Fra Tommaso Campanella, Vol. 1 - 24

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vedremo a suo tempo; così pure diverse cose che aveano recato scandalo,
come il disgusto per le tante fraterie, la tolleranza e talvolta
l'ammirazione per qualche cerimonia turca, la stima delle dottrine dei
filosofi gentili alla pari di quelle de' Santi Padri, il poco rispetto
per le dottrine di S. Tommaso e il nessun credito all'esserne stati
gli scritti lodati da Gesù Cristo, l'avversione alle preghiere con
molti paternostri, l'intolleranza per l'adorazione della croce «che
era un pezzo di legno» e così pure per l'adorazione delle immagini
de' Santi. Sotto quest'ultimo rispetto è assai notevole un fatto, che
mostra fino a qual punto il Campanella fosse divenuto temerario: la
Chiesa del convento accoglieva una Congregazione, la quale intitolavasi
del Rosario e adoperava un libro di preghiere con certe invocazioni
a Maria, a S. Domenico e ad altri Santi; il Campanella non voleva che
si dicessero, e di sua mano le cancellò dal libro. Quale era dunque la
specie di riforma che egli si proponeva?
Manifestamente il Campanella si proponeva fondare uno Stato secondo le
norme che poi descrisse nel suo libro della _Città del Sole_. Il Berti
con altri lo ha intravveduto, e non pertanto ha negato l'esistenza
della congiura: noi lo riteniamo dimostrato, dopochè ci è riuscito
mettere in luce tante particolarità, segnatamente con la scoperta de'
processi di eresia; e crediamo che ne rimanga sempre più raffermata
l'esistenza di una congiura promossa e diretta essenzialmente dal
Campanella, congiura necessaria per sottrarsi al dominio di Spagna, sia
pure in date circostanze di tempo e di opportunità. Un confronto di ciò
che sparsamente disse il Campanella, durante la congiura, con ciò che
scrisse più tardi nella _Città del Sole_ e nelle _Quistioni sull'ottima
repubblica_, toglie ogni dubbio, rimanendo benissimo chiarita la natura
e la direzione dell'impresa, l'impossibilità di una partecipazione
qualunque del Papa, de' Vescovi e de' Nobili in generale, e perfino
la verità e la giusta misura de' concetti del Campanella emersi da'
processi fattigli; poichè ogni qual volta ci sarà il riscontro, chi
vorrà più dubitarne? In tal guisa il così detto eterno ed insolubile
problema della congiura può avere una facile soluzione, più che non sia
forse accaduto mai nella storia delle congiure: può intendersi qualche
concetto che a prima vista apparisce strano, p. es. il dover essere
Monarca e il voler fondare la repubblica, l'ammettere la comunanza
delle donne, il non ritenere peccato la fornicazione etc; ed appunto
può determinarsi con esattezza il lato dei principii religiosi,
su' quali non meno occorrono chiarimenti, avendo troppe circostanze
influito ad ottenebrare la verità. Il confronto suddetto dà modo di
vedere chi realmente esagerò, chi parlò di propria iniziativa, chi
interpetrò male, e quindi comprendere la parte precisa che ognuno
rappresentò, così nella congiura, come ne' processi consecutivi.
Si rileverà senza dubbio che molte falsità furono deposte, ma che
in ultima analisi venne a scovrirsi meno di quanto c'era realmente
di sotto; ed apparirà chiaro che la _Città del Sole_, benchè detta
_poetica_, costituì allora, come costituì di poi, il complesso delle
idee _riposte_ di fra Tommaso, sicchè c'è da riflettere moltissimo
prima di considerare il Campanella, quale risulterebbe da parecchie
altre opere sue, scritte in circostanze che meritano di essere
grandemente valutate[301].
