Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 18

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Dichiarazione potè dire che giurava di non aver mai pensato che le
parole _della sua predica_ avrebbero mossa tanta gente. Invece vi sono
parecchi elementi per dire, che diffusa questa voce delle mutazioni
secondo le profezie accertate dal Campanella, molti si dirigevano
a lui per conoscere la cosa più addentro, e in questi colloquii
privati egli parlava con maggior libertà e si estendeva a ragionare
più largamente del secolo d'oro, esprimendo a tempo e luogo qualche
suo pensiero intorno al modo di prepararvisi e di contribuirvi. Tutto
mena a far credere che le prediche siano state poche e poco esplicite,
avendole principalmente destinate a far intendere che il mondo era
sul punto di «andare sottosopra». Ad una di esse, verosimilmente
alla 2ª suddetta, fu presente l'Auditore Annibale David, venuto a
Stilo per trattare la pace tra le famiglie de' Contestabili e de'
Carnevali, e bisognerebbe non conoscere cosa fosse un Auditore, per
ammettere che costui avrebbe potuto lasciar correre la predica laddove
questa gli fosse parsa criminosa. Solamente, giusta una deposizione
che può ritenersi attendibile, durante la predica egli avrebbe una
volta esclamato, «oh s'io potessi dire a modo mio»! con che senza
dubbio riusciva ad eccitare tanto maggiormente la curiosità di coloro
i quali più s'interessavano per le cose nuove[245]. Non fu dunque
un predicatore entusiasta a modo p. es. di fra Girolamo Savonarola;
fu invece un cauto e circospetto agitatore, il quale, senza creare
propriamente un fermento, perocchè questo già esisteva dovunque ed
era più vivo in Calabria, col suo prestigio non solo lo favorì, ma
col minore strepito possibile lo diresse ad uno scopo patriottico
anzi umanitario. Tutti gli dimandavano spiegazioni, massimamente i
cittadini più animosi e avversi alla signoria spagnuola, i fuorusciti
tanto più avversi al Governo per le loro speciali condizioni, i Signori
e gli ufficiali stessi del Governo. Il Capitano Francesco Plutino gli
comunicò certe profezie di un Abate Idruntino divulgate in Napoli, le
quali accennavano a mutazioni da dover accadere in Sicilia, in Toscana,
in Calabria, e gli dimandò l'avviso suo sopra di esse: il Campanella,
secondo ciò che scrisse nella sua Dichiarazione, gli avrebbe
semplicemente risposto che potevano esser vere, perchè altri astrologi
e savii predicevano lo stesso; pertanto un testimone non sospetto
depose che il Capitano diceva con ammirazione, «voi vedrete quello che
è il Campanella»[246]. Infine lo stesso Governatore della Provincia
D. Alonso De Roxas si diresse a lui «per lettera di curiosità»
dimandandogli notizia delle mutazioni che tutti si aspettavano; e il
Campanella lo compiacque, forse anche in tale occasione gli mandò il
suo libro della Monarchia di Spagna già scritto pel Marthos e posto
da banda senza avervi più pensato. Ad ogni modo il Campanella e il
Governatore rimasero in termini amichevoli[247]: nè veramente il
Governatore sospettò mai del filosofo; bensì vedremo che non mancò
di occuparsi della cattura dei frati, quando si giunse a fargliene
comprendere i disegni.
