e provvide per alcuni di essi col mandare coloro
che avea condotti seco come persone di sua fiducia, in qualità di
sopraintendenti delle marine di detti luoghi. Si preoccupava inoltre
de' Vescovi, venendogli nominati quelli di Mileto, di Nicastro, di
Gerace, e quello di Catanzaro che avea fatto fuggire fra Dionisio
due giorni prima che egli arrivasse; ed essendogli stato riferito
che altri due frati con lettere sopra questa faccenda erano venuti
al Vescovo di Catanzaro, e presupponendo che non avrebbero potuto
fare a meno di riportar lettere, comandava che sei uomini stessero di
guardia sulla loro via per prenderli. Infine diceva che la congiura
stava molto innanzi, e il Campanella e il Ponzio la predicavano a
tutti per indubitabile e di successo felice e molto conforme alla loro
intenzione, di tal che i congiurati aveano gli animi assai sicuri e
fiduciosi[329]. — Queste cose lo Spinelli scriveva al Vicerè. Con ogni
probabilità i frati a' quali egli alludeva erano fra Cornelio di Nizza
e qualche suo compagno di viaggio, forse fra Domenico di Polistina
strettamente collegatosi a lui da qualche tempo: infatti il processo
istituito poi dal Visitatore ci mostra che, giuntagli il 28 agosto
la lettera del Vescovo della quale più sopra si è parlato, egli mandò
il 29 fra Cornelio in Catanzaro presso il Vescovo; così lo Spinelli,
invece di frati complici della congiura, ebbe a trovare frati che
erano già pronti a secondarlo, e che sappiamo di sicuro essersi recati
spontaneamente presso di lui, dopo di aver veduto il Vescovo, per
concertarsi sul miglior modo di perseguitare i congiurati. Quanto alla
condotta di D. Alonso de Roxas, è possibile che lo Xarava, il quale
anche teneva corrispondenza assidua col Vicerè, mosso dagli abituali
rancori lo avesse tacciato di connivenza; ma lo Spinelli non giunse
a tanto, e solo può dirsi che, o per naturale benignità, o piuttosto
per ispirito di contradizione allo Xarava, D. Alonso non avesse preso
le cose sul serio, e si fosse mostrato negligente. Nè risulta che
il Vicerè se ne fosse risentito: vedremo tra poco che solamente gli
ordinò di allontanarsi da Catanzaro, e di venirsene a Napoli subito,
mentre per verità non poteva che essere d'inciampo. Il Campanella
affermò di poi in più circostanze, che Spinelli e Xarava avessero
processato anche lui, e nella Narrazione disse, che non lo carcerarono
«perchè era andato con una compagnia di soldati al rumor di clerici di
Seminara, che ruppero li carceri gridando viva il Papa, et intendendo
che volea Spinello con Xarava carcerarlo, fuggìo di là in Napoli».
Sappiamo pertanto con certezza che l'affare di Seminara era accaduto
verso la metà di luglio, e quindi tutt'al più D. Alonso poteva essersi
là recato per prendere i colpevoli, come ne fu poi dato incarico più
tardi allo Spinelli: ma non risulta vero che gli si fosse fatto un
processo, e tanto meno che si fosse voluto carcerarlo, la qual cosa già
non sarebbe venuto in mente ad alcuno, essendo D. Alonso parente della
Viceregina (D.ª Caterina de Roxas de Sandoval) come trovasi notato
dal Residente di Venezia. Vedremo anzi che fra Cornelio si rivolse a
lui per informarlo di quanto accadeva, e fu da lui sollecitato perchè
carcerasse almeno il Pizzoni e il Lauriana. Inoltre aggiungiamo che
non cessò veramente dall'ufficio di Governatore di Calabria ultra, e
documenti rinvenuti negli Archivii di Napoli e di Venezia ci mostrano
che dopo la scoperta della congiura fece atto di autorità verso il
Segretario dell'Audienza Guarino de Bernaudo o Bernardo, intimandogli
di lasciare il posto a Camillo Passalacqua, da cui con regolare
contratto, a que' tempi ammesso, il Bernaudo teneva il posto qual
sostituto; che nell'aprile 1600 ebbe a trattare un negozio relativo
alla nave veneta Lione e Ponte naufragata in Calabria, che lasciò
l'ufficio appunto verso questo tempo, essendo stata data solamente
in maggio 1600 la commissione di sindacato del suo governo giusta
le prescrizioni delle Prammatiche, ed essendo stato nominato dopo il
detto tempo qual suo successore un altro parente della Viceregina, D.
