Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 35

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et esso deposante disse, io vengo dove vai tu, per che a me me tieni
alla maneca» (_intend._ affibiato a te). — La tortura data al Vitale
fu del pari straordinaria: da un brano della Difesa de' Cordova si
ha che fu perfino trascinato alla coda di un cavallo (ad caudam equi
raptatus). Ciò spiega sempre più la rivelazione da lui fatta di tanti
nomi e di tanti particolari, che per lo meno non poteva conoscere,
mentre da molti indizii apparisce che i capi della congiura conducevano
le cose con cautela, e non mettevano ogni cosa a conoscenza di tutti:
basterebbe la sola deposizione del Caccìa a mostrarlo, e d'altronde
vedremo p. es. lo stesso Maurizio, nella sua ultima rivelazione,
smentire la partecipazione del Pittella, che il Vitale nominava con
tanta larghezza. Facciamo queste avvertenze, perchè non rechi poi
meraviglia il vedere questo disgraziato, nel suo estremo supplizio,
dichiarare che tutto gli era stato estorto dallo Xarava per forza di
tormenti. Egli pertanto era «confesso» e quindi votato alla morte.
Come dicevamo, forse anche Gio. Ludovico Todesco fu esaminato dopo
costoro. A lui si poteva per lo meno imputare che avesse aiutato
Maurizio nella fuga, onde a' termini del Bando dello Spinelli era
reo di morte: e il vedere dalla numerazione de' folii del processo
l'inserzione di quel Bando al sèguito degli Atti relativi al Vitale
darebbe motivo di credere che per l'appunto il Todesco dovè essere
inquisito e forse condannato in virtù del suddetto Bando. Ma non ce
n'è notizia ne' Riassunti degl'indizii a noi pervenuti con gli Atti
esistenti in Firenze; e ciò vorrebbe dire non aver lui avuto nulla
a rivelare intorno agli ecclesiastici, che sono contemplati in que'
Riassunti. Dicasi lo stesso di tanti e tanti altri carcerati già
fin da' primordii della repressione della congiura. Per lo meno i
principali tra loro, come Geronimo del Tufo, il Barone di Cropani,
Ferrante Ponzio, i due Moretti etc. etc., difficilmente si può credere
che non sieno stati esaminati in Calabria; e così pure Geronimo di
Francesco che fu preso in compagnia di Giulio Contestabile, con tanta
prevenzione e tanto sdegno dello Spinelli. Il Contestabile, per la sua
qualità di clerico ne' quattro ordini sacri, dovè esser lasciato al
foro ecclesiastico, siccome già lo Spinelli si proponeva (ved. pag.
316); se non si procedè con lui come col Pisano e col Caccìa, questo
verosimilmente accadde perchè egli vestiva tuttora l'abito clericale,
mentre il Pisano e il Caccìa l'aveano deposto da un pezzo; risulta
infatti da una numerosa quantità di documenti conservati nell'Archivio
di Stato che era teorica del Governo, combattuta continuamente da'
Vescovi, non doversi ritener clerici coloro i quali da un pezzo ne
aveano deposto l'abito. Ma pel Di Francesco ci pare impossibile che non
siasi proceduto ad interrogatorii d'ogni maniera; probabilmente egli
dovè essere negativo in tutto.