Trattavasi dunque di attuare in politica una repubblica comunista
della forma più spinta, sino ad avere alcuni lati analoghi a quelli
sostenuti da certi seguaci del moderno nihilismo, e di attuare in
religione quel Cristianesimo razionale, che fino a' giorni nostri
ha continuato sempre ad apparire unica soluzione accettabile, presso
coloro i quali hanno voluto risolvere il problema della destinazione e
della coscienza umana in conformità de' progressi del pensiero umano;
ma tutto ciò con particolari vedute nell'ordine spirituale e nel
temporale, analogamente alle idee del tempo e più ancora all'educazione
del Campanella. Lo studio degl'insegnamenti de' grandi filosofi, le
ricerche assidue intorno al Cristianesimo primitivo, le abitudini
della vita monastica, gli avevano fatto concepire la libertà in un
modo ben diverso da quello che oggi si professa, gli aveano fatto
anche accogliere certe pratiche religiose come p. es. l'adorazione
perpetua, ad imitazione delle quarantore dei Cattolici, la confessione
auricolare, spinta fino al punto di rivelare al Capo dello Stato i
falli uditi comunque senza far nomi[302]. Al Capo dello Stato era
assegnata una sovranità reale ed effettiva, un'_autorità assoluta_ nel
temporale e nello spirituale; a' cittadini rimaneva una libertà, che
era un imbrigliamento di qualunque moto e di qualunque sospiro, dietro
un'ingerenza governativa delle più meticolose; perfino lo stomaco e gli
organi sessuali erano regolati dalla legge. Di eguaglianza, come oggi
si vorrebbe, neppure un'ombra; invece dato un grandissimo peso alla
cultura e alla dottrina. Il Capo dello Stato doveva aver fatto studii
colossali, pochi de' più savii partecipavano al potere, gl'incolti
non doveano che servire. Specialmente per quella singolare maniera di
libertà, se «la vita filosofica» ideata dal Campanella avesse potuto
per un momento istituirsi, ognuno senza dubbio avrebbe finito per
ribellarvisi, ed egli si sarebbe ben presto accorto che un consorzio
civile non si rinnovella sopra principii astratti e senza sostrato
nella realtà. Non c'è quindi a meravigliarsi che taluni, come p. es. il
Giannone tra parecchi altri, abbiano profondamente sprezzato le vedute
del Campanella; piuttosto c'è a meravigliarsi che taluni moderni, i
quali s'intitolano democratici, abbiano menato vanto della repubblica
Campanelliana iscrivendo il Campanella nel loro Olimpo[303].
Ebbe intanto con questo suo disegno di repubblica un pensiero altamente
generoso per la provincia nativa ed anzi per l'intera umanità; e
all'opposto di ciò che avviene agli attuali repubblicani, compromise
onore e vita per esso, affrontando un mare immenso di guai con tale
audacia, che a parecchi tra' più gravi scrittori il fatto è sembrato
perfino impossibile, e questo, mentre il paese veramente gemeva
sotto la più efferata tirannide, ma nessuno osava neanche immaginare
una via qualunque di uscita[304]. Ecco ciò che costituisce la sua
vera gloria; e non risultano giustificate nè le attenuazioni, nè le
meno benevole interpetrazioni, che riescono ad impicciolire la sua
grande personalità civile, e a far disconoscere l'essenza vera della
sua vita. È stato detto che la sua vanità l'avesse spinto in questa
via: senza dubbio eravi in lui quell'orgoglio impaziente, naturale
negli uomini i quali hanno saputo da loro soli divenire uomini di
gran vaglia, ma non s'intende perchè non abbia a dirsi essere stato
spinto da una nobile ambizione, mentre d'altra parte bisogna anche
riconoscergli la viva fede in eventi straordinarii e in una missione
altissima alla quale credevasi destinato. Sorretto da una simile fede
ed ambizione, egli seppe ispirare un vivo entusiasmo in uomini come
Maurizio de Rinaldis, Marcantonio Contestabile, Prestinace, Vua, con
una grossa mano di fuorusciti e di cittadini d'ogni classe, oltrechè
in un certo numero di frati, i quali non rapresentarono punto la parte
maggiore come erroneamente si è creduto: molti di costoro, e frati
e laici, non ci risultano persone stimabili; ma nè si può guardare
tanto pel sottile ogni qual volta si tratti di persone impegnate per
una ribellione a mano armata, nè si può ritenere che gli elementi di
stima fossero allora quelli medesimi di oggidì. Piuttosto bisogna dire,
e non farà maraviglia, che i congiurati non abbiano avuta una mente
adeguata alla grandezza dell'impresa, come il Campanella dichiarò
con dolore più tardi, quando disse che «guastarono ogni suo pensier
grande»[305]: non di meno i principali fra loro appariscono sempre
persone distinte e degne di considerazione. Non si potrebbe p. es.