Pietro de Borgia, che avea tenuto lo stesso ufficio nelle provincie
riunite di Capitanata e Molise[330]. Non vogliamo poi lasciare la
narrazione degli avvenimenti che si verificarono al primo arrivo
dello Spinelli in Calabria, senza notare essersi malamente affermato
dal Parrino e dal Giannone che si trovò il cadavere di uno de' rei,
fuggitivo dalle carceri, affogato _nel mare_, e che tale circostanza
rese pubblico il fatto, onde i congiurati pensarono a salvarsi. Non vi
fu affogamento nel mare ma qualche cosa di peggio, e quanto all'avere
i congiurati pensato a salvarsi in sèguito di tale fatto, per verità
anche lo Spinelli scrisse al Vicerè che molti individui sospetti si
erano posti in sicuro dietro la fuga del Rania; ma evidentemente egli
lo fece per aggravare la mano su D. Alonso e sbrigarsi di lui, mentre
la sola carcerazione bastava a dar l'avviso, non potendo essa tenersi
celata davvero in una piccola città. D'altronde si vide poi che la
fuga medesima del Rania, e secondo gravi indizii anche la sua morte,
fu opera di congiurati, e quindi si hanno anche troppe ragioni per
ritenere che essi avevano molto prima pensato a' casi loro, ma pure non
tanto efficacemente da non lasciarsi cogliere con bastante facilità.
Così non appena passato da S. Eufemia a Catanzaro, secondo la
commissione avuta, Carlo Spinelli cominciava a carcerare gl'incolpati,
ed insieme con lo Xarava e col Mastrodatti (poichè non occorreva altro
per costituire il tribunale) metteva mano a fabbricare il processo,
come allora si diceva. Di questo processo i lettori potranno formarsi
un'idea col dare uno sguardo allo schema che ne abbiamo compilato,
desumendone le notizie dalla indicazione de' _folii_, notata ne' brani
che se ne citano negli Atti giudiziarii esistenti in Firenze[331].
La sua intestazione fu, «Contra fratrem Thomam Campanellam, fratrem
Dionisium Pontium et alios inquisitos de crimine tentatae rebellionis»,
poichè così trovasi notata dal Mastrodatti, che estrasse la copia
di una deposizione in esso contenuta e la trasmise a' Giudici
dell'eresia[332]. La data poi, in cui cominciò, parrebbe essere stata
quella del 31 agosto, poichè il Giannone, il quale ebbe sott'occhio
una copia del processo, ci lasciò scritto che le deposizioni di Lauro
e Biblia, le prime fra tutte, furono raccolte a quella data: solamente
si può notare che, all'opposto di quanto egli affermò, le carcerazioni
precederono l'audizione di Lauro e Biblia, essendo cominciate il giorno
29 e continuate attivamente il 30, colta l'occasione dell'assassinio
del Rania. Con ogni probabilità apriva il processo la Commissione
Vicereale data allo Spinelli, con la costituzione del tribunale, e la
denunzia scritta di Lauro e Biblia; poi cominciavano le deposizioni
con quelle fatte da costoro medesimi, e proseguivano con quelle di
Francesco Striveri, Tommaso Striveri e Gio. Tommaso di Franza, tre
soscrittori della 2.ª denunzia, i quali, secondochè si rileva da una
lettera posteriore dello Spinelli, furono dapprima uditi «non come
principali nè come testimoni», e più tardi, dietro ordine del Vicerè,
imprigionati come complici insieme con gli altri loro compagni.