Aggiungiamo qui che il Pittella, indiziato per tante vie e poi così
fortemente compromesso dal Vitale, fu catturato da un Gio. Andrea
Spina, ma mentre era tradotto in carcere a cavallo, riuscì a fuggire:
lungamente ricercato dalla giustizia vedremo che fu poi catturato
di nuovo, ma molto più tardi, nel 1601, e quindi lo troveremo in
Napoli[456]. Di tutti gli altri nominati dal Vitale abbiamo solamente
notizia che fu catturato Gio. Paolo Carnevale e con lui Tiberio
Carnevale[457], ma non Fabio Carnevale nè Fabio Contestabile,
che troveremo in qualità di testimoni in un'altra Informazione
ecclesiastica presa dal Vescovo di Squillace nel novembre e dicembre
di questo stesso anno 1599. Quanto poi a Marcantonio Contestabile,
egli rimase sempre contumace, e vedremo che dal tribunale di Napoli fu
dichiarato forgiudicato, con Gio. Francesco d'Alessandria, Alessandro
Tranfo, Matteo Famareda, Francesc'Antonio dell'Ioy, e Tulibio dello
Doce (o Dolce), come del pari Gio. Geronimo Prestinace e forse anche
Fulvio Vua, che sappiamo essersi entrambi nascosti[458]; inoltre
Geronimo Baldaya, che fu certamente preso ed interrogato circa
una lettera di Maurizio a Gio. Francesco Ferrayma trovata chiusa
presso di lui[459], dovè essere rilasciato e poi ricercato di nuovo,
probabilmente dietro le confessioni del Vitale, e vedremo anche lui
dichiarato forgiudicato, ma presentatosi e processato in Napoli,
liberato e poi ricercato ulteriormente, come si dirà a suo tempo.
Aggiungiamo ancora che delle altre persone ecclesiastiche nominate
o sospettate come aderenti alla congiura fu successivamente preso un
certo numero, all'infuori del Jatrinoli e di Gio. Jacovo Sabinis, i
quali doverono rimanere fuggiaschi, non essendoci pervenuta alcuna
notizia di Atti giudiziarii concernenti le loro persone. Fin dal
23 settembre era stato già preso fra Scipione Politi Francescano,
conosciuto come amico intimo del Campanella; l'Auditore Gio. Lorenzo
Martire andò a carcerarlo nel convento medesimo di Stilo dove egli
dimorava[460]. Fu poi preso l'8 ottobre fra Pietro Musso di Monteleone
Domenicano, che il barricello di Monteleone carcerò sotto il castello
di quella città: un fra Leonardo suddito di fra Pietro, mentre costui
volea farlo carcerare, lo denunziò come amico del Campanella, e un D.
Domenico Pulerà di Pimeni presentò allo Xarava due lettere dirette
a fra Pietro e rinvenute fin da luglio in un libro di lui durante
una visita che gli fece, una di fra Dionisio del 10 giugno e l'altra
del Pizzoni del 25 luglio, nelle quali si parlava di congregazione
di fuorusciti e di armi; inoltre un nipote di questo fra Pietro
andò caritatevolmente a deporre che il Pizzoni era stato in luglio a
visitare suo zio nel convento di Maierato e gli portò due pistole ed
un fucile, ed egli stesso, fra Pietro, si procurò un'altra pistola
e con queste armi se ne andò, soggiungendo che nell'udire la cattura
del Campanella e di fra Dionisio avea detto che gli dispiaceva[461].
Inoltre fu preso un fra Vittorio d'Aquaro sacerdote Agostiniano, il 9
ottobre, sulla via di Mamola, mentre tornava dalla Sicilia in Calabria:
fu preso un fra Giuseppe da Polistina, terziario Domenicano, in Reggio,
mentre di là s'imbarcava per Messina, ad oggetto di ricuperare certe
robe lasciate in eredità al suo convento. E furono presi alcuni altri,
ma ancora più tardi, e li vedremo a suo tempo.