Tutto ciò mostra che il nome del Campanella risuonava in una sfera
larghissima; e la cosa merita di essere notata, poichè da lui medesimo
nelle sue Difese, e poi da molti altri fino a' giorni nostri, è
stato detto impossibile che un povero frate, da poco tempo venuto in
Calabria, avesse concepito un così audace progetto, ed avuto tanto
credito. Ma le sue stesse affermazioni in altri documenti, al pari
degli atti processuali, mostrano che il suo credito era divenuto
straordinario. Egli medesimo affermò, che «tutta la gente» accorreva
a lui per dimandargli della «fine del mondo e della renovation del
secolo» dopo che egli le avea predicate, che inoltre «quando caminava
per le ville e pe' castelli, si vedeva innanzi stupefatto torme di
uomini che chiedevano rimedii per le proprie infermità e per quelle
delle pecore e de' buoi», ed egli li indicava, e «tutti ritornavano
lodando Dio»[248]. Nell'insieme del processo che ne seguì, da qualunque
lato, da' frati e da' laici, da' fautori e da' persecutori, da' più
alti e da' più umili, egli trovasi riconosciuto ed acclamato sempre
«dottissimo in tutte le scienze, grandemente dotto, grand'omo», e il
suo credito si rivela altissimo ed incontrastato. A lui venivano «le
migliara di persone»; e l'accorto e prudente fra Pietro di Stilo,
suo angelo tutelare, lo riprendeva pel tanto conversare con laici:
tutti chiamavano «beato» il povero padre suo, e i nobili e Signori,
particolarmente il Marchese d'Arena e il Principe della Roccella,
che dimoravano più d'appresso a Stilo, lo vedevano volentieri e
talvolta lo chiamavano nei loro castelli[249]. Non ci è noto di che
discorressero; ma senza dubbio l'argomento principale de' discorsi
doveva essere la vicina fine del mondo, con tutti i cataclismi e
l'immancabile secolo d'oro che dovevano precederla: e merita pure di
essere ricordato un fatto da molti deposto nel processo, che cioè egli
aveva una forza di persuasiva straordinaria, «perchè quando parlava
tirava ognuno a lui». Ma vi era anche qualche motivo riposto, atto
a spiegare il prestigio di cui godeva, poichè l'ingegno, gli studii,
i libri composti non sarebbero stati sufficienti in Provincie nelle
quali, bisogna riconoscerlo, neanche oggi queste cose rappresentano
i fondamenti del credito. Vi era l'opinione che egli «avesse spiriti,
comandasse spiriti, disponesse di spiriti»: lo si diceva pubblicamente
in Calabria, e i più timorati pensavano che la sua scienza era o del
demonio o d'Iddio, ma la massa de' frati, de' laici e di ogni ceto,
riteneva con sicurezza che fosse del demonio. Si era giunto perfino a
scovrire dove avesse il suo spirito familiare; l'avea nell'unghia. Così
dicevasi a Stilo, e forse se ne può trovar la ragione in un'abitudine
del Campanella di guardarsi le unghie, come più in là vedremo notato
segnatamente da' terrazzani di S. Caterina, nel convento Domenicano
di S. Nicola ove una volta si recò[250]. Certo è che a cominciare da'
frati suoi più intimi amici, come fra Dionisio Ponzio, ed anche fra
Domenico Petrolo, ebbero, ognuno a sua volta, la curiosità di chiedere
direttamente al Campanella se fosse vero che avea spiriti; tra le
persone poi che trattarono con lui per la congiura, taluno gli dimandò
in generale de' diavoli e dell'arte magica, qualche altro gli chiese
uno spirito familiare per vincere al giuoco, altri chiesero segreti per
avere donne; ancora, a tempo delle carcerazioni, taluno voleva che il
Campanella «havesse fatto tanto con gli diavoli che l'havessero cavato
de prigione»[251]. Fra Tommaso mostravasi quasi sempre infastidito
di siffatte dimande, e ne prendeva talvolta occasione per manifestare
che egli non credeva all'esistenza nè de' diavoli nè dell'inferno, ed
anzi al Petrolo una volta disse che in Roma, dove era conosciuto, si
riteneva che egli non credesse a queste cose; ma specialmente i laici
non ne rimanevano persuasi, e qualcuno anche si scandalezzava che
negasse i diavoli. Aggiungiamo che fra Dionisio medesimo gli domandava
confidenzialmente se in Roma fosse stato mai condannato all'abiura,
ed egli lo negava, ed adduceva quale unico motivo de' suoi travagli
l'essere stato erroneamente creduto autore di un bruttissimo Sonetto
contro Gesù Cristo: così non si divulgò mai il fatto dell'abiura, e il
suo credito rimase anche da questa parte inalterato.