non vedere in Maurizio un tipo di uomo animato dal più puro sentimento
di patriottismo e di libertà: egli nobile, egli ricco di largo censo
e di amata famiglia, avea troppo da perdere nella futura repubblica
comunista, e tuttavia non si curò di sapere qual parte avrebbe
rappresentato in essa; compreso unicamente dal pensiero di sottrarre
a Spagna e restituire a libertà la sua provincia nativa, si limitò a
discutere e trovare i mezzi pel successo dell'insurrezione, accettando
volenteroso la dittatura del Campanella sotto il fascino dell'energia
intelligente di lui, soggiogato dalla potenza di quell'intelletto
audacissimo, come ebbe poi a confessare nel modo più ingenuo. Lo stesso
fra Dionisio Ponzio non si potrebbe non dire un tipo di cospiratore
de' più distinti: è lecito credere che la sua vanità e il suo spirito
vendicativo abbiano influito molto a farlo dedicare febbrilmente al
trionfo della futura repubblica, nella quale d'altronde la sua cultura
gli avrebbe fatto acquistare uno de' maggiori ufficii; ma non rifuggì
dal prendere nella congiura il posto più pericoloso, agendo fin sotto
gli occhi degli ufficiali Regii nella capitale della provincia, e
seppe di poi, ne' giorni tristi, comportarsi indubitatamente meglio di
tutti gli altri suoi compagni promotori della ribellione, meglio del
Campanella medesimo, come vedremo a suo tempo. Nessuno vorrà credere
che fra Dionisio si fosse spinto tanto innanzi, solamente per uscire
in campagna ad oggetto di uccidere il Polistina, e che Maurizio avesse
aderito a fra Dionisio, solamente per secondarne tale proponimento:
per lo meno non era necessario mettere Catanzaro in moto e andare
incontro a così enorme responsabilità per uno scopo così meschino, e
se il Campanella, ne' giorni tristi, potè dir questa con tante altre
cose, bisogna pure penetrarsi della sua posizione, che l'obbligava a
parlare in tal guisa. Trattandosi di dover fondare una repubblica,
ed essendo certo che il disegno di questa repubblica era calcata
sulle norme che furono più tardi descritte nella _Città del Sole_,
evidentemente l'unico autore e promotore della congiura dovè essere
il Campanella. Ed al momento al quale siamo pervenuti egli poteva
esser lieto dell'opera sua. Maurizio, in Davoli, aveva già assicurato
che era in grado di riunire fra dieci giorni duecento fuorusciti, i
quali sarebbero entrati di nascosto in Catanzaro per formare il nucleo
dell'insurrezione, e parecchi erano anche i cittadini di Catanzaro
già ben disposti non solo da fra Dionisio, ma principalmente da Gio.
Tommaso di Franza e Gio. Paolo di Cordova, senza contare il Barone
di Cropani; inoltre Marcantonio Contestabile avea già dovuto mettere
in ordine la sua banda destinata ad assaltare il castello di Arena,
e questa banda era molto notevole, come apparisce da' cenni che il
Campanella ne fornì, ponendoli in bocca a Giulio Contestabile; infine,
sotto l'influenza assidua del Campanella medesimo, un buon numero di
affiliati trovavasi in Stilo e luoghi circonvicini per una larga zona.
I turchi col Cicala doveano venire nella prima metà di settembre, e la
grande aspettativa delle mutazioni che si era in tutti ingenerata, e il
credito straordinario che il Campanella godeva, sia come scienziato,
sia come astrologo, sia come possessore di spiriti, avrebbe anche
fatto avere senza dubbio un contingente non lieve, più di quanto si
suole ordinariamente sperare da' congiurati in altrettali occasioni.
Non erano dunque poche le forze preparate, e bisogna riconoscere che
parecchie ribellioni, in condizioni egualmente ponderose e gravi,
furono iniziate con forze assai minori: si sarebbero poi dovuti
saldare i conti con una potenza come la Spagna, ma appunto allora gli
sconvolgimenti generali che si aspettavano avrebbero dato un soccorso
incommensurabile. Così il Campanella poteva ritenere che non sarebbe
rimasta senza effetto la sua «voglia ardente a far la gran semblea»,
poteva esser fiero di aver saputo «con senno e pazienza tante genti
vincere»[306]: tutti aveano fede viva in tempi migliori, e il banchetto
sul monte di Stilo pose il suggello a questa fede in coloro che vi
presero parte, riuscendo l'espressione della comune esultanza.