Intanto fra Cornelio e il Visitatore, decisi a non lasciare la preda,
ripigliarono lo svolgimento del loro processo unitamente col Vescovo
di Gerace, che li secondò nel modo più sciagurato: ciò accadde il 13
ottobre, e si ebbe in tal modo il così detto processo di Gerace, fatto
da costoro assistendo alle sedute e facendo sentire la loro influenza
lo Spinelli, lo Xarava, diversi altri laici, co' metodi soliti ed
anzi peggiorati; sicchè gli ordini di Roma, dettati dall'amore della
verità e della giustizia, riuscirono del tutto infruttuosi. Era allora
Vescovo di Gerace fra Vincenzo Bonardo romano, già Segretario della
Congregazione dell'Indice e poi Maestro del Sacro Palazzo, uomo punto
tiepido nella difesa de' dritti giurisdizionali ed anzi prepotente
siccome abbiamo avuto opportunità di vedere altrove (pag. 121-122): ma
dovè forse allora essere invaso anche lui dal terrore che lo Spinelli
e lo Xarava aveano finito per incutere in quelle sventurate provincie,
onde si annullò interamente innanzi a fra Cornelio e agli ufficiali
Regii; nè sarebbe troppo arrischiato l'ammettere che lo Spinelli,
sollecitamente informato dal Governo della deliberazione presa in Roma
e nota fin dal 17 settembre, circa gli esami de' frati da farsi dal
Visitatore e fra Cornelio insieme coi Vescovi locali, avesse lasciato
Squillace e fatto tradurre tutti i prigioni a Gerace, precisamente
per profittare della debolezza in cui era caduto il Vescovo di quel
luogo. Certamente in Gerace gli ordini di Roma per lo meno non furono
interpetrati a dovere. Lungi dal prendere _altre informazioni con
secretezza e diligenza laddove occorressero_, si volle procedere
all'esame non solo di diversi altri prigioni ma anche di quelli
già esaminati scegliendo opportunamente gl'individui che sarebbero
risultati in danno: così fu esaminato di nuovo Giulio Soldaniero
senza rivelarne la condizione di guidato, fu esaminato il clerico
Pisano che era stato già perfino torturato dallo Xarava e il clerico
Caccìa che fu lasciato poco dopo torturare egualmente senza prenderne
nota e senza farne alcuna rimostranza, ma non furono esaminati il
clerico Contestabile e i frati Politi, Musso, Aquaro, Polistina,
oltre fra Dionisio, verosimilmente perchè si sapeva dover risultare
per lo meno negativi; e furono dal Vescovo e dal Visitatore commessi
gl'interrogatorii a fra Cornelio «come bene informato di tutto il
negozio», con la più grande condiscendenza verso gli ufficiali Regii,
con una estesa pubblicità e col solito corredo delle suggestioni,
delle minacce, de' terrori, senza farne mai parola ne' processi
verbali. Allorchè gl'infelici prigioni vennero in Napoli, questi fatti
si scovrirono mano mano, nè soltanto per opera degl'interessati ma
anche per opera degli altri carcerati, come p. es. del Contestabile
e del Di Francesco, che aveano vista o udita una parte di quegli
scandali: lo Xarava medesimo disse ingenuamente al Vescovo di Termoli
Giudice dell'eresia, che il Pizzoni non voleva confessare ma che alle
insistenze di lui testificò, e il Vescovo non mancò di farlo sapere a
Roma, togliendo così ogni dubbio possibile su' fatti asserti[462]. — I
prigioni si trovavano nelle carceri del castello dette «la Marchesa».