Siamo in maggio 1599. Avvennero allora due fatti interessanti per
la nostra narrazione; il Capitolo de' Domenicani in Catanzaro, la
trattativa di pacificazione delle famiglie de' Contestabili e de'
Carnevali di Stilo.
Il Capitolo de' Domenicani in Catanzaro fu preseduto da fra Giuseppe
Dattilo di Cosenza, essendo Definitore fra Gio. Battista di Polistina,
due nomi che dimostrano assolutamente in auge la fazione avversa a
quella di fra Dionisio Ponzio, e però avversa agli amici di costui,
tra gli altri al Pizzoni che avea disertato il campo del Polistina, ed
anche al Campanella antico amico di fra Dionisio. Comunque i Capitoli
fossero di breve durata (questo di Catanzaro non durò più di quattro
giorni), i più culti tra' frati costumavano darvi un saggio della
loro abilità sostenendo «conclusioni», ossia facendo una disputa
sopra alcune proposizioni che annunziavano in precedenza. Il Pizzoni,
andatovi a sostenere le conclusioni che abbiamo già menzionate più
sopra, si vide per la sua mala vita condannato al carcere, dietro
proposta del Polistina che volle trarne vendetta. Per non esser
preso se ne fuggì immediatamente, senza cappello e senza cappa, con
grande scandalo della città, andando a rifugiarsi in un convento di
Zoccolanti; ma fu subito richiamato, mercè l'opera del Vescovo di
Catanzaro, perchè sostenesse le conclusioni state già pubblicate,
e le sostenne con plauso alla presenza anche del Governatore De
Roxas e degli Auditori invitati ad intervenire alla disputa; di poi,
saldati i suoi conti, se ne andò al piccolo convento di Pizzoni,
dove era stato assegnato e dove più in là lo troveremo. Quanto al
Campanella, egli avrebbe certamente disputato in quel Capitolo, ma
non vi fu neanche chiamato; ed è certo che se ne lagnò in sèguito
con fra Paolo della Grotteria, dicendo che «li litterati non erano
premiati nè exaltati secondo il dovere, et anzi sbassati et tenuti
sotto contra ogne giustitia, et che a tale effecto non era esso stato
chiamato al Capitolo di Catanzaro, perchè essendo litterato cercavano
di tenerlo sepolto». Le cose stavano realmente così, nè c'è da farne
le meraviglie: si è visto sempre tra' frati esaltata anche più del
dovere la dottrina di qualcuno elevatosi un poco sul livello comune,
poichè questo accredita l'Ordine, ma si è vista ben di rado onorata
la dottrina nelle candidature agli ufficii; e del Campanella può
dirsi con certezza che tra' frati non aveva e non ebbe mai sèguito,
quantunque ne avesse tanto tra' laici. Più tardi, nelle Difese, egli
scrisse che non aveva mai ambìto i gradi de' quali era degno nella
Religione: ma il fatto è che nessuno pensò mai di dargli gradi, che
non fu nemmeno chiamato al Capitolo e che ne rimase scontento. Quanto
a fra Dionisio, egli non ebbe la conferma nel Priorato, rimase puro
e semplice lettore ed assegnato al convento di Taverna; ma sdegnato
ed inquieto andò vagando a lungo per la provincia, innanzi di recarsi
al luogo assegnatogli. Scorse due settimane dalla celebrazione del
Capitolo, si recò a Stilo presso il Campanella, con nessun gusto di
fra Pietro di Stilo, che trovandosi in buoni termini col Polistina
era stato creato Vicario di quel convento. Fra Pietro riprendeva
il Campanella per questa sua amicizia con fra Dionisio, parendogli
che quei di Stilo, soliti a visitarlo e a fargli ossequio, se ne
allontanavano stomacati dall'udire fra Dionisio che parlava senza
ritegno delle più laide oscenità, delle quali si vantava per giunta.