Ma si approssimavano invece anni di dolore con le più amare
disillusioni. Mentre il Campanella trovavasi tuttora in S.^ta Caterina
e quindi il banchetto sul monte di Stilo non si era per anco tenuto,
la congiura veniva denunziata al Governo: continuavano con fervore
i preparativi da parte de' congiurati, e il Governo con altrettanto
fervore faceva i suoi preparativi per averli tutti nelle mani.


CAP. III.
SCOPERTA DELLA CONGIURA E PROCESSI DI CALABRIA. (dalla fine di agosto a
tutto 10bre 1599).

I. Il 10 agosto 1599 Fabio di Lauro e Gio. Battista Biblia, che
abbiamo veduto ricoverati per debiti nel convento de' frati Zoccolanti
di Catanzaro e sollecitati da fra Dionisio a prender parte alla
congiura, ne facevano una formale denunzia al Vicerè Conte di Lemos,
innanzi all'Avvocato fiscale dell'Audienza di Calabria ultra D. Luise
Xarava. Per incarico di costui, essi seguitavano a sorvegliare gli
andamenti de' congiurati fingendosi sempre accesi per la rivolta,
ed intanto ponevano in iscritto ciò che fino a quel momento aveano
potuto raccogliere. Crediamo utile dare qui letteralmente tradotto
l'importante documento da noi rinvenuto in Simancas, anche perchè
riscontrandone l'originale, vengano i lettori a familiarizzarsi co'
documenti scritti nell'idioma spagnuolo[307].
«Relazione fedele e veridica a Sua Eccellenza circa la congiura
e ribellione che finora è stata tentata ed al presente si tenta
dagl'infrascritti, per quanto noi Fabio di Lauro e Gio. Battista
Biblia abbiamo potuto tener notizia e procurato sapere con ogni
diligenza, in servizio di Dio e del Re nostro signore. — Fra Tommaso
Campanella di Stilo, dell'ordine di S. Domenico, persona che per tutto
il mondo tiene il primato nelle scienze, che per maraviglia di esse è
stato molti anni carcerato nell'Inquisizione, presupponendosi opera
diabolica siccome al presente ci è stato veramente certificato, con
intelligenza di D. Lelio Orsini e del Principe di Bisignano, del Duca
di Vietri, del Vescovo di Nicastro e di molti altri Vescovi del Regno,
di Signori titolati e Potentati, ed in particolare di Sua Santità e
in nome suo del Card.^l S. Giorgio, del Turco; e fra Dionisio e fra
Pietro Ponzio di Nicastro, predicatori dell'ordine di S. Domenico,
con copioso numero di altri predicatori frati di diverse Religioni
e di persone principali di molte città e terre, con intelligenza di
molte corporazioni dell'una e dell'altra provincia, hanno tentato e
tentano quotidianamente di rivoltare ed ingannare i popoli contro il Re
nostro signore, pubblicandolo tiranno del mondo, e con parole efficaci
dànno ad intendere l'incomportabile malvagità de' suoi Ministri, i
quali vendono come all'asta pubblica il sangue umano e la giustizia e
tutto, usurpando con tirannia il sudore de' poveri con tanti tributi
e pagamenti e assassinii che si veggono nel Regno di Napoli, Regno
della Santa Chiesa occupato tirannicamente, dicendo che tutti i Re di
Spagna sono dannati per avere usurpato gli Stati della Chiesa, sangue
di Gesù Cristo, e che già è venuto il tempo che nostro signore Iddio,
mosso a pietà, si compiace di togliere la sozzura (?) di tanta tirannia
e servitù, e ciò per opera del suo Vicario, il quale, condolendosi
della calamità de' popoli, ha risoluto porli nella pristina libertà
di repubblica, come era per l'innanzi, pur che vogliano riconoscere
per signora la Santa Chiesa, con darle soltanto il libero consenso
e un mediocre tributo, dicendo che non bisognava spargere il sangue
de' loro figli, padri e madri, in rovina de' proprii averi, mentre
sperano che aggiusterà loro ogni cosa solamente col persuadere la
verità e fare che ognuno si riconosca a sè medesimo e al servizio
di Dio nostro signore, il cui aiuto dicono di tenere in ciò per
divine rivelazioni ed ispirazioni, stimolando la gente con promesse
di lauti guiderdoni e con la facilità del negozio, mentre tutte le
città e terre delle dette provincie sono divise e nella maggior parte
disposte a versare il sangue pel servizio di Dio e della Santa Chiesa
e per la propria libertà, aggiungendo il poco governo e poco talento
de' governanti che al presente si trovano nelle dette provincie, e
questo dicono essere permesso divino, che sembra gli abbia accecati,
dando agli animi di tutti fama immortale pe' secoli avvenire, come
pure mettendo innanzi il gran profitto da trarsene. — Nella detta
