Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 01

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FRA TOMMASO CAMPANELLA
LA SUA CONGIURA, I SUOI PROCESSI
E LA SUA PAZZIA
NARRAZIONE
CON MOLTI DOCUMENTI INEDITI POLITICI E GIUDIZIARII,
CON L'INTERO PROCESSO DI ERESIA
E 67 POESIE DI FRA TOMMASO FINOGGI IGNORATE,
PER
LUIGI AMABILE
già prof. ord. di Anatomia patologica nella R. Università di Napoli,
già Deputato al Parlamento Nazionale.
«La così detta congiura, che il Baldacchini e
i più dei biografi Campanelliani qualificano
eterno ed insolubile problema degli eruditi». —
Berti, T. CAMPANELLA. 1878
VOL. I.
NARRAZIONE, PARTE I.

NAPOLI
CAV. ANTONIO MORANO, EDITORE
_371, Via Roma, 372_
1882


L'Editore avverte che avendo adempiute tutte le formalità prescritte
dalla legge sulla proprietà letteraria, intende valersi della
protezione che le leggi stesse accordano.


PREFAZIONE

I.
La congiura di fra Tommaso Campanella, il fatto più cospicuo della
vita del filosofo calabrese ed uno de' più audaci disegni di riscossa
nel Napoletano, continua pur troppo ad essere finoggi un problema.
Affermata da tutti quando essa avvenne, negata poi mano mano in
seguito, e più spesso per pietà verso il povero filosofo rimasto
a marcire in prigione senza condanna, fu ammessa in modo vago od
anche negata affatto da' biografi principali venuti posteriormente,
come il Cyprianus e l'Echard, che ebbero sott'occhio le semplici
enunciazioni dell'accusa e le vive denegazioni del filosofo a propria
difesa. Riaffermata poi con varii particolari ed ingiuriosi commenti
dal Giannone, che ebbe il vantaggio indiscutibile di poter leggere
una copia manoscritta del processo, a' tempi nostri essa si è vista,
variamente, negata di nuovo o al contrario ammessa con la medesima
asseveranza. Si è vista negata di nuovo massime da coloro i quali se
ne sono occupati di proposito, raccogliendo documenti ma dando troppa
importanza a quelli della difesa, e negata perfino sdegnosamente, quasi
che fosse stata un'azione ignominiosa l'aver tentato di condurre la
patria a libertà; al contrario si è vista ammessa come fatto notorio,
fuori controversia, massime da coloro i quali se ne sono occupati di
passaggio, dietro le assertive del Giannone, quasi sempre senza alcuna
ricerca di nuovi documenti, e non di rado con l'aggiunta di particolari
addirittura fantastici.
In siffatta condizione si trova tuttora questo gravissimo argomento,
che domina sull'intera storia del Campanella; il quale, costretto a
scolparsi a ogni modo e per ogni via fino alla morte, l'ingarbugliò al
maggior segno, giungendo non solo a dissimulare le proprie opinioni,
ma anche a sostenerne vivacemente alcune che non può affermarsi
essere state davvero le sue; ond'è che riesce del pari difficilissimo
indagarne seriamente il pensiero e le convinzioni intime, se non si
conosca e quando e dove e come egli scrisse ciò che scrisse. I maggiori
biografi del Campanella meritamente stimati, il Baldacchini, il
D'Ancona, il Berti, hanno spiegato le imputazioni di novità disegnate
nel campo politico e religioso, alle quali il Campanella soggiacque,
co' vaticinii astrologici e mistici d'imminenti mutazioni che egli
predicò nella fine del secolo 16º (Baldacchini e Berti), inoltre con
l'odio e la calunnia de' frati che non tolleravano la nuova filosofia
antiaristotelica della quale egli si era fatto campione (D'Ancòna).