Fra Cornelio andava là a catechizzarli individualmente, manifestando
sempre che «per sutterfugger lo giudicio temporale» bisognava deporre
eresie: questo fece anche col Pizzoni eccitandolo a confermare l'esame
primitivo, come attestò poi il Di Francesco che trovavasi nella
medesima carcere; ma principalmente egli cercò di catechizzare coloro
i quali non si erano esaminati ancora, e massime i due clerici, Cesare
Pisano, che non ne avea bisogno essendosi già prestato, e Gio. Tommaso
Caccìa, che dovea pur trovare qualche modo di scampare la vita, e
poteva sperarlo solo dalla remissione al foro ecclesiastico. Qualche
volta il Visitatore accompagnava fra Cornelio in tale ufficio, e se non
trovavano arrendevolezza, minacciavano i riluttanti, giuravano che non
sarebbero usciti dal castello che in pezzi, sputavano sul viso, come
fecero p. es. col Petrolo, il quale non intendeva di confermare tutto
l'esame di Squillace. Allorchè poi si teneva seduta, ci era il Vescovo,
il Visitatore, fra Cornelio, il Mastrodatti della Curia Vescovile
Biagio Perlongo, e qualche sacerdote come testimone, p. es. Curiale de'
Curiali, Ferrante Guido, Gio. Antonio de Rinaldis, Antonio Lucissa;
fra Cornelio, intitolandosi anche _utriusque juris doctor_, dirigeva
gl'interrogatorii ed avea cura di mettersi sempre in mostra, ciò che
si rivela ottimamente da' processi verbali. Ma ci era anche Carlo
Spinelli, lo Xarava, ed inoltre il Capitano di campagna (il Ruffo)
con un certo numero di birri, e fu notato che mentre fra Cornelio
sedeva sopra uno sgabello con poca dignità, lo Spinelli e lo Xarava
erano adagiati sopra sedie a modo di Giudici; nelle mani di costoro
si lasciavano pure talvolta gl'imputati, ed essi li interrogavano
egualmente circa l'eresie, che anzi sappiamo essere stato presente
anche il Principe di Scalèa in una di queste sedute straordinarie.
Accadde inoltre talvolta, nelle sedute formali, che sorgessero
contestazioni sulle cose scritte, non venendo trovate concordi con le
cose dette, e s'interrompessero le sedute con scene di violenza, le
quali aveano un sèguito entro le carceri, dove si finivano di redigere
e firmare gli esami: intanto nulla di tutto ciò si rileva menomamente
da' processi verbali. Tra le scene di violenza, meritano di essere
ricordate quelle avvenute col Petrolo e con fra Pietro di Stilo. Il
Petrolo dalla sala del tribunale fu bruscamente rimandato in carcere,
e il Capitano di campagna gli tolse mantello e cappello per fargli
sfregio, sicchè i suoi compagni di carcere lo videro rientrare in
quella foggia «che pareva un pescatore»; ma dopo tre giorni venne fra
Cornelio a fargli premura che firmasse il processo verbale, quindi fu
chiamato al luogo della corda in presenza del Visitatore, dello Xarava
e del Mastrodatti, e dicendogli fra Cornelio che il processo verbale
era stato emendato, lo Xarava afferrandolo pel petto lo condusse
alla banca e l'obbligò a firmare. Fra Pietro di Stilo poi, come già
in Squillace così pure in Gerace, fu più volte interrogato senza che
si scrivesse nulla, perchè rifiutava di dire ciò che si voleva; gli
furono allora mostrati da fra Cornelio alcuni ferri, co' quali gli
minacciava di fargli stringere il petto, e il Capitano di campagna,
che era presente, faceva mostra di averne compassione; poi finalmente,
dopo parecchi tentativi, si potè redigere il processo verbale del suo
esame. Ora nella procedura ecclesiastica, e così anche nella procedura
secolare pe' delitti comuni, il solo condurre l'imputato nel luogo de'
tormenti equivaleva a un primo grado di tortura detto _territio_, e la
tortura, in qualsivoglia grado, non poteva amministrarsi che dopo di
avere compiti gli esami informativi e ripetitivi, e data all'imputato
la copia degl'indizii raccolti contro di lui[463]. Gravissime dunque
furono le irregolarità, con le quali si menarono innanzi gli Atti del
processo di Gerace, e le circostanze suddette debbono servire ad essi
di commento; passiamo ora a farne l'esposizione nel miglior modo che ci
sarà possibile.
Primo fra tutti, il 13 ottobre, fu esaminato fra Pietro Ponzio[464].