congiura sta Maurizio de Rinaldis di Guardavalle, persona nobile e
di grande intelligenza, e fuoruscito con comitiva di più di 2,000
persone di Stilo, casali e dintorni, il quale ha sobillato col detto
Campanella e tuttora va sobillando, e particolarmente in Catanzaro
Matteo Famareda, Orazio Rania ed altri suoi concertano intimamente
con lui. E perchè nella detta congiura, la quale si tratta già da un
anno, vi è pure l'intervento del Turco, che ha commesso ogni cosa al
Cicala acciò esegua quanto i congiurati gli saranno per chiedere, nel
mese scorso il detto Maurizio, inviato da' congiurati con una loro
credenziale, s'imbarcò insieme con alcuni compagni nelle galere di
Morat Rais che lo portò a parlare al Cicala, e di poi se ne tornarono
alla marina di Stilo come è fama pubblica. E il detto Cicala sta
già pronto a sua richiesta con 60 vele, che debbono servire ad andar
costeggiando la Calabria ed impedire qualunque soccorso da mare. —
Nella medesima congiura interviene Ferrante Moretto di Terranova della
piana con un suo germano ed infinita gente di suoi aderenti. Vi sono
pure molti della città di Reggio, S.^ta Agata e Casali, e persone
principali e potenti, e particolarmente della città di Seminara. Ci
è ancora la maggior parte della città di Tropea, Mileto, Monteleone,
Amantea, Fiumefreddo e città di Cosenza, Cassano, Castrovillari e
Terranova-citra, Bisignano, Taverna, Cotrone, e la maggior parte
del Principato di Squillace, ma specialmente infiniti della città
di Nicastro, e molti di Rossano e Pietra Paola. Ci ha inoltre della
città di Catanzaro Mario Flaccavento, parente di fra Dionisio e di
Gio. Antonio Fabbrica con altri suoi compagni. Si trovano ora nelle
provincie due compagnie di cavalli di uomini d'arme, che stanno a
requisizione de' nemici. Vi sono ancora tutti i fuorusciti delle
altre provincie, con altro infinito numero de' casali di Cosenza,
e capipopolo di diversi luoghi. — La detta congiura, stata già
trattata da tanto tempo, al presente è affrettata, e solo attendono
la venuta del Principe di Bisignano, il quale verrà incognito, e così
pure del Vescovo di Nicastro e di alcuni altri grandi personaggi. I
congiurati, oltre che sperano felice successo per la moltitudine de'
congiuranti e loro potere con guide del demonio che tratta col padre
Campanella, sperano giovarsi molto della lingua tra' popoli, nel senso
di far loro buone prediche, mentre concorrono molti predicatori di
diverse religioni i quali si hanno diviso i luoghi tra loro, e per
mezzo di essi si è quasi sempre trattato, e vanno promettendo grosse
remunerazioni in nome di Sua Santità. Si scrivono tra loro con cifra
di numeri e segni, i quali abbiamo visti in potere di fra Dionisio,
che credendo tenerci nel suo partito, per la grande familiarità
che da molti anni vi è stata tra lui e noi, ci ha comunicato tutto,
promettendoci grandi cose, e con grande esagerazione ci facea premura
in questo affare, nel quale non gli abbiamo dato rifiuto, per scovrire
da lui quanto c'è e darne avviso a Sua Eccellenza, come abbiamo fatto
in servizio di Sua Maestà. Guadagnate le provincie di Calabria, sperano
di conquistare apertamente il resto del Regno, dicendo che la Calabria
è la chiave, in dove si trovano le fortezze, munizioni e vettovaglie. —
Tutte le dette cose per la maggior parte le abbiamo udite dalla bocca
propria di fra Dionisio Ponzio, che per tale motivo va per diversi
luoghi, e di Matteo Famareda, e vedutele per evidenti segnali e lettere
di fra Dionisio che ci hanno mostrato. Speriamo d'ora innanzi tenere
di ciò notizia più particolareggiata, sebbene quanto facciamo si faccia
tutto con grandissimo pericolo di essere uccisi fin nelle nostre case;
ma per servizio di Dio, di Sua Maestà e di Vostra Eccellenza, noi non
ci curiamo di spargere il sangue e far notoria al mondo la nostra piena
fedeltà e seguire le orme degli avi. — Dat. in Catanzaro il 10 agosto
1599. — Io Fabio di Lauro dò l'infrascritta relazione di mera volontà
mia propria, e depongo come quassù in presenza dell'Avvocato fiscale
di questa provincia in nome di Sua Maestà, sperando la sua grazia e
guiderdone, mano propria. — Io Gio. Battista Biblia dò l'infrascritta
relazione di mia propria volontà, e depongo come quassù in presenza
del Sig. Avvocato fiscale di questa Provincia in nome di Sua Maestà,
sperando la sua grazia e guiderdone, mano propria».