Questo per altro aveva addotto in sua discolpa il Campanella medesimo
oppresso da sì gravi imputazioni, e si conosceva perfettamente da
grandissimo tempo[1]. Sarebbe stato necessario fare un'analisi minuta
ed un riscontro accurato de' documenti della difesa e de' documenti
dell'accusa, i quali ultimi già da un pezzo si sono rinvenuti in
discreto numero, illustrandoli anche con quelli derivanti da persone
indifferenti: ma, bisogna pur dirlo, non si è rinvenuto chi si
sobbarcasse a questo lungo e penoso lavoro, mediante il quale solamente
è possibile avere, se non la verità piena ed intera, difficilissima ad
aversi ne' processi politici in ispecie, almeno ciò che è più vicino
alla verità o non affatto contrario alla verità. Ed è pur singolare
questa svogliatezza per lo studio minuto de' documenti circa la
congiura del Campanella. Si può affermare senza timore di smentite che
il Giannone medesimo, avendo sott'occhio una copia del processo, la
percorse a sbalzi e del tutto superficialmente, senza andare fino in
fondo. Lo attestano le parecchie notizie inesatte che da lui furono
date, come quella de' «25 frati del convento di Pizzoni» che invece
furono 25 voluti capi clerici e laici ivi congregati, e quella della
complicità di 300 frati di diversi ordini, 200 predicatori, 1800
fuorusciti, parecchi Vescovi e Baroni, esagerazioni de' sobillatori per
eccitar la gente, ripetute da' denunzianti, ridotte alle proporzioni
vere nel corso del processo; così pure la notizia di un congiurato
«affogato in mare», mentre invece fu soffocato da' suoi compagni, e la
notizia di Maurizio de Rinaldis preso come «spensierato» e confesso
«prima e dopo la tortura», mentre invece fu preso ben lungi dalla
sua provincia e non confessò nulla malgrado torture inaudite; perfino
le notizie della costituzione del doppio tribunale per la congiura e
per l'eresia, della condanna riportata dal Campanella etc. etc., si
risentono gravemente della poca attenzione messa nello studio degli
Atti processuali. In che maniera poi sieno stati a' giorni nostri
studiati gli Atti pervenuti fino a noi, si vedrà più sotto.
Facciamo dapprima una rassegna di tutti i documenti che si posseggono,
capaci di chiarire l'arruffata quistione della congiura. Ci atterremo
ad una classificazione che ci sembra naturalissima, in tre categorie;
documenti dell'accusa, documenti della difesa, notizie e relazioni
degl'indifferenti.
I documenti della difesa possono dirsi quelli che hanno singolarmente
richiamata l'attenzione, massime perche hanno campeggiato a lungo
quasi soli, oltrechè emanavano direttamente dal Campanella e quindi
apparivano degnissimi di fede. Tali sono in primo luogo le notizie
sparse copiosamente nelle opere, negli opuscoli, nelle lettere del
filosofo ed anche di qualche suo amico ben noto, p. es. Gabriele
Naudeo: il Cyprianus e l'Echard posero uno studio particolare nel
raccoglierle, senza trascurare anche le altre di diversa provenienza
e di diverso genere; sono state quindi facilmente ripetute da
tutti i posteriori, che hanno trovato il lavoro già fatto[2].
Una menzione particolare merita tra questi documenti la _Lettera
proemiale_ dell'opera intitolata _Atheismus triumphatus_, scritta
dal Campanella nella fossa di Castel S. Elmo il 1606-1607, rinvenuta
dallo Struvio col ms. dell'opera in Jena, ed ivi pubblicata il 1705:
essa dà notizie tanto del processo della congiura ed eresia, quanto
degli altri sofferti già prima. Ma a' tempi nostri si sono avuti
diversi altri documenti di tale categoria sempre più importanti.