Rispondendo a diverse interrogazioni, egli disse ingenuamente che
credeva di essere stato carcerato perchè fratello di fra Dionisio,
espose dove e come e perchè lo avea visto negli ultimi tempi, attestò
l'amicizia di lui col Campanella da più di 14 anni avendo sempre
continuato ad essere amici, dichiarò di aver saputo che era stato
preso a Monopoli dicendosi comunemente che procurava una ribellione
col Campanella ed altri frati e secolari, negò che fra Dionisio gli
avesse mai parlato di tal cosa. Ed a fine di non fargli conoscere
il modo di esame che era stato adottato, i Giudici decisero di non
procedere oltre con lui. — Fu quindi esaminato fra Paolo Jannizzi della
Grotteria[465]. Egli disse che credeva di essere stato carcerato per
un fatto occorsogli a Filogasi (avea dato uno schiaffo al Baglivo di
quella terra), ma che intese essere stato carcerato per le cose del
Campanella; narrò che due volte sole avea visto il Campanella, la prima
in Napoli sette o otto anni avanti, allorchè egli, fra Paolo, trovavasi
in carcere e il Campanella passando per la via fu da lui pregato di
far giungere una sua lettera al P.^e Superiore, la seconda in Pizzoni,
dove lo trovò verso la metà di luglio col fratello giovanetto e due
altre persone a lui ignote, oltre i due figliuoli di Ferrante Crispo,
il Caccìa e Giovanni di Filogasi, tutti armati di fucile e pistola,
eccetto uno de' figli di Crispo. Disse di non sapere che costoro, in
Pizzoni, avessero mangiato carne di venerdì, ma che fra Gio. Battista
di Pizzoni, venendo da Monteleone a Gerace, gli avea detto di essere
stato carcerato per questa causa; negò di aver parlato di altro col
Campanella che di cose comuni, avendogli il Campanella, insieme
con fra Gio. Battista, detto solamente che i letterati non erano
premiati nè esaltati secondo il dovere; ma attestò che costoro «tutto
il giorno parlavano con li banniti in secreto et a longo», e dietro
interrogazione aggiunse che per le cose stategli dette e per quelle
da lui viste teneva il Campanella «per homo tristo et per malissimo
christiano, et il simile... di fra Gio. Battista di Pizzone». Si scusò
intorno al libro di negromanzia, affermando non essere di suo carattere
e non averlo nemmeno letto. Dietro altra interrogazione disse di aver
conosciuto fra Dionisio e di averlo, negli ultimi tempi, visto in
Pizzoni solamente per una notte di passaggio, nè avergli parlato per le
antiche inimicizie che avea seco; ed aggiunse che era stato inquisito
di aver voluto ammazzare fra Ponzio Provinciale, onde avea riportata la
condanna di tre anni di galera ed avea scontato questa pena.
In una 2.ª seduta, il 16 ottobre, furono esaminati molti altri, e ne'
processi verbali trovasi notato che l'interrogatorio fu commesso a
fra Cornelio. Comparve dapprima fra Pietro di Stilo[466], del quale
gioverà ricordare che in Squillace era stato interrotto l'esame non
appena cominciato. Egli continuando quell'esame, dietro interrogazioni,
disse avere udito dal Campanella che il Papa e il Re si accordavano a'
latrocinii, che l'elezione del Papa non era canonica contando per una
sola le molte voci de' pensionati del Re, che il vivere della Corte
Romana era biasimevole, che il Papa facea molte cose contro il dovere,
i Cardinali erano tiranni e lussuriosi della peggiore specie; inoltre
che si burlava del peccato della carne, senza ritenerlo veramente
lecito, e soltanto per detto del Petrolo egli sapeva che una volta
avea manifestato non esservi nell'ostia consacrata il corpo di Cristo.