Circa dieci giorni si trattenne fra Dionisio presso il Campanella:
non sappiamo di quali argomenti si occupassero i due frati ne' loro
colloquii, ma forse le tirate oscene di fra Dionisio servivano a
mascherare gli argomenti veri. Certo è soltanto che negli ultimi giorni
della sua dimora in Stilo, verso la fine di maggio, essendo venuti,
ad occasione della pace tra' Contestabili e i Carnevali, da un lato
Marcantonio Contestabile accompagnato da un Gio. Tommaso Caccìa di
Squillace e d'altro lato Maurizio de Rinaldis di Guardavalle, tutti
e tre fuorusciti, fra Dionisio si strinse in amicizia specialmente
con Maurizio e col Caccìa che non aveva mai conosciuti. E dopo certi
colloquii intimi, de' quali dovremo occuparci più in là, fra Dionisio
partì in cerca di amici, e con essi se ne andò fino a Messina, senza
che sia stato mai chiarito lo scopo di tale viaggio. Ci basterà
qui, intorno a' detti colloquii, ricordare pel momento ciò che il
Campanella ne disse nella sua Narrazione. «Erano stati in convento di
Stilo Mauritio Rinaldi, e M. Antonio Contestabile per trattar la pace
tra Carnelevari et Contestabili; et Fra Dionisio sendo di passaggio
intervenne a questi trattati e strinse amicitia con Mauritio e trattò
di uscir in campagna e dimandavano il Campanella essi e molti altri di
quella cometa di Calabria et terremoti, et segnali della rinnovatione,
e li dimandavano se venia rovina alla provincia come parea da ponente
secondo il corso della cometa (come proprio venne Carlo Spinello che
la travagliò) che cosa havevano da fare; e lui diceva mettersi sù le
montagne con le armi come fecero li Venetiani nelle lacune quando venne
Attila, et li Spagnoli in Asturia, quando intraro li Mori in Ispagna, e
questo dicea per modo di ragionamento e mischiava li segni del giudizio
universale col particolare della provincia, secondo s'usa, et ognuno
pensava a cose nove, e sparlavano in diverse guise». La cometa fu
vista veramente più tardi, in luglio, e d'altra parte il Campanella e
fra Dionisio aveano già discorso con Maurizio, in casa di un sacerdote
a nome Gio. Jacovo Sabinis, prima che Maurizio venisse nel convento,
come risulta da' particolari della trattativa di pace; ad ogni modo
le preoccupazioni vi erano, e ne fu discusso in guisa, che da queste
discussioni prese origine e data quella serie di concerti e maneggi
che diedero motivi all'accusa di congiura. Più volte in sèguito il
Campanella affermò pure in sua discolpa, che fra Dionisio voleva uscire
in campagna per ammazzare coloro i quali avevano ammazzato suo zio; ma
questo fatto era già vecchio di alcuni anni, ed abbiamo veduto che vi
erano stati per esso lunghi processi in Calabria e in Napoli menati
innanzi da fra Dionisio; certamente costui, venuta la «rinnovazione
del secolo», avrebbe vendicata la morte di suo zio, ma appunto questa
rinnovazione bisognava innanzi tutto procurare fondando la repubblica.
La trattativa di pacificazione delle due nobili e ricche famiglie di
Stilo, quella de' Contestabili e quella de' Carnevali, fu commessa
al Campanella dal medesimo Auditore David che non aveva potuto
riuscirvi: questo risulta dalla Dichiarazione che fu poi scritta da
fra Tommaso, e mostra la considerazione di cui godeva non solo presso
i cittadini di Stilo ma anche presso gli Agenti del Governo. Documenti
da noi rinvenuti, nell'Archivio di Stato e nel Carteggio del Nunzio
Aldobrandini, ci mettono in grado di far conoscere gl'individui delle
due famiglie e taluni particolari che riflettono la loro inimicizia.