Gaspare Orelli di Zurigo, il 1634, pubblicando in Lugano le _Poesie
filosofiche_ del Campanella con le annotazioni annesse, rimaste tanto
lungamente conosciute solo pel semplice ricordo del loro titolo e
per la traduzione di alcune di esse tentata dall'Herder, fornì una
quantità di notizie interessantissime. Una completa esposizione poi
di tutta la faccenda della congiura e sue conseguenze, dettata senza
dubbio dal Campanella, venne pubblicata il 1845 in Napoli da Vito
Capialbi di Monteleone: essa è intitolata _Narratione della historia
sopra cui fu appoggiata la favola della ribellione,_ ed è seguita da
un'_Informatione sopra la lettura delli processi fatti l'anno 1599 in
Calabria_ etc., mancanti entrambe di alcune carte in fine. Il Capialbi
affermò di averle tratte da un autografo, ciò che è verosimile, ed
inoltre affermò essere lo scritto medesimo dato dal povero filosofo,
il 1626, all'avvocato Parisi e a Gio. Battista Contestabile nel
momento di dover informare il Consiglio chiamato a decidere sulla
sua sorte, ciò che è verosimile egualmente: ma la lettura di esso
mostra fuori dubbio che fu composto il 1620, forse quando si ebbe
una prima volta bisogno d'informare il Vicerè di quel tempo Card.^l
Borgia, e mostra pure che l'Informazione deve porsi innanzi alla
Narrazione[3]. Quasi contemporaneamente, e mano mano successivamente,
si sono avute le moltissime lettere del Campanella, pubblicate in
ispecie dal Baldacchini, dal Centofanti, dal Berti, da noi medesimi[4]
ma al Berti si deve dippiù un estratto degli _Articuli prophetales_,
che trovò manoscritti nella Casanatense, e che sono propriamente
una ricomposizione posteriore ed ampliata di quelli già scritti dal
filosofo a propria difesa durante il processo; inoltre un estratto
dell'_Apologia ad amicum,_ che si trova in appendice agli Articoli
anzidetti. Meritano poi di essere menzionate ancora una _Difesa pel
Campanella_ scritta dall'avvocato de Leonardis, e due analoghe _Difese
per Giulio Contestabile e Marcantonio Pittella,_ clerici involti nel
processo della congiura, che si vedrà tra poco dove e da chi trovate;
inoltre una _Difesa per Gio. Paolo e Muzio di Cordova_, gentiluomini
di Catanzaro ritenuti egualmente complici, che si conosce appena
per alcuni frammenti riportati dal Capialbi nelle sue note apposte
alla Narrazione del Campanella. Come si vede, questa categoria è ben
fornita, ma, naturalmente, va accolta con le più grandi riserve: non si
giungerebbe mai alla scoperta del vero qualora si udisse soltanto la
voce dell'imputato, ed è strano che un fatto così ovvio non sia stato
mai tenuto presente da' moderni biografi del Campanella.
Passando alla categoria de' documenti dell'accusa, non farà maraviglia
se essi siano abbastanza scarsi, mentre i processi non erano pubblici,
e d'altronde si sa che il processo originale della congiura o «tentata
ribellione» fin dal 1620 era stato già bruciato o disperso. Per lungo
tempo non si è avuta che l'esposizione del Giannone, degna di riguardo
perchè risultante dalla lettura di una copia del processo, ma sempre da
doversi discutere col confronto di altri documenti. A' giorni nostri
poi si è avuta una serie importantissima di scritture autentiche, per
la maggior parte estratte già ufficialmente dal processo e degne della
più grande attenzione. Un napoletano bibliotecario della Palatina
di Firenze, Francesco Palermo, le trovò nell'Archivio di Stato di
quella città insieme con altre scritture di non minore interesse,
e il 1846 ne fece una pubblicazione sommaria nell'Archivio Storico
italiano: il Centofanti lo prevenne coll'annunziare di avere scoperto
tali scritture, che del resto neanche in sèguito mostrò di avere mai
studiate[5]. Il trovarsi annotate nel d.^to Archivio sotto il titolo
di «Processo contro il P.^e Tommaso Campanella e più altri inquisiti»
ha fatto dire al Palermo, e ripetere da coloro i quali hanno avuto
a parlarne, che trattavasi di una copia abbreviata del processo, ma
questo non è del tutto esatto. Trattasi veramente, per la più gran
parte, de' così detti _Riassunti degl'indizii_, che il Mastrodatti
compilava in più copie su ciascuno imputato, estraendo gl'indizii