Dietro altre interrogazioni speciali disse che il Campanella si burlava
de' miracoli, affermando che egli pure ne farebbe «in comprobatione
della sua scientia et delle sue opere, et che i miracoli non erano
altro che una applicatione de intentione di quello alla cui persona si
faceva il miracolo, et ch'ognuno potea far miracoli in questo modo»;
che mai gli era occorso di averlo udito chiamarsi Messia nè Profeta,
bensì Monarca, avendo detto anche «in presentia di Gio. Gregorio
Presinacio nella camera sua... che tutti gl'altri homini che di niente
erano venuti a qualche dignità o imperio haveano havuti solamente
tre pianeti ascendenti favorevoli, ma che esso n'havea setti, et che
per questo aspettava la Monarchia del mondo come anco li fu detto
da un valentuomo astrologo delle parti di Germania che si trovava
nell'inquisitione». Circa all'averlo udito discorrere di mutazioni di
Stato, disse che in Arena, nel palazzo del Marchese, gli avea detto che
era stato scritto contro di lui da quelli di Stilo al Nunzio ed al Papa
che avesse amicizia co' banditi, e che per scienza e per profezie di
S.^ta Brigida e del Savonarola egli provava «ch'in quest'anno seranno
gran revolutioni et mutationi di stato... et questi stati muteranno
regni et si faranno republiche et sarà bono in questi tempi per chi
si troverà armato et che haverà arme assai di difender se stesso»,
soggiungendo che non sapeva «si volesse dire di se stesso ma havea
molti amici et adherenti». Specificando poi questi amici disse che
i principali erano Giulio Contestabile, Fulvio Bua e sopra gli altri
Gio. Gregorio Presinacio; tra' monaci poi fra Dionisio e M.º Scipione
Politi Conventuale. Per detto del Petrolo affermò, sempre dietro
interrogazioni, che il Contestabile avea calpestato il ritratto del
Re Filippo, e prescelto quello del Gran Turco. Circa fra Dionisio, tre
volte costui era venuto a Stilo da che egli era Vicario nel convento;
nulla avea detto mai contro la fede, se non che parlava pubblicamente
del peccato di carne della più brutta specie e perfino se ne gloriava.
Circa Giulio Soldaniero, lo conosceva per avergli una volta portata
una lettera del Campanella, e pregatolo da parte di fra Tommaso che
si recasse da lui ma senza discorrere di altro. Tutto ciò non parve ai
Giudici conforme a verità, e fu deciso di rimandarlo nelle carceri per
poi continuare l'esame, e frattanto gli si domandò se avesse mai detto
di volere prender moglie, e subito fra Pietro accettò di averlo detto
spesso e in molti luoghi ma per burla.
Nel medesimo giorno, quantunque dal processo verbale dell'esame di
fra Pietro di Stilo si rilevi che era già tardi, furono esaminati il
Bitonto e tutti i rimanenti frati. — Il Bitonto[467] dovè prima di
tutto dar conto del come e perchè si trovasse senza abito monastico,
senza chierica e con lunga barba; e rispose che fu preso mentre
dormiva e non gli fu dato tempo di vestirsi, che s'avea tolta la
corona per certe infermità e la barba gli era cresciuta! E narrò che
si era rifugiato in una vigna, poichè gli fu detto dovere esser preso
come amico del Campanella. Quindi narrò la sua antica conoscenza
col Campanella, la visita fattagli in giugno con fra Dionisio, fra
Jatrinoli, il Pisano e il Grillo, trattando cose di frati, e la fermata
a Stignano in casa Grillo, dove il Petrolo e il padre del Campanella
gli aveano donato qualche vivanda e fra Dionisio avea detto certi
concetti predicabili; ma i Giudici non ne furono contenti. Dietro
altre interrogazioni, disse di conoscere Cesare Pisano suo parente
e di essere andato con lui a Bagnara e a Messina; negò di aver mai
consacrate più particole fuor di bisogno, negò di aver mai saputo
un abuso osceno dell'ostia consacrata. Circa fra Dionisio, disse di
averlo conosciuto da molto tempo, di essere stato con lui e col Pisano
in Oppido, in Bagnara dove predicò, ed in Messina dove egli comperò
materasse e fra Dionisio libri, zafferano e pepe; aggiunse di averlo
visto poi un'altra volta ed essere andato allora con lui e col Pisano
presso il Campanella per pregarlo che gli procurasse qualche predica,
tornando poi per Castelvetere dove trovò carcerato il Gagliardo;
aggiunse ancora di averlo visto una terza volta quando con lui e col
Campanella andarono a Castelvetere, dove visitò il Pisano carcerato
ed ebbe occasione di incontrarsi ancora col Gagliardo, dicendogli
soltanto che stesse di buon animo. I Giudici non furono contenti, e
l'avvertirono che continuerebbero l'esame «etiam rigorose». — Venne
quindi chiamato il Pizzoni, e rilettogli l'esame primitivo, egli lo
confermò e ratificò in tutto e per tutto. Lo stesso fece il Lauriana
e si giunse finalmente al Petrolo. Il Petrolo[468] confermò del pari
il suo esame primitivo ma volle emendate due cose; la prima, che il
Campanella avesse comunicate le sue opinioni a' gentiluomini da lui
nominati, ciò che era stato detto per errore; la seconda, che egli
avesse lasciato l'abito per timore di esser preso ed ucciso dalla
Corte, mentre dovea dirsi per timore di essere ucciso da Maurizio de
Rinaldis, avendo lui, Petrolo, sconsigliato il Campanella di recarsi
presso Maurizio.