Il Vicerè dovè presto persuadersi che la congiura non era affatto una
cosa senza fondamento, e si diè con tutta fretta a prendere misure di
precauzione in Napoli, e a trasmettere ordini di rigore in Calabria,
rimanendosi tuttavia nell'amena costa di Posilipo, a godervi insieme
con la Viceregina i conviti e banchetti che i Nobili offrivano loro
successivamente in quelle ville, ed affettando una calma che facea
contrasto co' suoi provvedimenti. In Napoli, da principio egli avea
mostrato di preoccuparsi soltanto delle prossime imprese de' turchi
nel Regno, ed essendo venute notizie che i turchi volessero depredare
Lanciano negli Abruzzi, ovvero Salerno più dappresso a Napoli, ad
occasione delle Fiere che vi si dovevano tenere nel settembre, si diè
moto in questo senso chiedendone l'avviso del Consiglio Collaterale;
di poi, essendosi in Consiglio espresso l'avviso che tali notizie non
potessero esser vere, mostrò di preoccuparsi di certe altre notizie di
peste già venute dall'Adriatico, e facendo una singolare confusione,
artificiosamente senza dubbio, tra la città di Fiume in Dalmazia e una
terra denominata Fiume nella Marca d'Ancona (terra che non esisteva),
contemplando anzi propriamente la borgata di Fiumicino, esistente sulla
spiaggia Romana dal lato del Tirreno, diede in quest'altro senso ordini
che fecero maravigliare la città, e che erano evidentemente diretti a
tutelare il Regno da una mossa qualunque per parte di Roma, sia dalla
via della Campania, sia dalla via degli Abruzzi, circostanza degna di
essere rilevata. Emanò un Bando, che colpiva di pena di morte non solo
chi desse pratica a' legni di quella provenienza, ma ancora accogliesse
le persone che venendo da quelle parti cercassero di entrare nel Regno
(28 agosto); mandò Commissarii a' passi di Sangermano, di Fondi, di
Tagliacozzo; sospese le Fiere di Lanciano, di Salerno e di Nocera;
propose perfino di sospendere anche il procaccio di Roma e di nominare
gentiluomini quali deputati e custodi delle porte di Napoli! Ma poco
dopo, convintosi che non avrebbe tardato a divulgarsi lo stato vero
delle cose, rassicuratosi pel buono andamento della repressione,
penetratosi pure delle difficoltà che sarebbero sorte con Roma in
un momento in cui dovea rinnovarsi l'investitura del Regno, revocò
il Bando (6 7bre), e così pure ogni altro ordine fin allora dato
per la peste dello Stato Ecclesiastico[333]. In Calabria poi spedì
immediatamente ordine di far giustizia con celerità e severità su
quelli che si erano avuti e si avrebbero nelle mani; e i documenti ci
mostrano pure che intervenne con uno zelo assiduo ed abbastanza spinto
ne' singoli casi, di tal che non sarebbe esatto l'attribuire soltanto
allo Xarava e allo Spinelli le crudeltà commesse. Non appena gli
capitò la 2.ª denunzia de' cinque Catanzaresi, la ritenne poco seria
ed ordinò che i denunzianti fossero imprigionati, ciò che lo Spinelli
e lo Xarava non aveano ancora fatto. Inoltre, richiamando in Napoli
D. Alonso de Roxas (4 7bre) «perchè Carlo Spinelli potesse far meglio
e più liberamente quello di cui era stato incaricato», ordinò allo
Spinelli che se i Vescovi fossero colpevoli e cercassero di fuggire,
li detenesse col dovuto rispetto ed avvertisse lui per la posta;
egli ne avrebbe dato conto al Papa, potendogli già allora dire che
mettevano in ballo lui e il Card.^l S. Giorgio, e riteneva per certo
che S. S.^tà o gli rimetterebbe i Vescovi (altra piccola vanteria), o
darebbe loro un gastigo esemplare trovandosi colpevoli. Avea del resto
ordinato allo Spinelli di raccogliere tutto ciò che si deponeva contro
i Nobili, i Vescovi ed il Papa, ma di notarlo a parte, senza inserirlo
nel processo. Questo ci sembra copertamente accennato in una lettera
dello Spinelli, il quale rammenta e ripete al Vicerè l'ordine avuto in
cifra, e naturalmente a noi è riuscito impossibile interpetrarlo[334]:
ma se ne ha pure indizio in altre lettere, dove riferendosi qualche
cosa concernente un Nobile od un Vescovo, come vedremo in sèguito,
si avverte di «non averlo posto in iscritto»; e così risulterebbe
verificato ciò che il Campanella affermò nella sua Narrazione, parlando
del processo che lo Xarava «fece _segretamente_ contra Prelati e
Baroni, et amici del Campanella e nemici suoi» etc.