dalle deposizioni processuali con la maggior fedeltà, per trasmetterli
a ciascun Giudice allorchè era venuto il momento di spedire le cause:
ad essi va unita la _Requisitoria del fiscale_ contro il Campanella,
oltrechè la Difesa pel Campanella e le Difese pel Contestabile e pel
Pittella superiormente già indicate; va unito ancora un _Elenco degli
ecclesiastici incriminati,_ con la relativa sentenza o condizione di
sentenziabilità aggiunta posteriormente in margine (ciò che trovasi
fatto pure quasi sempre in coda di ciascun Riassunto degl'indizii), più
un doppio _Breve Papale_ circa la costituzione del tribunale Apostolico
della congiura, ed anche un _Sommario dell'Informazione di Calabria_,
presa da due frati Domenicani. Evidentemente l'Elenco e il primo Breve
rappresentano le copie di due scritture poste a capo del processo
per gli ecclesiastici fatto in Napoli, e l'Informazione di Calabria
rappresenta la copia di un allegato di questo processo; ma i Riassunti
degl'indizii e la Requisitoria, al pari delle Difese, rappresentano
Atti giudiziarii concomitanti, che solo convenzionalmente possono
chiamarsi Atti processuali, non facendo parte delle scritture del
processo; ond'è che gioverebbe preferire il nome di Atti giudiziarii,
il quale ha un significato più largo e viene a comprendere tutte queste
scritture. Nè è dubbio per noi che esse, con altre ancora delle quali
si parlerà più sotto, abbiano appartenuto a Mons.^r Jacopo Aldobrandini
fiorentino Vescovo di Troia, Nunzio in Napoli e Giudice in entrambi
i processi della congiura e dell'eresia; portate da costui in Firenze
vennero poi, circa il 1670, nelle mani del Senatore Carlo di Tommaso
Strozzi, d'onde più tardi, insieme con tutte le altre carte Strozziane,
nell'Archivio Mediceo. Il Palermo, sia per amore di brevità, sia per
fretta nel vedere tenute d'occhio le sue ricerche, sia pel proposito di
dare più tardi una storia delle cose del Campanella come si può bene
argomentare da più circostanze, non pubblicò i documenti interi, ma
invece una «Esposizione delle cose principali contenute nel processo
informativo», aggiungendovi pochissime parole d'introduzione, con
le quali fece rilevare esser posto fuori dubbio che il Campanella
avesse concepita una rinnovazione politica e l'avesse apparecchiata;
egli preferì che i lettori se ne persuadessero da loro medesimi, la
qual cosa non si vede punto avvenuta, non essendo stati i documenti
ricercati e discussi con la debita premura. Il D'Ancona pubblicò più
tardi il doppio _Breve Papale_ circa la costituzione del tribunale
per la congiura, ed anche l'_Elenco degli ecclesiastici incriminati_.
In questi ultimi tempi poi il Berti ci ha dato dippiù una _Denunzia
di alcuni cittadini di Catanzaro_ avuta dallo stesso d'Ancona e
creduta inedita, ma essa era stata già pubblicata nel Rendiconto
dell'Accademia Pontaniana del 1864 pag. 62, a cura del Baldacchini,
il quale l'aveva ricevuta in dono dall'insigne magistrato Pirro
Giovanni De Luca; costui la rinvenne in copia legalå tra le carte
familiari di una Signora discendente da uno de' denunzianti (Gio.
Battista Sanseverino); oggi trovasi depositata nell'Archivio di Stato
in Napoli, a cura dell'Accademia suddetta. Questa Denunzia fu già
oppugnata dal Campanella nella sua Narrazione, ed è superfluo dire che
tanto essa, quanto la maggior parte de' documenti contemplati nella
presente categoria, esigono del pari una critica condotta con molto
accorgimento: l'atroce severità con la quale si difendevano i dritti
dello Stato, le torture crudelissime, le speranze d'immunità come
quelle di premii, le cure della propria salvezza, hanno potuto e dovuto
far asserire più volte cose ben lontane dal vero.
Infine, circa la categoria delle notizie e relazioni degl'indifferenti,
bisogna riconoscere che questa indifferenza è ammissibile fino ad un
certo punto, giacché a fronte di un fatto così straordinario nessuno si
mostrò interamente spassionato; ma in somma non si tratta di documenti
venuti fuora da persone interessate a negar tutto o ad accoglier tutto;
e del resto la circostanza del non trovarsi una indifferenza completa
importa solo che la critica debba anche qui intervenire accuratamente.