Il 18 ottobre, fu esaminato Giulio Soldaniero[469], il quale egualmente
confermò e ratificò l'esame primitivo. Due cose pertanto si fanno
notare nel processo verbale del suo nuovo esame; la prima, che il
Visitatore neanche questa volta vi fu presente; la seconda, che fra
Cornelio gli suggerì «che avverta aver detto queste cose per zelo della
fede e della religione, come pure della fedeltà che deve al Serenissimo
Re, e non per odio ne passione alcuna», e il Soldaniero rispose, «io
l'ho detto per zelo della fede et per fideltà ch'ho portato et porto a
Re Filippo nostro Signore et non per odio ne passione alcuna»!
Il giorno seguente, 19 ottobre, furono esaminati il Pisano e il Caccìa,
ed anche per costoro fu dato a fra Cornelio l'incarico di esaminare,
quasi che fossero semplici testimoni e non già principali. Il Pisano
fu, al solito, loquace oltre misura[470]. Disse trovarsi carcerato «per
conto della rebellione procurata in questi Stati», e dietro successive
interrogazioni rispose, che andando lui carcerato in Castelvetere, il
Bitonto gli disse di stare allegramente perchè avrebbe nelle carceri
trovato il Gagliardo molto amico suo, ed andatovi, il Gagliardo gli
si presentò come amico del Bitonto, il quale era stato una volta col
Jatrinoli a visitarlo in quelle carceri; e così egli, il Pisano,
cominciò allora a parlare al Gagliardo della ribellione. Ma qui i
Giudici gl'imposero silenzio, volendo che trattasse solo delle cose
della fede. Ed egli disse che cominciò a parlargli del Campanella
nuovo Messia, il quale volea fare nuova legge; e ripetè le solite
proposizioni da lui manifestate contro Cristo, contro la Trinità,
ammettendo «un solo Dio o sia spirito che governa il tutto et move gli
cieli», contro i miracoli di Cristo e la sacra scrittura, che era stata
dettata dagli amici di Cristo: ma negò di avere intorno a Maria detto
altro, se non che fosse moglie di S. Giuseppe e nera, appoggiandosi
al _nigra sum_; confessò di aver parlato delle cattive relazioni
tra Gesù e S. Giovanni, comunque non vi avesse creduto, ed attestò
che giammai fu redarguito intorno a ciò nè dal Gagliardo nè da alcun
altro. Aggiunse aver negato il purgatorio, l'inferno e il paradiso,
negato anche il Sacramento dell'altare, raccontando che nella cena di
Stignano fra Dionisio l'avea predicato con gli esempi di pugnalate
date all'ostia, del pugno datole da un inglese in Roma e di qualche
altro fatto osceno; non accettò che questo fosse stato commesso da lui,
e nemmeno dal Bitonto. Proseguì la storia delle proposizioni da lui
dette al Gagliardo contro il Papa e i Cardinali, contro l'istituzione
monastica, contro Cristo, contro i digiuni, contro l'immortalità
dell'anima; negò qualunque altra cosa appostagli, e specialmente
di aver detto che nè per Cristo nè pe' paternostri si sarebbe mai
fuori di carcere ma solo co' danari. Circa il Campanella disse di
aver manifestato che era nuovo Messia, farebbe miracoli come Cristo,
predicherebbe la libertà, ed avrebbe più seguaci ed acquisterebbe più
Stati, perchè avrebbe la virtù unita con l'armi. Negò poi di professare