Lo Spinelli dal canto suo, assistito dallo Xarava, non avea molto
bisogno di questi eccitamenti. Già fin da quando si trovò morto il
Rania, egli vide che «restava con ciò confermata la macchina di questo
trattato»; ma glie la confermavano sempre più le nuove rivelazioni che
giorno per giorno si avevano a voce ed anche in iscritto, onde non solo
si rassodava l'esistenza della congiura, ma anche si scopriva una cosa
fin allora ignorata dal Governo, l'esistenza dell'eresia. Certamente
dell'eresia gli cominciò a parlare fra Cornelio, poichè si trovano
ripetute dallo Spinelli al Vicerè le parole stesse che vedremo da fra
Cornelio scritte a Roma, avere cioè il Campanella diffuso eresie in
Stilo, suoi casali e luoghi convicini; ma quasi al tempo medesimo ne
ebbe notizia anche da altre vie. Cade qui opportunamente il parlare
delle denunzie che da Stignano e da Stilo gli giunsero appunto in
questi giorni. La corsa di fra Dionisio a Stilo, la quasi fuga del
Campanella a Stignano, lo sbarco dello Spinelli in Calabria, doverono
svelare lo stato delle cose anche in que' paesi, ed ecco, dopo le
scellerate defezioni di Catanzaro, quelle ancora più scellerate di
Stilo e suoi casali. Il Campanella avea potuto rimanere tutt'al più
un sol giorno in casa di D. Marco Petrolo a Stignano, quando costui si
spinse a scrivere al Vescovo di Squillace una lettera con la quale lo
denunziava, perchè gli avea detto «che era per predicare et promulgare
nova legge in tutti questi populi, et esso l'avisa acciò siano
castigati li tristi et scelerati Heresiarci et malfattori»; con queste
parole ne fece un sunto il Mastrodatti[335]. Ma non contento di ciò, da
prete d'ingegno sottile, scritta la lettera in presenza di un Tiberio
di Lamberti e consegnatala a costui perchè la recasse al suo destino,
D. Marco lo mandò prima a parlare con Carlo Spinelli; certamente egli
dovè pensare che in tal modo, conservando interi i dritti dell'altare,
si sarebbe mostrato tenerissimo anche de' diritti del trono, e difatti
presso lo Spinelli trovavasi lo Xarava, e la lettera non giunse al
Vescovo, sibbene fu ricevuta dallo Xarava ed inserta nel processo.
Di poi il medesimo Lamberti, che dalle scritture del Grande Archivio
sappiamo essere stato un avvocato di Stignano[336], fu più tardi
chiamato a dar conto della cosa, e dovè palesare che il Campanella
era stato in alloggio a Stignano presso D. Marco, e D. Marco fu tratto
in prigione egualmente. Ma in Stilo si fece anche peggio. Il clerico
Giulio Contestabile, non appena ebbe visto che il Campanella si era
«assentato» a Stignano, diede in iscritto capi di accusa contro di lui,
denunziando le sue prediche contro la fede e il Re, e parecchie persone
che gli aveano dato ricetto, ed oltre tutto questo procurò dal Barone
di Bagnara D. Carlo Ruffo, che avea ricevuto Commissione dallo Spinelli
contro gl'incolpati, una Commissione di seconda mano per Geronimo di
Francesco suo cognato a fine di perseguitare il Campanella e complici.