Successivamente, il 13 agosto, essi mandavano direttamente al Vicerè
un'altra relazione[308]. Con questa dicevano che meglio informati,
poichè andavano ogni giorno cercando di sapere, avendo parlato con
alcuni congiurati principali, «credendo essi di tenerli pe' loro
più affezionati come avevano loro mostrato e mostravano», aveano
potuto toccar con mano che già tutta la provincia era in ordine, che
nella Città di Catanzaro vi erano tra' congiurati più di 100 persone
principali, «e tra gli altri la Regia munizione stava in ordine per
costoro»; che i corrieri e messi andavano tra loro quasi sempre di
notte, ed erano per la maggior parte frati e clerici; che essi, i
denunzianti, aveano mandato corriere «per avere qualche loro lettera»
ed inviarla a S. E., come pure d'allora in poi avrebbero procurato
«sapere tutti i nomi de' congiurati». In fondo, come ben si vede,
non avevano ancora fatto altri progressi nelle scoverte alle quali
attendevano; frattanto magnificavano il «pericolo di essere bruciati
fin dentro le loro case» e dicevano che «per ore e momenti stavano
aspettando la morte»; assicuravano che i congiurati aveano tra loro
«persone grandi e molti di Corte», e soggiungevano che se non si
rimediava presto, correva «grandissimo rischio di porsi in rivolta il
mondo». Infine conchiudevano rimettendosi alla grazia di S. M.^tà e di
S. E. da cui speravano «competente rimunerazione di tale e tanto grande
servigio». — Vedremo che in sèguito, attendendo sempre «a scovrire
la congiura per ordine dell'Avvocato fiscale», giunsero realmente ad
avere «tre lettere» le quali trasmisero alle Autorità, come risulta
dal Carteggio Vicereale[309], e fecero pure qualche altra scoverta che
troveremo espressa[310] nelle loro deposizioni.
La prima denunzia giunse in Napoli, per mezzo del fiscale, il 18
agosto, la seconda, direttamente, il 24 agosto, e in tale ultima data
il Vicerè ne trasmetteva copia a Madrid, dando conto de' provvedimenti
fatti e della impressione ricevuta: tutto ciò si rileva dalla sua prima
lettera scritta al Re su tale argomento[311]. Fin dal 18, all'arrivo
della prima denunzia, egli spedì subito un corriere all'Ambasciatore
di Spagna in Roma D. Antonio de Cardona Duca di Sessa, avvertendolo di
ciò che accadeva «e scrivendogli un'altra lettera da potersi mostrare
a S. S.^tà», nella quale diceva che certi frati e clerici in Calabria
facevano trattative col Cicala, e che perciò supplicasse S. S.^tà
di «restar servita» di permettergli che per l'investigazione di tal
negozio potesse prendere i frati e clerici che fossero colpevoli, ciò
che S. S.^tà fece con molto piacere, richiedendo che li traducesse
alla carcere del Nunzio che teneva in Napoli, ma che se gli paresse
altro, lo lasciava nelle sue mani. Dippiù, quantunque ritenesse la cosa
senza fondamento, il Vicerè pensò ad inviare in Calabria una persona
capace d'investigare con ogni segretezza e carcerare i frati nominati
nella relazione, procurando di avere in poter suo tutte le loro carte;
e scelse Carlo Spinelli, di cui avea trovato in Napoli molto buona
relazione, e che oltre all'essere buon soldato era anche molto prudente
ed accorto, e perciò si era servito di lui il Duca di Ossuna a tempo
del tumulto della città (il tumulto contro l'Eletto Starace), e lo
avea fatto Reggente della Vicaria, nella qual carica in pochi giorni
avea presi i più colpevoli tra' delinquenti; lo scelse anche perchè
gli sembrò che sarebbe stato la persona la quale avrebbe potuto andare
con minor rumore, con voce che sarebbe andato a difendere la costa (a
difenderla dal Turco siccome avea fatto altra volta). Del resto, egli
diceva, «mi pare grande stravaganza mischiare il Papa e il Card.^l S.