La famiglia Contestabile componevasi allora di Paolo padre, Porfida
madre, Giulio, Geronimo, Fabio e Marcantonio figli; Geronimo di
Francesco avea sposato Laudomia sorella di costoro. La famiglia
de' Carnevali era più sparpagliata: in una casa dimorava Prospero
Carnevale col fratello Gio. Francesco vecchio sacerdote, e col figlio
Fabrizio Arciprete; in un'altra casa dimorava Gio. Paolo altro figlio
di Prospero con la sua famigliuola; in una terza casa gli altri figli
di Prospero, Fabio e Tiberio (il medico, trasferitosi poi in Napoli
come abbiamo già visto). Causa dell'inimicizia il solito gusto della
prepotenza, col dominio segnatamente nell'amministrazione della città.
De' Contestabili il più giovane, Marcantonio, era manesco e violento
oltremodo: le scritture dell'Archivio di Stato lo mostrano omicida
già prima del 1595, il Carteggio del Nunzio lo mostra fuoruscito per
tentato omicidio in persona di Gio. Paolo Carnevale, il processo di
eresia del Campanella ce lo mostra feritore dell'altro fuoruscito che
soleva accompagnarlo, il Caccìa, mediante colpo di archibugio; del
resto tutti i Contestabili si comportavano con alterigia e violenza,
come lo mostra un documento che non ammette replica, proveniente dal
governatore o capitano di Stilo. I Carnevali non avevano qualcuno
de' loro da opporre a Marcantonio Contestabile, ed interessarono per
questo un amico, Maurizio De Rinaldis di Guardavalle a que' tempi
casale di Stilo, parimente giovane, nobile e fuoruscito per omicidio;
costui naturalmente veniva favorito in tutti i modi da' Carnevali
e loro parenti, e così D. Gio. Francesco e D. Fabrizio Carnevale si
trovavano da Geronimo Contestabile e Geronimo di Francesco accusati
presso il Nunzio di negoziazione illecita e ricetto di banditi, e il
Nunzio li aveva citati a comparire, e per tale motivo figurano nel suo
Carteggio. Con questi due gagliardi a fronte, Marcantonio e Maurizio,
sostenevasi l'inimicizia, e non occorre dire quanto il paese ne fosse
turbato: nel corso del processo del Campanella, essendo accaduto di
doverne parlare, Giulio Contestabile depose che l'inimicizia esisteva
tra Paolo suo padre e Prospero Carnevale, e tra lui Giulio e Gio.
Paolo Carnevale; ma ognuno intende che egli volle attenuare le cose
e porre nell'ombra il fuoruscito Marcantonio[252]. Secondo ciò che
il Campanella scrisse nella sua Dichiarazione, egli menò innanzi gli
accordi fino a doversi «ratificare la pleggeria della pace», e però
ebbe ad intrattenersi più volte con entrambe le parti e loro aderenti,
e poi anche co' fuorusciti che ne rappresentavano il braccio forte: ma
è lecito dubitare che avesse raggiunto tale risultamento, e che per
raggiungerlo vi fosse bisogno della presenza de' fuorusciti. Ad ogni
modo Marcantonio Contestabile, insieme al Caccìa, dimorò otto giorni
nel convento di S. M.ª di Gesù, dove stava sicuro pel dritto di asilo;
i suoi parenti, e massime Giulio Contestabile e Geronimo di Francesco,
vi accedevano tanto più spesso, e molti discorsi furono in tale
circostanza scambiati col Campanella intorno alle future mutazioni.