E la Commissione fu subito accordata, ma il Campanella era stato preso
quando essa giunse, onde il Di Francesco dovè limitarsi a carcerarne
i parenti; e vedremo che il Campanella ne ebbe l'animo esulcerato, ne
mosse vive lagnanze e diè sfogo al suo risentimento in tutti i modi,
non esclusi i modi censurabili. Lo Spinelli, avuta la denunzia e saputo
che il Campanella stava in que' luoghi, mandò subito l'Auditore Di Lega
per prenderlo, siccome persona di maggior confidenza e che poteva farlo
con minore scandalo, colorando la sua gita colà con un'altra causa; ma
l'Auditore se ne tornò, non avendo potuto conchiuder nulla, perchè il
Campanella si era allontanato e nascosto. Allora, tanto per guardare
que' luoghi, ne' quali potea scendere il Cicala e fare gran danno pe'
molti congiurati che doveano trovarvisi, quanto per avere nelle mani
il Campanella ed anche Maurizio, «venendogli affermato che non erano
ancora partiti di là e stavano nascosti», lo Spinelli mandò ordine
al capitano D. Antonio Manrrique, che con la sua compagnia andasse di
guarnigione a Stilo e a Guardavalle patria di Maurizio; e fece partire
un'altra compagnia del Battaglione per Stignano che credea patria
del Campanella, provvedendo anche per altri luoghi dove si sospettava
che quelli potessero tener pratiche ed occupando ogni passo per farli
prendere tutti ad un tempo. Il 5 settembre l'Auditore Di Lega era già
tornato e i detti provvedimenti erano stati già presi; di tal che la
data della denunzia del Contestabile deve riportarsi agli ultimi giorni
di agosto od a' primi di settembre, e nel detto tempo que' posti per lo
meno si andavano guarnendo di milizie, ed ogni via di scampo si andava
chiudendo pe' miseri perseguitati.
Intanto il numero de' carcerati cresceva, e poichè non c'era luogo in
Catanzaro ove tenerli, non stimando conveniente tenerli nelle carceri
ordinarie sibbene in luoghi segreti e separati gli uni dagli altri,
lo Spinelli si determinò di stabilirsi nel castello di Squillace. Il 5
settembre vi si era già stabilito, e di là ne diede notizia al Vicerè,
riferendogli la maggior parte delle cose dette sopra; così, all'infuori
di pochi atti iniziali compiti in Catanzaro, il processo si svolse
veramente nel castello di Squillace e molto più tardi in Gerace, col
corredo di que' terribili tormenti, che per lungo tempo si ricordarono
in quelle desolate provincie. Gli ordini del Vicerè aveano dovuto
essere così insistenti, che già lo Spinelli, appena cinque o sei giorni
dopo l'istituzione del processo sentiva il bisogno di giustificare che
i carcerati «non erano stati tormentati fino allora, per essersi atteso
ed attendersi alla cattura di quanti si sapevano dalle rivelazioni de'
denunzianti, perchè col tardare si correva pericolo di non averli più
nelle mani». Nel medesimo castello di Squillace egli fece trarre in
arresto Geronimo del Tufo che là risedeva ed era stato nominato da'
rivelanti, a' quali, secondo le notizie avute, fra Dionisio avea detto
che era de' congiurati ed avea promesso di consegnare il castello,
oltre all'essersi prodotti pure altri indizii di avere intimamente
comunicato e trattato con Maurizio, trovandosi anche stretto parente
del Vescovo di Mileto. Era stato pure preso con gli altri il Barone
di Cropani per aver detto certe parole sospette (non sappiamo quali),
avendo trattato e confabulato con fra Dionisio; il quale avea fatto
sapere che portava al detto Barone una lettera di un capo principale
de' congiurati, e colui che ciò deponeva l'avea veduta. Gli altri
carcerati di basso grado erano piccoli borghesi di Catanzaro, per
quanto si può desumere da' primi scritti in una nota che lo Spinelli
trasmise più tardi, vale a dire un Pietrantonio di Bergamo, un Nardo
Rampano, uno Scipione Nania, un Nardo Curcio, un Marcello Salerno etc.;
ma si stimava soltanto degna di annunzio la recentissima cattura di due
frati (quella del Pizzoni e del Lauriana, che tra non guari vedremo
dove e come e da chi eseguita), e la fuga del Maestro Giurato di
Cropani, che per alcune sue parole era stato già carcerato in Cropani
dallo Xarava, ed anche prima dell'arrivo dello Spinelli era riuscito ad
evadere. Nel riferire al Vicerè tutte queste cose, come anche l'andata
e il ritorno dell'Auditore Di Lega a Stilo, e l'invio del Capitano
Manrrique e della compagnia del Battaglione a que' luoghi, lo Spinelli
continuava sempre a partecipare i risultamenti delle investigazioni.