Giorgio col Turco; che se fosse stato col Re di Francia o con qualche
potentato d'Italia non mi sorprendeva, poichè, secondo mi ha avvertito
il Duca di Sessa, già altra volta si sono tentati questi rumori da
gente inquieta e di poca sostanza; e così mi persuado che solamente da'
frati sono uscite queste invenzioni, chè d'uno di loro tengo relazione
essere apparecchiato, per credere di lui qualunque novità». Parevagli
pure stravaganza ciò che dicevano del Principe di Bisignano, del Duca
di Vietri e di D. Lelio Orsini: con tutto ciò, egli soggiungeva,
«per non errare è mestieri pensar sempre al peggio». Aveva quindi
ordinato al Fiscale di andare a S.^ta Eufemia, ove dovea sbarcare Carlo
Spinelli, per farvi una certa informazione, perchè nell'Audienza non
sospettassero a che fine egli là si recava, e di vedersi quivi con
lo Spinelli, il quale, informato bene del caso, avrebbe nelle mani i
frati e i più colpevoli, e glie ne darebbe avviso. Ripeteva poi ancora
una volta che egli credeva tutto esser cosa senza fondamento, se non
invenzione de' frati.
Il Vicerè D. Ferrante Ruiz de Castro Conte di Lemos era stato da poco
tempo inviato a Napoli, in sostituzione del Conte Olivares, e vi era
entrato appena il 16 luglio 1599, avendo avuta anche la missione di
Ambasciatore straordinario di obbedienza al Papa: nella sua venuta
avrebbe dovuto passare per Roma, ed invece con una certa sorpresa
della Curia Pontificia, che trovasi espressa in una lettera al Nunzio,
era «capitato a Napoli prima che a Roma»[312]. Fu detto che nel suo
passaggio per Genova un frate Francescano lo avesse avvertito di
tener d'occhio la Calabria, e che egli fece subito diligenze e si
venne così a scovrire la congiura[313]: ma tutto ciò non ci risulta
esatto, e potrebbe stare soltanto che quel frate, appartenente ad un
Ordine solito a servire da spia agli spagnuoli massime nelle cose di
Levante, gli avesse parlato del Campanella come di un uomo torbido,
capace di qualunque novità; questo potrebbe ritenersi adombrato nel
periodo sopra riferito della lettera del Vicerè, mentre poi veramente
egli conobbe la congiura solo per opera di Lauro e Biblia, e stentò
molto a ritenerla cosa seria malgrado le rivelazioni di costoro. Fu
detto pure, dal Parrino, che i due cittadini di Catanzaro, complici
della congiura, la rivelarono perchè la Divina Provvidenza toccò loro
il cuore: ma ci risulta solamente certo che il loro cuore fu tocco
dalla speranza di un buon guiderdone, avendo formalmente espresso
questa speranza in entrambe le relazioni da loro scritte. Fu detto
infine dal Campanella, nella sua Narrazione, che Lauro e Biblia si
scovrirono avidi di mutazione con fra Dionisio, il quale secondo i
segni e profezie di lui commendò il disegno loro, e di poi con la
speranza di sollevarsi ed aggrandirsi parlarono allo Xarava, il quale
essendo scomunicato e malcontento, «per scaricarsi appresso il Re la
colpa della scomunica, e per vendicarsi degli ecclesiastici e d'altri
nemici suoi in Catanzaro, disse falsamente a Lauro et a Biblia che
questa era congiura di ribellar il regno e com'esso sempre l'havea
pensato, e che c'intervenia il Vescovo di Milito, da cui era stato lui
con tanti Baroni et Ufficiali scomunicato, e tutta casa del Tufo, el
Vescovo di Nicastro che fece l'interditto, e che per effettuar questo
F. Dionisio era andato a Ferrara, e che il Papa consentia e però non
levava l'interditto, e che potean'esser altri Signori e s'informò con
quanti havea amicitia il Campanella el F. Dionisio, e consertaro di
metterli in processo, qual fece segretamente contra Prelati e Baroni
et amici del Campanella e nemici suoi e delli prefati rivelanti; et
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