Maurizio, secondochè poi disse il Campanella, chiedeva di poter
dimorare anche lui nel convento, ma il Campanella non volle, forse
perchè temè qualche possibile scena violenta tra lui e Marcantonio, e
difatti essi rimasero sempre separati; si trattenne quindi nella casa
di D. Gio. Jacovo Sabinis sacerdote, cognato di Gio. Paolo Carnevale,
dove il Campanella lo vide andandovi di sera insieme con fra Dionisio
e Gio. Gregorio Prestinace grande amico suo e compare di Maurizio; ma
poi Maurizio venne anch'egli di sera nel convento, in sèguito vi venne
pure di giorno, e naturalmente una gran parte de' colloquii cadde sulle
mutazioni e sul miglior modo di profittarne. I discorsi scambiati su
questo tema debbono essere minutamente riferiti e vagliati; ci occorre
intanto dire che la pace non si effettuò, la qual cosa non può far
meraviglia a chi consideri come si effettuavano allora le paci. Per
regola se ne occupava un Auditore a ciò delegato dalla R.ª Audienza,
e le parti, dietro concessioni reciproche, finivano per sottoscrivere
un atto, dando la parola _sub nomine Regio_ al pacificatore e la fede
vicendevolmente e personalmente tra loro, con promessa ed obbligo
sotto determinata «pena pecuniaria et etiam corporale», di non dover
più, dopo la data parola e fede, mostrarsi nemici. Naturalmente a
tutto ciò non prendevano parte i fuorusciti, i quali si trovavano
fuori la legge, ed avevano la missione pura e semplice di fare un
aggravio e difendere da un aggravio, o per lo meno far paura mostrando
la forza e potenza della parte che li sosteneva in campagna. Laonde,
nel caso attuale, si capisce poco che Marcantonio e Maurizio fossero
venuti per «ratificare la pleggeria della pace»; si capisce un po'
meglio che Maurizio fosse venuto «per farsi vedere a Marc'Antonio
Contestabile, acciò li Contestabili sapessero che i Carnelevari ancora
hanno gente armata et non hanno paura», secondochè espose egualmente
il Campanella nella Dichiarazione medesima. Con siffatta disposizione
degli animi, con la presenza di persone armate di tutto punto, come
le descrissero di poi nel processo diversi testimoni oculari, la pace
non poteva effettuarsi; ma potè effettuarsi una tregua, e certamente
vi contribuirono non poco i discorsi ed anche i progetti intorno alle
mutazioni. Consecutivamente, nel processo, Giulio Contestabile disse
aver lui rotta la trattativa, poichè avendone scritto a suo fratello
Geronimo il quale dimorava in Napoli, costui rispose che il Campanella
era stato inquisito di eresia e che perciò non voleva si trattasse con
simile persona, onde poi essendo stata da lui divulgata la cosa, il
Campanella gli divenne inimico capitale: ma si ravvisa qui facilmente
il solito ripiego della inimicizia capitale, che si costumava mettere
innanzi per invalidare le deposizioni contrarie; Giulio, nel tempo di
cui trattiamo, era e rimase uno de' più fervidi seguaci del Campanella.