E scriveva essersi trovato che il Campanella e fra Dionisio con altri
frati andavano seducendo i popoli, «dicendo che tenevano ordine da chi
potea mandarli per questo» e ciò non senza frutto, poichè già aveano
molti seguaci, come di ogni cosa si andava prendendo informazione,
«coll'avvertenza di registrare a parte ciò che S. E. aveva ordinato»;
inoltre che que' due predicavano pubblicamente, in riunioni e
conversazioni, alcune cose contro la fede, seminando e persuadendo
eresie «in Stilo, suoi casali e luoghi convicini». Ma si fermava
ancora sulle notizie concernenti i Nobili ed i Vescovi, e faceva sapere
essersi deposto che il Vescovo di Nicastro e il Principe di Bisignano
doveano venire incogniti in quelle parti, e notava che quel Vescovo
teneva in Calabria tutta la sua casa e i suoi domestici, avendoli da
un pezzo inviati da Roma ed essendo rimasto con un solo domestico;
poteva quindi esser vero ciò che deponevasi, che avesse a venire di
nascosto secondo il convenuto, onde sembravagli doverne avvertire
S. E. perchè potesse comandare di far diligenza in Roma e sapere
se si trovasse là, giacchè, non essendovi, riuscirebbe accertata la
deposizione. Aggiungeva di avere ordinato nelle marine che si tenesse
molta oculatezza ne' luoghi d'imbarco, che nessuno potesse partire e
imbarcarsi fuorchè ne' luoghi a ciò destinati, che si riconoscessero
dagli ufficiali coloro i quali partivano; inoltre di aver posto in
mare una feluca con persona di fiducia ed esperienza, perchè non
potesse passare barca senza essere visitata nè salvarsi alcuno de'
colpevoli, mentre poi si disponeva ad emanare contro gli assenti le
provvidenze necessarie, e a far pronta e severa giustizia contro i
colpevoli, come S. E. ordinava e un così grave delitto richiedeva,
«essendo tanti coloro che se n'erano macchiati». — In tutto ciò è
notevole specialmente la prevenzione dello Spinelli contro i Nobili ed
i Vescovi; eppure contro i Nobili, od almeno contro i Nobili di ordine
più elevato, non si avevano che dicerie vaghe anche troppo, e solamente
contro i Vescovi poteva invocarsi il loro contegno sufficientemente
ostile, ma tuttavia di una data non fresca ed anteriore di molto alla
venuta del Campanella in Calabria. Gli faceva molta impressione il
contegno del Vescovo di Catanzaro che avea consigliato fra Dionisio
a fuggire, comunque potesse pensarsi che l'avesse fatto per riguardo
alla condizione ecclesiastica di lui; così pure il contegno del Vescovo
di Mileto che si era permesso di dire alcune parole rimasteci ignote,
ma probabilmente allusive a soddisfazione pe' non lievi imbarazzi in
cui il Governo si trovava, e certamente era questo il meno che dovesse
aspettarsi da lui tanto uggioso verso il potere civile; infine anche il
contegno del Vescovo di Nicastro, che si teneva tuttora lontano dalla
sua residenza, dopo di avervi già da un pezzo mandati i suoi familiari,
quasi fosse consapevole di prossimi tumulti[337]. E il Vicerè finiva
per accogliere del pari molto facilmente le prevenzioni contro i
Vescovi, e prendeva le sue misure, oltre al suggerire lui medesimo
misure di rigore contro gl'incolpati assenti.