Possiamo annoverare nella presente categoria in primo luogo le notizie
de' cronisti e scrittori contemporanei, le quali per verità si riducono
a semplici affermazioni generiche sprovvedute di un certo corredo
di particolari, eco evidente del gran rigore spiegato dallo Stato e
dalla Chiesa contro il Campanella e i suoi compagni di sventura: il
valore di queste affermazioni sta sopratutto nella concordanza che
vi si nota, e che riesce certamente assai significante, poiché se la
faccenda si fosse prestata a dubbî, qualcheduno si sarebbe spinto a
manifestarlo. Ma gravissimo è l'interesse delle relazioni venute in
luce a' giorni nostri per opera principalmente dello stesso Francesco
Palermo, il più benemerito della storia del Campanella. Da una parte
dobbiamo a lui il _Carteggio del Nunzio Aldobrandini_ con la Corte di
Roma, vale a dire del suddetto Jacopo Aldobrandini Vescovo di Troia, e
non già Cinthio Aldobrandini come il Palermo ritenne: oltre l'ufficio
di Nunzio, il Vescovo di Troia tenne pure quelli di Giudice, e non
solo nel processo della congiura ma anche in quello dell'eresia, ciò
che basta a fare intendere l'importanza capitale delle sue lettere
e delle risposte avute da Roma. D'altra parte dobbiamo egualmente al
Palermo il _Carteggio dell'Agente di Toscana_ in Napoli, che fu Giulio
Battaglino, un napoletano da lungo tempo a' servigi del Gran Duca e
in piena intimità con la Corte Vicereale. Deve poi aggiungersi ancora
agli anzidetti il _Carteggio del Residente Veneto,_ che fu Gio. Carlo
Scaramelli e dopo di lui Gio. Maria Vincenti. Questo Carteggio fa parte
del vol. 2º della Storia arcana ed aneddotica d'Italia pubblicata da
Fabio Mutinelli il 1856, e con sorpresa non si vede messo a profitto
da alcuno di coloro che si sono occupati del Campanella, mentre pure si
conosce quanto gli Agenti Veneti fossero acuti e diligenti osservatori:
nel caso nostro poi l'Agente Veneto si mostra il più spassionato fra
tutti, non sempre esatto per le cose avvenute in Calabria, nemmeno
esattissimo per le cose avvenute in Napoli, ma sempre abbondante ne'
particolari; senza dubbio la sua contribuzione di notizie non è di poco
valore, quantunque abbia bisogno, come tutte le altre, di un accurato
riscontro.
Dietro questa rassegna si converrà che i documenti non sono
punto mancati, in ispecie circa la persona del Campanella e degli
ecclesiastici incriminati di congiura, mentre diversamente è accaduto
pe' laici; la quistione poi dell'eresia connessa con quella della
congiura è rimasta veramente al buio. Di certo per poche o nessun'altra
congiura si possiede un numero di documenti tanto grande, bensì, come
dicevamo, è mancato lo studio minuto de'documenti; e ci rincresce
molto, ma siamo costretti a provarlo, dovendo anche necessariamente
dimostrare come e perché la congiura del Campanella sia rimasta tuttora
un problema. Faremo quindi un breve commento alle cose dette su questo
tema a' giorni nostri da' maggiori biografi del Campanella, e daremo
anche un breve cenno delle cose dette da qualcuno de' più rispettabili
scrittori; che senza essersene occupato di proposito ha avuta occasione
di parlarne.
Il Baldacchini va qui posto fuori causa. Egli scrisse nel 1840, ed
allora nè la Narrazione del Campanella, nè gli Atti giudiziarii
e i Carteggi del Nunzio e dell'Agente di Toscana erano per anco
noti; quando poi venne alla 2ª edizione del suo libro, nel 1847,
avrebbe dovuto rifare ogni cosa e glie ne sarebbe anche mancato il
tempo. Eppure, malgrado avesse accolta l'opinione che la colpa del
Campanella fosse stata l'aver palesato inconsideratamente i vaticinii
astrologici e i sogni cavati da S. Brigida e dall'Apocalisse, ebbe
premura di aggiungere: «nè dico interamente falsa l'accusa di meditata
ribellione, perciocché troppo pubblicamente il governo punì quelli
che ne potè provare colpevoli...; nè tampoco dico che il Campanella
per inconsiderato desiderio di novità non vi accedesse, bene dico ed
affermo ch'ei non ne fu primo autore, com'egli ebbe a replicare più
volte in Francia a' suoi amici, quando poteva confessare il tutto senza
pericolo». Aggiunse inoltre: «di questa congiura, qual ch'ella fosse
stata, io qui non iscrivo la storia particolare; accidente della vita
di un uomo di scienza, ella mi ha solo porto l'opportunità di sceverare
alcune sue idee da'fatti che gli si appongono»[6]. Del Resto si scagliò
contro il Giannone, e sostenne che i processi fatti in que' barbari
tempi non meritavano la menoma fede. Certamente parecchie obbiezioni si
possono e si debbono fare alle cose da lui dette e pocanzi riportate.