Si direbbe che il Campanella, in mezzo a quella balda gioventù, a
contatto di que' focosi e audaci fuorusciti, la cui esuberanza di
vita poteva esser diretta a uno scopo tanto migliore, non abbia
veduto più alcuno ostacolo all'attuazione de' suoi disegni: di certo
in pochi giorni egli si spinse incomparabilmente più di quanto avea
fatto sin allora, ma pur sempre con cautela e circospezione. Sin
allora, tra' discorsi generali intorno alle mutazioni e alla santa
repubblica che dovea godersi prima della fine del mondo, egli aveva
appena lasciato intravvedere in privato, alle persone intime, che le
profezie additavano segnatamente lui stesso, che parevagli averlo
Iddio «eletto proprio a insegnare la verità et levare molti abusi
grandi che regnavano nella Chiesa», come disse a fra Domenico Petrolo e
separatamente anche al Pizzoni: ma a fra Pietro di Stilo sappiamo che,
presente l'altro amico Gio. Gregorio Prestinace col quale confabulava
in segreto spessissimo, egli due volte avea fatto conoscere come
godendo l'influsso di sette pianeti ascendenti favorevoli si aspettava
di essere Monarca del mondo; la quale proposizione, tenendo conto del
linguaggio fratesco, potrebbe anche semplicemente significare che si
aspettava di essere capo di uno Stato. Inoltre si era lasciato sfuggire
di bocca certi principii meno ortodossi, che aveano scandalizzato
qualcuno, ma non già tutta quella massa di principii eretici, veri e
supposti, che emerse in sèguito e che si deve riferire ad un periodo
posteriore. Difatti, fra Francesco Merlino, al quale non vi è ragione
di negar fede, trovandosi priore in Placanica ed avendo scambiate varie
visite col Campanella, poteva affermare solamente di avere udito dire
da lui che nel mondo si vive a caso, aggiungendo che molte cose furono
dette dopo la carcerazione senza sapersi come uscissero in campo. Fra
Gio. Battista di Placanica, al quale si può del pari aggiustar fede,
avendo dimorato nel convento di Stilo dal febbraio all'aprile dello
stesso anno, poteva affermare qualche cosa di più, ma non altro che
questo: che il Campanella parlava degli atti venerei in modo da far
credere che non costituissero veramente peccato, dicendo essere ogni
membro destinato a certe funzioni, e certi organi fatti appunto per
gli atti venerei; che paragonava la legge de' Turchi con quella de'
Cristiani e la lodava in certe cerimonie; che giudicava inutili tanti
Ordini religiosi, ritenendoli baie fatte per tener quieti i popoli;
che non credeva poter le Messe giovare alle anime de' defunti quando
il celebrante fosse in istato di peccato mortale; che discorrendo una
volta dell'inferno con alcuni suoi discepoli avea detto «che inferno,
che inferno!» Aggiungeva poi che avendo il Campanella domandato a
Mons.^r di Squillace ed al Provinciale la licenza di predicare in
Monasterace, la licenza non gli fu concessa, ed in tale occasione
si era spinto a dire qualche cosa in dileggio della scomunica. Forse
anche dietro tale circostanza accadde, che avendogli il povero padre
suo raccomandato di accettare una predicazione offertagli dalla città
di Stilo col compenso di 200 ducati (verosimilmente la predicazione
Quaresimale) per venire in aiuto alle sorelle che erano «pezzenti»,
egli disse che «non voleva fare l'officio di Cantanbanco»; per le quali
parole rivelate da taluno di Stignano, insieme col fatto dell'avere
fra Tommaso divinato l'avvenire de' suoi fratelli, e dell'essersi
occupato a scrivere quel tale libro che non l'avea scritto nè Luca nè
Giovanni, il povero Geronimo fu poi menato innanzi al S.^to Officio in
Napoli. Del resto non bisogna nemmeno credere che il Campanella avesse
sempre manifestato con serietà proposizioni incriminabili, mentre,
comunque i suoi biografi ce l'abbiano descritto grave e cogitabondo
perchè filosofo, è certo invece che soleva di continuo burlare e
motteggiare specialmente i frati, e la tendenza sua a motteggiare,
come al contraddire, era spesso il movente di altrettali proposizioni.
Talora il suo motteggio riuscì davvero scandaloso; infatti più volte
nell'incontrare alcuni frati di S. Francesco della Scarpa (altro
convento di Stilo) mentre andavano nella loro Chiesa, alludendo a Gesù
crocifisso egli si pose a dire, «dove andate? andate ad adorare un
appiccato!» «Cose fratesche, cose ociose» le definiva fra Pietro di
Stilo, aggiungendo sul Campanella, «quando burlava con li frati... dico
che era malo», e a fra Pietro si può credere pienamente[253].