Anche prima di avere maggiori indizii contro i Vescovi, l'8 settembre
il Vicerè scriveva al suo Agente in Roma D. Alonso Manrrique, che
trattava gli affari del Regno stando a lato dell'Ambasciatore,
perchè facesse sapere al Papa che il Campanella, fra Dionisio e fra
Pietro Ponzio (questo povero fra Pietro era stato nominato da' primi
rivelanti e continuava ad essere nominato senza la menoma colpa), si
occupavano di far sollevare la Calabria facendo intendere al popolo
«che tenevano ordine da chi potea mandarli per questo», come lo
Spinelli aveva scritto; che alle persone di maggior levatura dicevano
partecipare alla congiura alcuni Signori principali del Regno, ed
aversi il favore di S. S.^tà offerto per mezzo dell'Ill.^mo Card.^l
S. Giorgio, ed incorniciando pure questa menzogna dicevano essere
tra' congiurati il Papa, il Turco, il Card.^l S. Giorgio, ed il Papa
averli subito ad aiutare ed altre mille stravaganze; che inoltre i
frati andavano seminando alcune eresie nelle conversazioni e sermoni
che facevano, e che alcuni Vescovi, secondo le dichiarazioni prese,
risultavano colpevoli, e se la colpa fosse tale da obbligare a metterli
in prigione, lo si farebbe col rispetto dovuto, dandone subito conto a
S. S.^tà etc. Non sappiamo precisamente qual viso la Curia Pontificia
avesse fatto ad una simile comunicazione, ma probabilmente prese tempo
a deliberare, confidando che le dicerie si sarebbero poi trovate
false[338]. Intanto il Vicerè si preoccupava del non essere stati
catturati i tre frati e Maurizio de Rinaldis, ed inviava ordine allo
Spinelli che facesse Bando, col quale a chi consegnasse Maurizio vivo
si darebbe il perdono per lui e per un altro purchè non fosse uno de'
tre frati, e a chi lo consegnasse morto si darebbe indulto per la sola
persona sua; ed egualmente si darebbe indulto a chiunque consegnasse
fra Tommaso Campanella, fra Pietro Ponzio e fra Dionisio di Nicastro;
egli riteneva questo un buon mezzo per prenderli, «segun la poca
amistad que se guardan acà en general unos à otros» (osservazione
che oggi ancora e sempre dovrebb'essere profondamente meditata da
ogni napoletano). Inoltre preveniva tutta la costa, da Napoli alla
Calabria, trasmettendo i connotati de' frati e del gentiluomo, perchè
si visitassero tutte le feluche in arrivo ne' porti; ed in Napoli
teneva posta guardia nel mare, perchè non vi si passasse senza toccare
la città (onde si vede il suo pensiero, che quando i congiurati fossero
riusciti a mettersi in mare si sarebbero diretti a Roma, la quale
dovea essere per lui il centro del movimento, malgrado lo dissimulasse
con ogni cura). Queste cose egli comunicava a Madrid, significando
che quantunque tale congiura presentasse tanto poco fondamento, «era
stata misericordia di Dio l'averla scoverta a tempo ed averla potuto
prevenire, siccome lo avea fatto». Vedremo che mentre i suoi ordini
così efficaci giungevano in Calabria, il Campanella era stato già
preso, e quanto a Maurizio, lo Spinelli, mostrandosi poco propenso ad
indultar complici, dopo di aver preparati molti mezzi e molti concerti,
finiva per emanare un Bando assai più terribile.
E qui, prima d'inoltrarci nel racconto di queste catture, importa
conoscere chi si prestò a dar la caccia agl'incolpati, e chi venne
in aiuto del Governo nella feroce repressione della congiura non
che nella difesa delle coste dal Turco. Solevasi allora «dare una
Commissione» ad individui, che per guadagno si prestavano ovvero anche
spontaneamente si offrivano a perseguitare i ricercati dalla giustizia,
munendoli di lettere patenti, con licenza di scorrere la campagna
a capo di una comitiva armata e con ordine a tutti di favorirne le
mosse: erano questi i così detti «Commissionati» o «Commissarii di
campagna», i quali talvolta, abusando della loro autorità, finivano
per essere ricercati dalla giustizia essi medesimi. Solevasi inoltre
adoperare i fuorusciti, che assumevano gli stessi incarichi e si
dicevano «Guidati», venendo muniti di un guidatico o salvacondotto,
dietro una promessa ed ordinariamente dietro una convenzione scritta
od «albarano», in cui era ben determinato il servizio che doveano
prestare, per poi ottenere l'indulto o assoluzione dei loro delitti.
Nella repressione della congiura vi furono gli uni e gli altri. De'
Guidati conosciamo appena qualcuno, come Giulio Soldaniero unitamente
con Valerio Bruno, de' quali avremo a parlare lungamente in sèguito;
ma l'Audienza ne trovò parecchi dopo il ritorno dello Spinelli dalla
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