La congiura non fu un accidente secondario nella vita del filosofo,
mentre egli ne rimase addirittura schiacciato fino alla morte; né si
potrà mai definire qual parte egli vi abbia presa, finchè non se ne
sveleranno i particolari, nè sarà mai facile trovare chi abbia potuto
avere tanta autorità da farlo accedere a una congiura, mentre per lo
meno si conosce che l'indole sua non comportava di essere secondo a
veruno; nè poi egli avrebbe potuto manifestarsi a un tratto in Francia
vecchio fautore di repubblica e di nuova religione, dopo di averlo
negato per tanti e tanti anni, nè avrebbe veramente potuto farlo
senza pericolo, mentre si conosce che vi era oppresso dalla miseria, e
costretto a mendicare soccorsi dallo Stato e dalla Chiesa. Ma è inutile
insistere, quando il Baldacchini non ha voluto o non ha potuto trattare
l'argomento, che senza dubbio avrebbe saputo trattare meglio di ogni
altro: basta aver rilevato che egli ammise genericamente esservi stata
una congiura, la qual cosa dagli altri biografi è stata nettamente
negata.
Il D'Ancona si occupò della congiura, ma attenendosi puntualmente
alla Narrazione pubblicata dal Capialbi e già dettata dal Campanella,
comunque di tale provenienza non si fosse mostrato persuaso: ed è
facile intendere a quali conclusioni si fosse avviato, con la scorta
della esposizione fatta da un uomo carcerato da oltre un ventennio,
e destinata ad informare i Giudici che doveano ancora sentenziarlo.
Volle seguire strettamente la massima, che «quando gli autori parlano
di sé stessi, sempre alle loro attestazioni prima che alle altrui
devesi ricorrere»; la quale massima per verità non avrebbe escluso
un ricorso serio alle attestazioni altrui, trattandosi di un autore
imputato di fatti gravissimi, in pericolo di pessima morte, e quindi
in necessità di difendersi anche nascondendo e ingarbugliando il vero.
Trasportato da baldanza giovanile e da affetto impetuoso, il D'Ancona
emulò il Baldacchini negli sdegni contro il Giannone, pescò appena,
per deriderla, qualche strana, o maligna, o insulsa testimonianza
inserta negli Atti giudiziarii, abbracciò tutti in un fascio i ricordi
de' processi sofferti dal Campanella in tempi e luoghi diversi, e
conchiuse sommariamente essere «inventata la congiura...; mattissima
accusa che per mezzo de' Turchi volesse piantar la repubblica...;
impossibile ch'egli volesse farsi Re...; impossibile ch'egli volesse
proclamar nuova legge e nuova religione...; ribalderia credere ch'egli
macchinasse col Turco...; sciocchezza presumer un'alleanza fratesca»
etc. etc.[7]. Non credè di dover porre a riscontro della Narrazione
del Campanella una narrazione condotta con elementi cavati dagli Atti
giudiziarii; percorse questi Atti, pubblicò anche due di essi come
abbiamo già riferito più sopra, e per gli altri si limitò a ripetere
l'annunzio che li avrebbe pubblicati il Centofanti; ma degli Atti
medesimi da lui pubblicati, come di quelli percorsi, non mostrò di
avere acquistata una conoscenza chiara. Infatti, dando l'Elenco de'
24 ecclesiastici incriminati, a capo de' quali il Campanella, mostrò
di credere che fosse quella la lista di tutti i congiurati rimasti
in iscena, e non vide che ci erano rimasti ancora più che cento
laici, senza contare che taluni altri erano stati già puniti con
l'estremo supplizio, secondochè il Carteggio dell'Agente di Toscana
facea pure conoscere. Dando il doppio Breve, mercé cui Clemente VIII
nominava i Giudici della congiura per gli ecclesiastici, con facoltà
di amministrare le torture etc., continuò a parlare di Spagna e di
spagnuoli che processarono e torturarono il Campanella, mentre ogni
cosa fu veramente fatta ad istanza del Governo Vicereale, ma da
Delegati Apostolici, dietro ordini formali emanati da Roma: vedesi
per altro questo errore professato da tutti coloro i quali hanno più o
meno trattato del Campanella, come se non vi fosse stata a que' tempi
l'immunità ecclesiastica, e da ciò può bene argomentarsi quanto le
nozioni sulle cose del Campanella si trovino fuori via. Citando poi la
Requisitoria del fiscale, il d'Ancona l'attribuì allo Xarava, mentre
una lettera annessa al Breve, pubblicata da lui egualmente, mostrava
essere stato nominato fiscale D. Giovanni Sances. Parlando delle
atrocissime torture sofferte dal Campanella, ripetè con gli altri che
le avea sofferte senza neppure mandar fuori un lamento (fiore rettorico
assai male a proposito), mentre nell'Elenco da lui pubblicato, a
fianco del nome del Campanella leggevasi «confexus». Volendo riportare
le conclusioni del tribunale intorno al clerico Giulio Contestabile,
divenuto accusatore del Campanella per salvarsi, scambiò le parole
finali del Riassunto degl'indizii con quelle della Difesa, ed affermò
essersi concluso, «ex omnibus constat notoria innocenza ipsius cl.