i detti errori e disse di averli manifestati a que' compagni di carcere
«per indurli o confirmarli alla rebellione temporale», attribuendo a
fra Dionisio l'averglieli insegnati in que' viaggi ad Oppido, Bagnara
e Messina, e poi a Stignano ed a Stilo, nei quali l'accompagnò insieme
col Bitonto. E qui fece un'altra volta la noiosa ripetizione di
tutte le cose dette, nel modo in cui le aveva espresse fra Dionisio,
dal quale solamente affermò di averle udite, mentre gli altri frati
plaudivano. Circa i suoi compagni di carcere in Castelvetere, manifestò
l'opinione che Felice Gagliardo non solo professasse quegli errori ma
anche ne sapesse più di lui, essendone stato istruito dal Bitonto, e
così pure Orazio Santacroce «al quale aveano confidata ogni cosa» e
dal quale udì che gli piaceva la ribellione progettata da' frati perchè
volea vendicarsi del Vescovo di Gerace ed ammazzarlo con le sue mani!
Finì dunque per accusare anche il Bitonto, mostrandosi, da parte sua,
pentito di aver manifestato quegli errori. Da ultimo interrogato se
avesse conosciuto il Campanella e se gli avesse mai parlato, disse
di averlo veduto soltanto per dodici ore, quando da Monasterace lo
accompagnò a Stilo insieme co' frati, i quali lo presentarono a fra
Tommaso come uno degli amici, e fra Tommaso, perchè erano a cavallo, si
volse a lui e disse «bene, bene», e non iscambiarono altre parole.
Si passò quindi all'esame di Caccìa[471]. Costui disse egualmente
trovarsi carcerato «per causa della rebellione procurata in questi
Stati»; ma i Giudici gli vietarono di proseguire e gli ordinarono di
rispondere alle interrogazioni, ed egli disse di credere che veniva
esaminato «per conto delle cose di fra Thomaso Campanella et di fra
Dionisio Pontio et di fra Gio. Battista di Pizzoni per conto delle
sue heresie et opinioni». Narrò che avea conosciuto il Campanella
una volta in Stilo, quando vi andò col Contestabile verso la fine
del maggio, rimanendovi per otto giorni, un'altra volta parimente
in Stilo rimanendovi tre giorni, ed una terza volta in Arena. Avea
conosciuto pure fra Dionisio le due prime volte che era stato presso
il Campanella, e poi una terza volta quando l'accompagnò a Pizzoni,
di dove fra Dionisio subito fuggì per timore di Carlo di Paola venuto
a carcerare fra Gio. Battista e il Lauriana. Aveva inoltre conosciuto
il Pizzoni nel convento in cui era Vicario, ed era stato quattro volte
presso di lui. Disse di ritenerli tutti e tre «per homini tristissimi
et pessimi et per mali Christiani» per alcune cose scandalose che
aveva udite da loro. E cominciando dal Campanella narrò, che avendogli
dimandato se conoscesse arte magica, il Campanella gli disse «o
chiotto, e tu credi che ci siano diavoli?... pezzo di chiotto, non
cè ne diavoli ne inferno»; ed altra volta disse di volere «far nova
legge, et che quando cominciasse a predicare che allora si sentirebbe
la verità et la legge che esso volea fare, la quale sarà la vera legge
di vivere et meglio di questa delli Christiani», soggiungendo: «non me
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