Ma ne' colloquii con Maurizio, con Marcantonio e Gio. Tommaso Caccìa,
co' parenti o aderenti di costoro e con gli amici suoi che in questo
tempo frequentavano pure la sua cella, egli si pose ad eccitare
vivamente ciascuno che volesse profittare delle mutazioni, che volesse
concorrere e trovare molti compagni i quali concorressero a fondare
la repubblica, indicando il modo, disegnando il tempo e le alleanze,
prevenendo e combattendo le obbiezioni, manifestando alcune riforme
civili ed anche religiose che bisognava introdurre, atteggiandosi
francamente a riformatore e legislatore; e fra Dionisio si pose a
secondarlo, bensì con certi modi tutti suoi, e i più infiammati si
posero a numerare le forze e gli amici; di poi ciascuno più o meno,
non escluso il Campanella medesimo, si occupò veramente di procurare
amici e di prepararsi al gran giorno. Come fu rivelato ne' processi
consecutivi da Gio. Tommaso Caccìa, e del pari da fra Pietro di Stilo
e dal Petrolo (ciò che mostra la credibilità delle rivelazioni del
Caccìa), frequentavano la cella di fra Tommaso e parlavano segretamente
con lui, oltre Giulio Contestabile e Geronimo di Francesco cognati,
Gio. Gregorio Prestinace «amico e familiare di notte e di giorno»,
Fulvio Vua, Tiberio Marullo; inoltre Scipione Marullo figlio di
Tiberio, D. Gio. Jacovo Sabinis, Giulio Presterà, Francesco Vono,
Fabrizio Campanella e Paolo Campanella, i quali ultimi sappiamo che
dimoravano in Stignano. Erano le dette persone di Stilo, per la massima
parte, delle migliori famiglie della città e ne' migliori anni della
loro gioventù, come ci risulta da' documenti che per alcuni ci è
riuscito di trovare; a ragione quindi il Campanella nelle sue Difese
potè dire, che non si propose di servirsi soltanto di fuorusciti, i
quali del resto considerava meno come nemici del Re che come uomini
armati, menandoli nella retta via, ma «si propose di servirsi ancora
di uomini dabbene non fuorusciti come dal processo è comprovato»[254].
A costoro si deve aggiungere un fra Scipione Politi conventuale di S.
Francesco, che poco prima o poco dopo questo tempo rimanea sovente a
pranzo col Campanella e qualche volta rimase con lui anche di sera,
come fu attestato da fra Pietro di Stilo. Ma se tutti costoro ebbero
colloquii intimi col Campanella, per la più gran parte di essi,
riuscita a sfuggire alle ricerche del Governo, ce ne sono rimasti
ignoti i particolari, mentre il Campanella soleva sempre parlare
a non più di uno o due amici per volta: ed è facile intendere che
segnatamente i particolari de' colloquii in persona di Gio. Gregorio
Prestinace, amico sviscerato del Campanella e compare di Maurizio,
sarebbero riusciti importantissimi, come pure, ad un grado minore
ma sempre cospicuo, quelli in persona di Marcantonio Contestabile;
possediamo intanto quelli nelle persone di Giulio Contestabile e
Geronimo di Francesco, del Caccìa, di Maurizio, ed essi valgono a farci
capire gli altri che ci mancano. Eccoci dunque a darne conto e senza
parsimonia, anche a costo di doverci ripetere quando avremo a narrare
lo svolgimento de' processi; giacchè possiamo desumere le notizie di
tali colloquii, come di tutto l'andamento della congiura, solo da ciò
che ne' processi si raccolse, e quindi siamo costretti a riferire le
deposizioni ed anche a discutere la credibilità di esse ogni volta;
così le ripetizioni riescono inevitabili e non può accadere altrimenti,
semprechè non si voglia un racconto della congiura meramente fantastico
o per lo meno non documentato.
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