Julii Contestabilis», mentre invece avrebbe dovuto leggere, «exulatus
per quinquennium». E chiudiamo oramai queste annotazioni, le quali in
verità ci procurano grandissima pena.
Venendo al Berti, dobbiamo dire che egli egualmente non ha creduto
punto alla congiura, essendosi anche meno del d'Ancona occupato de'
documenti raccolti, eccettuati quelli raccolti da lui medesimo.
Già trattando di Giordano Bruno, nel 1868, egli avea manifestata
l'opinione, «che il processo del Campanella, meglio che da' documenti
insino ad ora pubblicati, si ricava da ciò che ne dice in più luoghi
delle sue opere»; di poi, avendo avuta tra mani la Denunzia de' cinque
di Catanzaro, e trovati gli Articoli profetali e l'Apologia che vi
è annessa, su questi documenti appunto si è poggiato, per sostenere
essersi il Campanella soltanto dato «ad annunziare in privati colloquii
e dal pergamo, così a' laici come a' chierici che scossi dalla sua
facondia gli si stringevano intorno» vaticinii astrologico-mistici di
prossimi mutamenti; e però ha stabilito che «in questi vaticinii, e più
ancora nelle aggiunte che a quelli altri frati facevano ripetendoli,
è da cercarsi in gran parte la spiegazione del fatto cui si diè nome
di congiura». Ha ammesso che arbitrariamente Maurizio de Rinaldis
bandito, per mutare la sua fortuna, avesse iniziato pratiche presso
i turchi, e che fra Dionisio Ponzio, esaltato per le profezie del
Campanella, avesse del pari arbitrariamente iniziato pratiche presso
alcuni cittadini di Catanzaro; ha ammesso che il Campanella non avesse
sconsigliato i più animosi dal porsi con le armi in mano sulle montagne
al fine di premunirsi contro i futuri rivolgimenti, ma in somma ha
conchiuso: «le deposizioni processuali nulla palesano che accenni a
congiura; lo stesso Rinaldis ed il frate Dionisio non avevano forse
complici, ma operarono entrambi di loro arbitrio; nissun fatto si recò
nel processo che provasse che Campanella fosse capo di congiurati e che
una congiura propriamente detta fosse stata ordita in Calabria; quindi
i giudici non poterono profferire, per quanto ostili, una sentenza di
condanna contro esso; laonde, trascorsi pochi anni, venne il processo
sospeso, e gli ufficiali regi, non sapendo come trarlo legalmente a
morte, stettero contenti di ritenerlo nella terribile sepoltura del
carcere»[8]. In verità le deposizioni processuali si possono impugnare
e ripudiare, o per lo meno valutare in un senso assai meno grave; ma
sarebbe impossibile provare co' documenti raccolti che i Giudici le
avessero valutate in tal guisa, e che sia stato quello indicato dal
Berti l'andamento del processo, del quale per altro egli non ha fatto
conoscer nulla, essendosi limitato a darne un semplice annunzio in una
quindicina di versi. Il primo Breve Papale, pubblicato dal D'Ancona,
mostra che avrebbero dovuto profferire la sentenza di condanna due
sole persone, il Nunzio Aldobrandini, che non era già il Card.^le
Aldobrandini ma il Vescovo di Troia, e il magistrato clerico D. Pietro
de Vera, entrambi Delegati del Papa; nè dipese punto dal Nunzio, come
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